La Colombera - Colli Tortonesi DOC Timorasso "Il Montino" 2015


di Carlo Macchi

Il Timorasso è un vino che andrebbe bevuto maturo e questo Montino 2015 era infatti la quintessenza del vitigno: note fini di idrocarburo e pietra focaia al naso, rotonda potenza con freschezza in bocca. 


Un Riesling grasso, ampio e potente, impossibile da trovare se non a Tortona. Elisa Semino docet!

Da Gancia per scopire la storia dell’Alta Langa


di Carlo Macchi

Entrare da Gancia a Canelli ha indubbiamente il gusto delle cose del passato. Spazi immensi, quasi da modernariato industriale, punteggiati da meravigliosi manifesti che da una parte ricordano la Bella Époque, e dall’altra mi riportano all’infanzia, quando i manifesti pubblicitari erano sicuramente più evocativi e belli di adesso. Questa visita, che ci porterà a degustare in verticale una bella fetta dei loro Alta Langa, si deve alla passione e alla perseveranza del nostro Davide Buongiorno, che è riuscito ad ottenere quello che fino ad oggi (almeno così mi risulta) non era mai stato né chiesto né ottenuto. Non per niente l’assaggio si svolgerà nel loro laboratorio e non certo in una sala attrezzata, segno che non abituati a degustazioni del genere.

Ma perché Davide ha smosso mari e monti per organizzare questa degustazione?

Tutto parte dai nostri assaggi di Alta Langa e dalla storia di questa giovane denominazione, nata da un gruppo di grandi cantine piemontesi e poi allargatasi a tanti piccoli produttori, specie negli ultimi 10-15 anni. Ma questo “allargamento” ha portato con se un problema di gioventù, e quindi di vini assolutamente ben fatti ma ancora molto, troppo giovani. Giovani sia per uve nate da vigneti piantati da pochi anni, sia per tempi sui lieviti spesso non ampi e per periodi brevi di permanenza in bottiglia dopo la sboccatura. La nostra curiosità ci porta a cercare di capire se e quanto la marcata giovinezza degli Alta langa sia un fatto contingente al momento di crescita o sia una reale caratteristica: cioè come aromi e strutture che troviamo adesso possano cambiare ed evolversi, in quanto tempo può o non può avvenire e quali sono i marker tipici della denominazione, ora e tra 10-15 anni.


Questo “universo appena nato” ha comunque alcuni “pianeti” con una storia alle spalle e uno di questi è Gancia che, oltre ad essere uno dei padri dell’Alta Langa, vanta una tradizione sul metodo classico che partendo da Carlo Gancia risale a quasi 2 secoli fa (avete letto bene: 2 secoli!). Niente di meglio quindi per iniziare un nostro viaggio tra i produttori storici del Metodo Classico in Piemonte, che ci vedrà nei prossimi mesi approdare in altre cantine.


Ma adesso siamo dentro Gancia, dove ci sta aspettando Mario Borgogno, responsabile tecnico di questa grande cantina e in particolare della parte riguardante gli Alta Langa. Se uno si domandasse quante bottiglie di questa tipologia potrà produrre un’azienda così grande rimarrebbe sicuramente deluso dalla risposta: si parla di 60/70.000 bottiglie, al massimo della produzione e non tutti gli anni. In effetti il progetto Alta Langa di Gancia si sviluppa in una “cantina nella cantina”, in spazi non certo piccoli ma rispetto a quelli che potrebbero essere sfruttati è una vera nicchia: qui si trova la marmonier (la pressa verticale arrivata dalla Francia) delle vasche d’acciaio, qualche barrique e poco altro.

La Marmonier

Mario Borgogno è l’opposto del tecnico che ti aspetteresti in cantine di questo blasone: persona per niente abituata ai riflettori, chiaro, preciso, assolutamente “austero” nelle sue secche affermazioni, riesce a farci un quadro di questa tipologia di metodo classico senza alcun infiorettamento. Un dato su cui punta molto per i suoi Alta Langa è l’acidità, ma soprattutto il pH, che normalmente va da 2.95 ad un minimo di 3.15. Siamo quindi di fronte a pinot nero (soprattutto) e chardonnay di grande freschezza, con tempi di maturazione in bottiglia molto lunghi e si mantengono molto giovani anche nel tempo. 


Mario ci parla anche della scelta non facile di dedicare un apposito spazio in cantina a questa tipologia, che oggi viaggia sulla cresta dell’onda ma 20-25 anni fa non aveva certo molti santi in paradiso. Non per niente la parte di cantina dedicata all’Alta Langa esiste solo dal 2000 e la pressa verticale, che ha fatto fare un primo salto di qualità, è arrivata nel 2006.


Parlavamo di vini molto giovani? Il primo assaggio, un Alta Langa Pas Dosé del 2014 ci fa capire subito questo concetto. Sboccato nel 2022, 70% pinot nero e 30% chardonnay, è un paglierino vivo ma assolutamente non dorato, al naso è quasi chiuso, con note di mela verde e, solo dopo un po’ di tempo, fiori, mandorle e nocciole.. In bocca è sapido, equilibrato ma sempre molto austero, con chiusura giustamente amarotica. La 2014 è stata una vendemmia non certo solare ma questo pas dosé ne interpreta perfettamente il senso di leggerezza e freschezza. Ci dicono che in enoteca costa attorno ai 24 euro, prezzo davvero molto interessante.


L’Alta Langa Brut 2015, sboccato da pochissimo (70 pinot nero/30 chardonnay) ha il solito color paglierino brillante e profumi che all’inizio somigliano molto al precedente per poi virare verso anice, timo e maggiorana. In bocca invece ha più larghezza, cremosità e quasi grassezza. Qui Mario si lascia scappare una sua preferenza tecnica “Devo ammettere che qualche grammo di zucchero nei metodo classico non sta male” e in effetti tutta questa austerità che spesso sconfina in magrezza stilistica e che oggi va per la maggiore ha cominciato ha darmi un po’ sui nervi. In enoteca a 23 Euro.

