Roma, 29 aprile 2011
Il prof. Alberto Mattiacci è professore ordinario alla Sapienza di Roma, dove dirige anche un Centro Ricerca sul Territorio, Turismo e Ambiente. E’ noto nel mondo del vino anche per essere uno dei consulenti del Consorzio del Brunello di Montalcino e il curatore del libro “Io e Brunello”, biografia imprenditoriale ed enologica di Ezio Rivella, presidente del Consorzio stesso.
Ho intervistato Mattiacci perché curioso di capire come l’asettico mondo universitario e aziendale possa inserirsi nelle questioni del sangiovese di Montalcino. L’intervista, penso, proporrà molti spunti di riflessione.
D: Come è iniziato il suo rapporto professionale con Montalcino?
R: Nel 2006, quando il Consorzio del Brunello ha incaricato un piccolo gruppo di ricercatori dell’Università di Siena, dove all’epoca lavoravo, ad effettuare un’analisi ad ampio spettro sul mercato relativo ai vini di Montalcino. E’ stato uno studio molto importante, credo, perché si è andato a tastare il polso della situazione, sia a livello internazionale sia in giro per l’Italia, anche sentendo le opinioni di tutti gli attori della filiera (produttori, distributori, consumatori) al proposito di queste importanti produzioni.
D: Perché era stato fatto questo studio?
R: Perché a Montalcino c’era e c’è un gruppo di produttori “illuminati e lungimiranti” che già allora avevano capito che, dopo aver beneficiato (più o meno passivamente) del trend positivo iniziato negli anni 90, quando il vino si vendeva quasi da sè, qualcosa stava cambiando. Lo studio diede loro ragione e pose in risalto la necessità delle aziende di adeguarsi proattivamente al cambiamento del mercato che iniziava a prospettarsi secondo me con decisione.
D: Sembra che negli ultimi mesi lo studio abbia ripreso vigore…
R: Sì, poco tempo fa ci siamo incontrati di nuovo per vedere un po’ di iniziare una fase due e riprendere il ragionamento allora interrotto, anche alla luce dello scandalo “Brunellopoli” e di questa crisi economica profonda che, mi rendo conto, può risultare difficile interpretare correttamente.
D: Come ha interpretato lo scandalo di “Brunellopoli”?
R: Personalmente mi sono indignato e sentito ferito, sia come italiano che come persona che conosce e vuole bene a Montalcino, per come lo scandalo è venuto fuori e per come i media se ne sono occupati. E’ stato un “infortunio” che secondo me in Francia non si sarebbe mai verificato. Premesso che le leggi vanno rispettate, e il disciplinare è certo una legge, un paese come l’Italia, che ha nel vino di qualità la prima voce nella bilancia dei pagamenti internazionali, migliaia di famiglie che vi lavorano, e che ha la fortuna di avere alcuni brand internazionali come il Brunello o l’Amarone, avrebbe dovuto agire diversamente e non sulle prime pagine di una rivista. Soprattutto non si doveva far uscire questa notizia durante il “Vinitaly”, momento di massima esposizione mediatica del vino italiano. Chi ha fatto questo porta su sé, a mio avviso, un marchio negativo. La Francia avrebbe avuto più rispetto per se stessa, rispetto che in Italia non abbiamo, visto che non si guarda in faccia a nessuno, arrivando all’autolesionismo puro.
Comunque dalla ricerche che stiamo conducendo si evince con assoluta chiarezza che Brunellopoli non ha lasciato segno alcuno sull’immagine e considerazione di Montalcino.
D: Com’è oggi l’azienda Montalcino?
R: E’ molto disomogenea, difficile parlarne come di un “unicum”. Montalcino vive sé stessa a strati e gruppi: a seconda dei punti di vista ci sono i “contadini vignaioli”, i puristi, i tradizionalisti “buoni” e i modernisti “cattivi”, i nuovi arrivati (anche importanti) e i “ci-sono-sempre-stato”, poi ci sono le “grandi” aziende e via dicendo. Io vedo anche, e ciò mi fa essere ottimista, l’esistenza di un manipolo di aziende “modello” guidate da imprenditori intelligenti e intellettualmente onesti, che hanno capito che produrre un vino di qualità non basta più, perchè occorre anche comunicarlo e fare marketing di relazione coi clienti.
Di contro, ciò che mi preoccupa di più è l’esistenza di produttori che non percepiscono o non vogliono percepire il pericolo imminente su Montalcino.
D: Un pericolo in termini di vendite?
