Borgogna 2009 o 2010? Giancarlo Marino, una grande guida per tutti gli appassionati, tempo fa all'interno dell'Accademia degli Alterati analizzava le annate e i possibili scenari futuri scrivendo le seguenti righe.
2009
Alcuni la considerano, generalizzando eccessivamente, una annata “calda”. In realtà le temperature furono solo di poco superiori alla media (nulla a che vedere con la 2003, per intendersi), mentre furono nettamente superiori alla media le ore di luce. Le uve, caratterizzate da diffuso millerandage, hanno raggiunto una perfetta maturità fenolica. Decisiva è stata la scelta della data di vendemmia: chi ha optato per una raccolta leggermente anticipata ha mantenuto un buon grado di acidità e di equilibrio, chi ha atteso troppo ha raccolto uva ai limiti, a volte oltre, della surmaturità, perdendo in primo luogo in freschezza e purezza. Il raccolto è stato abbondante, con il conseguente rischio di diluizione per chi non aveva lavorato con buon senso in vigna. Inferiore alla media il contenuto di acido malico, abbondante invece l’acido tartarico. La fermentazione malolattica è stata relativamente precoce e veloce, ma alla fine dell’affinamento il pH si è comunque mantenuto entro limiti più che sufficienti (3.4/3.6). Il buon grado zuccherino ha consentito di evitare, o di contenere al massimo, la pratica dello zuccheraggio. I risultati, come era facile prevedere, sono stati piuttosto eterogenei.
Al meglio, i vini sono pieni di fascino, eleganti, raffinati, aperti, grandi seduttori, connotati da un centro bocca “pieno e voluttuoso”: Al peggio, i vini sono diluiti o fin troppo maturi (nei miei appunti leggo più spesso del solito richiami alla confettura di frutta), mancanti di freschezza, con tannini non perfettamente levigati, in precario equilibrio.
2010
Ad un inverno freddissimo, durante il quale alcune violente gelate hanno addirittura distrutto alcuni vigneti, si sono succedute una primavera e una estate con temperature nettamente inferiori alla media: in particolare, ad un agosto fresco, asciutto e luminoso è seguito un settembre più dolce ma anche più umido. Il tempo inclemente all’epoca della fioritura ha accentuato il fenomeno, già notato nel 2009, del millerandage. Alla vendemmia, particolarmente tardiva, è stata così raccolta poca uva, con tannini abbondanti ma finissimi, e alta acidità malica. La fermentazione malo-lattica è stata tardiva e molto lenta e ha consentito di riequilibrare e bilanciare l’acidità (pH finale compreso tra 3.5 e 3.6). Il buon grado zuccherino ha consentito di evitare, o di contenere al massimo, la comune pratica dello zuccheraggio. Al termine dell’affinamento, i risultati hanno superato le più rosee previsioni, confermando il detto che nelle annate ad alta acidità malica è indispensabile attendere la conclusione della malo-lattica per emettere un giudizio minimamente affidabile.
Nel complesso, la produzione è stata più omogenea di quella delle annate precedenti, 2009 compresa. Non ricordo di aver assaggiato vini del 2010 davvero deludenti. In compenso ne ho assaggiati moltissimi di qualità eccelsa.
Al meglio i vini sono trasparenti, territoriali, equilibrati, di grande freschezza, energia e tensione, vibranti, con trama tannica di finezza superba. Al peggio si avverte una certa durezza e una maturità fenolica non perfetta (la imponente presenza tannica e l’abbondante acido malico richiedevano in vinificazione grande sensibilità e accuratezza)
La longevità è assicurata e molto probabilmente si avrà una fase di chiusura più o meno drastica, anche se il senso di grazia che traspare da molti vini fa pensare ad una bevibilità permanente nel tempo. Al contrario del 2009, nel 2010 la gerarchia è assolutamente rispettata, con questo confermando che trattasi di annata dove il terroir ha prevalso sulla componente varietale.