Adesso iniziamo ad andare indietro nel tempo con l’Alta Langa 2013 Brut ( 80/20), un vino più “possibilista”. Paglierino dorato, note balsamiche, di erbe officinali, ma anche lieviti e crosta di pane. Fine e giustamente cremoso al palato, anche se chiude con una nota di vibrante acidità. Qui Mario ci fa notare di aver diminuito le percentuali di vino chardonnay in barrique (il pinot nero fa sempre e solo acciaio) e da allora usa solo barrique usate. Prezzo sui 33 euro.


Anche per i metodo classico l’annata vuol dire molto. Ce lo dimostra questo Alta Langa 2012 Brut (80/20), dai profumi di camomilla, cremoso e molto rotondo, molto più “approcciabile” degli altri, sicuramente grazie ad un’annata calda e siccitosa come la 2012. Un vino meno profondo, anche per Davide, ma sicuramente molto buono.

Quel legno che ha iniziato a diminuire nel 2013 in questo Alta Langa Brut 2011 (80/20) si sente invece ancora bene: colore dorato, note di china, noci, nocciole, con leggero tostato e crosta di pane. Il legno si sente soprattutto in bocca, che è meno cremosa e fine e si allarga molto, forse troppo.

Anche l’Alta Langa Brut 2010 (80/20) ci “accoglie” con una leggera tostatura ma poi prevalgono note di fiori secchi e sentori balsamici . In bocca c’è freschezza importante ma anche un rotondo equilibrio dove bollicine ancora molto vive danno un senso di eleganza e di profondità gustativa.


Adesso iniziamo davvero ad andare indietro, con bottiglie che ormai sono difficilmente reperibili, anche nella loro cantina . L’ Alta Langa Brut 2009 (80/20 ) è forse il meno convincente del lotto: naso leggermente ovattato con sentori di caramello che poi col tempo virano su note floreali, medio corpo ma non molto incisivo: non molto profondo ma fatto molto bene.

L’Alta Langa Brut 2008 (80/20) ci fa capire come un vino che matura con lentezza in una magnum si sviluppi ancor più lentamente. Grande freschezza in bocca, sembra un vino di pochissimi anni anche perché l’acidità non è ancora ben integrata e così troviamo un vino su “vari piani” che ancora devono crescere e

Chiudiamo la nostra carrellata con l’Alta Langa Brut 2006, (80/20) prima annata con la marmonier. Un colore veramente giovanissimo, per niente dorato e un naso ancora in via di espressione, con note di pietra focaia, fiori e erbe officinali. In bocca ha tutto quello che ancora gli manca al naso: molto più aperto, rotondo, bollicina finissima, elegante e molto persistente, un vino che mostra di avere di fronte a sé ancora tanta vita.


In definitiva questo primo “excursus” sul passato dell’Alta langa è diventato più un “Ritorno al futuro” dato che più si andava indietro e più sembrava che i vini ringiovanissero. Questo è sicuramente un bel biglietto da visita non solo per Gancia (a proposito, grazie a Paola Visconti per averci affiancato nella visita) ma per un denominazione dove la giovinezza dei vini sembra essere non tanto un problema di tempi brevi ma una innegabile caratteristica.

InvecchiatIGP: – Tenuta Belvedere - Bolgheri Superiore Guado al Tasso 1995


di Roberto Giuliani

Nasce nel 1990, come omaggio degli Antinori alla famiglia Della Gherardesca che era stata proprietaria della tenuta, da vigneti situati su suolo di origine alluvionale, da argillo-sabbioso a argillo-limoso, con presenza di agglomerato bolgherese (scheletro). Questa è la prima annata come DOC Bolgheri Superiore, in quanto è proprio nel 1995 che viene istituita la denominazione di origine.


L’uvaggio, come potete immaginare, è quello tipico di quest’area che si è sviluppata con l’intento di produrre vini di stile bordolese, con le uve e legni squisitamente francesi, parliamo quindi di cabernet sauvignon e franc, merlot e a volte anche una piccola quota di petit verdot, altre di syrah. Onestamente non ricordo quale composizione fosse stata scelta per la ’95, ma direi che non è rilevante.
Quello che conta, invece, è verificare se questo rosso che ha contribuito a fare la storia degli Antinori, è sopravvissuto a 28 anni dalla vendemmia (di cui 24 nella mia cantina).


Devo dire che il colore appare promettente, un granato ancora vivo e vigoroso, senza evidenti cedimenti al bordo; il tappo da 5 cm, del resto, ha svolto il suo ruolo egregiamente, lasciando intrappolato il liquido nei primi 3-4 mm e non mostrando alcun sentore anomalo. Bene, dopo una buona mezz’ora da quando l’ho versato nel calice, la curiosità è troppa e il mio prominente naso cerca di percepire qual è lo stato dell’arte di questo vino (comprato nel 1999 a 25mila lire): liberato dalle inevitabili chiusure iniziali, mi gratifica con toni che richiamano ancora il frutto, confettura di prugne e more, poi ciliegia sotto spirito, grafite, humus, spezie officinali, cuoio, sussulti d’incenso, tracce ematiche e ferrose, cardamomo e, solo alla fine accenni a funghi porcini e tartufi.


Giungo alla seconda fase, l’assaggio: le prime impressioni vanno sull’acidità e su un tannino quasi leggero, non sento una gran materia, al contrario il vino sembra giocato tutto sulla scioltezza, ci tengo a precisare che la gradazione tocca il valore 12,5, oggi praticamente scomparso fra i vini importanti. Tutto questo si traduce in una beva godibilissima, in un vino ancora vivo e di bella eleganza, forse sottile e non lunghissimo ma di notevole fascino, si riscatta alla grande se pensiamo che buona parte delle guide italiane non gli dettero valutazioni elevatissime, anche perché la ’95 non ebbe i fasti dell’osannata ’97.


