InvecchiatIGP: Mario Schiopetto - Riesling 2001


di Luciano Pignataro

Una delle più grandi emozioni che il vino può regalare agli appassionati è poter bere delle bottiglie lasciate in eredità dalla generazione che ci ha preceduto. A me è successo da Agli Amici di Michela e Emanuele Scarello a Udine: durante il nostro viaggio tra i vini friulani la sommelier Giorgia Lavaroni ci riserva una chicca da un fuori carta, quelle bottiglie che spesso i ristoratori riservano a se stessi per le occasioni speciali. Ecco dunque il Riesling 2001 di Mario Schioppetto a rendere memorabile questa giornata.


Agli esperti non c’è bisogno di ricordare questo grande personaggio, classe 1930. In estrema sintesi è stato uno dei padri del vino moderno italiano e il successo del Friuli è proprio dovuto alla sua visione pioneristica del vino in un’epoca pre-metanolo quando il consumo era di oltre cento litri a testa e in tutta la Penisola si aprivano fiaschi e boccioni oltre che taniche.

Mario Schiopetto - Foto: cinellicolombini.it

Lui si appassionò alla viticoltura di qualità, spese tutta la vita nella ricerca irrobustita da continue trasferte in Francia e in Germania e dagli scambi con i grandi dell’epoca, da Angelo Gaja e Franco Biondi Santi, tanto per dire, impostando così una narrazione che è durata in pratica sino ai giorni nostri in cui tutto sembra essere messo di nuovo in discussione.
La scelta del Riesling fu appunto il risultato degli interessi di Mario per la viticoltura e le tecniche d’Oltralpe, al punto da brevettare una bottiglia renana a sua misura con la quale presentarsi al mercato. Intendiamoci, è stato il mentore del Tocai, oggi Friulano, l’antesignano dei grandi vini bianchi della sua regione e dunque anche italiano, un segmento nel quale ancora oggi i protagonisti sono troppo pochi rispetto alle enormi potenzialità di invecchiamento che alcune uve (fiano, verdicchio, timorasso, ribolla, carricante) hanno ormai dimostrato di poter affrontare non solo resistendo ma anche migliorando con il passare degli anni.


Gli amanti del Riesling possono immaginare cosa è uscito da questo bicchiere e quale soddisfazione abbiamo avuto nel poterlo fare con persone competenti e dotate di memoria storica. Perché una delle caratteristiche di queste bottiglie è poterle condividere scambiandosi opinioni, sensazioni, informazioni. In primo luogo, va da sé altrimenti non avremmo potuto scrivere, dobbiamo confermare la vitalità assoluta di questo bianco dopo tanti anni, quasi un quarto di secolo per la precisione. Un naso complesso di frutta evoluta, camomilla, note balsamiche, lampi fumé e solo in parte di idrocarburi (non marcati come ci saremmo aspettati però), al palato il sorso è stato energico, fresco, palpitante, lungo, pulito, con un finale netto e preciso.


Una prova eccezionale di longevità e di bravura tecnica. Persino il tappo era ancora perfettamente integro. Vini del genere nascono da persone decise che però sono aperte e curiose e fanno ricerche. Oggi purtroppo vediamo troppi narcisisti del vino che dicono di sapere tutto e si negano al confronto. Schiopetto invece socraticamente sapeva di non sapere, perciò ci ha lasciato vini immortali.

Kante - Malvasia 2022


di Luciano Pignataro

Alla Subida, a Cormons, Mitja Sirk ci fa bere bene e con passione. Quando nel piatto tocca al tubetto con il midollo abbina questa fantastica Malvasia, il grande classico di Kante che evoca salsedine e iodio. 


Poco più di tre anni di attesa per un bianco friulano di carattere, freschissimo, lungo, appagante.

Alla scoperta dell'Etna Rosso Doc 2021 di Tasca D'Almerita declinato nelle sue tre contrade: Pianodario, Rampante e Sciaranuova


di Luciano Pignataro

Michele Brusaferri è come un bambino felice in un parco giochi. Tutto il giorno scorazza impolverato nei 28 ettari acquistati da Tasca d’Almerita nell’ormai lontano 2007, distante mille chilometri dalla sua Milano di cui non sembra avvertire nostalgia. Un cambio di paradigma di un emigrante del Nord che viene al Sud perché ama il proprio lavoro di enologo.
Così mentre l’Etna emette di continuo fumo bianco, un po’ come i tombini di New York, Michele gira tra i vigneti ad alberello, gli ulivi, i boschi di castagno per poi rinchiudersi nella nuova cantina a Contrada Rampante nel comune di Randazzo dove vengono lavorati i vini. Non sappiamo se da bimbo abbia poppato il nebbiolo di Ar.Pe.Pe, certo è che alla cieca si farebbe fatica a distinguere quel rosso nordico dal nerello mascalese di Pianodario. Un vino etereo, che quella volpe commerciale di Leonardo Vallone ha deciso di ritirare dalle vendite per assegnarlo solo a 40 ristoranti nella versione 2021 presentata al Vinitaly lo scorso maggio e in distribuzione da maggio. Un progetto sartoriale che questo rosso etneo merita, uno dei più straordinari che abbia mai provato: e si che in oltre 50 anni di militanza attiva fra nel partito dei bevitori ne ho bevuti di vini.


