InvecchiatIGP: Santa Sofia - Igt Rosso del Veronese “Arlèo” 2002


di Lorenzo Colombo

Santa Sofia è un’azienda storica della Valpolicella, vanta infatti oltre due secoli di storia essendo stata fondata nel 1811. Di proprietà della famiglia Begnoni è situata a San Pietro in Cariano, in frazione Pedemonte e dispone di 90 ettari di vigneti dai quali ricava annualmente 650.000 bottiglie. Sul sito aziendale, nella scheda tecnica di questo vino troviamo “Prodotto con uva Corvina, Corvinone, Rondinella ed altre varietà a bacca rossa provenienti da vigneti collinari e sassosi situati nel comune di Verona. La resa è di 30 ettolitri/ettaro, vinificazione in acciaio con macerazione di 15 giorni, affinamento per 36 mesi in botti di rovere di Slavonia da 20-30 hl e tonneaux da 500 litri di rovere francese. Sosta di almeno 6 mesi in bottiglia”.


Ebbene, quello che abbiamo assaggiato (bevuto) noi è un altro vino. Nella sua retro-etichetta troviamo infatti scritto “Vino esclusivo di nostra produzione, da uve Corvina, Cabernet sauvignon e Merlot, affinato in piccole botti di rovere di Slavonia”.

Ma com’era questo vino? Buonissimo!

L’annata 2002 è unanimemente considerata una delle peggiori di inizio secolo, con un clima caratterizzato da una notevole piovosità che ha messo a dura prova i vignaioli costretti a ridurre significativamente le loro produzioni per cercare di ridurre al minimo i danni. Si salvarono Sicilia e Valtellina, dove si ottennero vini dalla notevole qualità. Ma, assaggiando nel corso degli anni molti vini di quell’annata ci siamo accorti che la realtà era ben diversa, con vini certamente non potenti ma spesso caratterizzati da una notevole eleganza.


Anche sulla loro tenuta nel tempo, allora considerata breve, ci siamo dovuti ricredere, non in tutti i casi ovviamente, ma l’ultima conferma l’abbiamo avuta da questo vino, degustato per la rubrica del sabato InvecchiatIGP. Qualche difficoltà l’abbiamo avuta all’apertura, con il tappo che si è spezzato a metà e, non essendo riusciti ad estrarlo completamente abbiamo dovuto spingerlo all’interno della bottiglia e di conseguenza filtrare poi il vino che, curiosamente, non presentava alcun sedimento.


Bellissimo il suo colore, granato profondo, vivo e luminoso, con unghia tendente leggermente all’aranciato. Buona l’intensità olfattiva, ampio ed elegante, si colgono sentori di frutto dolce, prugne mature, anche in confettura, cioccolato, vaniglia, note balsamiche e mentolate, leggeri accenni di radici, pepe, tabacco, caffè. Intenso al palato, strutturato, con tannino ancora vivo, sentori di cioccolato amaro, prugne e ciliegie mature, accenni d’amaro alle erbe, note di rabarbaro, leggeri accenni piccanti, chiude lunghissimo su note di caffè amaro e con ricordi di Pocket Coffee. Un vino godibilissimo che non dimostra assolutamente la sua età, a bottiglia coperta gli avremmo dato cinque/sei anni.

Quaquarini - Provincia di Pavia IGT Ughetta di Canneto 2023


di Lorenzo Colombo

Ughetta è sinonimo di Vespolina, vitigno piuttosto raro, diffuso in Oltrepò Pavese e nel nord Piemonte ed utilizzato principalmente in combinazione con altri vitigni.


Qui Umberto Quaquarini lo utilizza in purezza ed il risultato non è affatto male ricavandone un vino speziato e dalla piacevole beva.

Primo Franco e la rivoluzione del Prosecco


di Lorenzo Colombo

Lo scorso 15 settembre abbiamo partecipato, presso l’Enoluogo di Milano, a una degustazione di nuove e vecchie annate dei vini dell’azienda Nino Franco.
A condurre l’evento: Primo Franco, la figlia Silvia e Alessandro Torcoli, direttore di Civiltà del Bere.

Franco e Torcoli

L’eredità familiare e il percorso del Prosecco

Primo Franco rappresenta la terza generazione di un’azienda fondata nel 1919 dal nonno Antonio, mercante di vini. Fu il padre Nino a dare il nome alla cantina e ad avviare la produzione di spumanti. Negli anni, il Prosecco è passato da vino locale a sinonimo internazionale di spumante. Nel 2024 sono state prodotte quasi 800 milioni di bottiglie tra Prosecco Doc, Asolo Prosecco Docg e Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg (dati Valoritalia).
Il punto di svolta è arrivato nel 2009, quando il vitigno Prosecco ha assunto il nome di Glera e i disciplinari sono stati rivisti: il Prosecco è diventato Doc, mentre Asolo Prosecco e Conegliano Valdobbiadene sono stati elevati a Docg.

La storia personale di Primo Franco

- 1967: diploma alla Scuola Enologica di Conegliano
- 1971: ingresso in azienda accanto al padre
- Anni ’70: presenta i vini alla Fiera Campionaria di Milano
- Anni ’80: viaggia negli Stati Uniti, imponendo il Prosecco come stile di vita

Oggi l’azienda produce circa 800 mila bottiglie l’anno, il 70% destinate all’estero (di cui metà negli USA).

Primo Franco
I vini degustati

Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg Rustico Brut

Colore: paglierino scarico
Naso: fresco, pulito, note di lieviti, pera Williams, pesca bianca
Bocca: fresca, succosa, sapida, lunga persistenza
👉 Prototipo ideale di Prosecco di Valdobbiadene

Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg Vigneto della Riva di San Floriano 2024

Uve da vigneto singolo a Valdobbiadene (suoli calcarei, selce e argilla)
Colore: verdolino
Naso: elegante, fine, pesca bianca
Bocca: fresca, succosa, buona vena acida
👉 Molto apprezzato all’olfatto


Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg Nodi Extra Brut 2023 (anteprima)

Uve: parcella Col del Vent
Nome: “Nodi” richiama sia le nodosità dei ceppi sia l’unità di misura del vento
Colore: verdolino
Naso: frutta a polpa bianca
Bocca: intensa, sapida, pesca bianca e gialla, leggere note piccanti
👉 Più energico rispetto al San Floriano

VSQ Grave di Stecca Brut

Vigneto chiuso da mura, citato sulle mappe napoleoniche (270 m slm, suoli calcarei e ghiaiosi)

2018 – Paglierino, frutta gialla, pera matura, cremoso e sapido
2014 – Fresco, verticale, frutta fresca, sorprendente giovinezza
2010 – Dorato, sentori ossidativi piacevoli, mela matura, struttura cremosa

Primo Franco Dry

Vino simbolo voluto da Primo, con prima annata nel 1983. Uve dai vigneti più alti (366 m slm).

