Ka Mancinè: viaggio nel Rossese di Dolceacqua. Seconda parte

E' tempo di risalire sulla Panda improbabile. Alla guida, non l'ho detto prima, c'è Maurizio Anfosso di Ka Mancinè, il mio Virgilio in terra di Rossese. Di lui e dei suoi vini ho già scritto molto su Percorsi di Vino ma, un conto sono le parole, un conto è visitare dal vivo le sue vigne e la sua cantina.
Prima, però, ci facciamo spiegare da dove deriva il nome dell'azienda.
Ka Mancinè significa la casa (con la K di origine saracena) dei Mancinei che, storicamente, è lo stranome con il quale Pietro Anfosso, mancino di fatto, veniva diversificato dagli altri Pietro del paese di Soldano.

Maurizio Anfosso ci porta, tra una curva e l'altra, nel primo dei suoi vigneti, due Cru di Rossese di grandissimo livello.
Scendiamo dalla Panda e davanti a noi c'è il vigneto Galeae (Galera in dialetto ligure per via dei prigionieri saraceni che storicamente venivano qua a lavorare), un anfiteatro naturale con esposizione sud-est composto da vigne di Rossese allevate sia ad alberello sia a doppio cordone speronato. 
A differenza del Beragna, come vedremo, le viti sono abbastanza giovani, hanno circa tre anni nella parte bassa del vigneto (da cui Anfosso tira fuori lo Sciakk) mentre la parte alta vede piante del 1998. 
Il terreno, così come spesso accade negli altri vigneti salvo eccezioni (vedi Terre Bianche), dal punto di vista geologico è formato da rocce marnose, argillose e calcareo-marnose disgregate in piccole lamelle che da queste parti prende il nome di "sgruttu" che ha il vantaggio di essere drenante mantenendo però sufficiente livello di umidità nel suolo anche in stagioni calde ed aride.

Il Cru Galeae
Il Cru Galeae visto da lontano

Torniamo in macchina chiudendo i vari cancelletti per non far entrare i cinghiali che da queste parti fanno molti danni. Il Beragna ci aspetta poco più in là.
E' un vigneto storico di circa 1,2 ettari (diviso in due appezzamenti) composto essenzialmente da piante di Rossese centenarie, le più vecchie piantate addirittura nel 1872. Facciamo un giro tra le viti con aria di profonda venerazione. Come si fa a non essere inebriati dalla bellezza di questi alberelli curvati e scalfiti dal tempo? 
Maurizio mi dice che questo è il Cru da cui deriva un Rossese meno strutturato ma più fresco e sapido del Galeae. 

Pendenze del Beragna

Il Beragna

Sgruttu

Non vorremmo andarcene più ma il tempo stringe ed è ora di andare in cantina.
Arriviamo a Soldano e saliamo su fino ad arrivare, dopo i soliti mille tornanti, a San Martino. Maurizio Anfosso ha la sua cantina dentro casa. Anche qua, come accaduto per Giovanna Maccario, solo acciaio e nessun effetto speciale. Bello vedere le varie vasche di vinificazione "intitolate" alle varie donne della famiglia.



L'annata 2011 di Ka Mancinè è stata, nonostante tutto, favorevole. 

Lo Sciakk, da uve di Rossese vendemmiate tardivamente, rimane uno dei miei rosati preferiti in Italia, è sapido, fresco e di grande equilibrio. Per nulla scontato e "sdolcinato" come altri illustri colleghi.

Il Beragna 2011, rispetto alla precedente annata, è più intenso, sa di macchia mediterranea, di terra, di spezie. In bocca ha la solita sapidità quasi marina e una acidità che fa salivare copiosamente e invita al prossimo bicchiere.

Il Galeae 2011 è balsamico, è un vino che alla cieca sposteresti al sud per le sue note mediterranee di cappero, alloro, gelso, richiami floreali di rosa. E' un vino che rispecchia il suo territorio al 1000% ed ha una struttura che lo porterà lontano nel tempo.

Maurizio Anfoso in fase di stappo!

Fuori programma è spuntanto a cena un Beragna 2008 che con Maurizio abbiamo chiamato "vino da porto". I suoi toni salmastri, iodati, decisamente sapidi e marini mi hanno riportato in mente la Genova di Fabrizio De Andrè, il suo porto, le sue navi per l'America e quella malinconia scacciata via da una sigaretta fumata sulla banchina.




