Sergio Mottura – Latour a Civitella 2020


L’ultima annata con questo nome (dal 2021 il vino si chiamerà La Torre a Civitella per porre fine ad un contenzioso con Château Latour) è forse la miglior versione degli ultimi 10 anni.


Profluvio di agrumi, mandarino, erbe campestri e sensazioni minerali giocano con un sorso di rara definizione ed armonia.

Barbera del Sannio o Camaiola, quella buona è di Monserrato 1973!


Organizzando da tanti anni la manifestazione Beviamoci Sud Roma, dedicata alle eccellenze vitivinicole del nostro bel Meridione, mi sono accorto che la zona del Sannio, anno dopo anno, sta investendo moltissimo in termini di comunicazione e bontà del prodotto grazie ad un miglioramento delle pratiche sia agricole che di cantina. Tra le tante aziende sannite che vale la pena di seguire, sicuramente un posto importante lo merita Monserrato che nasce nel 1973 dalla volontà del Cavalier Francesco Zecchina, costruttore edile napoletano e appassionato di vini, di seguire la propria passione sulle colline intorno Benevento, a piedi del Monte Serrato. Su una superficie di circa 60 ettari furono piantati tabacco (coltura molto fiorente nella zona del Sannio tra gli anni '50 e '80), ulivi e una piccola parte in vigneto destinati, fino a primi anni ’80, solo per autoconsumo.


Oggi, grazie a Lucio Murena, nipote di Francesco, Monserrato 1973 sta vivendo una seconda giovinezza grazie ad un cambio approccio che ha permesso all’azienda, grazie ad un importante riassetto qualitativo e quantitativo dell’attività agricola, oggi totalmente biologica, di diventare un sistema a cerchio completo, come le antiche fattorie, dove si coltiva e trasformano quasi tutti i frutti che in essa vengono coltivati e raccolti.


All’interno dei 60 ettari di cui è composta, circa 14 sono destinati a vigneto dove vengono coltivati, secondo le antiche tradizioni, tutti autoctoni: falanghina, aglianico, piedirosso e camaiola o barbera del Sannio.

Lucio Murena

Tra i vari vini di Monserrato 1973 che ho avuto il piacere di degustare, una menzione speciale va sicuramente al Levata, falanghina in purezza dai tratti mediterranei, e alla loro Barbera del Sannio DOP 2021 che, senza dubbio, è stato il mio vero e proprio “coup de cœur”.

Grappoli di camaiola

Prima di dare conto delle mie motivazioni è opportuno sottolineare che il camaiola, varietà da pochissimo iscritta nel Registro nazionale della varietà di vite da vino, è stato per tantissimo tempo chiamato barbera del Sannio pur non avendo nulla a che vedere col il grande vitigno piemontese. Una confusione, questa, che ha origini nel paese sannita di Castelvenere dove, soprattutto negli anni ’70, per combattere i vuoti lasciati dal flagello della fillossera e, perché no, per andare incontro alle nuove tendenze, ci fu una invasione di vitigni provenienti da altri territori il che, inevitabilmente, creò problemi circa l’esatta conoscenza delle uve, delle classificazioni e dei nomi delle singole varietà. Siccome la barbera piemontese all’epoca era molto conosciuta sull’intero mercato italiano, si pensò bene, un po’ furbescamente, di darne il nome all’anonimo vitigno di Castelvenere, cercando in questo modo di piazzarlo meglio sul mercato. La barbera diventa quindi barbera del Beneventano IGT e poi nel 1997 conquista la doc Sannio. Oggi è ormai chiaro che con la barbera piemontese non ha nulla a che vedere, ma si tratta del “Camaiola”, una varietà tintora, dal colore intenso, dai profumi di frutta rossa succosa e dallo scarso potere tannico.


Tornando finalmente al Barbera del Sannio 2021 di Monserrato 1973, vinificato in acciaio e affinato per 8 mesi sia in anfora sia in acciaio, ciò che mi ha colpito di questo vino è stata la sua apparente semplicità unita alla sua capacità di essere praticamente un delizioso jolly a tavola. Nel particolare questa Camaiola, dal color rosso tendente al violaceo, è puro varietale grazie ad una piacevolezza di frutto dolce e succoso che conquista sin dal prima approccio dove sfilano in parata, senza caricature, profumi carnosi di ciliegia, mirtillo, prugna secca a cui si aggiungono sensazioni scure di rabarbaro, eucalipto, pepe rosa e peonia. 


Il sorso intenso, godurioso grazie ad una limitata trama tannica che non inchioda il palato che rimane irrorato per minuti da una massa fruttata ben supportata da una vena acida che rende la beva inarrestabile tanto che una bottiglia, in due, è finita (troppo) presto. Senza dubbio un vino per bere una volta tanto “senza pensieri” che consiglierei di inserire alla mescita a tutti i wine bar che puntino alla qualità dell’offerta.

Il 21 e 22 Ottobre 2023 torna Terre di Vite


I vini e le storie di più di cento vignaioli provenienti da ogni angolo d’Italia, i seminari e le degustazioni guidate, i laboratori del gusto, le esposizioni, la musica e i food truck. Terre di vite torna nel periodo autunnale, nella prestigiosa location: Villa Cavazza a Bomporto (MO), nella zona di produzione del Lambrusco di Sorbara rimane un appuntamento unico nel suo genere, irrinunciabile per gli appassionati di vino e soprattutto per chi pensa che il vino sia ben altro che una semplice bevanda. 


Non è un caso, infatti, se il cartellone di questa dodicesima edizione si preannuncia più ricco e articolato che mai: “Ogni vino di territorio come quelli che noi presentiamo al pubblico da anni porta con sé una storia– spiega Barbara Brandoli, ideatrice e anima della manifestazione –nel senso che è testimone di molte cose, cambiamenti culturali inclusi. È un po’ quello che succede con le altre espressioni artistiche e culturali: del resto è un atto di sensibilità come può esserlo un quadro, un libro, una composizione musicale. Questa è la ragione per cui fin dall’inizio abbiamo scelto di costruire una manifestazione capace di superare il modello della classica fiera – degustazione. Ecco perché anche quest’anno Terre di vite porterà a Villa Cavazza, accanto a nomi prestigiosi della viticoltura nazionale, produttori giovani e poco conosciuti dal grande pubblico selezionati in base a criteri qualitativi ed etici. Come di consueto riserviamo un’attenzione particolare alle produzioni locali. Quest’anno il nostro impegno è stato espressamente rivolto ai produttori della Romagna che hanno 
subito forti danni dall’alluvione dello scorso maggio. La decisione di dare l’accesso gratuito come espositori agli amici vignaioli romagnoli è stata per noi scontata.