2024 – Verdolino, intenso, pera, mela, pesca bianca; succoso e morbido
2003 – Oro intenso, freschezza sorprendente, accenni ossidativi piacevoli
1992 – Oro antico, caramella d’orzo, pesca gialla matura; vino affascinante e persistente

Prosecco Doc Grave di Stecca Vendemmia Tardiva Abboccato 1991

Colore: oro luminoso
Naso: canditi e zenzero
Bocca: strutturato, persistente, note di albicocca e zenzero

Champagne Experience 2025 debutta a Bologna: tutto pronto per l’ottava edizione


È partito il countdown per la VIII edizione di Champagne Experience, manifestazione di riferimento in Italia dedicata allo Champagne, in programma per la prima volta a Bologna domenica 5 e lunedì 6 ottobre, organizzata da Excellence SIDI, realtà composta da ventuno tra i maggiori importatori e distributori italiani di vini e distillati di alta qualità.


La prima edizione nella città delle Due Torri sarà ospitata al padiglione 15 di BolognaFiere. L’evento è stato presentato questa mattina presso la sede di Confcommercio Ascom Bologna.
All’incontro hanno partecipato Luca Cuzziol (presidente Excellence SIDI), Daniele Ara (assessore Comune di Bologna), Pietro Pellegrini (vicepresidente Excellence SIDI), Gianpiero Calzolari (presidente BolognaFiere) e Giancarlo Tonelli (direttore Confcommercio-Ascom), insieme al CdA di Excellence SIDI: Andrea Montanaro, Leonardo Sagna e Alessandro Sarzi Amadé.

L’edizione 2025, che a meno di due settimane dal taglio del nastro, segna un incremento del 20% nelle vendite di biglietti rispetto all’edizione precedente, avrà un’attenzione ancora maggiore al mondo Ho.Re.Ca. con un’offerta costruita su misura per i professionisti del settore. Già da qualche settimana, infatti, è in corso una rassegna fuori salone con contenuti e iniziative in avvicinamento a Champagne Experience, pensati per la ristorazione, l’hotellerie e il catering di alto livello.

Mancano gli ultimi dettagli e saremo pronti ad accogliere i numerosi professionisti e appassionati già accreditati - ha affermato Luca Cuzziol, presidente di Excellence SIDI. Il passaggio da Modena a Bologna rappresenta un’evoluzione naturale per un evento in costante crescita, sempre più centrale per il settore Ho.Re.Ca. La nuova sede, facilmente raggiungibile e ben strutturata, ci permette di offrire un’esperienza ancora più funzionale e accogliente. Grande attesa anche per le master class, che tornano come momento formativo di punta dell’evento: “I posti sono quasi esauriti, a conferma del forte interesse verso contenuti di qualità e relatori di alto livello,” ha concluso Cuzziol.

Anche questa edizione offrirà un’occasione unica per approfondire la conoscenza del mondo dello champagne grazie alla presenza di poco più di 700 etichette in degustazione in rappresentanza di 145 realtà produttive suddivise tra storiche Maison e piccoli vigneron. I banchi d’assaggio saranno suddivisi come di consueto in base all’area geografica, corrispondente alle diverse zone di produzione della Champagne – Montagne de Reims, Vallée de la Marne, Côte des Blancs, Côte des Bar– oltre alle “maison classiche” che invece saranno riunite in una specifica area.
A partire da questa edizione, inoltre, si potranno degustare le nobili bollicine francesi nel calice ufficiale di Champagne Experience, appositamente serigrafato.

In apertura, Giancarlo Tonelli, direttore Generale Confcommercio Ascom Bologna, ha fatto gli onori di casa: "Siamo lieti di ospitare la presentazione di questa importante manifestazione Champagne Experience 2025, per la prima volta a Bologna, il più grande evento italiano dedicato allo Champagne, organizzato da Excellence SIDI. La valorizzazione e la promozione delle nostre eccellenze enologiche nel mondo, attraverso un nuovo appuntamento fieristico, conferma l'importanza di questo polo di riferimento e di confronto per le realtà commerciali, gli appassionati e i professionisti di un settore italiano in forte crescita”.

“Siamo orgogliosi di ospitare a BolognaFiere Champagne Experience 2025, il più grande evento italiano dedicato allo Champagne, con 700 etichette in degustazione. Questa manifestazione –ha dichiarato Gianpiero Calzolari, presidente di BolognaFiere - rafforza il ruolo del nostro quartiere fieristico come piattaforma internazionale del vino e dell’agroalimentare. Bologna si conferma così punto di riferimento degli eventi del food&beverage di qualità, capace di attrarre operatori, appassionati e un pubblico internazionale, generando valore per le imprese e per il territorio”.

“Salutiamo con piacere l’arrivo di Champagne Experience a Bologna. Questa manifestazione – ha dichiarato Daniele Ara, assessore Comune di Bologna - non solo conferma il ruolo centrale della città nel sistema fieristico, ma offre anche l’opportunità di far incontrare il nostro sistema agroalimentare emiliano con pubblici professionali di alto livello, in un virtuoso incontro e confronto con i cugini d’oltralpe. Senza dimenticare che i pubblici che visiteranno la manifestazione rappresenteranno una ulteriore occasione per la ristorazione di Bologna di farsi apprezzare da una clientela capace di riconoscere la qualità della proposta di cucina che la nostra città sa esprimere”.

Anche per l’ottava edizione, Champagne Experience proporrà un ricco programma di master class di alto livello, curate da professionisti del settore che consentiranno di approfondire le peculiarità del terroir champenois. A guidare i partecipanti quest’anno saranno il sommelier Luca Boccoli, divulgatore, formatore e selezionatore di vini, e Alberto Lupetti, giornalista professionista e tra i massimi esperti di Champagne. 

Si parte domenica 5 ottobre, alle 12.30, con “Oltre i colori, Champagne al buio”, una degustazione condotta da Luca Boccoli, già sold out. Seguirà, alle 14.00, “I grandi formati”, guidata da Alberto Lupetti, che proporrà un confronto tra Champagne in magnum e in jéroboam.

Lunedì 6 ottobre, alle 12.30, si terrà “Spécial Club: è veramente speciale?”, con degustazione abbinata al caviale Calvisius Tradition Royal. Alle 14.00, ancora con Lupetti, la master class “Dal Bianco al Rosa”, dedicata alla filosofia produttiva di alcune grandi maison. Completano il calendario degli approfondimenti le sponsor class, organizzate dai partner di Champagne Experience, dedicate non solo allo Champagne, ma anche a prodotti d’eccellenza del territorio emiliano. Questi eventi sono realizzati in collaborazione con il Consorzio del Formaggio Parmigiano Reggiano, il Consorzio Tutela Lambrusco e Champagne de Vignerons.