Oggi questa ’95 è la testimonianza vivente che con i giudizi bisogna andarci sempre molto cauti…

Castello Poggiarello - Toscana IGT Rosarco 2022


di Roberto Giuliani

L’azienda di Sovicille (SI) propone questo rosato da cabernet sauvignon con una quota del 10% di petit verdot, dai profumi di ribes, mandarino, pompelmo rosa e alloro, dall’acidità scattante e una bocca succosa e sapida che stimola la salivazione.


Solo 12 gradi alcolici per una bevibilità senza remore.

Il Vermut di San Masseo prodotto nel Monastero di Bose


di Roberto Giuliani

Pare che da qualche anno il Vermut stia tornando in auge. In effetti ho conosciuto produttori di vino di regioni diverse che si stanno cimentando con questo vino speciale aromatizzato e liquoroso, prodotto per la prima volta dalla ditta Carpano di Torino. Per prepararlo si utilizzava un vino bianco di gusto neutro, al quale venivano aggiunti zucchero, alcol, erbe e droghe varie. L’aromatizzazione avveniva per aggiunta di un’infusione o di un estratto di erbe e droghe miste. Per dare una colorazione scura si aggiungeva caramello.


Il Vermut di oggi però sta subendo diverse interpretazioni, intanto c’è chi lo produce da uve rosse, poi ogni azienda ha una propria ricetta segreta, sceglie la composizione di erbe, le quantità, la durata delle infusioni e molto altro.
Di recente mi è capitato di imbattermi in una piccola bottiglia di un Vermut la cui base arriva da una comunità religiosa di Assisi, i monaci di San Masseo, legati al Monastero di Bose. La cosa mi ha messo grande curiosità, poiché chi meglio di loro può conoscere le erbe e le spezie, i loro profumi, il loro gusto, le diverse miscele che si possono ottenere.

Monastero di Bose

Questo Vermut (quello in mio possesso è un piccolo campione) è ottenuto partendo dal loro vino Assisi Grechetto DOP, in cui hanno riposato per il tempo necessario aromatiche tipiche come l’assenzio, l’artemisia e il ginepro e altre botaniche tratte dalla vegetazione mediterranea: maggiorana, timo, melissa e salvia.


Ne è scaturito un prodotto non potente e concentrato, ma piuttosto fine e gradevole, dove le erbe aromatiche emergono con chiarezza in un contesto aereo di notevole fascino; l’assaggio rivela una componente dolce che inizialmente nasconde quella naturale predisposizione all’amaro, che arriva però in un secondo momento rimettendo in linea le sensazioni gustative, che chiudono con percezioni minerali e ferrose. Un Vermut molto diverso da quello a cui ci hanno abituato a Torino, può essere bevuto in totale solitudine ma io lo vedo bene anche con una biscotteria secca e qualche quadratino di cioccolato non troppo fondente.

Potete acquistarlo qui: Vini e liquori (monasterodibose.it)

InvecchiatIGP: Nittardi – Chianti Classico Riserva 1999


Conosco Leon Femfert da almeno 10 anni, mi ricordo benissimo quando, attraversando una stradina boschiva che pensavo non finisse mai, mi ritrovai all’improvviso presso Nittardi, l’azienda agricola di famiglia che dal 2013, dopo aver lavorato tra la Napa Valley e il Cile, ha cominciato a gestire affiancandosi ai genitori, Peter Femfert e sua moglie Stefania Canali, apprezzati galleristi in Germania. In quel periodo l’azienda Nittardi non era ancora all’apice della sua popolarità tra gli appassionati di Chianti Classico ma, al tempo, ciò che mi spinse fino a Castellina in Chianti e conoscere Leon sicuramente la curiosità di approfondire il legame profondo che questa azienda ha sempre avuto con l’arte tanto che, è dimostrato, nel XVI secolo questa tenuta fu di proprietà̀ di Michelangelo Buonarroti che, da lì si faceva inviare il vino a Roma da offrire a Papa Paolo III. Non solo. 


Dal 1981, la vocazione eno-artistica della famiglia Canali-Femfert, grazie anche al loro lavoro, è talmente viva che, per ogni annata, un artista infatti viene invitato a vivere la realtà di Nittardi e da lì a creare due opere, una per la carta seta che impreziosisce ogni bottiglia e una per l’etichetta, che esprime ogni anno con diverse sfaccettature, con la stessa intensità, il valore del vino interpretato dall'artista. Tanti i pittori, musicisti, scrittori, coinvolti in questi anni, tra i quali spiccano nomi illustri come Hundertwasser, Yoko Ono, Günter Grass, Igor Mitoraj, Dario Fo, Mimmo Paladino, Fabrizio Plessi. L’annata 2021 è firmata dal regista e scrittore Premio Oscar James Ivory, che ha vestito al meglio il Casanova di Nittardi avvalendosi in modo raffinato dell'arte del collage, utilizzata con profluvio cromatico anche per la carta seta "Omaggio a Matisse".

Leon Femfert

Per la rubrica InvecchiatIGP, però, non volevo parlare di arte, cosa che non mi compete, ma del Chianti Classico Riserva 1999 che ho avuto la fortuna di degustare qualche tempo fa a Roma durante un pranzo con lo stesso Leon Femfert che, anno dopo anno, vedo sempre più dentro il “progetto Nittardi” che oggi può contare su 40 ettari vitati, condotti secondo la viticoltura biologica dal 2014, suddivisi tra Castellina in Chianti e la Maremma.