Pianodario (pieno di aria) è l’emblema di cosa sia diventato l’Etna in questi ultimi 30 anni, da quando Benanti ne capì le potenzialità seguito da imprenditori lungimiranti e costringendo anche tante aziende siciliane ad investire sul vulcano che qui, come del resto il Vesuvio, è chiamato semplicemente ‘a Muntagna.
L’Etna, come il mare, pretende rispetto, le sue colate laviche, sciare, si possono coniugare alla memoria degli individui di ogni generazione, a differenza delle eruzioni del Vesuvio che ormai sono nel ricordo solo di chi era bimbo nel 1944. Sono vulcani diversi, uno quieto e pericoloso, l’altro esuberante ma tutto sommato domesticabile, anche se alcune sciare hanno fatto non pochi danni nel corso negli ultimi decenni. In questo casino naturale Michele Brusaferri cerca di applicare il razionalismo cartesiano di chi nasce al Nord ma il contatto quotidiano con la Divinità lo ha costretto a dare sfogo all’istinto, alla percezione, ai suggerimenti di ciascuna annata e alla fine a proporre un rosso esile, sottile ma di carattere, proprio come l’Etna, che merita rispetto.

Michele Brusaferri

Noi italiani siamo figli dei comuni, non dell’Impero Romano come voleva la retorica del Ventennio, istintivamente amiamo il piccolo e anche parte del mondo del vino resta abbagliato dal giovane che fa il vino come il nonno. Ma la realtà è che per fare un grande vino sono necessari investimenti, spalle larghe e una pazienza commerciale che vada oltre le declamazioni. Non ha importanza, almeno per me, come si fa il vino, quel che conta è il risultato finale nel bicchiere, anfora, acciaio, legno piccolo, legno grande, cemento, vetroresina. Ne abbiamo viste e subite di mode dagli anni ’90 in poi, ma quando hai un bicchiere di Pianodario sei di fronte a qualcosa che dal reale ti porta all’irreale, come scriveva Veronelli. Abbiamo avuto il piacere di saggiare in anteprima l’annata 2021 e l’offriamo ai lettori di questa disgraziata rubrica che ormai va avanti da oltre un quindicennio. Eravamo giovani e forti, il fisico cede ma la nostra testa è fresca, freschissima, dotata di strumenti di intercettazione della realtà decisamente efficaci di chi ci ha preceduto e di chi ci segue visto che siamo passati dalla carta all’immateriale. Una generazione di mezzo.


Il progetto rosso di Tasca d’Almerita ha alle spalle una storia agricola che risale all’800 quando fu acquistata la tenuta di Regaleali nel centro della Sicilia che oggi vanta 600 ettari tutti a conduzione rispettosa dell’ambiente. Ha dunque il grande vantaggio di non poter fare l’errore tipico di tutti gli imprenditori parvenue del vino, la fretta. Alberto Tasca e la moglie Francesca sanno che sono i tempi lunghi dell’agricoltura a determinare le scelte finali e che questi tempi non possono essere soggetti all’orologio che banalizza una giornata in dodici ore ripetute due volte. Possiamo dire che il progetto dell’Etna sta raggiungendo adesso la sua maturità espressiva, rubo questa felice espressione a Fabio Rizzari. Una maturità divisa in partes tres come la Gallia di Cesare. 


Contrada Rampante, Contrada Sciaranuova e, appunto, Contrada Pianodario. Tutte 2021 entro l’anno. Quest’ultima, come abbiamo detto, è la più eterea, ha un naso di una eleganza assoluta, al palato freschezza, tannini risolti, finale amaro tipico dei vini da zone vulcaniche. Quasi cento piccoli terrazzamenti continuamente ventilati, è qui che si fa l’ultima vendemmia della stagione.


Contrada Rampante si presenta più fruttata, quasi esuberante al naso per ricomporsi al palato in un sorso esile e preciso ma che gratifica. Infine Sciaranuova (ossia lava nuova) è quasi una via di mezzo fra le due, quella che appare più equilibrata e in grado di parlare sia a chi ama il frutto sia a chi punta sull’eleganza.
Michele è riuscito a marcare le differenze fra questi tre cru di Randazzo e berli insieme ha qualcosa di didattico e al tempo stesso emozionante perché l’assaggio tridimensionale dimostra ancora una volta quanto sia importante il terreno nel quale sono piantate le vigne e quanta differenza ci sia fra un versante e l’altro dello stesso territorio.