È possibile acquistare i biglietti per l’ingresso e quelli per l’accesso alle masterclass, solo ed esclusivamente sul sito ufficiale della manifestazione: www.champagneexperience.it.

InvecchiatIGP: Cantina di Terlano - Nova Domus Riserva 1998


di Stefano Tesi

Prima dell’assaggio ho fatto un breve calcolo: per fare i tempo a gustarmi una delle mathusalem di Vorberg Riserva Pinot Bianco del 2022, di Quarz Sauvignon Blanc 2023 e soprattutto di Nova Domus Riserva 2022 - i nuovi grandi formati presentati a Firenze giorni fa dalla Cantina di Terlano – ma della stessa età del Nova Domus Riserva 1998 degustato nella medesima occasione, in formato normale però, dovrei trasformarmi in un novello Matusalemme o puntare a divenire un arzillo ultranovantenne. Cosa senza dubbio auspicabile, ma piuttosto improbabile.


Oggi quindi dovrò limitarmi a parlare dell’ultimo vino che ho menzionato, quello dell’annata 1998. E scusate se è poco, visto che appartiene al “Club dei 27”: ha cioè la stessa età di Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison e Brian Jones quando sono morti. Solo che lui è vivo e vegeto. Il Terlaner, come ha ben raccontato Klaus Gasser, lo storico direttore commerciale della cantina, è “il” vino di Terlano per antonomasia, frutto di una ricetta che prevede in media il 30% di Chardonnay, il 60% di Pinot bianco e il 10% di Sauvignon blanc ed è “espressione del territorio, non delle varietà che lo compongono”. La vendemmia ’98 fu l’esito di un’annata nel complesso temperata, con primavera mite, un’estate calda con piogge regolari e un settembre fresco, che garantirono uve sane, buona acidità e ottimo sviluppo aromatico. Il vino fu uno degli ultimi della cantina a fermentare interamente in barrique, poi fece un anno sui lieviti fini e subì l’assemblaggio sei mesi prima dell’imbottigliamento.


E’ stato un assaggio di grande fascino, che ha mantenuto le non poche aspettative.
All’occhio questo Terlaner è di colore oro giallo e carico, quasi cupo. Al naso affiora ancora un po’ di vaniglia, che presto però lascia il posto a note dense, evolute e quasi cremose di nocciola, sasso bagnato, polvere da sparo. Al palato si apre con grande eleganza e profondità, in una finezza stuzzicante e lunghissima, lasciando in bocca una sensazione mista di reminiscenze e di pulizia.


Nel complesso, insomma, un’ottima bevuta e una confortante conferma. Per la mathusalem del 2022 citofonare nel 2049.

San Donatino - Chianti Classico "Poggio ai Mori" 2021


di Stefano Tesi

Sarò banale e pure un po’ retorico, il gioco di parole sarà risaputo, ma questo è davvero quanto di più classico, nel senso antico del termine, ci si possa aspettare da un Chianti Classico: diretto, agile, profumato, profondo, sapido, godibile e suadente.


Sangiovese 100% fatto in cemento e acciaio.

Il coraggio oltre l’eroismo: viaggio tra i vigneti estremi della Val di Cembra


di Stefano Tesi

Sarò impopolare, ma oggi si abusa un po’ troppo del concetto di eroe e dell’aggettivo “eroico”. Per chi è cresciuto tra le suggestioni omeriche, gli eroi sono altri da quelli che popolano i social e i giornali: semidei con la testa nel mondo e i piedi nel mito. Per parlare di vino mi piacciono di più il concetto di coraggio e l’immagine dei coraggiosi. Che, sì, forse sono un po’ sotto il livello degli eroi, ma sono anche molto più umani e, in fin dei conti, tangibili. E perciò si misurano con imprese più a portata d’uomo come, appunto, fare il vino.


Ci ripensavo quest’estate, discendendo da Giovo, lungo scale vertiginose, i perigliosi terrazzamenti della Val di Cembra all’inseguimento di Paolo Piffer – vignaiolo radicale, ma per l’occasione metà vignaiolo e metà chaperon – che mi guidava tra i filari spiegandomi i segreti del “mosaico vitato” cembrano, di cui la Cantina sociale di Cembra (non a caso autobattezzatasi “Cantina di montagna”) rappresenta parte cospicua. Due numeri in croce posso aiutare a mettere a fuoco il concetto: trecento soci per trecento ettari, tutti tra i 500 e i 900 metri di quota, spezzettati in prese di mediamente mezzo ettaro, con un fabbisogno annuo di lavoro di 900 ore, in pratica il triplo che in pianura, e con pendenze anche del 40%, dove l’uva viene trasportata a spalla nei “congiàl” (cioè le bigonce). Una faticaccia, nonostante le rese varino dai 40 q.li del Pinot nero ai 65 q.li del resto (Müller Thurgau, Chardonnay, Riesling). Il tutto letteralmente “retto” da almeno 700 chilometri di muretti a secco, fatti a mano, si capisce. Roba per gente coraggiosa, appunto.


In un contesto del genere e in un mondo del vino globalizzato, anni fa da queste parti si era arrivati a un punto in cui l’unica strada per sopravvivere era scegliere la qualità, racconta l‘enologo Stefano Rossi, cembrano di nascita e in azienda dal 2011. “Ci ha aiutato l’esperienza: nel tempo sono emerse infatti alcune particelle particolarmente “fortunate”, individuate dalla cantina attraverso l’osservazione quotidiana”, racconta. “Sono questi vigneti che vanno ad arricchire la complessità del Müller Thurgau, del Riesling, dello Chardonnay e del Pinot Nero della collezione aziendale. Stagione dopo stagione, il carattere di questi appezzamenti è stato sempre più evidente”, continua. “Abbiamo preso confidenza con loro e ci siamo convinti che siano i valori aggiunti per l’identità dell’intera valle”. Da qui l’idea di considerarli come un unico “cru di eccellenza” e farne una linea ad hoc, con cinque vini monovitigno e una cuvèè (“Zymbra”, dall’antico nome della valle).