Maccario-Dringenberg: viaggio nel Rossese di Dolceacqua. Prima parte

Saliamo su con una Fiat Panda improbabile che, curva dopo curva, ci porta sul crinale della Val Verbone, dove la nostra vista può spaziare dal mar Ligure alle Alpi Occidentali che, guardinghe, segnano il confine naturale con la Francia.
Il sole di Caronte picchia, sono le 15.30 di un Giugno torrido ma, nonostante la calura e il tacco 12, Giovanna Maccario ci apre le porte del suo mondo fatto di muretti a secco e splendide vigne.

Il tacco di Giovanna

Siamo all'interno del Cru Posau, un vigneto di 1,2 ettari con esposizione est, sud-est che presenta al suo interno vigne sia vecchie (50-60 anni) che giovani allevate ad alberello.
Saliamo con fatica i vari gradini che ci portano nella fascia mediana del vigneto. 
Le pendenze da queste parti sono abbastanza proibitive. "Il Rossese di questa zona e della parte più alta vanno sempre nel mio Posau mentre le uve della parte più bassa del vigneto, più rigogliosa per via della vicinanza ad una fonte d'acqua sotterranea, spesso e volentieri vanno a finire nel mio Classico". 


Giovanna è un fiume in piena mentre parla del suo lavoro e dei suoi sogni. Mentre camminiamo tra le viti e calpestiamo l'arida terra di questi giorni ci rendiamo conto che questi sono posti unici al mondo. Accanto a noi, immateriale ma percettibile, c'è la Natura con i suoi colori e i suoi odori. Ci sono le farfalle che scorazzano tra i tuoi piedi, ovunque le ginestre selvatiche che sembrano nascere dalla pietra, la macchia mediterranea esplode a 360° e prende la forma del rosmarino, del lentisco e del corbezzolo. Difficile immaginare che questi vini non siano in qualche modo influenzati da tutto questa vegetazione.

Natura

Posaù

L'altro Cru dell'azienda Maccario-Dringerberg è il Luvaira, un vigneto di circa un ettaro formato da vigne vecchissime, si parla del 1890, e vigne più nuove allevate sempre ad alberello. Terreno fatto di roccia friabile, altamente drenante, detto localmente sgrutto.

Luvaira

A dire il vero la Maccario ha anche un terzo Cru che non abbiamo fatto in tempo a visitare, si chiama Curli, una vigna storica che Veronelli definì come "la Romanée Conti italiana”. Il vino dalle uve di questo storico vigneto appartenuto un tempo ad Emilio Croesi, ex sindaco di Perinaldo, dovrebbe uscire quest'anno.


Nella piccola cantina di Giovanna Maccario, in fase di ristrutturazione, c'è solamente acciaio e tanta voglia di provare ad andare oltre. Così, dopo essersi data alla spumantistica col Serro del Bandito, metodo classico da uve massarda che ancora deve uscire in commercio, la Maccario sta vinificando anche un'altra scommessa come il Rossese Bianco "Lady Dringerberg" 2011 che sa di frutta bianca matura e che oggi, al palato, risulta essere più largo che verticale rispecchiando fedelmente l'annata. Già, come è stata la 2011 da queste parti? Dopo un millesimo 2010 del tutto perfetto, almeno a sentire i vignaioli di queste parti, l'annata 2011 sarebbe stata quasi uguale se, a cavallo della vendemmia, non ci fosse stata quella "botta" di caldo che ha reso tutto più maturo e "morbido". Per Giovanna anche troppo.....

Il Posaù 2011, da vasca, ha un profilo cromatico ed olfattivo scuro, intenso, mediterraneo. In bocca, nonostante l'alcol che sfiora i 15°, è di grande equilibrio e profondità e, con un'acidità di circa 6 g/l, gode di una freschezza intensa e corroborante. Vediamo come evolve nel tempo, io punto su di lui.

Il Posaù 2010 lo riconosci fin da subito che è un gran vino. Naso profondissimo dove puoi incontrare il pepe, il salmastro, il timo, l'alloro, il lentisco. Sì, quella famosa macchia mediterranea che, durante la mia visita al vigneto, non poteva non influenzare il vino da cui derivava. Bocca elegante e borgognona, in poche parole un grande Rossese.