R: Le vendite sono il meno. Guardi, fin dal 2006 ho usato l’espressione qui si rischia di lasciar “rompere il giocattolo”. Montalcino è sempre stato un bel giocattolo finchè il mercato, certe azioni intelligenti di alcuni produttori e la forza della moda lo hanno permesso.
Oggi questo giocattolo si sta rompendo e pure velocemente: lo dice la curva dei volumi prodotti e venduti di Brunello, che cresce, e la curva dei prezzi che contemporaneamente diminuisce. Qualunque, e sottolineo qualunque, amministratore delegato di azienda vedendo questi dati licenzierebbe il suo direttore commerciale e il suo direttore di marketing e, nel contempo, si farebbe guidare da una società di consulenza per rimettere in piedi il portafoglio prodotto e per creare una strategia di mercato nuova.
Vede, oggi Montalcino soffre terribilmente della progressiva perdita del controllo sull’offerta. In questo territorio vengono vendute 10-12 milioni di bottiglie da circa 250 operatori, molti dei quali sono in mano alla distribuzione che ha sempre più il coltello dalla parte del manico. Quando ciò avviene è un guaio perché i prezzi finisce per deciderli lei, la distribuzione, e di conseguenza i produttori finiscono per esser presi al collo e, a cascata, la qualità del prodotto tende a cedere (perché non è più sostenibile). E quando la distribuzione poi diventa la grande distribuzione, allora i guai sono ancora più seri, perché quei signori sanno come si fanno certe cose, mentre i piccoli produttori, temo, no. Non è un gioco ad armi pari, insomma, e chi ci rimetterà non sono certo i commercianti.
D: Quindi esiste anche un problema di qualità?
R: Certo che esiste, non lo dico mica io, che sono un mediocre degustatore! Tuttavia mi si dice che è molto limitato e marginale. Il punto vero è che di vino buono in giro ce n’è tantissimo e anche a molto più buon mercato del Brunello. Questo lo sanno anche i “cittini” montalcinesi, ma non capisco perché ci si ostini a far finta che al Brunello di Montalcino basti la qualità per vendere a prezzi alti … sarebbe l’unico caso al mondo, considerando non solo il vino ma ogni tipo di prodotto!
D: Come si risolve il problema?
R: Semplicemente riprendendo in mano l’offerta attraverso una grossa coesione tra i produttori che hanno tutte le armi per risolvere la questione. Ci vuole del coraggio. In agricoltura, me lo insegnano loro, c’è il tempo della semina, quello della raccolta e quello in cui il terreno riposa. Oggi e per i prossimi tre anni, secondo me, non è tempo di raccolta.
D: Il paventato cambio di disciplinare del rosso di Montalcino rientra tra le misure da prendere per migliorare la situazione?
R: La struttura produttiva di un’azienda sana e normale dovrebbe avere una forma piramidale dove alla punta c’è il prodotto di maggiore prestigio, prodotto in poche unità, e alla base il prodotto “più popolare” realizzato su larga scala.
A Montalcino è esattamente il contrario: c’è molto più Brunello che Rosso e il primo si trova alla base della piramide.
La mia opinione è che si deve ricreare la piramide, aumentando contemporaneamente la tensione sulla qualità. Se queste due cose andranno assieme, nell’arco di tre anni, si potranno risolvere tanti problemi.
D: Ricreare la piramide significa produrre molto Rosso e poco Brunello?
R: Esatto! E questo lo fai, è una mia opinione e magari i tecnici inventaranno altre vie, sia declassando in parte il vino atto a diventare Brunello, generando volume per questo vino, sia utilizzando altri vitigni per produrre il Rosso.
Sono convinto, e la ricerca che sto facendo lo dimostra nettamente, che il dibattito sul disciplinare del Rosso sia un puro non senso perché il suo consumatore che è medio non ha nessuna cognizione di cosa sia. Discorso diverso è per il Brunello, dove invece, secondo me, il disciplinare è una cosa importantissima.
D: Al consumatore non importa come è fatto il vino?
R: Secondo lei la gente sa come è fatto il Chianti? O il Bordeaux? Ma lei pensa che la gente, non l’appassionato, ma il “bevitore della domenica” sa che nel Brunello c’è Sangiovese al 100%? Ma ripeto, per il Brunello il discorso è diverso: là il disciplinare è importante.