Anche quest’anno la selezione dei produttori di vino è fatta da me, Barbara Brandoli, in collaborazione con Roberto Giuliani, direttore della rivista online Lavinium. Come di consueto, ci saranno due seminari-degustazioni di vino guidate dal direttore di Porthos Sandro Sangiorgi su prenotazione all’email info@terredivite.it


Novità di quest’edizione saranno “I LABORATORI DEL GUSTO” non solo aree tematiche sull’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena e sul Parmigiano Reggiano a cura dei consorzi storici ma veri e propri laboratori dove i visitatori potranno assaggiare i vini abbinati a specialità culinarie come Prosciutto crudo di Modena, salumi misti emiliani, formaggi di montagna ecc. comodamente seduti, ascoltando i racconti dei vignaioli e dei produttori di cibo, in un’apposita sala della villa allestita per l’occasione. Tra le novità, quest’anno abbiamo stretto una fattiva collaborazione con la Scuola Alberghiera di Serramazzoni, da parte nostra c’è la volontà e il desiderio di far conoscere anche l’appennino modenese e il Frignano in particolare attraverso la promozione dei prodotti dell’enogastronomia locale e delle eccellenze come appunto la scuola che forma i ragazzi e li prepara al mondo della ristorazione. I tre Food Truck con specialità emiliane sosteranno come sempre nel giardino della villa (che sarà tutto allestito per accogliere un vasto pubblico che potrà pranzare comodamente seduto). Non solo vino ma espositori di eccellenze alimentari emiliane e da tutta Italia posizionati nella corte di Villa Cavazza. Quest’edizione vogliamo che sia aperta al grande pubblico e ci stiamo impegnando per dare il massimo dell’accoglienza per le famiglie che potranno godere degli enormi spazi della villa interni ed esterni.

Ad accompagnare gli ospiti nel percorso di degustazioni, ci sarà musica in entrambi i giorni nel giardino, due diversi gruppi di artisti che si esibiranno rendendo ancora più piacevole l’atmosfera esterna. Il tema portante di questa edizione sarà quello de “IL PAESAGGIO” inteso come patrimonio da preservare. Il paesaggio che non è soltanto fotografia di un luogo ma racconto ed esperienza di vita, di solidarietà e di naturale sostentamento. La vite si fonde nel Paesaggio come architettura naturale, come esperienza e resilienza, la stessa che ritroviamo nella bottiglia di vino che rispecchia a pieno questa filosofia.

Location: Villa Cavazza, Via Gorghetto 92/100 Bomporto di Modena

Orari Sabato 21 Ottobre apertura al pubblico 11.00 alle 20.00

Domenica 22 Ottobre apertura al pubblico 11.00 alle 19.00

Programma completo e lista vignaioli presenti sul sito www.terredivite.it

Ingresso gratuito operatori HORECA previa registrazione email:info@terredivite.it

Ticket in cassa direttamente in villa 25€

Ticket in prevendita al prezzo scontato di 20 € sul sito www.terredivite.it

PER INFO E PRENOTAZIONI: BARBARA BRANDOLI TEL. 338 5474185 (anche wapp)

email: info@terredivite.it

Sito: www.terredivite.it

InvecchiatIGP: Ciù Ciù - Rosso Marche IGT “Oppîdum” 1998


di Lorenzo Colombo

Dev’essere stato all’inizio del secolo, l’anno preciso non lo ricordiamo, quando, assieme a mia moglie abbiamo compiuto un viaggio a carattere enogastronomico -come avviene per la quasi totalità dei nostri viaggi - a cavallo tra Marche ed Abruzzo, e precisamente tra le province di Ascoli Piceno e Teramo. Se ricordiamo bene lo scopo del viaggio era quello di conoscere meglio la Doc Controguerra, denominazione allora da poco istituita. Percorrendo le stradine di quel territorio è un attimo trovarsi dapprima nelle Marche ed un momento dopo in Abruzzo, e viceversa, ragione per cui abbiamo visitato diverse cantine in entrambe le regioni. A tal proposito ci ricordiamo di un curioso episodio, chiamiamo col nostro primo e voluminoso cellulare una cantina di Offida – non facciamo nomi, anche se ce lo ricordiamo bene - per chiedere se possiamo andarci in visita e dall’altra parte del telefono ci rispondono qualcosa di simile “se poi acquistate un cartone di vino va bene”. Ovviamente a simile risposta abbiamo declinato e siamo passati oltre.


Tornando al vino proposto oggi per la rubrica del sabato InvecchiatIGP è sempre di un’azienda di Offida, la Ciù Ciù.

L’azienda

L’azienda Ciù Ciù fa parte del Gruppo Tenimenti Bartolomei che possiede altre quattro cantine, in Toscana, Lazio, Abruzzo e Sicilia. Ciù Ciù è stata la prima, fondata a Offida nel 1970 da Anna e Natalino Bartolomei s’estende su oltre 180 ettari ed è attualmente guidata dai figli Massimiliano e Walter e da molti anni lavora in regime biologico.

Il vino

Prodotto con uve Montepulciano in purezza provenienti dai vigneti situati a 300 metri d’altitudine, su suoli tendenti all’argilloso, nei comuni di Acquaviva Picena e Offida. La vendemmia s’effettua a fine ottobre, la fermentazione prevede una macerazione di circa tre settimane, il vino viene quindi posto a maturare per il 70% in botti da 10 ettolitri e per la parte restante in barrique dove rimane per 12 mesi ai quali ne seguono altri sei di riposo in bottiglia. Assieme all’Esperanto (855 Montepulciano e 15% Cabernet) costituisce il vino di punta aziendale e attualmente si trova in vendita nello shop aziendale a 21 euro con l’annata 2016.


Noi avevamo acquistato questa bottiglia, rimasta sin’ora in cantina, durante la nostra visita in azienda di cui accennato all’inizio. Diciamo che il primo approccio non è stato entusiasmante, leggera muffetta sotto la capsula (vedi foto), il tappo però s’è estratto molto bene, senza alcun sbriciolamento, utilizzando esclusivamente il cavatappi a leva, però… tappo completamente intriso di liquido e, all’olfatto, sentori di maderizzato.