Il vino, sangiovese al 90% con saldo di merlot, inizialmente parte male, sembra stanco, lento, addirittura cambiamo la bottiglia iniziale perché si pensa non sia a posto al 100%. Seconda bottiglia, secondo Chianti Classico Riserva e stesso vino, timido ed impacciato se confrontato con l’annata 2010 degustata pochi minuti prima. Poi, pian piano, quasi per magia, il brutto anatroccolo si trasforma in cigno, le piume grigiastre iniziali col passare del tempo e dell’ossigenazione diventano candide come il latte. Infatti, i sentori aromatici di questa Riserva, inizialmente chiusi e poco interessanti, mutano col tempo esplodendo in sensazioni di viola, rosa, arancia sanguinella, resine balsamiche e macchia marina.


Un vino non giocato sulla potenza ma sussurrato anche in bocca dove entra in punta d piedi accarezzando il palato con un tannino misurato e giusta freschezza. Non un campione in persistenza ma, come emblema di equilibrio ed armonia, questo vino lo farei degustare all’interno dei corsi di sommelier per far capire agli aspiranti degustatori come deve essere un ottimo Chianti Classico dopo quasi 15 anni in termini di coerenza con una grande annata nel territorio come la 1999.

Cantina Della Volta - Lambrusco di Sorbara DOC Metodo Classico DDR 2015


DDR ovvero “degorgiatura dosaggio recente”, è il nuovo Lambrusco di Sorbara metodo classico che la storica Cantina della Volta affina per circa 90 mesi prima di farlo uscire sul mercato. 


Sensazioni di buccia di pesca, giacinto, ribes e salgemma impreziosiscono un sorso elegante e succoso. W il Lambrusco!

Tenute Gregu, la nuova generazione del vino della Sardegna


È sempre bello ascoltare storie di vita e rinascita, soprattutto se, come in questo caso, queste hanno per protagonisti due fratelli che, in due, totalizzano poco più di 50 anni di età. Il racconto di oggi ha come protagonista la Costa Dorata della Sardegna dove, da generazioni, famiglia Gregu da generazioni si tramanda le conoscenze di allevamento del bestiame, del porceddu, dell’agnello e si producono in casa prelibatissimi pecorini. Nulla di speciale, mi direte, ma negli anni 2000 Federico e Raffaele, l’ultima generazione della famiglia, si innamorano del vino visto come grande strumento di promozione della loro amata Isola. Il loro sogno di giovani imprenditori si realizza nel 2011 quando Antioco Gregu decide di intraprendere con i figli questa nuova avventura, acquistando 50 ettari nelle campagne di Calangianus, un terroir unico frutto della sinergia di influenze marine e di un terreno da disfacimento granitico a 500 metri sul livello del mare.


Un contesto unico ed incontaminato ai piedi del Monte Limbara, sede del Parco Regionale che porta il nome del monte, tra olivastri e sugherete secolari immerso in profumi di una vegetazione potente e selvaggia. «Il nostro terroir ha caratteristiche uniche, il vento costante, le forti escursioni termiche determinate dalla nostra altitudine e la conseguente formazione di rugiada che rallenta la maturazione delle nostre uve. Noi valorizziamo tutto questo, attraverso “l’ascolto” delle piante», spiega Antioco Gregu, «raccogliamo le uve solo quando la pianta ci comunica determinate condizioni». Le varietà coltivate dall’ azienda, circa 30 ettari di vigneto, sono per la maggior parte autoctone: Vermentino, Cannonau e Muristellu (Bovale Sardo) e anche i vitigni internazionali di Syrah e Merlot.

Nel 2014 è stata imbottigliata la prima annata ed oggi, grazie al lavoro e all’esperienza acquisita in oltre 8 anni di attività, la gamma dei vini aziendale si compone di ben cinque referenze che abbiamo avuto modo di degustare:

Vermentino di Gallura DOCG “Rías” 2022 (100% vermentino): dalle uve più giovani di vermentino nasce la famiglia Gregu dà vita a questo bianco di grande piacevolezza dalle iniziali note floreali di ginestra e sambuco a cui seguono quelle fruttate, di pera e melone bianco. Si avverte poi un pot-pourri di erbe aromatiche insieme ad una evidente nota di mare, quasi salmastra. Equilibrato al sorso, fresco e armonico, rimane a lungo grazie ad una bella scia minerale e agrumata.


Vermentino di Gallura Superiore DOCG “Selenu” 2021
(100% vermentino): rispetto al precedente, il Selenu viene prodotto solo dalle migliori uve provenienti dai vigneti più vecchi dell’azienda. Questo gli dona sicuramente maggiore complessità e profondità e ciò è avvertibile già dal naso che si apre su una scia vegetale ed aromatica di macchia isolana, poi tiglio, ginestra, pesca a polpa bianca e una bordata finale di sensazioni iodate. Il sorso è saporito, avvolgente, c’è struttura ma anche dinamicità grazie alla importante spalla acida che accompagna la sempre presente sapidità. Finale di ottima lunghezza giovato sulle note vegetali dell’olfatto.


Cannonau di Sardegna DOC Rosato “Sirè” 2021 (100% cannonau): questo vino rosato, dal colore simile al corallo della Sardegna, proviene da una selezione di uve di cannonau e subito al naso, odorandolo, svela il carattere isolano donando all’olfatto sensazioni di macchia mediterranea, iodio, poi ribes ed arancia sanguinella. Al sorso è agile, sfizioso, dotato di ottimi innesti sapidi ed una piacevolezza di fondo che lo facilmente rende abbinabile a tutti i prodotti della tradizione locale legata al mare, soprattutto ai crudi di pesce.


Cannonau di Sardegna DOC “Raighinas” 2021 (100% cannonau): considerato come rosso entry level aziendale, questo cannonau, ottenuto da uve Cannonau coltivate in vigneti a 500 metri sul livello del mare, ai piedi del monte Limbara, ha un naso gentile di ciliegie dolci, ibiscus, geranio, a cui si aggiungono effluvi mediterranei di ginepro e mirto. Assaggio coinvolgente, con tannini puntuali e setosi e saporito nello sviluppo gustativo che sfocia in una persistenza lunga dai tratti salini.