Sono in disaccordo con quegli esperti che sostengono che il consumatore deve, e vuole, sapere tutto sul disciplinare di produzione. Non concordo con le esagerazioni “mistiche” e le guerre di religione su questo regolamento di manifattura. Credo che un po’ di razionalità e meno emotività e partito preso, gioverebbero al confronto. Per meglio comprendere il mio pensiero le faccio un esempio: quando una persona acquista una Mercedes sa che quell’auto è affidabile anche se non sa quali sono tutti i passaggi di produzione che la rendono di qualità superiore.
In merito a Montalcino dovrebbe essere la stessa cosa! Acquistando un vino di questo territorio sai che stai scegliendo qualcosa che appartiene ad una categoria superiore di prodotto e sai che esiste una tradizione che ti dà garanzia e qualità.
Poi, detto questo, sono convinto che fare una modifica del disciplinare del Brunello sarebbe deleterio, però per il Rosso fissarsi sul vitigno mi sembra soltanto, lo dico con rispetto ma in fermo disaccordo con chi la pensa così, una battaglia di religione. Questa tipologia lavora su un mercato per il quale il disciplinare semplicemente, sottolineo, non esiste, è tutta una battaglia intellettuale, di contrapposizione tra diverse filosofie di produzione. Battaglie ideologiche, molto “toscane” (qui magari sta anche il loro fascino) alla stregua di quelle tra Guelfi e Ghibellini…
D: Lei pensa che ci sarà una svolta in questo senso?
R: Non ho elementi sufficienti per dirlo. Posso solo augurarmi che vi sia.
D: Perché la scelta è stata rinviata?
R: Il rinvio è stato saggio! Il dibattito è diventato subito un caso mediatico e in corrispondenza di “Benvenuto Brunello” era meglio evitare per non farsi del male. Ma vede che stavano per rifare il bis di Verona? Occorre che le scelte delicate, e il dibattito sano e vivacemente contrapposto che le sottende, siano tenute lontane dai momenti in cui i riflettori dei media sono accesi. È saggezza, non omertà. Il dibattito e il confronto, anche aspro, ci stanno sempre, ma devono svolgersi a porte chiuse, “sennò entra aria e le idee finiscono per sapere di tappo”
D: Cosa accadrà se non si prenderanno in considerazione queste proposte?
R: Personalmente ho le idee piuttosto chiare in merito e non sono ottimista a fronte di uno scenario che non vede Montalcino prendere con decisione in mano il proprio destino. A pagarne le conseguenze, del non fare nulla oggi, saranno prima o poi l’occupazione, le aziende e il territorio. Tanti imprenditori “vivacchieranno”, tanti andranno a gambe all’aria, tantissimi conferiranno le uve magari proprio a quelle aziende che oggi osteggiano, i terreni perderanno valore (guardi che è già avvenuto rispetto a cinque-dieci anni fa) e con loro il valore patrimoniale delle aziende. Resteranno in piedi solo quelle aziende che attualmente hanno un brand mondiale, ma probabilmente a prezzo di una progressiva de-montalcinizzazione.
In sostanza, non credo che l’azienda Montalcino possa fallire, ma mentre oggi Montalcino è ancora un unicum, se non si fa nulla, un domani non vicinissimo ma nemmeno lontano, diverrà uno dei tanti posti del mondo dove si fa del vino buono. Non è proprio la migliore eredità da lasciare ai “citti” di Montalcino.
D: Quando ci sarà la prossima assemblea?
R: Mi sembra sia prevista fra fine maggio e giugno, ma non sono certissimo. Speriamo bene….
Il fatto che sia così amico di Rivella non garantisce sicuramente un'analisi super parters......
RispondiEliminaNon sono un esperto, abito a circa 500 km da Montalcino e tutti gli anni vengo in zona con la famiglia per turismo e poi vado a visitare una o due cantine dove talvolta trovo gente come me che parla di vino in termini correnti. Compro qualche bottiglia di Brunello, magari una o due magnum per le feste, e poi sei di rosso. Me la cavo con un po' più di 200 euro. Mi piace il gusto del sangiovese di Montalcino, mi sembra anche di distinguerlo da quello del nebiolo delle langhe o del vitigno (quale ?) con cui si fa la valpolicella e l'amarone. Il giorno che anche a Montalcino dovessi trovare nel rosso il merlot o il cabernet che trovo ovunque, anche dove abito, o dovessi pagare una fortuna per un buon brunello, potrei anche continuare a venire a fare turismo, ma per cantine andrei vicino a casa mia. Oppure cercherei una zona dove insieme al paesaggio trovo un vino che si distingue dagli altri. Se quelli che fanno il vino e i loro consulenti di marketing non lo capiscono, peggio per loro e peggio per il loro vino.
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