La Valtellina di Paolo Balgera


di Lorenzo Colombo

Quella di Paolo Balgera è un’azienda storica, fondata nel 1885 da Pietro Balgera e giunta, con Luca e Matteo, figli di Paolo, alla quinta generazione. Situata a Chiuro l’azienda possiede sei ettari di vigneti in proprietà nel territorio di tre sottozone, Valgella, Sassella e Grumello e s’avvale inoltre delle uve di alcuni conferitori storici. I vini prodotti da Paolo, che ora ha passato la mano al figlio Luca, sono caratterizzati da un lungo affinamento prima della loro messa in commercio.
Sono 50 mila le bottiglie prodotte annualmente, suddivise su una ventina d’etichette, durante la nostra visita in azienda Paolo ce ne ha fatte assaggiare alcune, soffermandosi in particolare sui Valgella.


La degustazione è comunque iniziata con un vino spumante, ultimo nato, ovvero il VSQ Metodo Classico Rosé “Gèra”, prodotto con uve nebbiolo e frutto di una maturazione sui lieviti per 18 – 24 mesi, vino non millesimato ma le cui uve sono tutte dell’annata 2022. Il nome del vino deriva dal suolo dov’è stato messo a dimora il nuovo vigneto dedicato alla sua produzione, caratterizzato da sabbia e piccoli ciottoli, detti localmente “Gèra”. Questo vino, voluto da Luca Balgera, è stato prodotto per la prima volta in un numero limitatissimo di bottiglie con l’annata 2020 e ha visto un affinamento in in bottiglia di ben 40 mesi prima d’essere sboccato, successivamente, con la seconda annata di produzione, la 2022 da noi assaggiata, Luca ha ridotto di parecchio la sosta sui lieviti e contemporaneamente ha moltiplicato il numero di bottiglie prodotte che sono 2.614.


Visto il risultato ottenuto e confortato dai risultati riscontrati sul mercato Luca ha deciso di impiantare, nel 2024, uno specifico vigneto dedicato alla produzione di questo vino e l’ha messo a dimora sulla riva sinistra dell’Adda, ovvero sulla sponda orobica, a 400 metri d’altitudine, di conseguenza è esposto a nord, la sua conduzione è a Guyot e la sua densità d’impianto è di 5.210 ceppi/ettaro.
Il vino si presenta con un color tra il rosa cipria luminoso di buona intensità ed il salmone. Pulito al naso, fresco, di buona verticalità, si colgono sentori di frutti di bosco, fragolina e ciliegia e note d’agrumi maturi. Fresco, sapido, succoso, verticale, tornano alla bocca i sentori di frutti di bosco, bella la vena acida-agrumata, pompelmo rosa, buona la persistenza. Un vino fresco e dalla piacevolissima beva.

Rosso di Valtellina Doc “450” 2018

Nebbiolo in purezza proveniente da un’unica vigna messa a dimora nel 1960, sitata nel comune di Chiuro si trova a 450 metri d’altitudine -da cui il nome del vino- su suolo sabbioso-limoso, l’esposizione è sud-est, sud-ovest.
Le vendemmia s’effettua a fine settembre inizio ottobre e la resa è di 70 q.li/ettaro.
La fermentazione s’effettua in vasche d’acciaio mentre l’affinamento avviene per la prima parte in botti di rovere da cinque ettolitri dove sosta per un anno sulle fecce fini, prosegue quindi per 36 mesi in vasche d’acciaio e per altri 12 mesi in bottiglia. Il suo costo in azienda è di 15 euro. Il colore è rubino-granato di media intensità.


Bello il naso, fresco, pulito, di buona intensità, dove si colgono sentori di frutta rossa fresca, di ciliegia matura, zucchero caramellato ed accenni di vaniglia. Fresco, succoso e asciutto alla bocca, con trama tannica importante e buona vena acida, tornano i sentori di ciliegia con leggeri accenni vanigliati e di cioccolato, lunga la sua persistenza su sentori di radice di liquirizia. Un bell’esempio di Rosso di Valtellina.