Cannonau di Sardegna DOC “Animosu” 2020 (100% cannonau): questo vino, simbolo per antonomasia della tradizione rossista sarda, nel terroir della Gallura assume connotati più eleganti che di potenza caratterizzandosi per un respiro profondo e mediterraneo dove gli effluvi di macchia rincorrono note di noce, spezie orientali, iris e fiori appassiti. Succoso ed avvolgente, è attraversato da una buona vena acida che gli conferisce una vivacità inaspettata quanto sperata. I tannini sono ben amalgamati ed il finale è lungo, armonioso e richiama costantemente l’olfatto.

L'annata 2019 del Brunello di Montalcino: il mio report da Benvenuto Brunello 2023 con alcuni consigli sugli acquisti!


Centodiciotto cantine e trecentodieci etichette pronte all’assaggio, questi sono i numeri che rimbombano nella mente della mandria di giornalisti, operatori e “winequalcosa” che anche quest’anno, dal 17 al 28 novembre, si sono diretti, speranzosi, presso il Chiostro Sant’Agostino di Montalcino per celebrare la 32^ edizione di Benvenuto Brunello che vede al battesimo nei calici dell’anteprima, il Brunello 2019 e la Riserva 2018 affiancati nei tasting dal Rosso di Montalcino 2022 e dagli altri due vini della denominazione, il Moscadello e il Sant’Antimo.


La grande sala di degustazione del Chiostro mi accoglie alle ore 10 del 17 novembre ancora leggermente assonnato e, mentre cerco di risvegliare le mie papille gustative, mi accorgo che i tavoli sono in buona parte già presi d’assalto da un nugolo di pensierosi giornalisti in avanzata fase di valutazione dell’ultima annata di Brunello. Qualcuno, pensando di farmi un favore, m sussurra in un orecchio le sue dritte mentre altri, invece, declamano le virtù della 2019 ad alta voce con la stessa intonazione di Vittorio Gassman mentre recita la Divina Commedia.


Alt, stop, non vi voglio sentire, non subito e, soprattutto, non fatemi ascoltare le due parole che già girano, sinuose, lungo le pareti del Chiostro ovvero annata e secolo. Per favore, no!

Come sempre, essendo da solo per il mio blog, non riesco a degustare tutti i vini presenti all’Anteprima per cui, visto il poco tempo a disposizione ed avendo un solo fegato, concentro il mio tasting sui Brunello 2019 “base” più, se avanza tempo, nella degustazione di qualche “Selezione” per verificare quale Cru valga davvero la spesa.


Fabrizio Bindocci - Presidente del Consorzio

Per comprendere l’andamento della 2019 non possiamo non partire dai dati ufficiali del Consorzio che, in linea generale e senza fare suddivisioni per zone (areale nord, sud, est ed ovest di Montalcino) ci fornisce indicazioni di una annata sostanzialmente regolare, abbastanza fredda e piovosa a gennaio, con temperature medie, soprattutto nel mese di Luglio ed Agosto, che non hanno raggiunto i picchi calorici della 2017. Tutto ciò ha permesso una lenta ed omogenea maturazione delle uve, ottimale per l’ottenimento di una buona maturità fenolica e tecnologica tanto da meritare, nel rating del Consorzio, ben cinque stelle così come avvenuto con la 2016.



Ah, quindi la 2019 è stata simile alla 2016? Questa la domanda che in molti mi hanno fatto e alla quale ho risposto in maniera negativa perché, a mio parere, la 2016 ha sicuramente qualcosa in più in termini di prontezza, completezza ed altissima qualità media diffusa. In poche parole, se un vignaiolo sbagliava la 2016 poteva anche cambiare mestiere, la 2019 andava comunque affrontata ed interpretata.


In linea generale, prima di descrivere brevemente i vini che mi sono piaciuti di più, ho trovato i Brunello 2019 mediamente molto piacevoli, succosi, abbastanza profondi, con profili aromatici nitidi ed espressivi del territorio di provenienza del sangiovese anche se non sono mancati esempi di Brunello non perfettamente a fuoco causa eccessive astringenze e, soprattutto, cariche alcoliche che, se non supportate da adeguata freschezza, davano vita a vini squilibrati e pesanti. Non è il contesto adatto per approfondire il discorso ma, credo, in futuro la sfida vera per i vignaioli ilcinesi sarà quella di combattere in vigna il cambiamento climatico altrimenti si rischia di “amaronizzare” irrimediabilmente il Brunello.

Fatte queste dovute premesse, la mia Top 10 di Brunello di Montalcino 2019 è la seguente:

Cerbaia – Brunello di Montalcino 2019: piccola azienda di non più di 5 ettari guidata da Elena Pellegrini, romana de Roma, che anche quest’anno ha prodotto un Brunello tutto succo, eleganza ed armonia in grado di scaldare il cuore anche ai palati più esigenti.

Corte dei Venti – Brunello di Montalcino 2019: Clara Monaci e la sua famiglia produce sangiovese da terre rosse ricche di minerali e anche quest’anno il suo Brunello non tradisce per tensione e quella nota ferrosa che rappresenta il marchio di fabbrica di quel fazzoletto di territorio tra Sant’Angelo e Castelnuovo dell’Abbate.

Corte Pavone Loacker – Brunello di Montalcino 2019: sapete quando capisco che la 2019 è una buona annata? Quando, ad esempio, trovo assolutamente centrati e quasi emozionanti vini che negli anni passati avevo scartato in quanto non aderenti al mio gusto personale. Hayo Loacker con questa annata ha fatto centro ma solo sul base, le selezioni invece…..

Fattoi – Brunello di Montalcino 2019: non toccatemi i vini della famiglia Fattoi che, per me, stanno a Montalcino come Una Poltrona per Due sta al Natale. Il loro Brunello annata è tradizionale, emozionante e calibrato. Un sangiovese senza orpelli che scalda il cuore.