L’Etna di Tasca si inserisce in un movimento collettivo imponente che ne fa, a nostro giudizio, un territorio che ha ancora grandi potenzialità di sviluppo e di apprezzamento delle bottiglie. Il tema del vino non è la salute e scendere su questo terreno è perdente, la verità è che il vino è cultura, paesaggio, emozione, energia mentale.

Grappoli 2025: il Wine Festival dei vulcani torna a Belpasso il 5 Luglio


Torna sabato 5 luglio al Parco Urbano “Peppino Impastato” di Belpasso la quarta edizione di “Grappoli”, manifestazione ideata dall’associazione giovanile Verde Basico che celebra l’incontro tra cultura, paesaggio e viticoltura. Un’edizione che si annuncia straordinaria, sia per la qualità che per l’estensione del racconto enologico: protagonista assoluto sarà il tema “L’Etna e vulcani del Mediterraneo”. 


Oltre 70 cantine — con una presenza significativa di aziende etnee — animeranno la serata con degustazioni e incontri, con produttori provenienti da Pantelleria, dalle Isole Eolie e un'area dedicata al territorio ospite con 10 cantine dai Campi Flegrei e dal Vesuvio, conoscenza che si potrà approfondire nella stessa giornata grazie a una speciale masterclass (posti limitati) organizzata in collaborazione con Associazione Italiana Sommelier e Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Vino. 


«Grappoli continua nel suo percorso di crescita, inclusione e promozione del territorio con sguardo all'innovazione e nel rispetto della tradizione vitivinicola – dichiara
Salvo Laudani, rappresentante dell’Associazione Verde Basico – e siamo lieti di abbracciare realtà vulcaniche di altri territori che non fanno altro che aggiungere valore al patrimonio che ci tocca rispettare e valorizzare». Un viaggio tra i vini dei crateri, dunque, che esplorerà terroir differenti ma legati da un filo comune: la potenza identitaria delle comunità vulcaniche, capaci di generare vini intensi, ricchi, espressivi. «L’edizione 2025 è l’esempio perfetto di quello che per me vuol dire crescita costante – aggiunge Sergio Bellissimo, Direzione Esecutivo del Wine festival – grazie ad una rinnovata sinergia con il Comune di Belpasso, il 5 luglio avremo più di 70 aziende partecipanti, includendo per la prima volta delle aziende vulcaniche dalla Campania, ospiti sempre più importanti e, ancora, la prima edizione del Premio Grappoli. Sarà un’edizione sorprendente, frutto di un grande lavoro organizzativo». 


In programma talk, degustazioni guidate, momenti musicali e un’area food con eccellenze gastronomiche siciliane, per un’esperienza che intreccia gusto, conoscenza e territorio. «Grappoli non è solo un evento dedicato al vino - spiega il sindaco di Belpasso, Carlo Caputo - ma è un modo per raccontare il nostro territorio che dialoga costantemente col vulcano l'Etna. Questo evento, che noi come amministrazione promuoviamo, si allinea perfettamente con la più ampia visione di sostenere proattivamente il nostro patrimonio artistico e culturale, le eccellenze locali, stimolando la crescita economica e favorendo il turismo». L’appuntamento con Grappoli 2025 è per sabato 5 luglio a Belpasso dalle 18.00 presso il Parco Urbano “Peppino Impastato” sotto il cielo dell’Belpasso. Un brindisi collettivo alla cultura del vino e alla ricchezza dei territori vulcanici del Mediterraneo.

InvecchiatIGP: Contrada Salandra - Falanghina dei Campi Flegrei DOC 2014


di Carlo Macchi

Giuseppe Fortunato è tranquillo come un fiore ben piantato nel suo terreno e operoso come un’ape. Non produce fiori ma vini che ti fanno rifiorire e li produce grazie anche alle api che “lavorano assieme a lui”. Naturalmente non le ha messe a libro paga ma in arnie ben tenute e le api ricambiano svolazzando e aiutando la microdiversità dei suoi vigneti.


Giuseppe ha le vigne su un terreno ballerino, quello dei Campi Flegrei, dove coltiva piedirosso e falanghina. Sono vigne su piede franco perché il terreno è composto da sabbia e cenere vulcanica e qui la fillossera non campa. Nella piccola cantina ha solo acciaio, dove fermenta e tiene i suoi vini prima di lunghi affinamenti in bottiglia, tanto che esce sempre almeno un anno dopo tutti gli altri.

Giuseppe Fortunato

Durante l’ultima visita da lui ha stappato una Falanghina dei Campi Flegrei 2014 per capire quanto un’annata non certo facile viene interpretata da quello che potrei definire “apiviticoltore”. Intanto sgombriamo il campo dalla sterile diatriba sulla 2014: per quasi l’85-90% della produzione si è trattato di un’annata tragica, per il resto il clima fresco e le giuste attenzioni in vigna, hanno spesso prodotto delle piccole opere d’arte. Adesso quell’85-90% non esiste più, ormai bevuto e digerito da tempo, ma è rimasta una parte di quel 10-15% che fa gridare al miracolo e porta a ribaltare i toni sull’annata da chi non riesce a capire le percentuali suddette.


