A lezione di "vini" a ridotto o zero contenuto alcolico


di Lorenzo Colombo

Con il decreto MASAF numero 672816 del 20 dicembre 2024 anche i produttori italiani avranno la possibilità di produrre e commercializzare vino dealcolato. Fino ad ora la produzione di questa tipologia di vini era consentita, ma gli operatori dovevano provvedere ad eseguire la trasformazione in Paesi terzi dove questo procedimento era già ammesso.


Ci siamo quindi accostati con molto interesse alla Masterclass che si è tenuta in apertura del 27° concorso enologico Le Mondial des Vins Blancs, svoltosi gli scorsi 5 e 6 aprile a Strasburgo, interessante lezione dal titolo “Les vins sans alcool” condotta da Bruno Marret, enologo e direttore dell’azienda Côte de Vincent, alla fine della quale abbiamo potuto degustare cinque vini dealcolati.

Bruno Marret

Bruno Marret vanta una notevole esperienza nella dealcolizzazione dei vini, ha infatti prodotto il primo vino (rosso) analcolico dell’azienda Côte de Vincent nel 2002, il motto di quest’azienda recita “Lasciatevi tentare da un nuovo stile di vita, libero dai rischi e dalle conseguenze dell’alcol.” Al di là di quanto assaggiato la lezione è stata decisamente interessante - anche se non abbiamo condivisa in toto quant’espresso - ed ha toccato numerosi aspetti relativi a questa tipologia di vini che ultimamente fa tanto discutere. Ecco un sunto da quant’espresso da Marret che ha iniziato la sua relazione elencando le tre diverse tipologie di vini a basso e/o ridotto contenuto alcolico e senza alcol, le loro caratteristiche e la loro posizione dal punto di vista legislativo.

1) Vini dal contenuto alcolico ridotto: diminuzione del livello alcolico (massimo 20%)
Nessun obbligo di menzione in etichetta (purché rientrino nei limiti minimi alcolici dati di disciplinari di produzione). Si tratta di vini leggeri con caratteristiche organolettiche vicine ai vini da cui derivano.

2) Vini parzialmente dealcolizzati (Low Alcol): la gradazione alcolica dev’essere compresa tra lo 0.5% ed il 9%. Forte impatto sul gusto e grande differenza rispetto ai vini d’origine. Subiscono una forte concorrenza dalle birre e da altre bevande a basso contenuto alcolico.

3) Vini dealcolizzati (no Alcol): gradazione alcolica inferiore allo 0,5%. Non possono rivendicare una denominazione. E’ vietato avere 0% d’alcol, avvero gli analcolici. Forte impatto sul gusto (il che richiede un’educazione). Subiscono la concorrenza con i succhi.

Marret ha poi menzionato i principali momenti storici ed evolutivi di questa particolare tipologia di vini, spingendosi sino ad un ipotetico loro futuro:

1908 – Creazione del primo processo di dealcolizzazione

1970 – Creazione di vino liofilizzato (in polvere) analcolico

1988 – Creazione di due nuovo processi di dealcolizzazione

2002 – Importante lancio economico dei vini analcolici in Francia

2029 – Nuove cose da scoprire

2035 – Il vino analcolico diventa parte delle abitudini del consumo quotidiano

Si è quindi soffermato sulle principali bevande alcoliche preferite dai francesi nel 2024:

Vino - 60%

Birra - 58%

Champagne - 39%

Cocktails - 31%

Sidro - 22%

Altre bevande alcoliche -21%

I non consumatori di bevande alcoliche sono il 14%. I giovani dal 18 ai 25 anni sono il 23%. Ha poi evidenziato che nella maggior parte dei paesi il consumo d’alcol è diminuito, ecco i dati del 2000 e del 2021 in numero di bottiglie:

Francia da 96 a 61

Italia da 85 a 62

Portogallo da 71 a 69

Spagna da 54 a 32

Nota: i dati forniti sono piuttosto diversi da quanto si ritrova in altre pubblicazioni.

Ecco poi la situazione in Francia tra il 2022 ed il 2023:

Un francese su cinque non consuma alcol

E’ aumentato del 25% il numero dei bevitori moderati

Il 24% dei giovani tra i 18 ed i 25 anni non consuma bevande alcoliche

Il 52% dei francesi prevede che consumerà meno alcol

Marret fornisce poi i dati economici relativi al mercato mondiale del “senza alcol” che è di 11 miliardi di dollari.