Fonte: nonsolodivino.com

Il Luvaira 2010 è l'altra faccia del Rossese della Val Verbone, quella meno immediata e fruibile. Questo vino è ancora giovane, giovanissimo, è ora chiuso in un quadro olfattivo dove la frutta di rovo fa da custode a sensazioni minerali e speziate. Al palato convince al 100%, la stoffa del campione in erba c'è. C'è solo da aspettare che esploda. 

Fonte: nonsolodivino.com

Vino rosso e bistecca al sangue. Pure la scienza se ne accorge?

Una bistecca assieme ad un bicchiere di rosso, (o la carne direttamente marinata nel vino) riduce il colesterolo.

Questo il messaggio centrale di una ricerca dell'Hebrew University of Jerusalem, diretta dal professor Ron Kohen e pubblicata sul "Journal of Functional Food".
Kohen e la sua squadra hanno lavorato con alcuni volontari, divisi in tre gruppi. Il primo gruppo ha mangiato solo cotolette di tacchino, senza consumare altri tipi di carne o pesce. Il secondo gruppo si è nutrito esclusivamente di costolette marinate nel vino rosso. Il terzo ed ultimo gruppo ha puntato su carne rossa ed un bicchiere di vino a pasto.

Fonte: http://www.buttalapasta.it

Le analisi mediche, compiute dopo 4 giorni di dieta speciale, hanno mostrato differenze significative. Il primo gruppo (solo carne) evidenziava un alto livello di malondialdeidi: composti spia dell'ossidazione dei lipidi, si accumulano nel sangue, aumentando il colesterolo cattivo, prima causa di malattie cardiache. Diversamente, nel secondo e terzo gruppo (carne con vino) i composti venivano assorbiti dal sangue, riducendo la quantità di colesterolo.
Intervistato dal "Daily Telegraph", Kohen ha dichiarato come il lavoro svolto dia spiegazione a due fenomeni alimentari: il legame tra consumo di carne rossa ed aumento di colesterolo ma la capacità del vino (grazie ai suoi polifenoli) di ridurre tale relazione pericolosa.

Ci sono buone notizie anche per i non amanti del vino, visto che anche le verdure rendono la carne rossa più gestibile.
Detto questo, Kohen ritiene che la scelta migliore sia, semplicemente, ridurre il consumo di carne, aumentando quello delle proteine vegetali. 

Fonte: Newsfood.com

Nasce il Vinix Grassroots Market

Filippo Ronco, oltre ad essere un grande appassionato di vino, è indiscutibilmente un precursore.
Fondatore nel 2000 di TigullioVino.it, è sua l'idea di dar vita a Vinix, il primo social network sul vino, a cui segue la creazione di VinoClic, la prima concessionaria di pubblicità online rivolta agli inserzionisti del mondo wine & food. Non solo! Conoscete Terroir Vino e il Vinix Unplugged Unconference? ok, anche quella è roba sua.
Filippo non si ferma mai e qualche giorno fa ha dato vita, forse, al suo più grande e visionario progetto: il Vinix Grassroots Market.


Vgm, così come lo chiama lui, è una sorta di grande ENO-GAS dove non ci sono intermediari, una sorta di mercato dal basso dove, ovviamente, più compri e meno spendi, sia che tu sia un professionista, sia che tu sia un privato, sia che siate un gruppo di amici. 
Le regole sono uguali per tutti e trasparenti e il rapporto di acquisto è diretto tra chi produce e chi compra.
Come scrive Ronco il Vgm è un vero social commerce all'interno di un social network verticale dove il vino e i relativi produttori sono stati selezionati sul lavori di anni di assaggi per TerroirVino da parte dei collaboratori più stretti e fidati e dei recensori più in gamba del network.


In pratica, come funziona? Basta cliccare qua per andare sulle FAQ e tutto è molto più chiaro e semplice.

Sia che siate un singolo sia che siate una cordata di persone non abbiate paura a lanciare un acquisto di vino (minimo 12 bottiglie per i singoli e il capo cordata e 6 per i c.d. gregari), il pagamento tramite carta di credito e Paypal è semplice e sicuro e tutte le spedizioni sono gestite e garantite dagli stessi produttori.

Ah, se volete lanciare un Vgm da Roma...io ci sono!

La Distesa di Corrado Dottori

A noi che amiamo il vino, certi scenari naturali, soprattutto in un caldo pomeriggio di estate, fanno dimenticare tutto il sudore versato per ogni secondo di sosta.
Siamo a Cupramontana e queste che vedete in foto sono parte delle vigne di Corrado Dottori all'interno del territorio di San Michele, contrada che, da secoli, rappresenta senza dubbio un terroir di eccezione per il Verdicchio.