Vi assicuro, però, che una cosa è parlarne davanti a un bicchiere di Oro Rosso, il Trento doc riserva pas dosè millesimato della Cantina, o seduti a una scrivania col block notes di fronte, un’altra è farlo sotto il sole a picco, con le gambe indolenzite, i polmoni che pompano aria pulita, gli occhi persi nel panorama montano e le pergole trentine che stormiscono intorno, accarezzate, o almeno ti piace illuderti che proprio in quel momento siano accarezzate, dall’Ora del Garda, il vento del sud indispensabile a Cembra per asciugare il clima valligiano. E mentre tu, impossibilitato a scrivere per via del cammino, tenti di mandare a memoria informazioni e suggestioni, croce e delizia di ogni giornalista in movimento, l’implacabile Paolo Piffer prosegue la discesa lungo l’erta che conduce proprio alla sua vigna, raccontando della tradizione familiare portata avanti, da lui e dalla fidanzata come da tantissimi altri in valle. Poi, a un certo punto, devia dalla massima pendenza s’addentra in una specie di vialetto nascosto dalla vegetazione. In fondo al quale si apre qualcosa che somiglia a una grotta, chiusa da un portone rabberciato. 

Lo apre. 

Sembra l’antro di Polifemo. E noi – non certo come eroi omerici e nemmeno come uomini coraggiosi, ma spinti dalla curiosità – entriamo. Dentro di ciclopico non c’è nulla, salvo un paio di botti che, per essere trasportate lì, devono aver richiesto uno sforzo davvero ciclopico. Ci sono invece un focolare, una branda, una lanterna, un po’ di attrezzi, aria umida e tante ragnatele. “E’ la mia cantina di riserva”, spiega Piffer, “quando non ce la facciamo a portare tutta l’uva nella cantina vera, ci arrangiamo qui”.


Della questione, del coraggio e naturalmente dei vini discetteremo qualche ora dopo, placidamente assisi sulla riva del Lago Santo (una delle patrie del curling italiano, correva l’anno 1972), con un bicchiere di Riesling 2018 versato da una magnum, un calice di Pinot nero, un altro di Muller Thurgau e un pezzo di treccia mochena (crema pasticcera e marmellata di mirtilli) pronta da addentare.

We can be heroes (just for one day).

InvecchiatIGP: Silvia Imparato, la signora in rosso, e i suoi gioielli: Montevetrano 1993 e 1999


di Luciano Pignataro

Col passare delle stagioni, il vino diventa racconto autentico, liberandosi come una farfalla dal bozzolo delle narrazioni costruite dagli uffici stampa e dalle ossessive note tecniche che ne accompagnano la nascita. Se è vero che le abitudini stanno cambiando, uno dei grandi meriti della rivoluzione enologica italiana post-metanolo è proprio la capacità di sfidare il tempo, attraversare i decenni e riempire il calice di sensazioni e ricordi. Soprattutto quando l’allungo diventa sorprendente.
Ed è in quel momento che cambia anche il modo di bere. Mi ritrovo sotto il porticato della casa di Silvia Imparato, esattamente trent’anni dopo la mia prima visita. Allora era reduce dallo strabiliante punteggio assegnato da Parker al suo 1993, che fu il surf con cui cavalcò l’onda trionfale del vino italiano di quegli anni. Un’epoca che accomuna tutti noi: ancora con la macchina da scrivere, affascinati dai primi fischi dei collegamenti internet e circondati dai cascioni ingombri di fogli e appunti sparsi nei cassetti.


Una cena di fine estate, c’è la figlia Gaia che è tornata alla base dopo il lockdown, Bruno De Conciliis e signora, la loro figlia Marta e guest star, mia sorella Paola. Penso, mentre Silvia prepara uno spaghetto con aglio, olio e capperi, a quanta gente straordinaria è arrivata sul dosso di questa collina per provare il suo vino, pensato con Riccardo Cotarella quasi per gioco in una Campania che all’epoca, a parte Mastroberardino, D’Ambra e Moio, non aveva etichette da giocarsi nelle conversazioni degli appassionati.


Fu questo il primo miracolo della “signora in rosso” come facilmente titolai sul Mattino quella prima intervista. La serata scorre velocemente, da buoni meridionali, non abbiamo in conto sveglie l’indomani mattina e anche se le avessimo, mai sostituiremmo il sonno alla compagnia. Quello si recupera, i rapporti umani regalano invece momenti unici e irripetibili, come il sorso delle due annate iconiche che Silvia e Gaia hanno scelto per questa cenetta: il 1993, e a questo punto avete anche capito perché, e la 1999 che, ricorderete, è stata una annata di Montevetrano come per quasi tutti i rossi italiani, eccezionale, forse l’ultima vera grande vendemmia prima di quelle del global warming.


I due vini vengono versati contemporaneamente ed ecco che così si ristabilisce un rapporto diretto, immediato, che non è mai il risultato della semplificazione, ma delle complicazioni risolte grazie allo studio e magari anche grazie a qualche intuizione fortunata. Non avevo dubbi, ricordo che parliamo di merlot, cabernet sauvignon e solo successivamente un po’ di aglianico, sulla tenuta del vino, ma non me lo aspettavo così buono. Per certi versi il più vecchietto, 32 anni ormai, addirittura più arzillo e scattante del 1999, annata perfetta e compiuta. Esiste in realtà anche il 1992 e perfino un 1991 non etichettato, davvero una vendemmia fatta fra amici tra cui alcuni della banda del Goccetto di Roma. Ma per convenzione comune l’avventura parte proprio nel 1993 con l’apertura di un ciclo che adesso si trova ad uno snodo particolare ma di cui ci sarà altra sede e occasione per approfondire. Era epoca di sostanza, quando si iniziava a fare vino non si parlava delle pratiche del nonno e del bisnonno, ma si aveva come riferimento sempre il top, valeva per Antinori con il Tignanello come per il Montevetrano che allora iniziava la sua storia.


La 1993 bevuta fra amici, discorrendo di haters, Gaza, letture con il giusto pizzico di pettegolezzi, conferma comunque che Belzebù Parker di vino ci capiva, e ci capisce, se il bicchiere realizzato da Belzebù Cotarella è ancora perfetto, ancora con spunti di frutta, nota fumè appena marcata, fresco e pieno al palato, commiato finale interminabile che impone la voglia di proseguire. Queste serate mi convincono sempre più che per fare qualcosa di significativo oggi bisogna rallentare mentre tutti corrono, avere mistero invece di raccontare tutto in qualche reel scosciato o assertivo al servizio dell’algoritmo. Perché il nocciolo del problema non è fare prima e farsi ascoltare da quante più persone possibile, l’artigiano deve prendersi il tempo giusto e parlare agli interlocutori capaci di capire il suo lavoro.


Il 1999 appare a questo punto un contemporaneo, come è detto, addirittura meno vibrante del precedente, ma comunque vivo, in perfetta forma, lungo, fantastico.
Bisognerà riflettere nuovamente su questi vini degli anni ’90, capire perché adesso conservano un fascino poi dimenticato nell’era del web. Sono le due, i bicchieri sono vuoti. Lasciamo la collina che ha raccontato questa fiaba per oltre tre decenni a tutto il mondo illuminati dalla luna, appagati, felici di aver vissuto e di poterlo ancora raccontare.