Sono quindi stati descritti i tre metodi di dealcolizzazione attualmente utilizzati, il loro processo ed il risultato ottenuto

1) Distillazione sottovuoto a bassa temperatura

Evaporazione: Si parte dal concetto che quando un liquido viene scaldato ad un certo punto cambia il suo stato che diventa da liquido a gassoso

Sottovuoto: più si abbassa la pressione più si abbassa la temperatura d’evaporazione.

Cosa succede al vino: semplificando il vino è un mix tra acqua e alcol e le due sostanze hanno temperature d’evaporazione diverse.
Alla normale pressione atmosferica l’evaporazione avviene a circa 78°C per l’alcol e a 100°C per l’acqua.

La dealcolizzazione: ponendo il vino sottovuoto possiamo far evaporare l’alcol a 35°-40°C pur preservando gli aromi

Si ottengono così due prodotti:

· Vino dealcolizzato

· Alcol per produrre delle bevande alcoliche

2) Osmosi inversa

Il sistema permette di separare l’alcol dal resto del prodotto attraverso il passaggio in specifiche membrane. Da una parte di ottiene una miscela d’acqua ed alcol e dall’altra troveremo tutti gli altri componenti del vino molto concentrati.

Reidratazione: a questo punto si separa ed elimina l’alcol dall’acqua attraverso il processo sopra descritto di diversa temperatura di evaporazione dei due elementi oppure utilizzando un sistema ad osmosi a membrana.


Anche in questo caso si ottengono due prodotti:

· Vino dealcolizzato

· Alcol per produrre delle bevande alcoliche

3) Colonna a coni rotativi

Anche con questo sistema il processo prevede sia il sottovuoto come la bassa temperatura. I coni rotanti, creando una maggior superficie di contatto facilitano la distillazione dell’etanolo e della parte aromatica (che avviene e diverse temperature). La parte aromatica viene poi ricomposta con l’acqua.


Si è quindi passati all’assaggio di cinque vini, un bianco effervescente, un bianco fermo, uno rosa e due rossi, vini dei quali non andiamo a scrivere, non avendoli trovati particolarmente attraenti. Entrando più in profondità abbiamo trovato il vino effervescente e quello bianco accettabili “con riserva” mentre sulla qualità degli altri numerosi dubbi permangono, perlomeno questa è la nostra opinione.

InvecchiatIGP: Azienda Agricola Romeo - Vino Nobile di Montepulciano Riserva DOCG Riserva dei Mandorli 2001


di Stefano Tesi

Lo ammetto: mi sono quasi commosso quando dalla polverosa cantina ho tirato fuori questa bottiglia di un caro amico che, purtroppo, non vedo da molto tempo. Anche perché da anni ha ceduto l’azienda cui ha dedicato lunghi meritevoli energie e passione, fatto di cui sono stato testimone diretto. Per il Nobile erano altri tempi, in un certo senso ingenui, tutto pareva andare in una certa direzione e, francamente, stappando questa Riserva non sapevo che aspettarmi. C’erano fermento e tensione, all’epoca. Confidavo insomma nel vino e nel produttore, ma dopo 24 anni che avrei trovato? Temevo un vinone esausto, speravo in un vino vibrante. 
In retroetichetta leggo che fu fatto con Prugnolo Gentile, Mammolo e Colorino, “invecchiato il tonneaux e piccole botti di rovere”. Non restava che procedere.


L’ho aperto con un paio d’ore d’anticipo e ho trovato un tappo integro, quasi perfetto, che però si è spezzato a metà sul più bello per un difetto strutturale. 
Al momento clou, lo verso nel calice e vedo un rubino intenso, pieno e caldo, con un’unghia appena aranciata che certamente non tradisce la veneranda età. Nonostante l’ossigenazione, il naso è fatalmente chiuso all’inizio, ma dopo dieci minuti di permanenza nel bicchiere ed alcuni vigorosi scossoni si apre con un bel frutto maturo e una nota asciutta che solo alla fine concede qualcosa a note terziarie, ma non tracimanti, di liquirizia, terra, sottobosco, grafite e appuntalapis (sorridete pure, ma è così: chi ha fatto le scuole elementari nei tempi giusti sa di cosa parlo), per poi discendere di nuovo su accenni di frutta cotta e prugna.


