Quando Silvio Jermann era già un grande del vino italiano io, a malapena, stavo iniziando a leggere e prime riviste sul vino cercando di comprendere i difficili e, a volte, strambi termini dell'enologia.
Quando Silvio Jermann aveva terminato gli studi di enologia, dapprima presso la Scuola di Enologia di Conegliano e poi, dopo un breve soggiorno in Canada, presso l'Istituto di San Michele all'Adige io non era ancora nato. Già, erano i primi anni '70 del secolo scorso e, assieme a Mario Schiopetto, il giovane Jermann stava rivoluzionando il concetto di vino friulano dando vita a prodotti dalla grande personalità.
Era il 1975, ed nato da qualche mese, quando il ventenne Silvio Jermann fece uscire in commercio la prima annata di Vintage Tunina il cui nome fa riferimento ad Antonia (in dialetto Tunina), precedente proprietaria del vigneto da cui provengono le uve che, si dice, fosse una delle amante più belle e povere di Giacomo Casanova.
Il Vintage Tunina, da sempre, è un uvaggio (cioè le uve vengono vinificate assieme) di chardonnay, sauvignon, ribolla gialla, malvasia istriana e picolit anche se, e questo aneddoto ce lo racconta Cernilli, la prima annata uscì come.....Pinot Bianco! No, nessuna eccezione alla regola ma solo un "piccolo" sbaglio del vivaista di Jermann che anzichè pinot stava consegnando viti di chardonnay andando a comporre il mosaico della "mitica" vigna del Tunina localizzata sotto il Monte Fortino, a Villanova di Farra.
La ricetta originale del vino prevede una raccolta leggermente tardiva delle uve, una vinificazione che prevede la fermentazione malolattica e, cosa spesso travisata anche dai fini palati, un affinamento che NON prevede l'uso di barrique.
Silvio Jermann - Foto:http://www.empsonusa.com |
Qualche giorno fa, con alcuni amici, bevuto il Vintage Tunina 1997. Quando uscì sul mercato avevo 23 anni e circa 40 quando preso la bottiglia dalla mia cantinetta termocondizionata e l'ho stappata.
Lo giuro, non avevo grandi aspettative sul vino o, meglio, storco sempre il naso quando stappo i c.d. "vini mito italiani" perchè mi è capitato di andare incontro a grandi delusioni. Già, sono un pò allergico alle aspettative date da un certo tipo di giornalismo.
Stavolta, invece, le cose sono andate nel verso giusto e davanti a me, ho un vino dal colore giallo paglierino brillante, carico, rilucente di vivida freschezza. Ed io che mi aspettavo un Tunina quasi ossidato.....
Anche al naso la terziarizzazione dei profumi che mi sarei aspettato è un lontano ricordo, il Tunina è ancora freschissimo, giovane, ricco di un quadro olfattivo dove le sensazioni di ginestra e sambuco si intrecciano con aromi più duri di calce e gesso. La frutta gialla, ben matura e succosa, arriva solo alla fine creando una cornice odorosa di grande eleganza.
La bocca, oh sì, è la bocca ad essere sorprendente perchè, nonostante i suoi 14 anni, il Tunina è ancora ricchissimo di tensione che crea strade alternative e parallele ad un equilibrio gustativo circense. Finale sapido, minerale, a tratti agrumato.
Un vino immenso che sembra avvolto in un liquido amniotico che potrà preservarlo dal mondo esterno per chissà quanto tempo.
Piccola curiosità finale: Luigi Veronelli, nel 1976, aveva descritto il Vintage Tunina come il "Mennea dei vini italiani". Il Maestro, come sempre, ci aveva visto lungo!
Bevuta proprio in questi giorni una 2010, ha sorpreso anche me, anche se colta troppo giovane. Il local che incontra il global.
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