Sertura - Taurasi DOCG 2012


di Luciano Pignataro

Agronomo dal 1992, Giancarlo Barbieri ha creato un’azienda che ha nel Greco la sua anima. 


Il suo Taurasi bevuto in Magnum ha però giocato un ruolo magnifico in abbaiamento alla solida cucina contadina cilentana in un pranzo estivo. Frutto integro e in equilibrio con il legno, ancora fresco, lungo nel finale, buonissimo.

Cantine Lipari - IGP Terre Siciliane "Dròmos Trecento" 2022


di Luciano Pignataro

Non pensiamo di essere snob, ma stavolta possiamo sembrarlo perché parliamo di una produzione di appena 300 bottiglie di un’uva poco conosciuta fuori dall’ambiente, la Nocera. Ma se lo abbiamo scelto per questo turno di Garantito Igp lo facciamo perché è sicuramente di tendenza da più punti di vista. 
Il primo è la scelta di vinificare un vitigno un tempo molto diffuso in provincia di Messina, molto affine alla famiglia dei Nerello, che resiste in ordine sparso in piccoli appezzamenti contadini. Il secondo è che parliamo di piante ad alberello, un allevamento che risponde perfettamente alle problematiche relative al mutamente climatico e alla sempre crescente penuria d’acqua in Sicilia. Il terzo punto da sottolineare è l’uso dell’anfora per la macerazione e la fermentazione prima di mettere il vino a riposare per un anno e mezzo in botti grandi. Infine il prezzo, assolutamente sotto i venti euro posto che lo troviate.
Insomma il Dròmos (il termine archeologico indica il corridoio di accesso alle sepolture antiche) sintetizza quella che è a nostro modesto avviso un insieme di indirizzi adottati da piccoli produttori oltre ad accendere il faro su un’area siciliana ricca di sorprese, così come la dirimpettaia Calabria grecanica con il continuo scambio di vitigni da una parte e dall’altra in attesa del ponte di Salvini.


Ce lo porta un amico, il mitico Marco Contursi, di ritorno dai suoi giri in Sicilia e ne godiamo durante un pranzo estivo cilentano a base di capretto, compreso il soffritto di interiora. Lo produce l’azienda Cantine Lipari a Santa Lucia del Mela in provincia di Messina fondata da Francesco Lipari nel. 2014 in Contrada Timpanara, una collina a circa 350 metri che annuncia i Monti Peloritani guardando Capo Milazzo e le Eolie. Appena tre ettari su suolo calcareo e argilloso dove si allevano tre vitigni a bacca rossa (Nero d’Avola, Nocera e Nerello Cappuccio) e tre a bacca bianca (Grillo, Catarratto e Inzolia). Una adesione convinta al territorio e alle pratiche ambientali non invasive.


Il gusto di bere una chicca è un conto, il risultato nel bicchiere è sicuramente un altro e in questo caso abbiamo deciso di segnalarlo proprio perché il vino appare slanciato e moderno nonostante tutte le premesse arcaiche poste dall’anfora e dall’alberello oltre che dal legno grande. Il colore è rosso rubino vivo a tre anni dalla vendemmia, al palato è fresco, leggermente fruttato ma anche con note di macchia mediterranea (suggestione siciliana?). I tannini sono setosi, il vino ha al tempo stesso vigore ed eleganza, accompagna bene il cibo, disseta grazie alla marcata acidità che rende il sorso veloce con un finale che ricorda la frutta rossa percepita in precedenza al naso e un cenno affumicato. La bottiglia finisce presto e ci siamo detti: lasciamone traccia con il monito di non smettere mai di essere curiosi quando si beve e si scrive di vino.

InvecchiatIGP: Rocca delle Macie - Chianti Classico Sant’Alfonso 1999


di Carlo Macchi

Visto che vivo vicinissimo “mi capita di capitare” a Rocca delle Macie e di pranzare con la famiglia Zingarelli. Pranzo informalissimo, quattro chiacchiere tra amici che hanno condiviso cose bellissime e particolari, come i filmati fatti a partire dal 2010 per far vedere l’andamento fenologico di un vigneto (forse i primi di questa tipologia in Italia) e poi il Progetto Rockea con cui raccogliemmo fondi per portare l’acqua ad una casa-famiglia in Malawi. Insomma, clima rilassatissimo ma a un certo punto arriva la sorpresa: una bottiglia di Chianti Classico Sant’Alfonso, il mio vino preferito tra i molti prodotti dall’azienda. Se poi è del 1999, cioè una delle primissime annate, il momento diventa solenne.


Il vigneto Sant’Alfonso si trova nell’omonima tenuta che fin dall’inizio (1973) fa parte di Rocca delle Macie. Siamo attorno ai 250 metri con un terreno che ha una notevole componente argillosa. Naturalmente si parla di sangiovese 100%, allora da vigne giovanissime Questo vino mi è sempre piaciuto per la sua “trattenuta rusticità” che si traduce in una tannicità viva ma equilibrata. Inoltre, al naso il sangiovese spicca sempre senza orpelli dati dal legno. Fermentazione classica in acciaio e poi botte grande per un anno. Oggi esce molto dopo rispetto al passato, ma specie l’annata 1999 era un vino che entrava in commercio appena possibile, quindi un Chianti Classico d’annata non fatto certo per i lunghi invecchiamenti.


Invece quella bottiglia mi ha fatto capire che quando in Chianti Classico un sangiovese è fatto bene regge benissimo a dieci, venti anni e più. Il colore era granato ma abbastanza brillante, il naso all’inizio era leggermente chiuso ma nell’arco di 10 minuti ha mostrato prima note balsamiche e di tabacco per poi, in un viaggio quasi a ritroso nel tempo, arrivare a note di frutta matura e addirittura di fiori. La bocca era equilibrata con tannini dolci e rotondi: non era certo la potenza l’arma migliore del vino e tuttavia la persistenza era veramente notevole.


Un vino che portava con sé un messaggio: fatelo bene il sangiovese, non stressatelo con vinificazioni e invecchiamenti “hard”, poi ci penserà lui a durare nel tempo.

Gini - Pinot Nero Veneto IGT Campo alle More


di Carlo Macchi

Gini=Soave è un’equazione conosciuta per questo quando uno dei due termini diventa “Pinot Nero” rimani spaesato. 


Invece questo Campo alle More 2021, da vigneti sopra ai 500 metri, è proprio buono: grande frutta di bosco matura al naso, corpo importante e succoso con tannini dolci e avvolgenti.