I tre Valgella

La Valgella è la più estesa delle cinque sottozone del Valtellina Superiore, i suoi 140 ettari di vigneti s’estendono da poco dopo Chiuro sino a Tresenda con i vigneti di Quigna, le altitudini sono comprese tra i 350 ed i 650 metri s.l.m., la Valgella è caratterizzata dalla presenza di molti piccoli torrenti che localmente prendono il nome di “valgel” da cui il nome della sottozona. Ne vengono prodotte annualmente circa 5.000 bottiglie per ciascuna etichetta.

Valtellina Superiore Valgella Docg “Maferìn” 2020

Nebbiolo in purezza provenienza da un’unica vigna che ha visto la sua messa a dimora in diversi anni: 1960, 2019, 2021, 2022, 2024, situata tra i 375 ed i 400 metri d’altitudine su suolo sabbioso ha una densità d’impianto di 5.210 ceppi/ha ed è allevata a Guyot con disposizione in maggior parte a ritocchino ed in minor misura a giropoggio. La vendemmia s’effettua nella prima settimana d’ottobre e la resa è di 80 q.li/ha. La fermentazione si svolge in vasche d’acciaio tramite lieviti indigeni e il suo affinamento avviene in più fasi, i primi 12 mesi sosta in botti di rovere da tre ettolitri sulle fecce fini, viene quindi travasato sempre in botti da tre ettolitri dove rimane per altri 12 mesi ai quali seguono ulteriori 18 mesi in vasche d’acciaio e 12 mesi in bottiglia. In azienda viene venduto a 25 euro.


Color granato scarico. Bel naso, intenso, pulito, balsamico, con un bel frutto rosso, ciliegia fresca, vaniglia e leggere note mentolate. Asciutto ed al contempo succoso alla bocca, con bella trama tannica, sentori di ciliegia e liquirizia, media la sua persistenza.

Valtellina Superiore Riserva Valgella Docg “Quigna” 2016

Il nome del vino è quello del toponimo che deriva probabilmente dal latino aquinea, ovvero terreni ricchi d’acqua, qui ci sono gli ultimi vigneti ad est della Valgella.
Il vigneto, messo a dimora nel 1960, è situato tra i 430 ed i 470 metri d’altitudine su suolo sabbioso con componente rocciosa, l’esposizione è sud-est ed il sistema d’impianto è a rittochino, condotto a Guyot con densità d’impianto di 4.650 ceppi/ettaro. La vendemmia s’effettua nella prima settimana d’ottobre e la resa è di 65 q.li/ha. La fermentazione si svolge in vasche d’acciaio con lieviti autoctoni, l’affinamento prevede 12 mesi sulle fecce fini in botte di rovere da 5hl seguiti da 36 mesi sempre in botte di rovere da 5hl, 24 mesi in vasche d’acciaio ed infine12 mesi in bottiglia. 35 euro il suo costo in azienda.


Color granato scarico. Bel naso, fresco, pulito, di buona eleganza e complessità, note fruttate di ciliegia fresca, accenni floreali e di menta fresca. Discretamente strutturato, fresco e succoso, con bella trama tannica e buona vena acida, leggerissima nota piccante, buono l’equilibrio complessivo e lunga la persistenza.

Valtellina Superiore Riserva Valgella Docg “Pizaméi”

Altro vino da singolo vigneto, posto tra i 440 ed i 490 metri d’altitudine su suolo sabbioso con presenza di roccia, esposto a sud è completamente posizionato a giropoggio Di questo vino abbiamo potuto degustare ben tre annate assai diverse tra loro, la 2015, annata in commercio e le 2016 e 2017 che stanno completando il loro affinamento in bottiglia. Il prezzo del vino in cantina è di 35 euro.