La Falanghina di Giuseppe fa parte del 10-15% e lo dimostra con un colore dorato giovane e brillante e soprattutto con un naso floreale, fruttato, minerale, profondo e intenso che veramente riesce a “miracol mostrare” in bocca la freschezza è netta ma è ormai ingentilita dal corpo equilibrato, portando ad una chiusura sapida e molto lunga. Un consiglio finale, anche senza arrivare agli 11 anni di questa falanghina, qualsiasi bianco anche di livello inferiore a questo di Giuseppe, bevetelo almeno dopo 3-4 anni dalla vendemmia: farete un favore al vino e a voi stessi.

Bodega del fin del Mundo - Patagonia IG Blanc de Noir Extra Brut Fin del Mundo


di Carlo Macchi

Dalla Susi al Giardino delle Esperidi a Bardolino sei certo di bere bene e… strano: prendi questo metodo classico Pinot Nero e Chardonnay (80%-20%) che viene dalla fine del mondo e si chiama proprio così.


Dalla Patagonia una bollicina cremosa, piacevole di grande bevibilità, tanto che è finita in baleno.

Belvedere Roero: una certezza per cibo, vino, accoglienza e… prezzi più che giusti


di Carlo Macchi

Partiamo con un profilo basso: il Belvedere Roero è forse uno dei locali con il miglior rapporto qualità/prezzo del Piemonte, a cui si aggiunge una carta dei vini ampia, particolareggiata, praticamente mondiale, che può soddisfare qualsiasi appassionato. Mettiamoci anche il fatto non trascurabile di un’apparecchiatura da locale stellato e last but not least, un’accoglienza calda, amicale ma non invadente e il cerchio si chiude.


In realtà sono partito lancia in resta perché ormai questo locale è una delle mie tappe fisse quando vado in Langa (da Alba sono 25 minuti, da Barolo 35, da Barbaresco qualche minuto in meno) e naturalmente nel Roero, questa terra che in paesini come Monteu sembra staccata dall’ormai frequentatissima terra del Barolo.
Stiamo parlando di un locale di cucina tradizionale piemontese con alcune intelligenti rivisitazioni, che comunque, oltre alla carta, propone un menù Tradizione e uno Fantasia a soli 40 Euro: quattro portate “multiple” (l’antipasto ha sia il Vitello Tonnato che la Carne Cruda e c’è sempre un benvenuto dello chef) non solo cucinate bene ma con materie prime di alto profilo, cosa non sempre facile, adesso, da trovare in zona.


Dopo aver scelto il menù prendi la carta dei vini e ti immergi in un tour mondiale di etichette: da grandi a particolari, tutte proposte con ricarichi quasi da enoteca.
I ravioli del plin erano perfetti (questa volta e le altre) e lo stesso dicasi per il coniglio all’arneis, ma quello che stupisce di questo locale è la tranquilla bravura che vi regna. Sei in campagna in un ambiente bello ma non stellato, però trovi calici di alta gamma, esperti consigli sul vino (esiste anche una carta “per bere bene e facile” con poche e scelte etichette).

Ravioli del plin

Difficilmente ho mangiato 4/5 portate senza avere qualche calo qualitativo ma qui al Belvedere è praticamente una tradizione di famiglia: come detto questa è ormai la sesta-settima volta che ci vengo e ogni volta ho mangiato meglio della precedente.

Coniglio

In stagione più calda il Belvedere mostra il perché del suo nome con una terrazza da dove si può immaginare in lontananza Torino e che spazia sulle belle e verdi colline del Roero.


In definitiva un’esperienza che ogni volta che passo in zona non posso che ripetere e che vi consiglio vivamente. Non dico valga un viaggio di 300-400 chilometri, ma se sei in Piemonte e vuoi mangiare bene, bere meglio e spendere cifre molto ragionevoli il Belvedere è il posto che fa per te.

Trattoria Belvedere Roero
Frazione San grato 47, Monteu Roero
Tel. 3760867945

InvecchiatIGP: Cennatoio - Etrusco 1995


di Roberto Giuliani

In piena epoca di supertuscan, l’Etrusco nasceva come sangiovese in purezza, ma proponendosi nello stile in linea con questa tipologia di vino che tanto interesse aveva riscosso soprattutto all’estero. Ovviamente, quindi, era un vino estrattivo, concentrato, maturato in barriques, doveva colpire l’assaggiatore per struttura e profondità.