Parte il countdown per Vinòforum 2025 3.200 etichette in degustazione di 800 cantine, oltre 60 tra chef e maestri pizzaioli per le sette serate a Piazza di Siena


È tutto pronto per le serate di Vinòforum 2025. Piazza di Siena si prepara ad accogliere visitatori, addetti ai lavori, stampa e professionisti del settore in un grande omaggio all'enogastronomia tricolore. Ben 3.200 etichette ai banchi d’assaggio di 800 cantine rappresentative dei territori enologici più interessanti di tutto lo Stivale e oltre 60 tra chef e maestri pizzaioli provenienti da Roma e da tutta Italia saranno i protagonisti di centinaia di appuntamenti che, da lunedì 8 a domenica 14 settembre, porteranno il pubblico alla scoperta delle grandi eccellenze e dei migliori talenti del nostro Paese. Sette serate di grandi degustazioni, esperienze enogastronomiche di altissimo livello, ma anche momenti di formazione con i percorsi di avvicinamento al vino e all’Extravergine, nonché spazi business oriented e incontri sul mondo del digitale. Tutto questo nella cornice di Piazza di Siena nel cuore di Villa Borghese, una location d’eccezione che farà da sfondo unico e suggestivo per questa nuova, attesissima 22esima edizione di Vinòforum.

“Vinòforum 2025 rinnova il concetto di Roma Capitale del Vino e del Cibo, questo perché per sette giorni, Piazza di Siena, cuore della città, sarà palcoscenico di promozione assoluta non solo dei prodotti del territorio, ma di tutta l’eccellenza nazionale, con qualche incursione internazionale - racconta Emiliano De Venuti, organizzatore e CEO di Vinòforum. Siamo felici che Istituzioni, Consorzi ed Enti di Promozione, come la Regione Lazio, l’ARSIAL, la Regione Calabria, l’ARSAC, Unaprol, ma anche la Strada del Barolo e dei grandi Vini di Langa, il Consorzio della Doc Friuli Venezia Giulia e Frascati Docg, vedano in Vinòforum un’importante vetrina di diffusione e comunicazione. Siamo onorati infine di avere, per questa edizione, il sostegno da parte del Ministero delle Politiche Agricole, della Sovranità Alimentare e delle Foreste con l’obiettivo di supportare la valorizzazione enologica e gastronomica nazionale e allo stesso tempo rinnovare al pubblico la candidatura della cucina italiana come patrimonio UNESCO”.

Per questa edizione Vinòforum ha in programma un calendario di appuntamenti unici che spaziano dalle cene esclusive in compagnia di grandi chef, agli incontri con i più importanti nomi del vino e menu interamente dedicati alla tradizione gastronomica di Roma e del Lazio nei Temporary Restaurant. Si parte lunedì 8 con Flavio Pulicati di N’Antro Bistrot e L’Oste della Bon’Ora (Roma) anima e cuore della vera cucina romana, Giuseppe Milana di Giù Upside Down Restaurant (Roma), il connubio perfetto tra tradizione, passione per l’Oriente e le origini siciliane dello chef e Alessandro Bizzotti di JappoRomano (Roma), grande esempio di come cultura romana e nipponica possano dialogare alla perfezione. Martedì 9 si prosegue con Riccardo Ulsi de La Bottega Frascatana (Frascati) con la sua cucina sincera e fortemente legata alla tradizione, Ciro Alberto Cucciniello di Carter Oblio (Roma) con le sue materie prime d’eccellenza e Franklin Garcia di Garden Ristò (Roma) che mixa origini ecuadoriane e una cucina sostenibile fatta di materie prime locali. Mercoledì 10 sarà la volta di Enrico Braghese di Zi’ Rico (Palestrina) con il suo menu tributo ai sapori del territorio, Otello Evangelista di Casa Maggiolina (Roma) con i grandi classici della tradizione e Pietro Adragna di Anni e Bicchieri (Roma) che propone materie prime della cucina romana rivisitate in chiave originale. I protagonisti di giovedì 11 saranno: Daniele Mochi di Cantina Simonetti (Frascati) grande esempio di vera tradizione dei Castelli Romani, Paolo D'Ercole di Scima (Roma) con il suo percorso che passa per i piatti più iconici di varie regioni italiane. A chiudere il trio Marco Di Venere e Federico Compagnucci, i due amici e colleghi del ristorante Mafè Osteria Moderna (Roma) che propongono una cucina creativa dalle influenze moderne.

Venerdì 12 sarà il momento Jacopo Caira di Felice a Testaccio (Roma), una vera e propria istituzione dell’autentica cucina romana, Gianluca Marrella di Osteria Da Francesco (Roma) da oltre 60 anni punto di riferimento per chi ricerca piatti della tradizione fatti a regola d’arte e Pietro De Luca dell’Agriturismo La Collina (Monte Compatri), un’oasi per gli amanti dei prodotti d’eccellenza e dei sapori genuini. Ad aprire il weekend, sabato 13, ci saranno Alessandra Verdile, Federico Pitti e Andrea Verdile di Osteria Della Vittoria, nuova apertura in Prati dai sapori di casa e un’atmosfera accogliente, Daniele Maragnani di Bon's (Roma) e il suo menu che fonde tradizione e contemporaneità e Anthony Morosillo di Caligola Osteria Sincera (Roma) e le sue rivisitazioni dei grandi classici. A chiudere la programmazione dei Temporary Restaurant domenica 14, Marcello Acquarelli e Aldo Serra - Hostaria 100 Celle (Roma), punto di riferimento per la tradizione in uno dei quartieri più identitari della Capitale, Emanuele Mastroianni di Tacito (Roma) e la fusione tra cucina romana e influenze calabresi e, infine, Federico Salvucci di Fase Cucina Spontanea (Roma) con la sua cucina innovativa, attenta all’ambiente e legata al proprio territorio.

Vinòforum 2025 riserva un posto speciale al mondo della pizza, con le cene Pizza d’Autore signature by Molino Casillo che questo anno si arricchiranno anche della parte bakery. Da lunedì 8 a sabato 13 settembre, i maestri dell’arte bianca - pizzaioli e panificatori – provenienti da tutta Italia, si presenteranno al pubblico con menù unici ideati e realizzati a quattro mani. “La presenza a Vinòforum 2025 conferma la filosofia del Molino Casillo che vuole essere un vero partner degli artigiani, supportandoli nella valorizzazione della loro arte e del loro talento.”