2015 – Granato non molto intenso, luminoso. Intenso al naso, balsamico, elegante e di buona complessità, frutto rosso maturo, fiori appassiti, radici, vaniglia, cannella, tabacco. Dotato di buona struttura, con tannino importante che ricorda la pellicina di castagne e spiccata vena acida, sentori di rabarbaro e radici, lunga la persistenza.

2016 – Color granato scarico. Pulito al naso, di buona intensità, balsamico e vanigliato presenta un buon frutto, ciliegia matura e accenni di legno dolce e cioccolato. Fresco e succoso, di buona eleganza, tannino bel gestito, buona vena acida, speziato, vanigliato, note d’agrumi, accenni mentolati, lunga la persistenza. Un vino che pare più pronto rispetto al 2015 ora in commercio.

2017 – La gioventù del vino si coglie già dal colore (o forse è dovuto all’annata) rubino-granato di discreta intensità. Intenso al naso, balsamico, presenta sentori di frutta rossa matura, ciliegia e amarena, accenni floreali, note mentolate e leggeri accenni pepati. Succoso e strutturato, con accenni piccanti di pepe, buona la trama tannica e bella la vena acida, sentori di radice di liquirizia sulla lunga persistenza.

Chiudiamo la nostra degustazione con due Sforzati assai diversi tra loro, più tradizionale il primo (e più elegante secondo noi) e più moderno e strutturato il Solstizio.

Sforzato di Valtellina Docg 2009

Le uve, nebbiolo in purezza, provengono da vigneti situati su suolo calcareo ciottoloso, posti tra i 200 ed i 500 metri d’altitudine, sono posizionati a ritocchino ed allevati a Guyot modificato per una produzione di circa 70 q.li/ettaro.
La raccolta delle uve avviene a metà ottobre e la loro spremitura dopo il mese di gennaio dopo un appassimento di qualche mese, dopo la fermentazione alcolica il vino riposa in botti di rovere per tre, quattro anni, segue una sosta in bottiglia per circa sei mesi. 65 euro il suo prezzo in azienda. 


Color granato non molto intenso. Intenso al naso, elegante e complesso, balsamico, mentolato, sentori di cioccolatini After Eight e Mon Cheri. Succoso e strutturato con tannino morbido e setoso, spiccata vena acida, cioccolato alla menta, note d’arancio e di liquirizia, lunghissima la sua persistenza. Un vino dalla notevole qualità.

Sforzato di Valtellina Docg “Solstizio” 2016

I vigneti sono posti tra i 400 ed i 480 metri d’altitudine su suolo sabbioso con presenza di rocce, l’esposizione è sud-est, sud-ovest, la vendemmia s’effettua tra fine settembre ed inizio ottobre e la resa è di 38 q.li/ettaro.
La pigiatura delle uve avviene a fine dicembre dopo qualche mese d’appassimento, la fermentazione so svolge in vasche d’acciaio mentre l’affinamento del vino prevede 12 mesi sulle fecce fini in botte di rovere da 15hl, 42 mesi in botte di rovere da 15hl, sei mesi in vasche d’acciaio e infine 12 mesi in bottiglia. Ne sono state prodotte 2.030 bottiglie vendute in azienda a 50 euro. 


Color rubino luminoso di media intensità. Intenso al naso, alcolico, sentori di ciliegia sotto spirito e prugna secca, cioccolato e caffè. Strutturato, succoso, alcolico, con bella vena acida, sentori di prugna e liquirizia forte, note di cioccolato e d’erbe officinali, molto lunga la persistenza.