Versato nel bicchiere, ad un primo assaggio non ha dato però segni d’ossidazione, ragione per cui l’abbiamo decantato per separare eventuali e probabili sedimenti, che poi in realtà si sono rivelati minimi. Dopo dieci minuti ha iniziato ad aprirsi e ci siamo trovati di fronte ad uno tra i migliori vini bevuti quest’anno.

Eccolo

Profondissimo il colore, quasi impenetrabile, tra il granato e il prugna, con unghia leggermente tendente al mattonato.
Naso complesso ed affascinante, buona la sua intensità olfattiva, ampio, pulito, integro, note dolci, confettura di prugne e di marasche, tabacco dolce, leggeri accenni di cuoio, note mentolate ed accenni di cioccolato, sottobosco umido, vaniglia e cannella.


Piacevolissima frutta rossa dolce alla bocca, prugne secche, leggere note di spezie dolci, nuovamente vaniglia e cannella, tannino vellutato, alcol ben integrato, leggeri sentori di radici, perfetto equilibrio gustativo, lunga la persistenza.

Pravis - Vino Bianco Souvigner Gris “Naran” 2020


di Lorenzo Colombo

Naran è la linea che Pravis ha dedicato ai vini prodotti con vitigni PIWI. Noi abbiamo degustato quello prodotto con Souvigner gris, le cui uve provengono da un vigneto situato a Lasino, a 510 metri d’altitudine.


Vino fresco, con spiccate note vegetali e sentori d’agrumi maturi, sapido ed asciutto.

L’Alto Garda Trentino nel bicchiere e nel piatto


di Lorenzo Colombo

Un percorso in cinque tappe quello che ha proposto l’Agraria Riva del Garda lo scorso 14 settembre a Milano, presso il Miele Experience Center.
Cinque tappe culinarie, dove i vini (e gli olii) della Cantina Frantoio, attiva dal 1926, sono stati abbinati ai piatti creati per l’occasione da Alfio Ghezzi, chef che vanta una stella Michelin nel suo ristorante Senso Alfio Ghezzi Mart di Rovereto.
In tutte le preparazioni Alfio ha utilizzato prevalentemente prodotti provenienti dal Trentino e tra gli ingredienti di ciascun piatto troviamo naturalmente un olio dell’Agraria Riva del Garda e lo stesso vino che poi accompagnerà il cibo.


Avevamo in passato già degustato (e recensito) alcuni vini di questa cooperativa ed abbiamo trovato assai gradevole la possibilità di verificarli abbinati alle preparazioni di un grade chef. Ci spiace non poterci esprimerci in merito agli olii non avendoli assaggiati da soli, ma unicamente nelle preparazioni, inoltre non siamo degli specialisti in questo campo, anche se ovviamente riconosciamo quelli buoni.


A proposito degli olii l’Agraria di Riva ne produce diverse linee: Uliva, 46° Parallelo, Ulidea, Imperiale, 1926, Special Edition, Italico, Opera Olei, e, all’interno di queste linnee ci sono diversi prodotti, alcuni dei quali, come scritto sopra, sono stati opportunamente scelti da Alfio Ghezzi ed utilizzati nelle varie ricette.

Ma passiamo a quanto assaggiato ovvero ai vini e relativi abbinamenti:

Cavolfiore, Trentingrana, Peperoncino, Nocciole e Cacao, abbinato a Trento Doc “Brezza Riva” Riserva Pas Dosé 2018 e Olio “46° Parallelo” Blend


Che dire, se non che si tratta del piatto che abbiamo maggiormente apprezzato (unitamente alla Razza Rendena), solo che in questo caso ci eravamo posti un poco prevenuti, visti gli ingredienti, ma vi possiamo assicurare che il tutto si sposava a meraviglia e formava (come dal titolo di un vecchio libro di Veronelli) un “Matrimonio d’Amore”.

Il vino

Il Brezza Riva appartiene alla linea Trentodoc e Bollicine di Riva, che comprende cinque vini spumanti, tra cui tre Brezza Riva: Brut, Brut Millesimato e Pas Dosè, quest’ultimo è il vino che abbiamo assaggiato. Si tratta di un Blanc de Blancs, Chardonnay in purezza le cui uve provengono dalla zona del Lago di Tenno.
L’avevamo già assaggiato in passato, anche se si trattava dell’annata 2016 (qui potete trovare le info che lo riguardano). Sono 2.668 le bottiglie prodotte.


Il suo colore è giallo intenso, al naso cogliamo sentori di crosta di pane e di nocciole tostate mentre al palato lo troviamo cremoso e molto sapido, vi troviamo note tostate e di nocciole, chiude con lunga persistenza leggermente amaricante.

Carote, Abete Rosso e Ulidea, abbinato a Trentino Superiore Doc Müller Thurgau “Vista Lago” Biologico 2021 e Olio “46° Parallelo” Monovarietale.


Piatto in apparenza, semplice, si tratta in fondo di una carota, ma vi possiamo assicurare che anche con un ingrediente così semplice si possono ottenere grandi risultati se lo mettiamo nelle mani di un professionista serio.

Il vino

Il Müller Thurgau abbinato al piatto appartiene alla linea Vista Lago che comprende nove vini (quattro rossi, altrettanti bianchi ed un vino rosa) le cui uve provengono da vigneti montani che godono delle condizioni climatiche date dalla presenza del lago. Altra caratteristica particolare è data dalla forma delle bottiglie che sono le stesse (cambiano solo le dimensioni) di quelle utilizzate per gli olii. Le uve provengono da vigneti situati nell’Alto Tennese su suoli mediamente calcarei, il sistema d’allevamento è il Guyot e la resa è di 90 q.li/ha.
Al Müller Thurgau è stato aggiunto il 5% di Pinot grigio. La vendemmia s’è svolta appena dopo la metà del mese di settembre, dopo la diraspatura e la pigiatura è stata effettuata una macerazione sulle bucce di poche ore, il mosto è stato quindi raffreddato e dopo due settimane è stata avviata la fermentazione alcolica in vasche d’acciaio a temperatura controllata. Anche l’affinamento del vino s’è svolto in vasche d’acciaio dove è rimasto sino alla seconda metà di maggio, quando è stato infine imbottigliato. Le bottiglie prodotte sono state 5.330.