Cennatoio ha sede a Panzano in Chianti, è saldamente nelle mani della famiglia Alessi dal 1970, nel tempo è diventata anche azienda biologica certificata.
Il nome deriva da “cenno”, che è legato alla vicinanza con le Stinche Alte, carcere e avamposto della Repubblica di Firenze al tempo dei Medici, dove era abitudine fare “cenni” ai soldati medicei dal cortile della dimora. L’Etrusco è affiancato dal Chianti Classico nelle diverse versioni, da altri supertuscan e da un interessante Vinsanto Occhio di Pernice.


La bottiglia in mio possesso, purtroppo, ha l’etichetta particolarmente deteriorata, frutto di tre anni passati in una cantina interrata con umidità praticamente al 100%, che però non ha fatto male al vino. L’estrazione del tappo è stata difficile ma senza conseguenze, infatti si è spezzato in due, ma la parte rimasta nel collo della bottiglia è stata estratta senza sbriciolarsi. In ogni caso la tenuta era perfetta.
Versato nel calice è subito evidente che, nonostante i 30 anni di vita, il colore è tutt’ora profondo e quasi impenetrabile; mi ha subito colpito la riduzione appena accennata, mi aspettavo odori fastidiosi e coprenti, invece in pochi minuti di ossigenazione ha iniziato ad aprirsi.


Sono emerse note di cacao, prugna e mora in confettura, caffè, liquirizia, chiodo di garofano, sorprendente la quasi assenza di note più evolute, solo cenni di fungo, cuoio, tabacco; con sorpresa noto affiorare delicate sfumature agrumate e di rosa glassata.


Al palato trovo un vino ancora dinamico, con un’acidità viva e un’ottima armonia tra tannino vellutato e frutto maturo ma non marmellatoso. Sinceramente sorpreso da una simile tenuta, segno di quanto sia importante la buona conservazione di un vino ma anche di una materia indubbiamente elevata e ben gestita. Oggi lo apprezzo molto più di quando uscì in commercio.

Fuori Mondo - Toscana Bianco IGT d’Acco 2018


di Roberto Giuliani

Olivier Paul-Morandini, innamorato della Toscana, produce questo vino da coltivazione biodinamica in bottiglia da 1 l, alicante nera vinificata in bianco. 


Sorprendente, freschissimo, sa di mandarino ed erbe aromatiche, intenso e giovanissimo nonostante i 7 anni dalla vendemmia. Un litro ci vuole!

Ca’ della Vigna - Colli Euganei Fior d’Arancio secco VinOrigo 2022


di Roberto Giuliani

Siamo sulla pianura da cui si eleva il colle della Montecchia, noto per la presenza della Villa cinquecentesca Emo Capodilista, nel Comune di Selvazzano Dentro (PV). Qui il territorio è di origine vulcanica e l’uva “Serprina” è stanziale da parecchi secoli, infatti nei Colli Euganei è molto diffuso questo particolare biotipo (clone ISV-VA 4 iscritto nel 2007 nel Registro Nazionale delle varietà di vite) di Glera, la varietà destinata alla produzione del Prosecco, per le sue caratteristiche dà il meglio di sé proprio nei suoli vulcanici. Fino al 2009 il vitigno era denominato Prosecco, ma con l’ingresso delle DOCG Conegliano-Valdobbiadene e Asolo (e per il fatto che in Friuli esiste il Comune di Prosecco da cui alcuni suppongono provenga questa varietà), il nome è stato modificato in Glera. Nei Colli Euganei, ovvero nella provincia di Padova, non c’è solo la Serprina, ma anche una particolare cultivar di Moscato giallo, qui denominata “Fior d’Arancio”, menzionata già in alcuni documenti agricoli del 1879.


Catia Bolzonella e Willem Brouwer, ambedue architetti, lei padovana e lui di Haarlem in Olanda, innamorati del vino e spinti da un profondo rispetto per l’ambiente, nel 2010 fondano l’azienda Ca’ della Vigna, tre ettari vitati e condotti in biologico, una produzione di poche migliaia di bottiglie tra le quali alcune a base di moscato giallo. Per la rubrica Garantito IGP ho scelto questa dal significativo nome “VinOrigo”, vino fermo, non filtrato e non chiarificato.


Come ci raccontano i produttori “L’uva vendemmiata viene trasportata in cantina entro due ore dalla raccolta, dove viene lavata, diraspata-pigiata e confluita in botte di ceramica di forma sferica. Il vino è stato lasciato a contatto con le bucce fino alla svinatura, avvenuta dopo 5 mesi. Prima dell’imbottigliamento viene travasato e deposita brevemente senza l’uso di solfiti. L’uso della botte sferica ha molteplici vantaggi: in fase di vinificazione sulle bucce mantiene il cappello a contatto con il mosto, facilitando l’estrazione del colore; in fase di fermentazione i moti convettivi non sono ostacolati, anzi contribuiscono al mantenimento di una massa omogenea e a un naturale rimescolamento delle fecce fini; i n fase di conservazione lo spessore della parete garantisce un ottimale inerzia termica ed uno scambio omogeneo, il materiale permette il passaggio di ossigeno, senza cedere alcuna sostanza aromatica”. Devo dire che il vino che mi trovo davanti ha una pulizia espressiva notevole, si sente la mano attenta e un lavoro meticoloso in ogni passaggio. Il colore è giallo paglierino intenso con venature oro. Il profumo richiama subito, guarda caso, il fiore dell’arancia, note di agrumi maturi, pesca gialla, mango, uva spina, susina, erbe aromatiche, zenzero.


