La Fortezza ovvero come la Falanghina del Sannio può sfidare il tempo

di Luciano Pignataro

La Falanghina viene vissuta psicologicamente come un bianco di pronta beva, ed è così che finiscono quasi tutti i suoi dodici milioni di bottiglie tra doc Sannio e igt Beneventano: stappate appena possibile sulla cucina di mare dove sono molto efficaci grazie all'agrumata freschezza in bocca, al naso floreale e alla chiusura amarognola che non guasta mai a tavola negli abbinamenti. Abbiamo però avuto molte prove della sua longevità e delle sue capacità evolutive, crescono i produttori che ritardano l'uscita di almeno una etichetta e i risultati sono davvero interessanti.


Ecco perché stavolta voglia parlare di una verticale fatta a La Fortezza di Torrecuso. Si tratta di una azienda relativamente giovane, nata ufficialmente nel 2006 per la volontà di Enzo Rillo, imprenditore figlio di contadini, di tornare ad investire nella terra. Ha così recuperato una bella struttura che è diventata punto di riferimento nel comune principale del Taburno, a cominciare dai mercatini di Natale che attraggono migliaia di visitatori da ogni dove, usata anche per la banchettistica. Insomma un circuito chiuso che sta funzionando e che ha alle spalle ormai 65 ettari di proprietà, tra cui, quelli più recenti, acquistati dall'azienda Ocone nella dirimpettaia Ponte. Il protocollo è quello tipico campano: vitigni autoctoni (aglianico e piedirosso per i rossi, falanghina, fiano e greco per i bianchi), lavorazione in acciaio per i vitigni a bacca bianca. In azienda da sei anni è arrivato Vittorio Festa, enologo abruzzese, figlio d'arte, attento alle tendenze che punta a fare vini minerali, freschi, di carattere. E in effetti le ultime annate hanno davvero stupito e trovato consenso anche tra le guide specializzate.

Enzo Rillo

Ci siamo trovati in azienda, a conduzione biologica certificata, la settimana scorsa in occasione di una verticale di Falanghina e vogliamo darne conto perché davvero interessante.


Falanghina del Sannio 2018 doc
Una bottiglia che conferma le caratteristiche di questo bianco sul Taburno nel Sannio Beneventano. La freschezza è ancora travolgente, sarebbe giudicata eccessiva da ogni commissione di degustazione degli anni '90. Al naso sentori di limone che sono preponderanti sulle note floreali, al palato l'acidità domina la beva e la trascina sino alla fine in velocità verso una conclusione leggermente amarognola. Insomma, un bianco ben lontano dall'equilibrio e che ha una lunga vita davanti.

Falanghina del Sannio 2017 
L'annata siccitosa ha avuto l'effetto di equilibrare in anticipo questo vino che si presenta sempre con una buona acidità, decisamente meno scissa del precedente perché alle note agrumate  aggiunge quelle di albicocca e pesca. Al palato la concentrazione appare evidente, l'impatto è più equilibrato, più pieno. Decisamente piacevole con un finale che conduce la beva verso il tono amarognolo che ripulisce il palato. Un vino insomma da attendere ancora poco prima dello stappo.


Falanghina del Sannio 2016 
Tre anni non sono sufficienti alla falanghina per assorbire completamente la nota acida che resta prima percezione nel sorso si assaggio. Il naso appare ancora fresco, con note di biancospino e ginestra molto piacevoli. Al palato il vino si avvia verso l'equilibrio, con la freschezza che fa da spalla, si avverte una buona nota di calore all'ingresso, finale davvero entusiasmante per una bottiglia che si presenta assolutamente in forma.

Falanghina del Sannio 2014
Saltiamo la 2015, non disponibile perché letteralmente esaurita. Ecco allora che la prima bottiglia dove il fruttato prevale sull'agrumato è questa dopo cinque anni figlia di una stagione tutto sommato equilibrata. Al naso fa capolino anche una piccola nota fumè, tipica di tutti i bianchi invecchiati provenienti da suolo vulcanico. Al palato il sorso è pieno, piacevole, ben equilibrato dall'ingresso sino alla chiusura, decisamente piacevole e convincente. Un vino nella sua piena maturità espressiva. E siamo a cinque anni!

Falanghina del Sannio 2013
Concludiamo con questo bianco di sei anni che conferma la straordinaria energia e longevità della Falanghina. Piacevole ed efficace che al naso riesce a sviluppare una complessità interessante che passa dalla frutta bianca matura a piccole note di miele d'acacia, sbuffo fumè. Al palato c'è piena corrispondenza naso bocca con alcol e acidità in equilibrio. Chiusura vitale, amara, lunghissima.


Ora, per capire di cosa parliamo, vi diciamo che questo bianco viene venduto in azienda sotto i dieci euro. Coltivato sui 400 metri di altezza con una resa che oscilla tra i 90 e i cento quintali per ettaro, è sicuramente un vino di grande rapporto tra qualità e prezzo. Questa verticale esprime le sue potenzialità perché un appassionato dovrebbe farne incetta, conservare per tre o quattro anni e poi iniziare a stappare per godere del massimo che questo vitigno è in grado di regalare.

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