Color giallo paglierino luminoso. Intenso, fresco e pulito al naso dove presenta netti sentori vegetali che rimandano alla foglia di pomodoro ed al gambo di sedano spezzato (ci ha ricordato un Sauvignon). Fresco alla bocca, dove ritroviamo i sentori percepiti al naso, un poco esile di corpo e dalla media persistenza.

Gnocchi di patate e Finferle, abbinato a Trentino Doc Chardonnay “Loré” Le Selezioni 2021 e Olio “46° Parallelo” Biologico


Preparazione piacevole (ci piacciono molto le finferle), forse si sentivano poco le patate negli gnocchi, tanto che abbiamo pensato ci potesse essere del semolino.

Il vino

Il Loré è un vino già assaggiato in passato, si trattava delle annate 2018 e 2019 (vedi qui le caratteristiche). 5.712 le bottiglie prodotte.


Il suo colore è paglierino luminoso. Intenso al naso dove si colgono sentori di frutta tropicale, vaniglia, pasticceria. Mediamente strutturato, asciutto, presenta note vanigliate e leggeri accenni vegetali. In questo momento c’è parso più completo al naso.

Porcini, Salmerino Alpino e Cavolo Riccio, abbinato a Trentino Superiore Doc Pinot Nero “Maso Élesi” Le Selezioni Biologico 2020 e Olio Garda Trentino Dop “Imperiale”


Anche questo piatto ci è piaciuto, anche se il salmerino era un poco coperto dagli altri ingredienti (i funghi prevalevano un poco), qualche dubbio inoltre sull’abbinamento sol vino (anche questo -secondo noi- prevaleva sul piatto).

Il vino

Anche questo vino l’avevamo già assaggiato, si tratta va dell’annata 2018 e ne avevamo scritto nel mese di gennaio di quest’anno (vedi qui per tutte le info).
4.840 le bottiglie prodotte. Dopo aver richiesto una seconda bottiglia (la prima, secondo noi aveva un leggero difetto), ci simo trovati nel bicchiere un vino d color granato luminoso e non molto intenso.


Al naso si colgono i tipici sentori di piccoli frutti di bosco ed una leggera nota vanigliata data dalla permanenza in legno.
Fresco e succoso alla bocca, dove ritroviamo le note vanigliate, bella la sua trama tannica e buona la persistenza.

Razza rendena alla brace, Fagiolino Grisotto e Gorgonzola, abbinato a Trentino Doc Lagrein “Vista Lago” 2020 e Olio Uliva.

Ci è piaciuto molto! Carne tenerissima e succosa, insieme degli ingredienti perfetto. Un grande piatto.

Il vino

Il Lagrein abbinato al piatto, appartiene, come il Müller Thurgau, alla linea “Vista Lago” ed è caratterizzato, esteticamente, dalla medesima bottiglia.
I vigneti sono situati a Pasina, in una zona calda e soleggiata, il suolo è ciottoloso, tendente al calcareo, il sistema d’allevamento è a Guyot con resa di 85-90 q.li/ettaro. La vendemmia s’è svolta il 25 settembre, dopo la diraspatura è stata effettuata una macerazione a freddo per un paio di giorni alla quale è seguita la fermentazione in vasche d’acciaio, l’affinamento del vino è stato effettuato parte in acciaio e parte in botti di legno, dopo l’assemblaggio, avvenuto nel mese di gennaio il vino è stato imbottigliato e lì ha continuato il suo periodo d’affinamento.
Ne sono state prodotte 6.504 bottiglie.


Il suo colore è purpureo-violaceo, intenso e luminoso. Mediamente intenso al naso, dove cogliamo sentori di frutta a bacca scura ed accenni speziati.
Strutturato, un poco piccante (sentori di pepe), presenta una buona trama tannica e ricordi di legno, buono il frutto.

Modena Champagne Experience 2023

Organizzato da Società Excellence, vede la partecipazione di oltre 800 vini di grandi Maison e piccoli vigneron.

VI° edizione di Champagne Experience, la manifestazione di riferimento in Italia dedicata allo champagne. L’evento organizzato da Società Excellence - realtà che riunisce ventuno tra i maggiori importatori e distributori italiani di vini e distillati d’eccellenza – si prepara ad ospitare negli spazi di ModenaFiere i vini di oltre 140 aziende di champagne tra storiche Maison e piccoli vigneron, pronte a far conoscere un numero come al solito molto consistente di interpretazioni ai tanti professionisti del settore Horeca, sempre più attenti alle novità, alle tipologie e ai nuovi millesimi di un comparto che vede l’Italia tra i più importanti mercati al mondo per la vendita dello champagne.


Per due giorni, oltre 800 champagne possono essere degustati dai visitatori nei 5000 mq del Padiglione A di Modena Fiere.
Sono suddivisi in base alla loro appartenenza geografica, corrispondente alle diverse zone di produzione della Champagne – Montagne de Reims, Vallée de la Marne, Côte des Blancs, Aube, oltre alle maison classiche riunite in una specifica area – con l’obiettivo di offrire un’esperienza sensoriale coinvolgente all’interno di uno scenario chiaro e ben organizzato.

Interessante il programma di master class disponibile su www.champagneexperience.it. Prevendita dei biglietti on-line.

“Champagne Experience è un punto di riferimento sia a livello nazionale che ormai europeo. Questo ci rende orgogliosi e al tempo stesso responsabilizza tutti noi a voler creare una manifestazione sempre più all’altezza delle aspettative dei suoi tanti visitatori” commenta Luca Cuzziol, presidente di Società Excellence. Gli ultimi dati ufficiali sulle importazioni di champagne in Italia confermano la centralità dell’Italia per la sua distribuzione e conoscenza. “La crescita dell’11,5% dei volumi, con 10,6 milioni di bottiglie nel 2022, è un dato certamente indicativo del grande interesse presente nel nostro Paese” aggiunge Pietro Pellegrini vicepresidente di Società Excellence. “Ecco perché una manifestazione professionale che sappia far conoscere con competenza questo magnifico vino agli operatori del settore rappresenta un valore aggiunto fondamentale per tutto il comparto”.

InvecchiatIGP: Luce della Vite – Toscana IGT Luce 2007


di Stefano Tesi

Guardare le cose da una diversa prospettiva è sempre utile. Ancora più utile è capire come una medesima prospettiva possa mutare se cambiano le premesse di osservazione. Mi ricordo bene, ad esempio, quando con non poco clamore fu presentata la partnership tra Frescobaldi e Mondavi e la nascita del progetto Luce in quel di Montalcino. Erano i primi anni ’90.