Eliwine: il progetto di Marco Elisei che fonde tradizione italiana e cultura vinicola romena


Nel cuore del Banato, nel sud-ovest della Romania e a breve distanza dalla città di Arad, si estende la suggestiva regione vinicola di Minis-Măderat, un territorio intriso di storia e con una profonda tradizione vitivinicola. Le prime coltivazioni di vite in quest'area risalgono all'epoca dell'Impero Romano, testimoniando una vocazione enologica antichissima. Nel corso dei secoli, la regione fu soggetta a diverse dominazioni, ma fu soprattutto durante il periodo asburgico che i vini di Minis-Măderat conobbero un notevole salto di qualità. Si racconta che l'aszu, un pregiato vino rosso dolce ottenuto dal vitigno autoctono Cadarcă, fosse il nettare prediletto dalla Corte Imperiale di Vienna per un lungo periodo. Tuttavia, la definitiva affermazione a livello internazionale si concretizzò nel 1862, quando i vini locali trionfarono al primo premio di un prestigioso concorso enologico tenutosi a Londra, proiettando la zona di Minis-Măderat sulla scena vinicola mondiale.


Questa importante denominazione si estende oggi su circa 3000 ettari di vigneti, caratterizzati da una notevole diversità di terreni e da un clima particolarmente favorevole alla viticoltura. Tale eterogeneità permette la coltivazione di un ampio ventaglio di uve, sia locali che internazionali. Tra le varietà autoctone a bacca bianca spiccano la Mustoasa de Măderat e la Fetească Regală, mentre tra le uve rosse un ruolo di primo piano è rivestito dalla Fetească Neagră, da cui si ottengono vini rossi di notevole struttura e personalità. Accanto a queste, Minis-Măderat accoglie con successo anche diverse varietà internazionali, che hanno trovato in questo terroir condizioni ideali per esprimersi al meglio, come lo Chardonnay, il Sauvignon Blanc, il Cabernet Sauvignon e il Merlot.


Questa splendida area della Romania, situata non lontano dal confine ungherese, vanta da qualche anno anche una "voce" italiana grazie a Marco Elisei. Questo imprenditore, attivo nella zona di Arad, sta realizzando significativi investimenti, tra cui spicca il progetto vitivinicolo EliWine, avviato nel 2021. L'ambizioso obiettivo di EliWine è quello di armonizzare la ricchezza della cultura rinascimentale italiana con le profonde tradizioni vinicole locali.

Marco Elisei

Ad oggi questa piccola e recente boutique winery produce quattro tipologie di vini bianchi prodotti prevalentemente da uve Sauvignon Blanc e Fetească Regală che sono vinificati esclusivamente tramite anfore di terracotta realizzate nella zona dell’Impruneta dove Filippo Brunelleschi (da qui il richiamo al rinascimento italiano) prese i mattoni per edificare il Duomo di Firenze. Il successivo affinamento dei vini, a seconda della tipologia, viene poi effettuato o nelle stesse anfore oppure in botti di rovere o di acacia provenienti dalla zona ungherese del Tocaj.


I quattro vini bianchi prodotti da EliWine, tutti annata 2022, la prima in commercio, sono stati presentati a Roma poco tempo fa e, tra tutti, il mio coup de coeur è andato al Terra Mater (92% sauvignon blanc, 8% furmint). Dal punto di vista tecnico le uve, appositamente selezionate da un vigneto di 35 anni di età sito nel Comune di Siria, fermentano e maturano in anfora di terracotta per 18 mesi a cui seguono 6 mesi di affinamento in bottiglia. 


Dal punto di vista organolettico, chi si aspetta il classico Sauvignon Blanc dai tratti fortemente pirazinici rimarrà (piacevolmente) deluso perché questo bianco ti accoglie al naso in maniera elegante ed armonica grazie ad un bouquet aromatico dove il fieno appena tagliato si fonde con la delicatezza delle erbe aromatiche cui seguono intensi effluvi salini ed agrumati. Ottimo l’approccio gustativo, avvolgente per morbidezza, rinfrescante per acidità e stuzzicante per piacevole mineralità che ricorda la pietra focaia. Vino sorprendente che, tolti gli eventuali pregiudizi per i vini della Romania, non potrà non conquistare il pubblico italiano per la sua personalità!