Gorelli Giuseppe – Brunello di Montalcino 2019: se dovessi far degustare ad un alieno cosa significa produrre un grande Brunello di Montalcino dal versante nord dell’areale di produzione non avrei dubbi a scegliere questo. Lucente, graffiante, sprezzante di freschezza e infinitamente terso nella sua infinita persistenza sapida. Un vino, che vi anticipo, ha messo d’accordo probabilmente tutta la sala.

Pietroso – Brunello di Montalcino 2019: la piccola realtà condotta da Gianni e Andrea Pignattai, interpreti tradizionalisti di un sangiovese di Montalcino proveniente da tutti e quattro i versanti, anche quest’anno ha prodotto uno dei miei "coup de cœur" dell’Anteprima col suo Brunello di estrema finezza e dall’identità gustativa di notevole aplomb con ritorni agrumati sul finale saporitissimo.

Poggio di Sotto – Brunello di Montalcino 2019: non sarà più quel sangiovese rarefatto e sussurrato di qualche anno fa ma anche in quest’ultima annata la cantina di proprietà di ColleMassari incanta i sensi grazie ad un impianto aromatico accattivante declinato tra il floreale rosso e le spezie orientali ed un palato nobile e di pregevolissima ampiezza.

Salvioni La Cerbaiola – Brunello di Montalcino 2019: equilibrio, godibilità e potenziale evolutivo. Tutto questo è l’ultima annata del Brunello di Montalcino prodotto dalla famiglia Salvioni che rappresenta un totem qualitativo anche quando il suo vino sfiora i 14,5° alcolici. Quando parlavo di maestria nel gestire le componenti morbide e dure nel vino mi riferivo per lo più a questo vino.

Sanlorenzo – Brunello di Montalcino 2019: Luciano Ciolfi è da anni un interprete magistrale del sangiovese piantato nel versante sud-ovest della denominazione e questo suo Brunello 2019 è una sorta di figlio prodigo di quel terroir: carnoso, intenso, profondo, con evidenti tratti ematici e un sapore caldo e avvolgente senza strafare.

Ventolaio – Brunello di Montalcino 2019: tra i vari vini degustati, questo Brunello 2019 è tra quelli più “scuri” ed introversi grazie ad un profilo aromatico delineato da note di ghisa, humus e sbuffi iodati. Il sorso è saporito, austero, ma al tempo stesso intessuto di mirabile maglia tannica intarsiata di vibrante vena sapida.


Dopo più di cento Brunello di Montalcino “base” degustati ho poi iniziato a valutare le selezioni ovvero quelli da uve sangiovese provenienti da singola vigna. Non ce ne erano tantissimi, più o meno la metà dei “base” e, tra i vari, la mia scelta di gusto è andata ai seguenti:

Mastrojanni – Brunello di Montalcino “Vigna Loreto” 2019: tra miei assaggi preferiti volevo mettere già il “base” ma il Vigna Loreto, storico Cru di sangiovese piantato su ciottoli e tufo, che forniscono al vino un quadro olfattivo che sembra un campionario di spezie orientali ed erbe aromatiche di elicrisio e lavanda in cui fanno capolino, senza esserne protagoniste, le sensazioni fruttate di ciliegia e mora matura. Al sorso associa rigore, progressione ed impeccabile freschezza.

Tiezzi – Brunello di Montalcino “Vigna Soccorso” 2019: date ad Enzo Tiezzi (a proposito auguri per gli splendidi 85 anni) un’annata più che buona come questa e da Vigna Soccorso vi tirerà fuori un piccolo grande gioiello di aristocratica eleganza aromatica che conquista il palato si allarga a ventaglio disegnandovi una persistenza salina di mirabile persistenza.

Val di Suga – Brunello di Montalcino “Vigna del Lago” 2019: dei tre Cru aziendali presentati, il Vigna del Lago, vigna storica con esposizione nord che prende il nome dal lago che la circonda, è quello che mi ha rapito il cuore e il palato per la sua essenzialità di frutto, luminosissimo, e per una verve floreale che in altri Brunello non avevo mai percepito così intensa e avvolgente. Sorso armonioso e di raro equilibrio.


Prima di separarmi da questo articolo vorrei fare una ultima considerazione: da qualche tempo Benvenuto Brunello sta “perdendo pezzi” in quanto, anno dopo anno, si stanno sfilando dalla manifestazione molte realtà di grande interesse creando un notevole problema agli operatori che poi sono costretti, per avere un quadro informativo completo, a rincorrere le varie aziende che si sono tirate fuori.
Non conosco bene i motivi di questo "ammutinamento" ma, è fuor di dubbio, che esista un problema nelle modalità di gestione dell’Anteprima, un quesito che spero venga risolto già nella prossima edizione per il bene di tutti noi che amiamo il vino di Montalcino.

InvecchiatIGP: Antigniano - Montefalco Sagrantino “Guado alle Chiavi” 2004


di Lorenzo Colombo

Premettiamo che quello che pubblichiamo oggi nella rubrica settimanale InvecchiatIGP non è certamente un vino indimenticabile, ne scriviamo comunque perché l’abbiamo trovato un vino onesto, ancora perfettamente integro dopo (quasi) vent’anni dalla sua vendemmia. Altro motivo è dato dal fatto che non è stato certamente prodotto da un’azienda di primo piano nel panorama di Montefalco, il vino riporta infatti il nome di Antigniano ma l’azienda produttrice (o per meglio dire imbottigliatrice) è Brogal Vini di Bastia Umbra, come riportato nel retroetichetta.


Ci siamo quindi messi a ricercare informazioni su questo vino sul sito di Brogal Vini, ma quel che appare sullo schermo è un laconico “chiuso definitivamente”. Unici siti sui quali se ne trova l’esistenza sono www.vivino.com - www.wine-searcher.com e www.cellartracker.com . Ne abbiamo inoltre trovato traccia, sempre spulciano sul web, in un vecchio volantino dell’Ipermercato il Gigante, dov’era, nel mese di giugno di quest’anno, in offerta, contato del 50% a 9,95 euro.

