Nel cuore di Treviso nasce il Vino del Signore a base merlot e cabernet

Davvero interessante questo articolo a firma Federico de Wolanski che ho trovato su La Tribuna di Treviso. Un pezzo di Italia nascosto, lontano dal mondo social, che vale la pena di scoprire. 
Il colore è rubino, il sapore deciso e il profumo pungente come lo è solo quello di un vino prodotto in casa, a mano. Ma ha una marcia in più: è un vino toccato da Dio. Nasce in un’oasi nascosta nel cuore della città, protetta da una cinta di alte mura eretta a fine Ottocento quando sul vecchio terreno detto “del Lazzaretto” iniziò l’edificazione del convento dei Padri Carmelitano Scalzi.


A riposo in ampie damigiane stivate nell’antica cantina a due metri sotto il livello del suolo, il vino viene travasato in bottiglioni di vetro verde senza etichetta, casalinghi, perchè quel vino non ha certo problemi ad essere riconosciuto. Chiamatelo il “vino del Signore” e non sbaglierete. I suoi filari che negli ultimi cent’anni sono sopravvissuti al crescere della città e della sua frenesia, protetti dall’elegante facciata della chiesa di San Giovanni della Croce, lungo il Put.


Pochi conoscono l’esistenza di questo giardino e delle sue seicento piante coltivate per anni e con cura prima dai frati del convento, ora da fedeli che contribuiscono al mantenimento dell’unica vigna nella città. Piantata sulla scorta della tradizione carmelitana delle “vinea carmeli che dal 1200 ha affiancato ai conventi dei frati ettari di campi coltivati e pascoli, oggi accoglie uve cabernet e merlot, piante di decine d’anni e nuovi innesti che insieme producono oltre 70 quintali di uva pronta per diventare vino.


Un tempo i vinaioli erano i frati stessi, facendo riposare il mosto nelle cantine dei sotterranei del convento e poi nelle botti. Oggi l’uva viene raccolta e trattata fuori, perchè i frati di casa sono solo otto e il lavoro enorme per chi deve anche guidare una comunità che negli anni è andata crescendo.


Ma il vino ritorna sempre a casa, in convento, ed alimenta tutto l’anno le tavolate nel refettorio e qualche donazione ad amici accolti dall’ospitalità dei frati guidati da Padre Giuseppe.

È un piccolo tesoro che racconta una storia antica e bellissima, fatta di terra zappata, di fatica, di un convento che fino a qualche anno fa ospitava anche un incredibile e bellissimo orto (più stalle e animali) che purtroppo ha dovuto cedere il passo davanti alle necessità di una comunità che assediava la pace conventuale con le richieste della vita moderna; prima fra tutte quella di parcheggi per i fedeli della messa.


La la vigna del Signore ha resistito diventando un’unicità incredibile e irreplicabile in città. «In tanti si propongono per curarla» racconta il priore, padre Giuseppe, «e la vigna è diventata così anche un’occasione di coesione, di impegno. Vi partecipano fedeli, ma anche pensionati che vengono da altre parti della provincia». Ricompense? Nessuna se non la pace naturale di un luogo protetto e nascosto, anche se aperto. Pensare che a due passi corra forsennatamente il Put o che sul vigneto svetti la facciata modernista del Tribunale rende il contrasto ancor più evidente. Eppure la benedizione dei frati da sola non basta a proteggere questo luogo. La vigna oggi rischia di trovarsi invischiata nella pratiche che regolamentano l’attività e la produzione di vigneti dichiarati ed estranei alle zone di produzione ufficiali. Burocrazia, catasti, doc e docg che mal si sposano con una tradizione antica come l’ordine del Carmelo.

Credit immagini: http://tribunatreviso.gelocal.it

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