Bocca freschissima, con una bella carica fruttata che gioca tra la parte fresca e agrumata e quella più matura che spinge leggermente sul tropicale senza ammiccarlo in modo spudorato. La sensazione finale è quasi salina, rinfrescante ma profonda e persistente, con un forte richiamo alla componente minerale, rocciosa. Un bianco dalla personalità coinvolgente, in grado di evolvere a lungo senza timore di cedimenti.

Cantine Lavorata – Bivongi Doc Rosso Riserva 2018

La poco nota DOC Bivongi cela gemme come questo rosso (Greco Nero, Gaglioppo, Calabrese) prodotto da vigneti piantati a Riace. 


Bouquet complesso: frutti rossi, macchia mediterranea, spezie. Trama elegante, freschezza vibrante e lunga persistenza. Un sorso che svela l'unicità di questo terroir calabrese.

InvecchiatIGP: Tenuta Luce – Toscana Rosso IGT “Luce” 1995


Luce, il vino simbolo di Tenuta Luce, quest’anno celebra una prestigiosa ricorrenza: i 30 anni dalla prima vendemmia, datata 1993. Per festeggiare questo importante anniversario, Frescobaldi, proprietario della Tenuta, ha pianificato una serie di iniziative, come ad esempio coinvolgere la Casa d’Aste Christie’s per la creazione di lotti unici da mettere all’incanto oppure – e questo mi riguarda più da vicino – organizzare una serie di degustazioni in tutta Italia, durante le quali far assaggiare a stampa e professionisti del settore alcune delle vendemmie più iconiche di questo vino, , concepito fin da subito come un blend di Sangiovese e Merlot, al fine di associare l’eleganza e la struttura del primo alla rotondità e all’avvolgenza del secondo.


Luce rappresenta per me molto più di una semplice bottiglia di vino” racconta Lamberto Frescobaldi, Presidente Marchesi Frescobaldi, che continua “È un’esperienza, un viaggio personale nella vinificazione, che mi ha permesso di esplorare nuove tecniche e metodi, sia in vigna che in cantina e durante l’affinamento, valorizzando un terroir unico. Ogni vendemmia è stata un’avventura e un’opportunità per approfondire le mie conoscenze e arricchire la mia passione. Luce ha segnato profondamente il mio percorso di vita e di lavoro: è stato il mezzo attraverso cui ho scoperto il mondo, incontrando persone accomunate dalla stessa attenzione per il vino, con cui ho condiviso anche storie e culture.”

Lamberto Frescobaldi

Prima di parlarvi di Luce 1995, degustato all’interno di una verticale che arrivava fino alla 2022, ultima annata prodotta, è bene ricordare ai nostri lettori che la storia di Tenuta Luce ha inizio nei primi anni Novanta ed è segnata dall’incontro di Vittorio Frescobaldi con un altro grande personaggio del vino, Robert Mondavi. Due uomini lungimiranti, che scelsero Montalcino, terra nota per la sua vocazione enologica, per avviare insieme un progetto visionario, mossi dal desiderio di fare un vino che andasse oltre i confini della tradizione, senza tuttavia rinnegarla. A fianco di Vittorio e Robert furono coinvolti sin dall’inizio anche i rispettivi figli, Lamberto e Tim, allora giovani enologi, entusiasti di fare parte del progetto.


Le prime due annate di Luce, 1993 e 1994, vennero presentate insieme nel 1997 stimolando da subito grande curiosità e interesse: Luce venne immediatamente percepito come un prodotto innovativo, dal respiro internazionale e, vendemmia dopo vendemmia, anche dopo la fine della partnership con i Mondavi (2004), il vino ha continuato ad affermarsi sulla scena enologica mondiale tanto da essere esportato oggi in 80 Paesi.


Tornando a Luce 1995, la prima cosa che mi ha impressionato di questo vino è stata la sua inaspettata freschezza figlia di una annata tutt’altro che calda a Montalcino che, in un certo senso, ha esaltato (vivaddio) le caratteristiche uniche del sangiovese tenendo in una sorta di cono d’ombra il merlot la cui morbidezza, stavolta, apportando sfumature preziose senza stravolgere l’identità territoriale del vino. 