Abbiamo così deciso di assaggiarlo, per verificarne la qualità e la tenuta nel tempo.

Ecco la nostra opinione.

Premettiamo che il tappo era integro, senza evidenti segni di colatura, il vino si presenta con un intenso color granato tendente al prugna cotta con unghia che vira verso l’aranciato-mattonato. Non molto intenso al naso, s’apre dopo alcuni minuti con sentori di sottobosco, humus, cuoio, liquirizia, radice di genziana, china, prugna secca, accenni di vaniglia.


Il suo corpo è poco più che medio, il tannino è deciso, asciutto, con ricordi di pellicina di castagne, l’uso del legno è ancora percepibile, si colgono sentori di bastoncino di liquirizia e castagne, vi ritroviamo i sentori di radici, buona infine la sua persistenza. Che dire, in conclusione se non che non si tratta certamente di un grande vino che però ha superato le poche aspettative con le quali l’abbiamo approcciato.

Parvus Ager - Roma Doc Malvasia Puntinata “Eterna” 2022


di Lorenzo Colombo

Detta anche Malvasia del Lazio per la sua principale diffusione in questa regione, le uve per la produzione di questo vino, fresco, morbido e succoso, provengono da un vigneto situato sulla Via Appia, a Marino, su suolo vulcanico. 


Il 10% del mosto fermenta in barriques.


Alla scoperta delle Terre Lariane con i vini dell'azienda La Costa


di Lorenzo Colombo

L’occasione era quella d’assaggiare il Bacca, il nuovo vino prodotto con uva verdese, l’unico vitigno autoctono del territorio lariano, anche se originario dell’alto lago e non della zona del Parco del Curone. Ma, già che c’eravamo, ne abbiamo approfittato per degustare l’intera produzione de La Costa, azienda situata a La Valletta Brianza, nel Parco del Curone.

L’azienda

L’azienda La Costa nasce (quasi per gioco o per meglio dire come hobby) nel 1992, quando Giordano Crippa acquista una vecchia cascina abbandonata da anni e il terreno che la circonda nel Parco del Curone e vi mette a dimora una vigna di Riesling a 400 metri d’altitudine, due anni dopo viene impiantato in località Muneda del Pinot nero. Nel 2000 esce il primo vino, il Solesta prodotto con uve Riesling e poco dopo è seguito dal San Giobbe frutto di Pinot nero.
Nel 2002 viene aperto l’agriturismo presso la Cascina Galbusera nera e nello stesso anno vengono inaugurati gli alloggi nelle Cascina La Costa.
Nel 2008 nascono il Seriz, da uve merlot e syrah ed il Calido, un passito rosso e negli anni seguenti escono altri vini tanto che ora l’azienda produce circa 45.000 bottiglie/anno.

Nello stesso anno, il 2008 nasce Igt Terre Lariane, un’indicazione geografica che si sviluppa su un territorio assai vasto, che comprende quasi duecento comuni delle province di Como e di Lecco. La zona maggiormente vitata e di maggior produzione, è quella situata attorno alla collina di Montevecchia, dove sono situate i due terzi delle aziende, altra zona importante è quella attorno a Domaso, nell’alto lago. L’anno dopo viene fondato, ad opera di sette produttori, il Consorzio Vini Igt Terre Lariane al quale attualmente aderiscono 25 aziende.


Le bottiglie prodotte nel 2022 sono state 186.000 da 29 aziende (17 vinificatori e 12 imbottigliatori- fonte Valoritalia che è l’ente certificatore), 140.000 di queste bottiglie sono prodotte dalle quattro più importanti aziende. Negli ultimi anni si è assistito ad un progressivo aumento nella produzione di Spumanti Metodo Classico realizzati a partire da diversi vitigni, anche non molto convenzionali, al momento però questi vini non possono fregiarsi dell’Igt ma vengono commercializzati come VSQ (Vino Spumante di Qualità) con quest’ultimi sono una settantina le etichette di vino in commercio. La maggior parte dei vini viene vinificata in un’unica cantina, a tal proposito è stata formata una cooperativa, un poco anomala per la verità, ovvero le uve di ciascun socio (sono 24) vengono vinificate separatamente ed i vini prodotti sono commercializzati direttamente da ciascun produttore.


Il disciplinare di produzione permette di realizzare numerose tipologie di vini, bianco (anche frizzante e passito), rosso (anche frizzante, passito e novello), rosato (anche frizzante e novello) a partire da numerosissimi vitigni, sia a bacca bianca che a bacca rossa anche se poi quelli realmente utilizzati non sono moltissimi, i più importanti dei quali sono lo chardonnay ed il merlot.

Il Bacca e l’uva verdese

Iniziamo ovviamente con l’Igt Terre Lariane Bacca 2020. Prodotto con uva verdese, vitigno tipico dell’alto Lario, quasi scomparso dopo l’arrivo della fillossera è stato recuperato tramite un lungo ed appassionato lavoro dal Prof. Leo Miglio che per vent’anni ha gestito un vigneto sperimentale a Domaso, per studiare e recuperare le antiche varietà del Lago di Como. Interessante a tal proposito è il libro da lui scritto - Civiltà del Vino sul Lago di Como - con la prefazione del Prof. Fregoni.


Si tratta di un vitigno a forte vigoria che grazie alla caparbietà del prof. Miglio e all’aiuto del Prof. Fregoni venne iscritto al Registro Nazionale delle Varietà di Vite nel novembre 1996 e che poi, quattro anni dopo, venne inserito nel Dictionnaire encyclopédique des cépages col nome di Verdese di Como. Attualmente il suo utilizzo è autorizzato in 11 vini ad Igt della Lombardia.