In apertura, lunedì 8 Leonardo Lanza di Sfizio (Roma) e Francesco Arena di Arena Mastrofornaio (Messina), a seguire, martedì 9, Gabriele Paradiso di Santini Bistrot (Roma) e Marco Lattanzi de Il Toscano Panificio (Corato). Mercoledì 10 sarà la volta di Ciro Salvo di 50 Kalò (Napoli - Roma) e di Alessandro Albanesi di Panificio Albanesi (Roma), mentre saranno Claudio Abate di Abate Pizzeria Gastronomica (Castel di Sangro), Pasquale Moro (Tecnico Molino Casillo) e Mauro Mari di Panificio Mari (Montefiascone) i protagonisti della serata di giovedì 11. Venerdì 12 toccherà a Gianluigi Di Vincenzo di Giangi Pizzeria (Chieti), Antonio Tancredi di Diametro 3.0 (Casoria) e Melania Guarnieri del Panificio Grammo (Palermo) mentre sabato saliranno sul palco Pier Daniele Seu di Seu Pizza Illuminati e Tac (Roma) e Alessandro Lo Stocco . Tutte le creazioni dei pizzaioli saranno abbinate alla famosa Birra d’Abbazia Leffe nelle varianti Rouge, Blonde, Ritual, Triple, Ambree, alla spina e in bottiglia.

Vinòforum è la grande casa di tutti gli amanti del vino di qualità non solo di quello italiano, ma anche delle grandi eccellenze di molti altri Paesi. Una delle grandi novità di questa edizione 2025 è il calendario di degustazioni interamente dedicato ai vini della Spagna che, come l’Italia, può vantare un patrimonio enologico ricco e variegato, con ben 96 denominazioni di origine e alcune tra le regioni vitivinicole più rinomate al mondo. Il programma, predisposto dall’Ente Turistico Spagnolo, tra cui il Turismo di Aragon e il Turismo della Rioja, vedrà una serie di degustazioni guidate, a partire dalle 19.30 fino a serata inoltrata, che apriranno le porte sulle più importanti etichette dell’enologia spagnola, introdotte dalla presentazione Rutas del Vino de España. Qui il programma.

A firmare tutti i momenti di degustazione sarà Paşabahçe, leader globale nel vetro da tavola, che, con il suo calice “Allegra” accompagnerà wine lovers, espositori ed operatori in un percorso di oltre 3.200 etichette. Design elegante, funzionalità e qualità superiore si uniscono per trasformare ogni degustazione in un’esperienza memorabile. La partecipazione di Paşabahçe a Vinòforum 2025 non è solo una collaborazione tecnica, ma una scelta di valore, volta a sottolineare l’importanza del design e della qualità del vetro nella valorizzazione del vino e dell’esperienza sensoriale.

COLPO D’OCCHIO SU VINÒFORUM

Vinòforum nasce nel 2004 come il primo evento dedicato al vino organizzato nella città di Roma. Da ormai venti anni ospita le maggiori cantine italiane, lasciando sempre più spazio all’abbinamento con l’alta ristorazione. Dal 2018 si conferma, per numeri e per aziende partecipanti, la più grande manifestazione enogastronomica del Centro Sud Italia.

DATE: 8 – 14 settembre

LOCATION: Piazza di Siena (Villa Borghese) – Roma

ORARI: dom – giov 19 – 24 // ven – sab 19 – 01

CENE D’AUTORE E TOP TASTING prenotabili online.

Per info e prenotazioni www.vinoforum.it

Dal vino degli anni ’80 ai social di oggi: consigli (non richiesti) a chi vuole raccontarlo


di Carlo Macchi

Mi sto accorgendo sempre più, anche dalle discussioni sui social, che tra quelli della mia generazione, che hanno provato a fare qualcosa nel mondo del vino 30-40 anni fa, e le giovani generazioni, che da 10-15 anni vi si sono approcciate, c’è quasi un muro, non solo dovuto all’età, ma anche alla mancanza di condivisione (spesso sfociante in gelosia) di quanto noi abbiamo vissuto in quei tempi quasi preistorici del vino e, forse, imparato. Per questo quale occasione migliore di parlarne dalle colonne del Garantito IGP, dove IGP sta per I Giovani Promettenti, tutti colleghi con un’età media che sfiora quella di Matusalemme. Inoltre, anche se è lungi da me la voglia di fare un pippone basato sul “ai miei tempi” non sono sicuro di riuscire nell’intento e quindi mi scuso preventivamente. La morte di Ampelio Bucci è solo, in ordine di tempo, un altro mattone mancante al mondo del vino italiano, iniziato a costruire in maniera ampia e articolata (indegnamente pure da me) nei primi anni ottanta. Prima c’era solo Gino Veronelli che predicava praticamente nel deserto ed è stato in quegli anni, (“Tra Reagan e Gorbaciov”, tanto per restare nel tema del titolo dell’articolo) che sono nate tante cose, tra cui quella che oggi viene chiamata critica enogastronomica italiana.


I miei primi (diciamo anche secondi) anni nel mondo del vino e del cibo sono stati all’interno di un’associazione che allora si chiamava Arcigola e oggi Slow Food. Far parte di un’associazione allora così goduriosamente rivoluzionaria mi è servito tantissimo ed è difficile spiegare come se non ricorrendo a concetti come divertimento, sorpresa, gioia, impegno, conoscenza, soddisfazione, rispetto, amicizia, stupore. Sembrano concetti slegati ma nel momento in cui si uniscono, e questo in Arcigola accadeva spesso, fanno scaturire insegnamenti per il presente e per il futuro. Vi racconto questa: durante i bellissimi anni in Arcigola sono riuscito ad incontrare personaggi incredibili ed uno è stato il grande scrittore spagnolo Manuel Vasquez Montalban, con cui noi arcigolosi di Toscana avevamo creato un legame particolare. Una volta ci disse “Ma voi come avete fatto a ritrovarvi, sembra vi siate cercati ad uno ad uno” e questo, detto da persone che si erano incrociate solo perché vedevano nel cibo e nel vino qualcosa per poter dare una mano agli altri, per me fu il più grande complimento che potessero farci, perché voleva dire che avevamo creato un gruppo dove ognuno era un elemento insostituibile.


Ecco, quando vi sentirete così vorrà dire che siete nel posto giusto. Non so dirvi quanto durerà ma quel momento, breve o lungo che sarà, godetevelo e contribuite a farlo godere agli altri perché sarà sicuramente uno dei più belli della vostra e delle altre vite che vi sono vicine. Scusate questa divagazione, enogastronomica solo in parte, ma se si parla di dare consigli, questo viene proprio dal cuore. Ma andiamo avanti con concetti e consigli che spero abbiano i piedi ben piantati in terra. Non è certo un incoraggiamento ma la vecchia battuta su come farsi un piccolo capitale nel mondo del vino (partendo da un grande capitale…) si adatta perfettamente anche a chi questo mondo l’ha vissuto e/o lo vive dalla parte dell’informazione. In altre parole, di critica enoica non si campa o si campa male, a meno che non si faccia finta di non capire la differenza tra dare una notizia e fare una marchetta. Per questo trovatevi un lavoro che vi permetta di avere libertà di espressione parlando di vino, oppure abituatevi a guadagni che vanno dal platonico al quasi risibile.