InvecchiatIGP: Poggio di Sotto - Rosso di Montalcino 2009


di Stefano Tesi

Per fortuna non sono il solo a scoprire di avere in cantina roba di cui nemmeno immaginavo l’esistenza. Ed è consolante scoprire che, esattamente come succede a te, nemmeno l’amico che ti invita a cena abbia la più pallida idea delle vie attraverso le quali quella bottiglia sia capitata nella sua, ma solo vaghissimi e sfrangiati ricordi di circostanze molto dilatate, probabilmente inattendibili. La cosa divertente allora – a parte bersela, si capisce – è provare in due o tre commensali con parecchio passato in comune a ricostruire il perché e il percome di quella presenza, risalendo nel tempo a storie, aneddoti, fatti e persone, degustazioni sparse, cesti natalizi e la colpevole sinecura di chi, sguazzando spesso tra troppe etichette, a volte si perde, o sottovaluta o semplicemente dimentica ciò che ha in mano.


Nelle more di questi amarcord potatorii, ovviamente, il vino cala nei bicchieri e suscita le più svariate impressioni. Questo Rosso di Montalcino 2009 di Poggio di Sotto è passato esattamente sotto le forche caudine or ora descritte. Non sto a raccontare l’arcinota storia dell’azienda, una delle più celebri e celebrate di Montalcino. Mi limito a dire che la bottiglia in parola nacque sotto l’egida del compianto e “gambelliano” Piero Palmucci, due anni prima che la cedesse a Collemassari di Claudio Tipa.


La domanda fondamentale che molti si pongono davanti a un Rosso di Montalcino di sedici anni è: avrà retto il tempo? E sarà nato per reggerlo? Io non ho risposte certe, so solo, per un briciolo di esperienza e di assaggi che, sì, la vera o presunta “spalla” del Brunello (per carità non entriamo nel dibattito dei rossi a volte più brunelliani dei brunelli) è in grado eccome di scavalcare i decenni. E che comunque è quel tipo di vino capace di dare le classiche sorprese da longevità inattesa.


Non ho assistito personalmente allo stappamento della bottiglia, ma il mio ospite – degustatore di lungo corso – mi ha assicurato tappo integro, adeguato anticipo e giusta ossigenazione.


L’assaggio gli ha dato ragione: se il colore è un rubino di media intensità, con prevedibile unghia aranciata, il naso ci ha sorpreso per pienezza e pulizia, un’asciuttezza penetrante e una tipicità di Sangiovese del tutto inconfondibile, senza deviazioni o tracce di decadimento. Stesse sensazioni al palato: pienezza, pulizia, freschezza e una profondità quasi neghittosa che mescola ampiezza e agilità, in sostanza invogliando alla ribevuta. Infatti ne abbiamo ribevuto tanto. Peccato non ci sia servito a ricostruire la storia della bottiglia, ma ce ne siamo fatti una ragione.

Nicola Biasi - Renitens 2022


di Stefano Tesi

Anche al di là del progetto in sé (assemblaggio di 6 vini diversi da 6 uve piwi diverse di 6 viticoltori diversi), difficile non cogliere il fascino di questo bianco che al naso sa di pesca sbucciata e frutti tropicali.


In bocca è ricco, denso, con acidità pungente, vena salina e finale amarognolo.

Il Bistrot di Agricola Toscana: a Firenze non troviamo solo "mangifici" per turisti!


di Stefano Tesi

Stefano Frassineti da Rufina (FI) è uno chef di lungo corso e solida esperienza, che da un po’ è divenuto carsico, nel senso che tende ad apparire e scomparire con ciclica facilità. Croce e delizia dei sostenitori della sua cucina di sostanza, profondamente toscana ma sempre ricca di inventiva, esuberante, a tratti allegramente entusiasta, dove i piatti – anche i meno riusciti, pochi in verità – rispecchiano uno stile sì generoso ma mai caricaturale. Un rischio, quest’ultimo, da cui il nostro è (lo conosciamo da parecchio) per natura immune, ma altissimo in una regione ad elevato tasso di oleografia gastronomica. E, a maggior ragione, nel suo dichiarato epicentro: Firenze.