Credit: Civiltà del bere

Altri tempi, altri vini e soprattutto altri vitigni. Anzi no, erano sempre gli stessi: Sangiovese e Merlot. A essere differenti erano le prospettive generali del vino, orientate alla pomposa muscolarità che all’epoca sembrava una via imprescindibile per il domani.

Poi tutto, lentamente, è cambiato. Ovunque.

Nello specifico, nel 2004 il rapporto societario coi californiani si sciolse e alla guida della storica azienda fiorentina salì il figlio di Vittorio, Lamberto.

Lamberto Frescobaldi

Sono mutati anche i gusti, le tecniche, le filosofie, le vigne e perfino, forse i suoli.
In me però faticava a mutare una certa diffidenza verso certi prodotti di grande eleganza ed anche di grande struttura, rassicuranti per adesione al mainstream, pensati senza infingimenti per un pubblico internazionale e ineccepibili sotto il profilo qualitativo, ma che spesso trovavo un po’ noiosi.


In occasione della recente presentazione di Lucente 2021, “fratello minore” del Luce, assieme al 2018 mi sono trovato nel bicchiere anche il 2007 e l’ho assaggiato con attenzione.


Allo sguardo è di un rubino scuro, intenso, dall’unghia appena aranciata. Al naso, una volta fatto respirare bene, si libera nelle note terziarie più marcate rivelando il frutto e imboccando il piacevole piano inclinato di una balsamicità agile ed elegante, che sconfina in note di resina, di pigna, di macchia mediterranea asciutta. La parte migliore è tuttavia in bocca, dove la grande ampiezza del vino colpisce per un’eleganza quasi eterea, setosa, frusciante e inattesa. E con una lunghezza quasi leggiadra che lo allontana da ogni mio pregiudizio.


E alla fine scopri con piacere che la somma delle note prese fitte fitte sul taccuino è più che lusinghiera.

Civitas - Il vino che sostiene l'arte


Martedì 3 ottobre 2023, nella storica sede dell’Associazione CIVITA di piazza Venezia, si è tenuta una serata dedicata al “Vino Civitas” nell’ambito della quale è stata rivelata la prossima opera che sarà restaurata grazie al Progetto di collaborazione tra l’Associazione Civita e le Gallerie Nazionali Barberini Corsini.


Dopo i saluti di Simonetta Giordani - Segretario Generale dell’Associazione Civita, di Elisabetta Gnudi Angelini - Amministratore Delegato di Caparzo e di Cristina Tonelli - Dirigente scolastico Istituto alberghiero Tor Carbone - A. Narducci, Alessandro Cosma, funzionario storico dell’arte delle Gallerie Nazionali di Arte Antica ha esposto le origini del progetto di collaborazione con il museo e presentato i risultati ottenuti con i restauri realizzati fino ad oggi grazie ai proventi della vendita del vino.

Tra gli interventi già conclusi i più sorprendenti sono quelli della Madonna del Latte di Bartolomé Esteban Murillo, che ha permesso di scoprire al di sotto dell’attuale strato pittorico la figura di un San Francesco inginocchiato, o quello sull’imponente Console con teste femminili di Palazzo Corsini, uno dei più ricchi ed elaborati arredi settecenteschi della collezione; i più recenti, ancora in corso, sul Sant’Onofrio di Battistello Caracciolo e sul Tributo della Moneta di Luca Giordano. Il primo, ormai quasi concluso, ha permesso ad esempio di riscoprire le cromie argentate del santo e molti dei dettagli perduti sotto secoli di ritocchi e vernici ingiallite, dai grani del rosario alle rocce della grotta, dalle foglie che “vestono” il santo alle ciocche dei suoi lunghi capelli.

Nell’ambito dell’incontro è stato annunciato il rinnovo dell’accordo di collaborazione tra l’Associazione Civita e le Gallerie Nazionali Barberini Corsini fino al 2025 che, oltre a sancire la preziosissima collaborazione, dimostra quanto sia valido e vincente questo modello di sinergia.


Il progetto “Vino Civitas”, promosso dall’Associazione Civita in partnership con la Tenuta Caparzo di Montalcino, nasce dalla volontà di contribuire, con un sostegno concreto, alla salvaguardia e alla valorizzazione del patrimonio artistico del nostro Paese. Si tratta di una formula innovativa per legare l’attività vitivinicola al mondo della cultura, ogni anno infatti, grazie a una parte dei proventi della vendita del vino “Civitas” viene restaurata un’opera d’arte individuata dall’Associazione. A partire dal 2019 l’iniziativa coinvolge le Gallerie Nazionali di Arte Antica che hanno beneficiato dei proventi raccolti per il restauro di opere delle loro straordinarie collezioni di Palazzo Barberini e della Galleria Corsini.

Nel corso del prossimo anno verrà quindi restaurata con il Vino Civitas la Lucrezia recuperata di recente dal Ministero degli Esteri, cui era stata concessa in deposito addirittura dal 1929. Un’opera sostanzialmente inedita, che costituisce l’unica versione completa esistente di una composizione di Guercino nota solo in esemplari parziali e il cui restauro potrebbe finalmente chiarire la storia e l’attribuzione.


Al progetto hanno aderito nel tempo sempre più aziende associate che sensibili alle tematiche culturali, hanno creduto fortemente nel progetto e contribuito, in qualità di acquirenti, a sostenere l’iniziativa nell’intento di affiancare la propria immagine al “mondo valoriale dell’arte”.

Associazione Civita

È un’organizzazione non profit di imprese ed enti di ricerca impegnata da oltre 35 anni in attività finalizzate alla tutela e valorizzazione del patrimonio artistico italiano.
Sin dalla sua nascita ha saputo proporre un approccio nuovo nel rapporto fra il mondo della cultura e quello dell’economia, affidando un ruolo decisivo alle imprese intese non più come sponsor/mecenati, ma soggetti attivi e propositivi in grado di fare dell’investimento in cultura un asset strategico di valorizzazione della propria capacità competitiva.

Riconosciuta come vitale luogo di pensiero ed elaborazione di idee per innovare il settore dei beni culturali oggi l’Associazione Civita, sensibile anche ai temi di sostenibilità e innovazione, svolge un’intensa attività di studi, ricerche e realizza importanti eventi e progetti culturali anche in collaborazione con le proprie aziende affiliate.