Le Vigne di Corrado Dottori

La Chiesa di San Michele

Corrado Dottori, col quale ho fissato l'appuntamento per la visita qualche ora prima incontrandolo in piazza a Cupramontana, mi indica con orgoglio le sue vigne piantate nella conca di San Michele, nuovi e vecchi vitigni, anche a bacca rossa, dove il verdicchio, ovviamente, la fa da padrone visto che proprio a pochi metri da noi ci sono le vecchie vigne dalle quali deriva la sua Riserva: gli Eremi.
Il terreno, come mi spiega Corrado, è costituito da zone di creta bianca, dove domina il calcare, alle quali si alternano lingue di arenaria giallastra e marne azzurre, specie più in profondità.

La Distesa, la sua azienda nata nel 2000, oggi può contare su un'estensione di circa 3 ettari di vigneto coltivato in modo biologico non solo a San Michele ma anche nella zona di Staffolo e San Paolo di Jesi.

Il suolo del vigneto di San Michele

La cantina è subito dietro di noi, un vecchio edificio all'apparenza abbandonato ospita i pochi "attrezzi del mestiere" di Corrado. 
Entrando, scopriamo quanto sia artigianale e naturale il mondo de La Distesa. All'interno di quattro mura segnate dal tempo, qualche vasca di acciaio, una piccola fila di barrique usate e un tonneaux sono tutto ciò di cui ha bisogno Corrado per creare i suoi vini. Da queste parti, è facile capirlo, le pratiche enologiche sono pari a zero visto che, era facile immaginarlo, non si usano lieviti selezionati e l'uso di solforosa è al minimo indispensabile. 



L'obiettivo: fare vini che possano essere il più aderenti possibile al territorio e all'annata.

Da botte Corrado ci fa degustare un'anteprima: il Nur 2011. Questo è vino, blend di trebbiano dorato, malvasia toscana e verdicchio, deriva da una fermentazione sulle bucce per circa 8/10 giorni ed un affinamento in botti di rovere francesi di piccola caratura per circa un anno. Al naso, ancora giovane, è un vino che sa di erba tagliata, miele, frutta gialla, sale. In bocca la grande struttura data dall'annata è appena supportata da un'acidità che, complice il caldo sofferto nel millesimo, non è certo da record. Da riprovare tra un anno.

Bottiglie in affinamento

Il tour prosegue con la visita della piccolissime sale di affinamento (compreso il condizionatore messo "a palla" per contrastare l'afa estiva) ed etichettatura, per poi preseguire nell'agriturismo di Corrado dove abbiamo terminano la degustazione con il Marche Bianco "Terre Silvate" 2011 ed il Marche Rosso Nocenzio 2010.


Il primo vino è il "famoso" verdicchio IGT di Dottori che la Commissione Doc ha bocciato non avendolo ritenuto "adeguato" per meritarsi la qualifica di Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore
Corrado, certamente amareggiato della cosa, ritiene opportuno precisare che: "Per me va bene tutto, però allora se bocci il Terre Silvate dovresti adottare lo stesso metodo con quei tanti verdicchi che vedo in commercio che sono color carta da zucchero e sono sempre uguali a prescindere dall'annata. Non so perchè ufficialmente lo abbiano bocciato, forse per il colore, ma questo dorato che vedete è frutto del caldo dell'annata 2011. Strano vedere in giro vini dello stesso millesimo dello stesso colore del 2010 (annata fredda)".

Come dargli torto?

L'altra particolarità del Terre Silvate riguarda il fatto che non è 100% verdicchio in quanto tale vitigno, secondo tradizione, è stato integrato da una piccola presenza di trebbiano e malvasia.
Corrado spiega che "una volta il Verdicchio non era un vino monovitigno ma formato da più uve, le stesse che i contadini avevano piantato nei vigneti e che, all'epoca, erano tipici del centro Italia. Tante varietà di uve piantate, e questo vale anche per i rossi, per prudenza contandina: se un anno la parcella di verdicchio ti viene male, puoi sopperire col trebbiano e/o la malvasia. Hai presente il Rodano? Ecco, non sarebbe male ripristinare anche qua quel tipo di approccio enologico fatto di tante uve che concorrono alla produzione del migliore vino possibile".