Il colore di Luce 1995

Dal punto di vista sensoriale la 1995 mi ha incantato perché il suo naso è un viaggio olfattivo attraverso il tempo, con profumi terziari che si esprimono in tutta la loro complessità: dalla macchia mediterranea all'affumicatura sottile, fino alle note evocative di viola appassita e di frutta rossa matura ma non declinata alla confettura. In bocca, la sua vitalità sorprende, con una succosità che esalta il frutto e una dinamicità che lo rende agile e piacevole. 


La struttura è solida ma elegante e dotata di una bella tensione acida che ne ravviva il sorso. I tannini si sono ammorbiditi con il tempo, fondendosi armoniosamente con gli altri elementi del vino, per un finale lungo e persistente, dominato da una piacevole sensazione balsamica che ne sottolinea la classe. Il vino, per chi vuole informazioni più tecniche, affina per 12 mesi in barrique di rovere francese (66% nuove, 33% di primo passaggio) e per 6 mesi in botti di rovere di Slavonia. Viene imbottigliato dopo 18 mesi.

Luca Leggero – Canavese Nebbiolo DOC “Maura Nen” 2021


I social, se utilizzati correttamente, restano ancora oggi un formidabile strumento per promuovere il proprio lavoro e creare relazioni che altrimenti sarebbe difficile immaginare. Questo lo sa bene Luca Leggero, vignaiolo classe 1990, che proprio grazie a Instagram sta facendo conoscere ai suoi follower la propria attività e il vino che produce sulle colline di Villareggia, alle porte del Canavese. In questo territorio rurale, a pochi chilometri dalla più industriale Torino, Luca — che ha iniziato a lavorare tra le vigne del nonno e del bisnonno già all’età di 15 anni — fonda nel 2011 la sua piccola azienda agraria con l’obiettivo di creare, col tempo, una cantina che riporti in vita due eccellenze locali, guardando al futuro: il Nebbiolo, ottenuto dai cloni di picotendro, e l’Erbaluce.


"Ci sono voluti tantissimi anni - mi confida Luca - ma con la realizzazione della mia cantina, inaugurata nel 2021. il mio progetto ha finalmente preso forma. Dopo aver sognato e immaginato tutto questo, sono davvero felice di poter comunicare il frutto del mio lavoro: dalla progettazione dei vigneti all’impianto, dalla produzione delle prime uve agli esperimenti, fino alla creazione dei nostri vini. Vini che, oltre a possedere qualità organolettiche ben definite e rappresentative del territorio, devono essere sostenibili, soprattutto dal punto di vista ambientale, rivoluzionando le teorie e le pratiche dell’agricoltura e della vinificazione adottate negli ultimi cinquant’anni."


Infatti, i sei ettari di vigneto di proprietà di Leggero, piantati a picotendro ed erbaluce, a cui va aggiunta una piccola parte di dolcetto proveniente da Murazzano (Cn) dove si sta sviluppando un progetto di agricoltura sociale, sono gestiti secondo i principi dell’agricoltura biologica e biodinamica grazie all'utilizzo di microrganismi e macerati autoprodotti per la difesa e la fertilità naturale dei terreni sciolti tipici del Canavese.


In cantina – spiega Luca – lavoro per tutte le mie etichette selezionando le migliori masse che, ovviamente, vanno nel Maura Nen e nel Red Nen ma gli altri vini, ovvero il La Vila e il Turciatura non posso dire che sono vini base perché l’idea alla base della mia enologia è che tutti debbano avere un potenziale di invecchiamento importante”.


A parte il Langhe Dolcetto “Retro”, che fa solo ed esclusivamente acciaio, tutti i vini di Luca Leggero, vengono affinati attraverso l’uso di anfore e botti grandi di rovere.


L’utilizzo delle anfore – afferma Luca – è un omaggio alle antiche tradizioni vinicole, ma non solo. Questo approccio, utilizzato sia per i vini bianchi sia per i rossi, permette al vino di respirare e maturare gradualmente, dando vita a un prodotto più complesso e ricco di sfumature, senza però andare ad alterare gli aromi tipici delle uve. Inoltre, le anfore offrono un ambiente stabile e a temperatura costante, che aiuta a preservare tutte le qualità dei vini nel tempo. Le botti grandi in rovere da 25 e 50 hl, utilizzate esclusivamente per i rossi, permettono sia di lavorare sulla complessità del vino, sia di conferire maggiore volume e persistenza in bocca. Si tratta comunque di un utilizzo dosato, in quanto il lavoro in botte può variare dai 4 ai 6 mesi e al resto ci pensa l’anfora. Per l’Erbaluce, invece, dal 2023 stiamo usando in affinamento anche tonneaux da 500 litri per donare maggiore profondità al vino ma, a differenza dei rossi, si tratta di passaggi molto veloci, per non segnare troppo il vino, pari al 20% della massa totale”.


Tra i rossi di Luca Leggero, quello che mi è rimasto più impresso è senza dubbio il “Maura Nen” 2021. Il nome, che in dialetto piemontese significa “non matura”, racconta bene tutta la difficoltà e l’austerità del legame tra il territorio canavesano e il suo vitigno tradizionale. 