Tenuta Caparzo

Fondata nel 1970, Caparzo rappresenta una delle prime dodici cantine storiche di Montalcino ed è tra quelle che più hanno contribuito alla creazione del mito del Brunello. Acquistata nel 1998 da Elisabetta Gnudi, Caparzo ha da quel momento subito un radicale cambiamento. L’azienda è stata dotata di una nuova cantina di invecchiamento completamente interrata e fra le più tecnologiche della zona, i vigneti sono stati reimpiantati e grazie ad alcune attente acquisizioni il parco vigna è oggi di oltre novanta ettari vitati.

I vini di Caparzo sono presenti in oltre quaranta paesi, apprezzati per la loro costanza qualitativa e per essere espressione fedele ed elegante del territorio di origine.

Con la Linea “Civitas” si contribuisce attivamente al restauro di un’opera d’arte

- Brunello di Montalcino Docg

- Sangiovese Toscana Igt

- Bianco Toscana Igt

Per informazioni:

ASSOCIAZIONE CIVITA
Tel. 06 692050256 | e-mail vinocivitas@civita.it

L’evento è stato organizzato in collaborazione con Tenuta Caparzo e l’Istituto alberghiero Tor Carbone - A. Narducci

Querciamatta - Rosè 2022


Di Stefano Tesi

Dalla scommessa di un Sangiovese 100% da vigne abbandonate e recuperate tra le colline più nascoste e ubertose della Valdinievole, ecco un rosè sorprendente, marcante al naso grazie agli spiccati sentori di rosa canina e di agrumi. 


La bocca è di una sapidità persistente, quasi salmastra.

Il Chianti Classico secondo Sala del Torriano


di Stefano Tesi

Siamo a Montefiridolfi, in comune di San Casciano Val di Pesa. Sole accecante su un paesaggio onestamente splendido. La Sala del Torriano è l’azienda creata nel 2014 da Francesco Rossi Ferrini, un piede in finanza e uno nel vino, unendo due realtà preesistenti: la Sala ed il Torriano.


Il Torriano, 22 ettari, gli è arrivato nel 2010 direttamente dalla famiglia materna: il nonno Piero Cateni la acquistò nel 1937. Nel 2014 Francesco acquista invece La Sala, nella vicina Sorripa, mettendo così insieme una proprietà di 75 ettari totali, dei quali 34 vitati, impiantati per l’80% a Sangiovese e per il resto a Merlot e Cabernet sauvignon, Colorino e Pugnitello. “Ma vinifichiamo l’uva di soli 12 ettari – spiega – perché ci manca lo spazio per vinificarla tutta”. Buon segno.

Francesco Rossi Ferrini

L’aspirazione è, ma dicono tutti così, costituire l’”espressione sartoriale” del territorio in cui si trovano, ossia la media collina della zona nord-occidentale del Chianti Classico. Obbiettivo oggettivamente non facile da conseguire. Qui lo perseguono, dopo la conversione al bio nel 2017, scegliendo anno per anno le uve migliori tra i vigneti di proprietà e utilizzando solo serbatoi da 50 hl, sotto l’occhio vigile dell’enologo-agronomo interno Ovidio Mugnaini e dall’enologo consulente Stefano Di Blasi.


Al termine della degustazione di sei vini, dei quali riferiamo nel dettaglio più sotto, devo ammettere che siamo usciti convinti della veracità del progetto: gli assaggi hanno espresso una coerenza stilistica vocata alla semplicità, alla rinuncia alla scenografia e alla muscolarità. E’ emersa una mancanza di fronzoli a beneficio di sorsi asciutti, centrati, godibili, dotati di quei crismi di una certa chiantigianità profonda non così frequenti da rintracciare.

La Sala del Torriano Chianti Classico DOCG 2016 (Sangiovese 90%, Merlot 10%)

Da una tipica annata “regolare” ecco un vino di un ben colore rubino vivo e un naso ricco, fresco e tuttavia fine ed elegante, pieno di frutto maturo. In bocca è generoso, gratificante, ma composto e lineare.

La Sala del Torriano Chianti Classico DOCG 2015 (magnum)

Anche al netto dei grandi, generici benefici del grande formato, questo vino spicca per finezza e levità olfattiva, che lo rende particolarmente elegante. In bocca è giustamente tannico, asciutto e quasi severo, di gran pulizia.

La Sala del Torriano Chianti Classico DOCG 2014 (Sangiovese 85%, Merlot 15%)

Un’annata critica per definizione (e un raccolto da soli 7 ettari) non poteva che dare un risultato un po’ anomalo. Al colore un po’ spento corrisponde un naso piuttosto scarico e un’impressione di esilità, che però non dispiace anche grazie all’eleganza dell’insieme. In bocca è coerente alle premesse: non lunghissimo ma ruspante e beverino, con una sua sghemba identità.


Il Torriano Chianti Classico DOCG 2018 Gran Selezione (Sangiovese 100%)

Al colore scarico e molto trendy corrisponde un bouquet intenso e profondo, dove il frutto maturo emerge in tutta la sua solenne, quasi invadente evidenza. Una sensazione che continua in bocca con una rotondità marcata, duratura e piuttosto alcoolica.

Il Torriano Chianti Classico DOCG 2016 Gran Selezione (Sangiovese 100%)

Nel bicchiere brilla un magnifico color rubino, mentre all’olfatto la maturità regala un’eleganza quasi croccante, verticale, finissima. Qualità che si ritrovano al palato con un’ampiezza capace di mantenersi agile, forse un po’ a discapito della lunghezza.

Il Torriano Chianti Classico DOCG 2015 Gran Selezione (Sangiovese 100%)

La profondità del colore fa da premessa a un vino concentrato, molto stile “prima Gran Selezione”, dal bouquet un po’ chiuso e dal corpo pieno, strutturato, piuttosto alcolico e abbastanza evoluto.

La Sala del Torriano 5 Filari Toscana Rosso Igt 2020 (Pugnitello 100%)

Appena mille bottiglie di questo vino fatto in anfora e ricavato da un unico vigneto immerso nel bosco e ricavato dalla ripropagazione di una vite trovata in azienda.
Il colore è un rubino/granato medio, mentre al naso è complesso, screziato: accenni balsamici con note verdi, di macchia, di alloro. Non si smentisce in bocca, con una sapidità asprigna che lo rende agile e nevrile come certi vini “di campagna”.