Mentre penso alle sue parole bevo il Terre Silvate 2011 che, tutt'altro che verticale, mi sembra un vino di grande aderenza all'annata con i suoi sentori di miele, liquirizia, cedro e ginestra macerata. Non sarà un campione di freschezza, magari non avrà molti anni davanti, ma bocciarlo...boh!

Il Nocenzio 2010 (montepulciano, sangiovese e cabernet), figlio di un annata opposta alla 2011, è invece un rosso di bella struttura e dotato di una freschezza strabiliante (siamo oltre 6 g/l di acidità). Ho finito il bicchiere in un attimo. Trovate il nirvana se lo abbinate ad una razza Marchigiana grigliata durante una sera estiva.

Finisco questo piccolo post con un grande consiglio: Corrado ha da poco pubblicato un libro estremamente interessante:"Non è il vino dell'enologo". Leggerlo fa bene al cuore e alla mente.


Vini e Vignaioli di Toscana il 26 e 27 Gennaio a Roma. Sangiovese Purosangue is back!!


Seminari

Sabato 26.1, ore 15. Seminario con assaggi sull'agricoltura integrata: il caso concreto del bio distretto di Panzano e il lavoro sulle altre zone chiantigiane. Con Ruggero Mazzilli, Tommaso Paglione di Vecchie Terre di Montefili, Martino Manetti di Montevertine, Roberto Stucchi di Badia a Coltibuono, Luca Martini di Cigala di San Giusto a Rentennano, Susanna Grassi de I Fabbri.

Sabato 26.1, ore 17.30. Degustazione orizzontale comparata sulle zone del Sangiovese. Valuteremo le molte espressioni territoriali del Sangiovese Toscano, nell'importante annata 2006. A cura di Davide Bonucci

Domenica 27.1, ore 15. Degustazione orizzontale parallela con alcuni delle più importanti bottiglie del Sangiovese toscano, nelle annate 2001 e 2004. Line up in veloce incremento: Pergole Torte Montevertine, Flaccianello Fontodi, Il Poggio Monsanto, I Fabbri, Madonna delle Grazie Il Marroneto... Da appassionato, posso dire obbiettivamente che è imperdibile

La Regione Lazio, per ora, non ci sarà al Vinitaly!!!

E poi mi dici che mi incazzo quando, all'Anteprima di Sense Of Wine 2013, il buon Maroni invita la classe politica e dirigente della Capitale.

Vorrei vederli in faccia quegli imcompetenti e sbattergli in faccia la notizia! 



Appena l'ho letta su Facebook mi è preso un colpo, pensavo ad uno scherzo o ad  una social-sparata, ma la serietà della cantina del Lazio che ha denunciato il fatto mi ha fatto ricredere subito. 

Per quale motivo?

Sempre secondo quanto riportato su Facebook il problema, anzi la colpa, sarebbe della nostra "amata" Regione Lazio che essendo in amministrazione provvisoria non puà impegnarsi e mettere altri soldi a budget. 

Scrive Conte Zandotti:"Hanno solo "700.000" euro! Ma per il loro modo di fare occorrono 2 milioni!!!! Allora dobbiamo mettere noi almeno 400.000 euro! Adesso gli abbiamo detto di fare un preventivo secondo quello c'è vogliamo noi aziende!"

Come andrà a finire? Miracolo all'italiana! La Regione metterà i soldi che ha e se i produttori avranno esigenze maggiori, leggi non vorranno fare la figura di quelli di serie B, dovranno pagare di tasca loro l'eventuale differenza che, a quanto mi riferiscono, è pari a 5000 euro per modulo base. Da contare poi il vitto, l'alloggio, le spese di viaggio, etc....



Mauro De Angelis, presidente del Consorzio Tutela Frascati, ieri ha commentato la vicenda in questo modo:"Le Aziende Vitivinicole sono state informate fuori tempo massimo che la Regione non farà il Vinitaly – afferma il presidente - se non con esborsi tutti da verificare e comunque esorbitanti per moltissimi. 

Le Aziende comparteciperanno comunque, ma ci è stato annunciato sarà un Vinitaly miserrimo". Il Vinitaly è una vetrina assolutamente rilevante per i territori ed affrontare questa questione – prosegue De Angelis - lasciando chi vuole partecipare all’ultimo momento con il sedere a terra, è un atto scellerato oltre che di  evidente protervia.
Molti non parteciperanno, altri si sistemeranno in qualche modo, resta l’assoluta gravità, un ennesimo colpo a chi faticosamente resiste in momenti così difficili.