Negli anni '80 e '90, anche se c’erano giornali ben fatti sull’enogastronomia, si parlava di vino praticamente tramite le guide, anzi nei primi tempi “la guida”. Eravamo nel periodo che prendere Tre Bicchieri sulla guida del Gambero Rosso e di Slow Food/Arcigola voleva dire vendere tutto il vino nell’arco di un mese e per questo qualsiasi voce taceva di fronte al risultato (o non risultato) numerico. Poi le guide sono diventate 2, poi 3, poi sempre più e mentre aumentava il numero diminuiva la loro incisività sul mercato. Di quegli anni porto con me un insegnamento valido forse più oggi che in passato e cioè quello di non seguire le mode enoiche (o almeno provarci). Ci sono stati anni che se non avessi usato la barrique non saresti stata nessuno e se il vino non avesse saputo di legno non sarebbe stato un grande prodotto: era un errore naturalmente e oggi siamo quasi all’opposto e anche questo non è detto sia un bene. Poi c’è stato il periodo in cui se non avevi chardonnay, merlot e cabernet sauvignon non venivi considerato e oggi siamo all’opposto nuovamente. Poi nei primi anni duemila è partita la rivalutazione a tutti i costi dei vitigni autoctoni, oggi ridimensionata e equilibrata. Insomma, il mondo del vino non va avanti in maniera lineare ma, dovendo creare notizia e interesse, “salta” da una moda all’altra e non è per niente facile mantenere un giusto equilibrio e ragionare con la propria testa.


A proposito, due parole sui punteggi dei vini anche se, sono convinto, sarà uno dei consigli meno seguiti. Negli anni ‘80 e nei primi anni ’90 i punteggi erano molto più bassi non perché i vini fossero peggiori ma sia perché non si vedeva la scala numerica come unica traduttrice del termine qualità sia perché non dovevi “far notizia” dando un punteggio più alto del tuo concorrente. Lo so che oggi, in un mondo dove siamo arrivati anche ai 110/10 parlare di punteggi “normali” è anacronistico e che la qualità media dei vini è salita ma non si possono schiacciare tutti i vini tra 93 e 100 e considerare 90/100 come un voto basso. 

Fino ad ora siamo rimasti su ricordi e consigli ma adesso provo a spingermi oltre: come si fa a parlare di vino? Secondo me per scrivere e parlare di vino servono fondamentalmente due cose:

1. saper scrivere (e averlo fatto) di cose diverse dal vino

2. conoscere il vino e il suo mondo.

Il perché del punto 1 lo spiego subito: sbagliando s’impara e quindi magari è meglio fare errori e perfezionarsi in altri campi per poi dare il meglio nel nostro. Ovviamente non serve essere Verga o Tolstoj (altrimenti non sarei qui) ma avere una discreta conoscenza della grammatica italiana e della sintassi. La stragrande maggioranza di chi ha iniziato a fare il giornalista enoico negli anni ottanta aveva (e ha tuttora, per fortuna) una laurea e questo, specie se vuoi comunicare qualcosa a qualcuno in forma scritta, aiuta. Questo sia che tu sia italiano o inglese, francese, tedesco o di dove ti pare. Giustamente un grande produttore di vino mi ha fatto notare che negli anni ’80 e ’90 i pochi giornalisti del mondo del vino avevano a che fare con un mondo “vergine” e potevano (anche perché erano di solito molto bravi a scrivere) trovare parole adatte e magari indimenticabili per presentare un vino, un personaggio, un’azienda, una famiglia. Oggi giocoforza si ripetono concetti già usati e strausati da altri e quando si cercano strade nuove il rischio è quello di usare frasi astruse, che più che avvicinare allontanano il consumatore dal vino.


Inoltre, vorrei mettervi in guardia da un errore in cui si può cadere: scrivere di vino non è incidere in marmo lettere sempiterne per il genere umano e che serviranno a salvare il pianeta, per questo cercate di prendervi il meno possibile sul serio e, se ci riuscite, siate ironici e ancor meglio, autoironici. Conoscere il vino e il mondo del vino è l’altra faccia della medaglia: per fare questo, oltre ad aver frequentato qualche corso di degustazione per avere i rudimenti di base occorrono due cose: enorme curiosità e un’auto. La prima cosa serve per darvi la voglia di partire, la seconda per farlo realmente, perché non si diventa esperti di vino facendosi portare i vini a casa o partecipando a degustazioni, ma facendosi il culo piatto sulla macchina girando per cantine, conoscendo produttori, territori, vigneti e riuscendo a mettere assieme tutto questo. Dato che gli esami non finiscono mai non esiste il momento in cui uno può smettere di girare, perché ricordatevi sempre che mentre assaggi un vino ne nascono altri mille, specie all’estero. Il bello del mondo del vino è che è infinitamente grande tanto da sembrare infinitamente piccolo, ed essere grandi esperti del territorio X vuol dire solo che non sei esperto del 99.9% del resto del mondo enoico. Anche se può sembrare inutile dirlo visitando territori e cantine occorre guardare, annusare, testare non solo il vino: si deve annusare il vino nel bicchiere e l’aria che tira in vigna, in cantina in casa del produttore, gustare la disponibilità, la sincerità, la conoscenza di chi vi sta di fronte perché fare informazione e giornalismo non è altro che cercare di capire le cose e raccontarle al meglio delle proprie possibilità.

Per adesso mi fermo perché comincio ad essere noioso anche a me stesso, figuriamoci a voi.

Insomma, dopo questo pippone apocalittico

Cosa si può usare oggi degli anni ottanta e novanta? Sicuramente la voglia e la curiosità con cui giravamo per cantine e provavamo a capire quello che stava nascendo e poi è nato. Purtroppo, oggi avete meno fortuna di noi che siamo riusciti ad assaggiare tante cose che oggi si possono permettere solo Elon Musk e compagnia, perché 30 anni fa i prezzi dei grandi vini erano mooooooolto più abbordabili di adesso. Il rovescio della medaglia è che si trovavano con maggiore difficoltà. Per questo mi è venuta voglia, dopo 40 anni di servizio (onorato o meno, non sta a me dirlo) in questo campo allora appena seminato, di snocciolare qualche ricordo per provare a dare qualche consiglio a chi oggi è giovane e ha almeno altri 40 anni davanti per poter dire la sua nel mondo del vino.