Il Lady F di Donne Fittipaldi e quell'Orpicchio dimenticato!


di Stefano Tesi

La mia passione per le cose strambe e fuori passo, per le tecniche dimenticate, i piatti desueti, le coltivazioni abbandonate, le varietà soppiantate e, in particolare, per i vitigni rari e perduti è nota. Si tratta di una curiosità, anche sotto il profilo organolettico, prima di tutto culturale. Quasi archeologica. Se poi, oltre che antica, la cosa è pure buona, meglio.


Nello specifico del vino il mio interesse è aumentato molto quando, anni fa, coi colleghi dell’Aset abbiamo fatto una bella degustazione di microvinificazioni di alcuni antichi vitigni toscani recuperati dal benemerito Crea di Arezzo. Si trattava ovviamente di produzioni sperimentali. Fu però in quella circostanza che il direttore dell’ente, Paolo Storchi, ci parlò del fatto che alcune aziende avevano reimpiantato un po’ di quelle uve e avevano avviato una produzione di vino destinata al pubblico.
Tra i vitigni che più mi avevano colpito c’era l’Orpicchio. Leggo dalle mie note di allora: “Varietà bianca coltivata nel Valdarno Superiore fino alla metà del ’900, poco vigorosa, piuttosto precoce. Giallo paglierino con riflessi verdastri, profumo piuttosto intenso di fiori bianchi, buon frutto, in bocca è altrettanto intenso, piacevole e lungo. Una tipologia certamente interessante in chiave reinterpretativa“.


Sono stato perciò ben lieto di ritrovarlo oggi in produzione sotto forma di IGT Toscana: è il “Lady F“, annata 2019, di Donne Fittipaldi, l’azienda tutta al femminile (la mamma Maria Fittipaldi Menarini e le figlie Carlotta, Giulia, Serena e Valentina) nata nel 2004, quando la famiglia Fittipaldi Menarini decise di impiantare a Bolgheri alcuni ettari di Merlot, Petit Verdot, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc (dal quale si ricava Magnetic, un interessante Bolgheri Rosso affinato in cocciopesto), Malbec e, per l’appunto, Orpicchio.


Racconta l’enologo, Emiliano Falsini: “Lo sovrainnestammo nel 2013 su 8mila metri di un Sangiovese di cui non eravamo soddisfatti. Cercavamo qualcosa di particolare e Stefano Dini, l’agronomo, ci consigliò la Volpola o l’Orpicchio. Ma la prima non si trovava, mentre il secondo era disponibile presso un’azienda di Vinci che lo usava come uva da taglio. Prendemmo le marze e la storia cominciò. Si tratta di una varietà che a Bolgheri non ci ha dato troppe difficoltà, salvo soffrire un po’ le annate umide per via del suo grappopolo molto compatto e quindi soggetto alla botrite. Anche le prove di vinificazione furono subito soddisfacenti. All’inizio lo facevamo solo in barrique, alternandone di vecchie e di nuove, dal 2017 per metà lo mettiamo invece in acciaio. E’ un vino particolare, da un punto di vista organolettico somiglia al Pinot bianco ma sembra adatto anche all’invecchiamento: abbiamo bottiglie di quattro anni fa ancora ottime. La produzione è piccola, massimo 3000 pezzi l’anno, ma ne siamo molto orgogliosi, anche perchè siamo solo due aziende a farlo“.


All’assaggio il Lady F si presenta di un bel colore dorato e brillante. Al naso il primo impatto è di pesca matura e di frutti estivi, poi si stempera a ventaglio e ricorda il biancospino, la pietra focaia e una nota quasi lapidea. In bocca è abbastanza intenso, lungo ma non troppo complesso, con un accenno di legno e una coda sapida che lo rende godibile.

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