Le ragioni economiche adombrate potevano e dovevano essere presentate e discusse per tempo.
Ci interroghiamo sulla qualità e necessità di apparati che poi portano a questi fallimenti.

Gli interrogativi legati ad una partecipazione squalificante ci preoccupano ancora di più, il danno sarebbe evidente anche per chi deciderà di non andare.
Noi facciamo politica economica, i nostri colori sono quelli dei nostri vini, a chi aspira al difficile compito di governare lasciamo la risposta di questi e tanti altri interrogativi che potrebbero sorgere. Rimaniamo in attesa mentre la casa brucia.”

Quindi, se da Maroni vedete i nostri politici regionali, fategli presente che il loro lusso è diventato la nostra miseria. Tutti saremo più poveri se il Lazio non parteciperà unito al Vinitaly. Grazie per queste figure di merda.

 

Il Castrum Castrocari 2009 di Marta Valpiani alla prova del tempo

Dove eravamo rimasti? Ah, sì, al tasting panel di Marta Valpiani che a più wine blogger ha mandato due bottiglie di Castrum Castrocari 2009 per verificare, a distanza di sei mesi circa, l'evoluzione del suo vino.

A Giugno avevo degustato per la prima volta questo sangiovese di Romagna e, se leggete qua, noterete che avevo trovato  il vino molto profondo e scuro, con aromi scuri di minerale e terra e leggeri accenni di prugna e mora di rovo. Il sorso era coerente, minerale, sapido, equilibrato con un leggero amarognolo che si percepiva nel finale di bocca.


La domanda che Marta aspetta oggi è: come è evoluto il vino in soli sei mesi? Bene, Marta, posso dirti che ad oggi il vino ha subito una lentissima evoluzione, quasi impercettibile!
Il colore è rimasto rubino chiaro anche se, forse, l'unghia sta virando verso toni granato.
Al naso il vino, il primo giorno che l'ho aperto, si conferma abbastanza chiuso, ritroso, cupo nei suoi toni che non hanno perso il carattere di austerità che avevo avvertito l'ultima volta che lo avevo bevuto. Nette sono le sensazioni aromatiche di terra bagnata, di fiori neri macerati, tabacco e cardamomo.
Al sorso, rispetto all'esperienza precedente, il vino mi sembra abbia perso la sua avvolgenza per diventare estremamente verticale ed affilato. La vena acida è come venuta fuori tutta ad un tratto e sembra prendere il predominio del palato che rimane fresco ed invita ad una continua beva. C'è un ma a tutto questo: il vino, come accennato prima, non si allarga e perde leggermente in progressione. 

Sottoposto al mio "stress test", il sangiovese a tre giorni dall'apertura ha migliorato la sua complessità olfattiva rimandando spesso il naso a toni di erbe aromatiche e medicinali. Bocca sempre coerente.

Conclusioniil Castrum Castrocari 2009 è un vino ancora vivo che probabilmente darà il  meglio di sè tra qualche anno. Ad oggi è un ottimo sangiovese di Romagna al quale  manca un piccolo bullone per far ruotare l'ingranaggio alla perfezione. Sono sicuro che Marta Valpiani e sua figlia Elisa sapranno come migliorarsi e, spero, che questo tasting panel, nel suo piccolo, possa aiutarle a raggiungere tutte le soddisfazioni che meritano.

Alla prossima!

Capire perchè Sense of Wine di Luca Maroni non sarà mai la mia manifestazione

Ci provo, ogni anno, mi dico che cambierà, che sarà magari meglio, che in finale Luca Maroni è un bravo business man che, rispetto ad altri, ha anche il vanto di fare le cose alla luce del sole. Il suo metodo di valutazione è "chiaramente" spiegato così come ben dettagliata è la voce "CONSULENZE ALLE AZIENDE" che prevede:

1) Assaggio di ognuno dei vini da Voi prodotti non ancora definitivamente imbottigliati;

2) valutazione della piacevolezza complessiva e del tenore dei tre parametri (consistenza, equilibrio, integrità) di questi vini;

3) indicazione dettagliata degli input enologici per migliorare la piacevolezza di ognuno dei vini inviati;

4) indicazione della piacevolezza potenzialmente conseguibile da ogni vino mediante l'applicazione degli input trasmessi;

5) indicazione precisa delle quantità di ciascun vino-base per ottimizzare la composizione e la piacevolezza del blending di vini da assemblaggio non ancora imbottigliati.


