Il Groppello di Revò ed El Zeremia: racconti di vino e di riscoperte


di Lorenzo Colombo

Augusto Zadra detto El Zeremia è stato un personaggio decisamente fuori dal comune, basti pensare che ha messo a dimora il primo bananeto della Val di Non.
El Zeremia nei suoi due ettari di vigneto si era focalizzato sul Groppello di Revò un vitigno locale praticamente scomparso che voleva far conoscere in tutto il mondo, purtroppo se n’è andato nel settembre del 2013 ed ha fatto solamente in tempo a veder realizzata la sua cantina ed assaggiare il primo vino, frutto dell’annata 2011, la sua eredità è stata presa dal figlio Lorenzo, coadiuvato dalla giovane enologa Erika Pedrini, figlia di Domenico, uno dei tre fondatori dell’azienda Pravis. Anche Lorenzo a quanto pare non ha scelto la strada più facile, infatti nel 2018 ha messo a dimora un altro antico vitigno a rischio di estinzione, il Maor, detto anche Groppello bianco.


Quattro i vini prodotti per un totale di 7.000 bottiglie, due dei quali da Groppello di Revò, uno giovane, vinificato in acciaio e l’altro affinato in barriques per dodici mesi, le uve per quest’ultimo provengono da un vigneto ultracentenario, con vini ancora non innestate, gli altri due vini sono prodotti con uve Johanniter, un vitigno appartenente ai PiWI, ossia non soggetto alle malattie fungine, di tratta di un vino bianco fermo ed uno spumante prodotto con il Metodo Classico.

Il Groppello di Revò

Confuso con i vari Groppello della sponda bresciana del Garda il Groppello di Revò è stato recentemente riconosciuto come vitigno a se stante ed è stato inserito nel Catalogo Nazionale delle Varietà di Vite nel maggio 2004, unico elemento in comune con gli altri Groppello è dato dalla compattezza del grappolo.


Il vitigno, il cui nome deriva dal paese di Revò, divenuto frazione del comune di Novella il 1° gennaio 2020, è autorizzato nella produzione di tre vini ad Igt del Trentino, la sua superficie vitata nel 2010 risultava essere di 12 ettari mentre la produzione vivaistica di barbatelle ha raggiunto un picco di 6.000 unità nel 2008 per poi affievolirsi (nel 2018 se ne sono prodotte 360 unità).
 

Vitigno antico, la cui presenza è attestata da documenti risalenti al ‘500, durante il periodo di appartenenza del Trentino all’impero austro-Ungarico la sua produzione era arrivata ai 50 mila ettolitri, ora non se ne producono che 200 ettolitri, ad opera di un piccolo gruppo di vignaioli tra i quali appunto l’Azienda El Zeremia che è stata la principale artefice della su riscoperta. 
Tra le cause della quasi scomparsa del vitigno sono da annoverare certamente il flagello della fillossera e l’acquisizione del Trentino da parte dell’Italia, con spostamento dell’importanza del vino in favore della frutticoltura. Altra caratteristica particolar del Groppello di Revò è data dal fatto che, contrariamente alla maggior parte dei vitigni autoctoni trentini, generalmente allevati a Pergola, per lui si è sempre utilizzato il filare.

Il vino

La limitatissima produzione deriva da un vigneto di 0,2 ettari situato sulle sponde del Lago di santa Giustina, in località Sperdossi del comune di Revò, a 700 metri d’altitudine e con elevata pendenza, su suolo sabbioso di natura calcarea, le viti, allevate a Guyot ed esposte a Sud-Est hanno un’età variabile dai 100 ai 120 anni e danno una resa di 30-40 q.li/ha.


La vendemmia viene effettuata nella prima decade del mese d’ottobre, la vinificazione, effettuata in vasche d’acciaio, prevede una macerazione per due settimane, mentre l’affinamento s’effettua in barriques nuove per 12 mesi.


Iniziamo subito col dire che non è un vino di facile approccio, manca di quella morbidezza, di quella ruffianeria e di quella neutralità accattivante che lo fa piacere al grande pubblico, soprattutto ai consumatori che nel vino vedono unicamente un effimero piacere.  Si tratta invece di un vino che va assaporato innanzitutto con la testa.



Il suo colore è granato trasparente, mediamente intenso. Nessuna esplosività al naso, i sentori sono di frutta rossa selvatica, con note terrose di sottobosco umido, cuoio, ricordi d’erbe aromatiche, leggeri accenni speziati e vanigliati ricordano che è stato affinato in barriques.

Foto: Andrea Aldrighetti

Asciutto al palato, mediamente strutturato, quasi esile, nuovamente cogliamo le sue note selvatiche, il tannino ruspante, accenni di caffè e di pepe, la vaniglia ed il legno si colgono meglio che al naso, probabilmente necessiterebbe di più tempo per armonizzarsi meglio. Un vino che, piaccia o meno non passa certo inosservato.

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