Nebbiolo in purezza dal colore brillantissimo, svela un bouquet elegante e profondo: si apre con profumi di rosa e violetta, che si intrecciano a note mature di prugna e ciliegia, mentre sullo sfondo affiorano accenni di artemia, achillea, accanto a sensazioni scure di terra e spezie. Il sorso è bevibilissimo, più persistente che massiccio, con grana tannica solida ma fine, in un contesto di rara piacevolezza. Bravo Luca!

InvecchiatIGP: Castello di Nipozzano - IGT Toscana Mormoreto 2007


di Lorenzo Colombo

Nel 2007 cadevano i 25 anni dalla prima produzione di questo vino frutto di un blend tra Cabernet Sauvignon, Merlot, Cabernet Franc e Petit Verdot, questi vitigni erano già stati messi a dimora presso il Castello di Nipozzano oltre 150 anni fa. Per l’occasione l’azienda dei Marchesi de Frescobaldi ne ha quindi prodotta un’etichetta speciale che riporta la scritta 25 e l’anno d’inizio della sua produzione ovvero 1983 e quello della vendemmia 2007.


Le uve provengono dall’omonimo vigneto (Mormoreto) situto nel comune di Pelago e messo a dimora nel 1976, la prima annata, come già detto, è del 1983 e già l’anno successivo non è stato prodotto, com’è pure avvenuto negli anni 1987, 1989,1992, 1998 e 2002, annate non considerate all’altezza. Il vigneto è situato tra i 250 ed i 300 metri d’altitudine con esposizione sud, vi si trovano due tipi di suoli, i primi sono prevalentemente sabbiosi e ricchi di calcio, i secondi sono costituiti da alberese, ricchi di calcio e con molte pietre. Il sistema d’allevamento è a Cordone speronato con densità d’impianto di 5.800 ceppi/ettaro.


L’annata 2007 è stata caratterizzato da una primavera e da un autunno temperato, con poche precipitazioni. Il mese di luglio è stato molto caldo nella sua prima metà poi le temperature si sono abbassate e ad agosto ha piovuto molto. La maturazione delle uve è avvenuta in ottime condizioni climatiche con giornate calde e soleggiate e notti fresche. Il blend nell’annata 2007 è così costituito: 60% Cabernet sauvignon, 25% Merlot, 12% Cabernet franc e 3% Petit Verdot. Dopo la fermentazione alcolica e la malolattica il vino è stato posto in barriques di rovere prodotte sia con doghe segate che spaccate in parte nuove ed in parte usate, dov’è rimasto per 24 mesi ai quali ne sono seguiti altri sei di sosta in bottiglia.


Ne abbiamo scovata in cantina una bottiglia, in realtà di tratta di una bottiglia da 375 ml che, se ricordiamo bene, ci era stata omaggiata in azienda durante una nostra visita di molti anni fa. L’abbiamo affrontata con un certo timore – era già pronta una bottiglia di riserva - poiché temevamo sulla sua tenuta nel tempo.
Le mezze bottiglie non sono infatti l’ideale per un lungo invecchiamento dei vini, il diametro del loro collo, e di conseguenza il tappo usato, sono gli stessi delle classiche bottiglia da 750 ml, di conseguenza il passaggio d’ossigeno rapportato al contenuto di vino è percentualmente il doppio e questo causa in genere un invecchiamento più precoce. Fatto sta che in questo vino questo fenomeno non ne ha assolutamente inficiato la qualità.


Il tappo, come potete notare dalla foto, è uscito integro e senza nessun segno di colatura, nonostante la bottiglia sia sempre stata conservata coricata.
Altra bella sorpresa l’abbiamo avuta dal colore, di un granato profondissimo, con unghia ancora viva e vivace che sfumava impercettibilmente su note aranciate. Ma è al naso che maggiormente ci ha colpiti, ampio, elegantissimo, senza alcuna sbavatura né impercettibile nota ossidativa, anzi.


Di discreta intensità olfattiva ha i suoi punti forti nell’ampiezza e nell’eleganza dei profumi, terziari ovviamente data l’età, anche se non mancano i sentori fruttati che rimandano alla prugna matura, quasi secca, e alla ciliegia matura, le note sono autunnali, con sentori di sottobosco e humus, balsamiche, con note di spezie dolci, vaniglia, accenni di caffè e cioccolato che ci hanno ricordato i pocket coffee, cogliamo inoltre leggerissimi accenni di liquirizia, pepe e salamoia e note mentolate.


Buona la sua struttura, il vino è asciutto, con tannino ancora vivo e graffiante, il caffè in povere emerge netto accompagnato da sentori di cioccolato e menta, ritroviamo inoltre sia le note di prugna che di ciliegia e gli sbuffi di pepe, buona la sua vena acida come pure la persistenza. In definitiva un gran bel vino.