Fonte: eccolanotiziaquotidiana.it

Cos'è allora che non sopporto di lui? Innegabilmente è quella sfrontatezza ed immodestia (a Roma si chiama coattagine) che lo lega al mondo del vino che deve essere per forze contornato da un'aura di mondanità piccolo borghese (a Roma si direbbe burino ripulito) che se da una parte rende falsamente elitario un mondo che dovrebbe essere contadino, dall'altra non aiuta certamente le aziende clienti a svuotare le loro cantine sempre più colme di vini inutili ed invenduti.

In un contesto economico e sociale in cui certi eccessi finalmente si stanno (auto)eliminando, stona non poco l'organizzazione di un'anteprima Sense Of Wine 2013 dove, riporto testualmente, verranno premiati  i migliori produttori presenti nell’Annuario dei Migliori Vini Italiani 2013, alla presenza della stampa specializzata, Opinion Leaders, VIP, personaggi dello spettacolo, istituzioni, classe politica/dirigente della Capitale e del Paese.

  
Questo, semplicemente, è il motivo per cui questa manifestazione non sarà mai la mia manifestazione. 

La spettacolarizzazione e la volgarizzazione del vino la lascio volentieri ad altri. Attenti però, Dagospia è in agguato per cui tutti in posa per il prossimo Cafonal!

Fonte: Dagospia

Un Ferrari, inatteso, a Natale...

Natale mi ha portato una sorpresa, di quelle inaspettate e, pertanto, di quelle più gradite. No, non si tratta dell'ultima annata di La Tache, ma di una etichetta minore, di quelle che 99 persone su 100 avrebbero buttato via tanto tempo fa.

Di che vino si tratta? Prima il prologo! 
Non mi ricordo esattamente il giorno ma a Stefania serviva un vino bianco per sfumare della carne che stava cucinando.

Mi chiede:"Non ne abbiamo così tanti ma, ti prego, cerca in cantina qualche vino da poco che mi possa essere utile in cucina".

Le dico:"No, non serve che vada in cantina, ti porto quella boccia là che tanto...."

Mezza impolverata, riposta da chissà quanto tempo sopra un davanzale assieme ad altri presunti cadaveri enologici, era la classica bottiglia di spumante che non ricordi nemmeno come hai avuto, magari sarà stata inserita in qualche pacco natalizio aziendale, prima della crisi ne giravano tanti.

"Non mi guardare così Stefy, lo so, non è un bianco fermo, magari non sarà l'ideale ma questo passa il convento, altrimenti scendo e vado di Tavernello...."


Guardo la bottiglia e leggo la dicitura SBOCCATURA 2005. Caspita, da quanto tempo è qui? Elimino la capsula e la gabbietta. Comincio a muovere il tappo, convinto che l'anidride carbonica rimasta sia minima. Non mi aspetto il classico "botto" ed invece lo schioppo è secco, rumoroso, il gatto vicino a me fa un salto guardandomi con odio. Non è il solo.


"Scusa, pensavo fosse sgasato....Per curiosità, mi passi un calice?"

Col sorriso da beone di chi crede di saperla lunga, verso il vino nel bicchiere e, prima sorpresa, la spuma c'è ed è viva e cremosa. Ah, però...

Il colore del vino, come da foto, è bellissimo, un giallo dorato intenso che fa molto birra artigianale. Cominciano a cadere alcune certezze. Dai, mi dico, non può essere.

Metto il naso nel bicchiere e, sorpresa, il vino c'è. Eccome se c'è. Il corredo olfattivo è da grande spumante invecchiato. C'è tanto miele, poi sentori di mela cotogna, zenzero, albiccocca secca, burro, crema pasticcera. Ok, non ci sono le sfumature dei grandi metodo classico però, cavolo, questo è un Ferrari Brut base. L'ho detto! Quello che compri al supermercato per 10 euro e che mai e poi mai penseresti possa avere così lunga vita.


Anche al sorso, nonostante denunci una ossidazione abbastanza spinta, è ancora vivace, intenso, con un perlage fine ed una beva piacevolissima. 