InvecchiatIGP: Perillo - Taurasi DOCG 2004


di Luciano Pignataro

Perillo mi dà la possibilità di definire bene, secondo la mia opinione ovviamente, il produttore artigiano. In realtà, al di là dei protocolli, dell’uso o meno di lieviti indigeni o selezionati, di barrique o botti grandi, di trattamenti con fitofarmaci o lotta integrata, secondo me quello che distingue davvero l’artigiano è il rapporto con il tempo. Ossia la decisione di mettere il vino in vendita non quando lo richiede il mercato ma quando è effettivamente pronto. Tutto il vino, non una linea solamente.
Michele Perillo, che ha iniziato a vinificare sulle silenti colline di Castelfranci, ossia nella parte più alta dell’areale compreso dalla DOCG, corrisponde esattamente a questa definizione che alla fine è l’unico discrimine vero, fino al paradosso, magari, di fare uscire una annata più vecchia prima dell’ultima s ne ha le caratteristiche.


Un altro elemento che distingue questa piccola azienda, che produce meno di 20mila bottiglie da nove ettari di proprietà curati personalmente, è il fatto che affianca solo la Coda di Volpe all’Aglianico, secondo quelle che sono le vere tradizioni dell’areale taurasino che non conosceva Fiano e Greco. E tanto meno la Falanghina, il trittico bianco che quasi tutte le cantine irpine presentano a prescindere.


La capacità di distinguersi è sempre il nocciolo del problema che appare difficile da comprendere a chi lavora in questo settore. Michele Perillo, oggi affiancato dal figlio Daniele, fresco di studi di Enologia, conosce nel dettaglio i terreni argillosi, calcarei e tufacei sparsi fra Montemarano e Castelfranci e le loro esposizioni realizzando una lunghissima vendemmia a seconda delle maturazioni raggiunte dall’uva. Giusto per dare una idea dei tempi di uscita, le ultime annate in commercio sono la Coda di Volpe 2019, il Taurasi 2011 e il Taurasi riserva 2010.


Capirete bene, allora, che stappare una 2004 non ha quasi nulla di straordinario in questo caso. Lo facciamo come deve essere bevuto il vino, in una allegra e spensierata giornata di agosto fra numerosi amici accorsi in cantina per sfidare il caldo. Tra pasta al forno, salumi, mozzarella, capretto e pollo ruspante, pizze rustiche e pasta con i ceci, una dopo l’altra le bottiglie vengono sacrificate all’altare della gioia collettiva.


La 2004 fu una annata di riprese dopo la difficile 2003, la prima vera annata caldissima che prese di sorpresa un po’ tutti. Anche in Irpinia si registrò un considerevole aumento della produzione e un ritardo rispetto alla vendemmia precedente dovuto ad un andamento climatico decisamente più fresco che ha regalato vini più snelli ed eleganti. Il 2004 di Perillo si presenta bene all’appuntamento con lo stappo dopo quasi vent’anni, o profumi di frutta sono concentrati, cotognata, carruba, inseriti in un contesto di accenni balsamici e spezie, sul finale una piacevole nota fumè. Al palato l’acidità risulta bilanciata, frutto e legno sono perfettamente integrati sial gusto che all0olfatto, il finale lungo, sapido, i tannini levigati dal tempo ma ficcanti.


Un bel bicchiere che ha chiuso il nostro convivio agostano, purtroppo ormai lontano ricordo dopo il rientro nel logorio della vita moderna (cit. Calindri).

Miani - Chardonnay 2017


di Luciano Pignataro

Il sommelier è appassionato, tutto può succedere. Come riuscire a trovare questa bottiglia di Miani assolutamente straordinaria ovviamente fuori carta. Una interpretazione austera dello Chardonnay, che in questa fase privilegia frutta e freschezza per chiudere pulita. 


Precisa. Promessa di eterna e gaia giovinezza.

Arianna Occhipinti e il suo Frappato 2020


di Luciano Pignataro

Era l’ormai lontano 2011, annata calda, caldissima, dal Ferragosto in poi come la 2003 quando visitai Arianna Occhipinti: era proprio all’inizio di quello che poi sarebbe stato un travolgente successo. Si dice spesso che per diventare famosi bisogna saper comunicare e in ogni caso smanettare alla grande con i social. Ma questa affermazione è vera solo a metà, perché se dietro non c’è sostanza il successo dura il tempo di un battito d’ali di una farfalla.
Arianna, al contrario, nel corso degli anni è diventata una vera e propri star, un riferimento non solo per l’Italia ma anche negli Stati Uniti dove non è facile affermarsi. E la sostanza è che ho visto una ragazza nel 2011 immersa nella sua vigna, con le mani piene di lavoro manuale, che ci racconto dello zio Giusto, ci fece fare il giro dei terreni e poi bere i suoi vini nel suo salotto: una visita talmente improvvisata che andai con Leo Ciomei che è vigorosamente astemio.
Compresi subito che mi trovavo a qualcosa di nuovo, era ormai il nuovo millennio che si affermava sui blog e sui forum del Gambero. Se negli anni ’90 i personaggi erano creati dalla guida Slow-Gambero Rosso, la musica era ormai cambiata. Era anche l’epoca in cui la cavalcata trionfale del mondo dl vino aveva conosciuto prima la crisi dell’attacco alle Twin Tower, poi quella successiva, forse più pesante dal punto di vista commerciale, del crollo finanziario del 2008-2009.


Arianna capì subito l’importanza di un racconto diverso, forse meno edulcorato, del lavoro nella terra, ma soprattutto colse l’importanza di due fenomeni nascenti: la narrazione autoprodotta e non figlia dell’ipse dixit e la sensibilità verso l’ambiente come bene comune e premessa della salute del consumatore.
Inutile adesso stare a discutere nel merito di questi due temi, fatto sta che Arianna è riuscita a comunicare direttamente alla sua generazione che in quel momento si affacciava al racconto del vino in modo semplice e colloquiale, senza filtri di addetti stampa e comunicatori specializzati, per la verità molto pochi in un paese come l’Italia. E ha trasmesso questi valori come interprete autentica della sua Sicilia, liberandosi dall’assedio della guerra dei prezzi al ribasso tipica proprio della zona di Vittoria e di Avola costruendo vini semplice ma complessi, facili da leggere ma lunghi da raccontare.