Fermentazione in vasche d’acciaio con macerazione sulle bucce di 13 giorni, affinamento per un anno in barrique. 580 le bottiglie prodotte Color giallo paglierino intenso, tendente all’oro antico. Mediamente intenso al naso, pulito sentori di mela ed accenni di sidro, di buona eleganza. Fresco e sapido, succoso, discretamente strutturato, leggere note piccanti ed accenni tannici, lunga la sua persistenza. 

I Metodo Classico

Sono due i Metodo Classico prodotti, l’Incrediboll, prodotto con uve riesling e l’Incrediboll Rosé frutto di un blend tra pinot nero e syrah.

Vino Spumante Metodo Classico “Incrediboll” 2019

Prodotto con uve Riesling provenienti dal vigneto Costavecchia, situato in alta collina, a Montevecchia. Fermentazione alcolica in vasche d’acciaio, presa di spuma e sosta in bottiglia sui lieviti per 30 mesi.

Color paglierino luminoso. Naso pulito e di buona intensità dove si colgono sentori di frutta tropicale, accenni di pasticceria, note di miele e di fiori d’acacia. Sapido e dalla decisa effervescenza, di buona struttura, succoso, mela renetta, accenni mielosi, lunga la sua persistenza. Vino molto interessante.

Vino Spumante Metodo Classico “Incrediboll Rosé” (uve dell’annata 2020)

Fermentazione in vasche d’acciaio, presa di spuma e sosta sui lieviti per 18 mesi.
Color rame. Mediamente intenso al naso, note tostate e sentori di tabacco.


Effervescenza molto decisa, sapido, note tostate, chiude leggermente amarognolo.

I vini bianchi

Igt Terre Lariane “Brigante Bianco” 2022

50% chardonnay, 40% manzoni bianco, 10% verdese.
Fermentazione ed affinamento in vasche d’acciaio, messo in bottiglia nel mese di febbraio 2023. Color verdolino-paglierino di media intensità, luminoso Intenso al naso, pulito, frutta a polpa gialla, pesca. 


Discretamente strutturato, frutta a polpa gialla, bella vena acida e buona persistenza. Un vino semplice, pulito e dalla piacevole beva.

Igt Terre Lariane “Solesta” 2020

Prodotto con uve Riesling renano provenienti dal vigneto situato sull’antica piramide terrazzata, luogo di culto per i Celti, antichi abitanti della Brianza.
Fermentazione in vasche d’acciaio, affinamento per 12 mesi in tini d’acacia, sosta in bottiglia per 12 mesi prima della messa in commercio. Color giallo paglierino luminoso con riflessi verdolini. Buona la sua intensità olfattiva, pulito, pesca gialla, note tropicali, ananas, accenni idrocarburici.


Dotato di buona struttura, verticale, sapido, note minerali, asciutto, agrumato, pompelmo, accenni d’idrocarburi, spiccata vena acida, lunga la persistenza.

Il vino rosa

Igt Terre Lariane Rosato 2022

Blend tra merlot, pinot nero e syrah, vinificazione in acciaio con sosta sulle bucce per poche ore, affinamento per cinque mesi in vasche d’acciaio e sosta in bottiglia per due mesi prima della commercializzazione. Color rosa antico, tendente al ramato. 


Buona la sua intensità olfattiva, erbe officinali essiccate, leggere note di piccoli frutti di bosco, tabacco dolce. Discretamente strutturato, sapido e succoso, ciliegia, frutti di bosco maturi, buona vena acida e media persistenza.

I Pinot nero

Igt Terre Lariane Rosso “San Giobbe” 2020

In Brianza San Giobbe era il santo protettore della bachicoltura.
Da uve Pinot nero, vinificazione in vasche d’acciaio e affinamento in tini di rovere e in tonneaux per 12 mesi. Color granato trasparente, non molto intenso. Intenso al naso, tipico, frutto rosso selvatico, note vanigliate.


Mediamente strutturato, succoso, sapido, balsamico, discreta la sua persistenza.

Igt Terre Lariane Rosso San Giobbe “Riserva Muneda” 2019

Prende il nome dalla vigna messa a dimora nel 1994 in località Muneda. Pinot nero in purezza, vinificazione in acciaio con macerazione sulle bucce per 16 giorni, affinamento in tonneaux di primo passaggio. Color granato, molto più intenso rispetto al precedente vino. Intenso al naso, balsamico, vi cogliamo frutto rosso maturo e note floreali. Strutturato, note speziate, pepe, accenni piccanti, lunga la persistenza.

Altri vini rossi

Igt Terre Lariane “Brigante Rosso 2020

Da uve merlot in purezza, fermentazione in vasche d’acciaio ed affinamento per 12 mesi in acciaio ed in botti di grandi dimensioni. Color rubino di discreta intensità. Discretamente intenso al naso, leggere note vanigliate, accenni vegetali.


Di media struttura, succoso, frutti rossi, accenni vegetali, buona la persistenza.

Igt Terre Lariane “Seriz” 2020

Prende il nome dalla pietra presente nei vigneti e utilizzata localmente in passato per le rifiniture di pregio nelle dimore storiche brianzole.


90% merlot e 10% syrah, fermentazione in vasche d’acciaio, affinamento per 12 mesi in barriques sia nuove che usate. Color rubino purpureo, profondo e luminoso.
Buona la sua intensità olfattiva, frutto rosso maturo, note piccanti, speziato, pepato.
Strutturato, note piccanti, pepe, legno dolce, tannino leggermente asciugante, lunga la persistenza.

Ed infine Claudia ci ha aperto un San Giobbe del 2001!

Che dire, un Pinot nero d’oltre vent’anni d’età non certamente concepito per durare così a lungo. Una vera sorpresa, un vino dal naso balsamico, vanigliato, con sentori leggermente selvatici e con note di legno dolce.


Dotato di buon corpo, succoso, elegante, con un bel frutto dolce ancora integro, armonico e dal notevole equilibrio gustativo, lunga la sua persistenza.