Sparito per qualche tempo dai radar della ristorazione e dedicatosi alla ricerca di una nuova dimensione, Frassineti riappare ora ai fornelli di Agricola Toscana Il Bistrot (uno spin-off dell’omonimo ristorante di via del Corso), spuntato senza preavviso in Borgo Ognissanti, ossia nel cuore del mangificio fiorentino.


La sorpresa è tripla: per l’epifania del cuoco scomparso, per il nuovo locale che a tempo di record ha sostituito il precedente, di tutt’altro stile e, soprattutto, perché il Bistrot – diretto dal patron, il giovane e intraprendente Simone Angerame - sembra appunto volersi discostare con decisione dal mainstream turistico che ormai ha strangolato o quasi (ma, si sa, è la domanda che genera l’offerta, quindi nulla di cui meravigliarsi in una delle patrie nazionali dell’overtourism) la città.

Stefano Frassineti

Il proclama è esplicito: “cucina toscana contemporanea” (aggettivo abusato da cui però prendo le distanze) capace di discostarsi dalla cucina cartolinesca delle bistecche in vetrina e della carbonara col tartufo e proporre i piatti di una toscanità riconoscibile, dedicata prima di tutto ai corregionali e ai fiorentini, gentile e verace, affidabile, gustosa, sostanziosa ma non becera, né scontata.

Naturalmente, alle parole devono seguire i fatti. E noi siamo andati a verificarli.

I risultati sono stati confortanti. A cominciare dall’incontro sul posto con una clientela di placidi e garruli residenti che non è più tanto facile intravedere in certi contesti. L’ambiente è sobrio e luminoso, il servizio amichevole e collaborativo, con molta cortesia e poca ruffianeria.

Poi si passa alla cucina, che è quello che conta davvero.

Cominciamo da ciò che, a modesto parere di chi scrive, è destinato a diventare il piatto-simbolo (direi iconico, se non aborrissi anche quest’aggettivo) del locale: il risotto al piccione, frutto di un lavoro paziente e certosino che prevede la dissossatura, l’utilizzo delle ossa per fare il fondo, la mantecatura con burro acido. Pietanza di gran gusto, consistenza e sostanza quasi irresistibili che riportano il palato a stili e gusti antichi. L’unico suggerimento è di prenderlo in due, perché la preparazione della portata è abbondantissima e sprecarne metà lasciandola in cucina sarebbe un oltraggio.

Risotto al piccione

Più che buono, direi anzi proprio appetitoso, anche l’antipasto di porchetta croccante, tagliata sottile, accompagnato da un sapido segato di verdure altrettanto croccanti. Molto tradizionale e consistente, ma senza le graveolenze domestiche della cucina della nonna, il classico pollo alla cacciatora che, più in là con la stagione, resterà ruspante ma si accompagnerà a una primaverile e fresca salsa allo yogurt. Il menu di primavera preannuncia anche la lingua alla piastra con doppia salsa, il crostino di fegatini battuto al coltello (“…e non frullato!”, precisa lo chef), una parmigiana di melanzane cotta della melanzana medesima e varie altre tentazioni. Garantita l’assenza dal menu, conclude il cuoco, di qualsiasi tipo di burrata…una scelta ineccepibile.

Porchetta croccante

Due parole, infine, sulla carta dei vini, che oltre al servizio al bicchiere propone una buona scelta di etichette sia toscane che italiane, con alcune referenze fuori passo piacevolmente inusuali a queste latitudini. Come il Valpolicella 2020 di Illatium, bevuta tanto gentile quanto solida che mi ha ben accompagnato sul risotto e tutto il resto. Spesa sui 60 euro.

Agricola Toscana – Il Bistrot

Borgo Ognissanti,25r, Firenze FI

Telefono: 055 388 0177

www.agricolatoscana.com