Come questo Frappato. Lo beviamo, assetati, una domenica di questo agosto quando il sole declina dietro l’orizzonte del mare di Paestum: abbiamo bisogno di rilassaci, di godere questo piatto di totani al sugo e ci lanciamo sul rosso senza esitazioni perché ne conosciamo le caratteristiche: tannini presenti ma setosi e non invasivi, un bel frutto e soprattutto. Tanta, tanta acidità, freschezza, la chiusura amara e precisa che rimanda subito al secondo sorso. Nasce da uve in collina, quasi trecento metri, la fermentazione parte con lieviti non selezionati, la macerazione lunga e l’affinamento in botti grandi di rovere di Slavonia lo fanno crescere fondendo il frutto con sentori di legna che ci suggeriscono il tostato non omologante e tranquillizzanti note balsamiche.


La bottiglia finisce, impossibile bere un vino senza pensare al produttore quando lo hai conosciuto, perché la bottiglia è un rimando continuo a ciò che ho visto e sentito. Poi, prima di scrivere, leggo nelle note aziendali: “È il vino che più mi somiglia, coraggioso, originale e ribelle. Ma non solo. Ha origini contadine, per questo ama le sue radici e il passato che si porta dentro; ma, nello stesso tempo, è capace di lottare per migliorarsi. Conosce la raffinatezza senza dimenticare mai se stesso”. Tutto vero.

InvecchiatIGP: Tiefenbrunner - Alto Adige Müller Thurgau DOC "Feldmarschall Von Fenner" 2012


di Carlo Macchi

Il Feldmarschall ha una storia particolare che va raccontata: la vigna si trova a più di 1000 metri e il primo impianto venne fatto nel 1972 dal padre di Christof Tiefenbrunner. Il primo imbottigliamento è stato nel 1974. Stiamo quindi parlando di un’idea di vino che allora, vista l’altezza del vigneto non era rivoluzionaria, era vicino alla follia.


Christof Tiefenbrunner

Follia che oramai è divenuta solida realtà e che mi ha spinto a passare una mattinata molto educativa con Christof Tiefenbrunner, dove non solo ho potuto godere di questo 2012 (e del 2015 e del 2020 e di altri vini che meriterebbero ognuno un articolo) ma ho imparato molte altre cose che voglio condividere con voi 
Oramai anche i sassi conoscono la mia strampalata (o forse no…chissà) idea che i produttori (quelli che il vino lo fanno davvero) assomigliano ai loro vini e viceversa: nell’eleganza e la compostezza di Christof ritrovo tanti caratteri dei suoi vini, dove non si privilegia certo la potenza ma l’equilibrio e finezza. Nelle sue parole misurate e ben scelte, trovo la precisione enologica di ogni suo vino. Nella conoscenza e competenza estrema e nella passione che riesce benissimo a mascherare ritrovo l’anima profondi di tanti suoi vini, “perfetti ma con anima”.

Christof Tiefenbrunner

Da interista molte volte nella vita mi è risuonata in testa una frase di Mourinho che, quando ci portò in cima al mondo, disse “A certi livelli la differenza la fanno i particolari.” Mi è tornata in mente anche da Tiefenbrunner quando abbiamo parlato di solforosa e Christof mi ha spiegato le prove che stanno facendo in cantina, diminuendo la solforosa e controllando il successivo invecchiamento dei vini. Le varie prove partono da 40 mg/l di libera fino a 30 mg/l e le parole di Christof sono state molto chiare. “I vini con meno solforosa libera (ferma restando la bontà di tutti i passaggi enologici precedenti, n.d.r.), diciamo quelli attorno a 32-33 mg/l non solo sono risultati più aperti subito ma maturano e invecchiano in maniera diversa, sicuramente migliore.” Quindi diminuire la solforosa non serve solo come gesto salutistico ma risulta anche un vantaggio per un buon vino.


Sugli zuccheri residui il discorso è stato altrettanto importante e chiaro. Molto spesso si sente dire da un produttore che il suo vino avrà “2/3 grammi di zucchero residuo”, che in qualche caso è un modo per dire che è praticamente secco. Da Tiefenbrunner dire “2 o 3 grammi” è quasi una bestemmia perché, anche a quei livelli di zucchero (che possono essere definiti come vini che non hanno zuccheri residui) il decimo di grammo in più o in meno cambia la struttura del vino, rendendolo più o meno aperto, profondo, equilibrato, elegante. Quindi quando d’ora in poi sentirò un produttore che spara grammi di zucchero come noccioline saprò (e saprete) che non ha un reale controllo sui suoi vini e sulla sua cantina o che semplicemente reputa, sbagliando, che sotto certi livelli non sia importante avere un quadro chiaro.

Il vino

Torniamo alla storia del Feldmarschall e del vitigno da cui nasce: nell’inverno 1980/1981 il gelo fece seccare tutte le viti e quindi si riparti quasi da zero. Nel 1987 il vigneto venne ampliato ma non fu l’ultima volta, tanto che oramai la vigna è stata praticamente rifatta tre 3 volte e le ultime parcelle hanno un impianto a 0.60x0,80, con una media di produzione di 300/350 grammi a pianta.
Da un po’ di tempo avevo un dubbio latente sul Feldmarschall, perché negli ultimi anni era diventato più chiuso, meno aromatico e seduttivo al naso, meno rispondente ai canoni e ai caratteriali del vitigno.


Non per niente questo 2012, assaggiato alla sua uscita circa 10 anni fa non mi aveva fatto impazzire ma adesso mi ha lasciato a bocca aperta: idrocarburo netto accanto a note di pesca e albicocca mature, poi miele. Bocca sapida e austera, ma nello stesso tempo rotonda e di infinita lunghezza. Alla base di questo bellissimo sorso ci sta l’acidità, non per niente siamo attorno a 7 g/l. Inoltre questo 2012 ha una piccola parte di uva botritizzata che porta a sensazioni particolari. Questo vino esce da canoni di semplicità e freschezza che ha il vitigno in Alto Adige e in Trentino per ricercare una complessità futura che si basa su concentrazione ma anche acidità molto alta. Per far quadrare tutto questo bendiddio ci vuole tempo e infatti oggi il vino entra in commercio a quasi a tre anni dalla vendemmia.


Insomma, alla fine dell’assaggio ho capito che il Feldmarschall non è un Müller Thurgau, è il Feldmarschall, un vino unico da un vigneto unico.