Dopo questa breve ma intensa lezione era abbastanza scontata la riprova nel bicchiere di quanto scritto da Marino. C'è sempre una buona scusa per bere Borgogna e, con alcuni amici, abbiamo aperto le seguenti bottiglie.
Bourgogne 2009 Mugneret-Gibourg: anche se fa parte della base della piramide qualitativa dell'AOC vins de Bourgogne, questo vino, distribuito in Italia in pochissimi esemplari, ha un naso di frutta leggermente più scura di quanto mi aspettassi e questi tratti, solari e profondi, li ritrovo anche al gusto che è leggermente inficiato da una nota alcolica non ben integrata. Finale lievemente austero.
Bourgogne 2010 Mugneret-Gibourg: già dal colore, rubino limpidissimo, si nota come cambia il tempo ed, infatti, odorare questo vino significa spalancare le finestre di casa e inebriarsi della primavera. Pinot Nero dalla frutta rossa croccante, balsamico, minerale con una bocca più classica, fresca, magari non complessa ma diretta e ficcante come una lama calda nel burro.
Gevrey Chambertin 1er cru "Les Goulots" 2009 Fourrier: rispetto al precedente si respira (giustamente) una maggiore complessità formata stavolta da un cesto di frutta di rovo, succosa e croccante, mineralità scura e una sventagliata di fiori "cimiteriali" che rendono l'olfattiva molto sobria e solenne. Al sorso dominano struttura ed equilibrio che sfuma verso una rotondità che ben tipizza l'annata. Se vogliamo proprio trovare un difetto direi che manca il guizzo fresco finale ma il vino è comunque molto molto buono lo stesso.
Gevrey Chambertin 1er cru "Les Goulots" 2010 Fourrier: il vino sembra un quadro astratto dove prevalgono i colori rossi della frutta e blu dei fiori. C'è luce in questo vino e quando lo bevo sembra vibrare per la sferzante acidità che rappresenta la vera colonna vertebrale di questo Borgogna. Anche in questo caso, se bisogna trovare un difetto, ritengo il vino troppo verticale, dritto, manca di quella dose di panza che, come si dice, dà molta sostanza!
Vosne Romanée 1er Cru "Rouges du Dessus" 2009 Cecile Tremblay: odoro, bevo, e penso che sia un peccato. Già, il vino se scavi in profondità ha le classiche note femminile ed eteree di Tremblay ma ad oggi è un un pò troppo coperto dal legno che sembra usato in maniera poco coerente.
Vosne Romanée 1er Cru "Rouges du Dessus" 2010 Cecile Tremblay: stessa questione precedente ovvero un cielo offuscato da smog che copre il sole e l'azzurro.
Volnay 1er Cru Champans 2009 Voillot: Giancarlo Marino, che ci fornisce queste chicche, ama alla follia questo produttore e non possiamo non dargli torto visto che le bottiglie di Voillot rappresentano sempre una grande emozione. Questo Borgogna sembra uscire da una accademia di belle arti dove, per disegnare, è stata usato un pastello dal tratto scuro ma raffinato. Profondo, tridimensionale, complesso, conserva in sè tutto il terroir di Volnay. Andrà avanti per tanti anni.
Volnay 1er Cru Champans 2010 Voillot: stile e raffinatezza, questo è quello che mi viene in mente dove aver odorato e bevuto questo vino che sembra prendere le sembianze di Mata Hari che, avvolta in un candido vestito bianco, danza suadente risvegliando tutti i sensi umani. Ancora giovanissimo può vantare un tannino ben calibrato ed una succosità davvero imponente. Difficile dice quanto potrà diventare grande ma, a mio giudizio, il miglior vino della serata assieme al suo fratellone 2009.
Entrata della cantina di Voillot. Foto: Andrea Federici |
Grande Giama. Fantastici i vini di Jean Pierre Charlot.
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