Anche Stefy non ci credeva, e visto che eravamo tanto "scettici", abbiamo finito la bottiglia in un attimo con tanti saluti alla carne che, per questa volta, non è stata sfumata. 

Consiglio del giorno: mai fidarsi delle apparenze e tenere sempre una vino bianco per cucinare di scorta!

Il Petit Beaufort Brut Millésime 2010 del Domaine Alice Beaufort. Grande Champagne? No, grande Borgogna!

Difficile se non impossibile non occuparsi di vino quando hai un cognome come Beaufort e sei sposata con uno dei figli del più carismatico ed alternativo vignaiolo della Champagne. 

Alice e Quentin Beaufort, terzo figlio del grande Jacques, hanno coronato il loro sogno d'amore quando, nel 2007, gli venne offerta una piccola vigna di un ettaro e mezzo a due passi dal confine della Champagne e dagli storici vigneti di Polisy che distano circa 20 km in linea d'aria.

Quentin ed Alice Beaufort

Siamo in Borgogna, ai limiti della Côte d'Or, ma ad Alice e Quentin la cosa non spaventa, anzi, sono felici di lavorare all'interno di una legislazione più flessibile rispetto a quella dello Champagne ma, al tempo stesso, sono anche consapevoli che quella piccola vigna che hanno acquisito, e che oggi si è estesa raggiungendo circa 9 ha, ha un grandissimo potenziale visto che si trova all'interno di un terroir identico a Polisy, soprattutto geologicamente.

Perchè non sfruttare l'occasione per produrre, non una grande Champagne, ma un ottimo Crémant de Bourgogne?

In vigna, ovviamente, si seguono i metodi e le esperienze di casa Beaufort che prevedono la messa al bando della chimica e il solo uso di trattamenti basati su oli essenziali, aromaterapia e rame il cui impiego, così scrivono sul sito, è circa la metà di quello previsto dal disciplinare biologico.  

Anche la vinificazione segue la via della naturalità: nessun uso di lieviti selezionati, batteri o enzimi, nessuna pratica di zuccheraggio, acidificazione, filtrazione e nessun controllo della temperatura. Il freddo si avrà di inverno e il caldo d'estate. Viene usato solo pochissimo zolfo. 

La fermentazione avviene in botti di rovere di almeno tre anni. Dopo aver svolto la malolattica, il vino viene imbottigliato in estate, generalmente ad Agosto, per permettergli di eseguire la seconda fermentazione a cui segue sempre un dégorgement "à la volée". 

Fatta questa opportuna premessa che ben inquadra il contesto in cui il vino "effervescente" è prodotto, devo ammettere che Le Petit Beaufort Brut Millésime 2010 (75% pinot nero e 25% chardonnay) che ho bevuto da Remigio mi ha davvero sorpreso, ovviamente in positivo.


Il vino ha un perlage fine e persistente e presenta un profilo olfattivo inizialmente duro che son certo farà storcere il naso a quelli che.......lo champagne è più elegante. Qua, in effetti, la mineralità è prorompente, ti arriva come uno schiaffo all'improvviso e, mentre cerchi di capire cosa è accaduto, l'odore di sale ti entra nelle narici e, anzichè in Borgogna, se chiudi gli occhi pensi di essere sulla battigia della tua spiaggia preferita. 

Tutto qua? Accidenti no! Infatti, quando presupponi che, nonostante tutto, il tuo Crémant de Bourgogne sia buono ma un pò troppo monotematico, arriva la frutta, pera e pesca bianca su tutte, a rendere il quadro aromatico inaspettatamente complesso smorzando certe rusticità che, col tempo, vengono ulterioremente affinate grazie all'emergere di sentori di zenzero, terra bagnata, agrumi e karkadè. 

In bocca è coerente, affilato, la nota salmastra che lascia dopo averlo degludito mi fa ritornare in mente quando da piccolo, col mio solito mal di gola, mia mamma mi faceva fare gli sciacqui con acqua e sale.
La cremosità del vino arriva dopo, come un onda, ad equilibrare il tutto e a farmi ritornare dal passato. 


Alice nel sito del suo Domaine si scusa del fatto che vende vini troppo giovani. Parole che sono una garanzia di onestà e qualità. Se passate da Remigio cercate di comprare una bottiglia in più, una ve la bevete con Stefano e Alessandro, l'altra mettetela in cantina accanto ai veri Champagne. Vedrete che....