In bocca, la sorpresa: preconizzavo un vino stanco, lo trovo invece sì solenne e ampio, ma più che vivo, ampio, con avvolgenti note affumicate e poi balsamiche, tutt’altro che seduto, anzi sorprendentemente pimpante, con accenni di freschezza, pienamente integro e un nerbo complessivo, un cipiglio quasi severo, che colpisce e spiazza. Il finale è lungo, con un vago retrogusto di caffè americano. Ed estremamente godibile sullo stracotto domestico ammannitomi dalla consorte per la circostanza. Promosso a pieni voti e con un po’ di amarcord.

I'M Winery - Amurg Zero Feteasca Alba Pas Dosè


di Stefano Tesi

M’era parso interessante già nel caos della tappa fiorentina di Proposta Vini. Risentito con calma questo Metodo Classico moldavo fatto con 100% Feteasca Alba, dai riflessi verdognoli, di marcata varietalità, piacevolmente acidulo e discretamente profondo, m’è piaciuto anche di più. 


Promosso

Pievi: il Nobile di Montepulciano tra ieri, oggi e domani


di Stefano Tesi

Inutile nasconderlo: il progetto “Pievi”, ossia la tipologia “top” di Nobile di Montepulciano creata nel 2020 con lo scopo di esaltare la territorialità del vino, era rimasto finora, agli occhi di stampa e osservatori, una sorta di oggetto misterioso. Non era facile coglierne la logica, i criteri e le prospettive, anche per le molte difficoltà concettuali e formali incontrate nel tempo da un disegno basato sull’articolata combinazione delle vocazioni geologico-storico-agronomiche-paesaggistiche dell’area e concepito suddividendola in dodici U.G.A. (Unità Geografiche Aggiuntive) facenti capo ad altrettante sottozone, individuate ricalcando l’antica scansione plebana del territorio poliziano.


L’unica certezza era che l’operazione mirasse ad essere la leva necessaria per risollevare le sorti di una denominazione sì prestigiosa ma in crisi di identità e in crescente difficoltà, aggravata da un’economia locale fortemente enocentrica (“circa il 70% è un indotto diretto del vino”, rimarca il presidente del Consorzio, Andrea Rossi) e con numeri non trascurabili: 1 mld di euro di valore totale, 65 milioni di euro di valore medio annuo della produzione, 1.200 ha di vigneto a Nobile, 390 a Rosso, oltre 250 viticoltori, 6,7 milioni di bottiglie di Nobile e 2,3 milioni di Rosso immessi annualmente sul mercato, con una previsione produttiva per il Pievi di circa 600 mila bottiglie all’anno ad un prezzo sul mercato (dice un sondaggio Nomisma) tra i 40 e il 100 euro. Ma se nemmeno oggi, in verità, possiamo garantire che sotto il profilo del successo commerciale e di immagine l’operazione sarà destinata a riuscire nell’intento, possiamo invece ascriverci tra quelli che ne hanno capito la filosofia. Filosofia complessa, ma a nostro giudizio lungimirante.


Il merito di averla resa finalmente comprensibile va all’accurata presentazione che (approfittando di una manifestazione allargata a due giorni nell’ambito delle ultime Anteprime toscane) il Consorzio è riuscito a organizzare in occasione dell’Anteprima 2025 del Vino Nobile, a seguito dell’ok sul testo del disciplinare dal Comitato Nazionale Vini del 10 ottobre 2024 e del conseguente decreto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 5 febbraio scorso, in base al quale la nuova tipologia è potuta andare in commercio quest’anno con l’annata 2021.


Diciamo subito che, per dare un giudizio qualitativo sui prodotti degustati, ci pare oggettivamente presto: le sedute di assaggio riservate ai giornalisti hanno avuto una funzione più che altro didattica, con un panel di soli 19 campioni che non poteva essere considerato significativo. In tal senso sarà molto più probante quello dell’anno prossimo, quando sulla carta potrebbero essere oltre 60 le etichette di “Pievi” sul mercato e, quindi, in preview. Si può comunque già dire che da un lato le differenze tra le diverse U.G.A. sono apparse all’assaggio piuttosto marcate e che, dall’altro, non si sono troppo avvertite certe sfasature stilistiche aziendali che da sempre rappresentano uno dei punti deboli delle altre tipologie di Nobile.


Al di là di questo, la parte più interessante della presentazione è stata quella teorica, allestita nel Tempio di San Biagio (chapeau per la location e l’organizzazione), che ha ripercorso la genesi concettuale del progetto attraverso l’approfondimento degli elementi geologici, storici e enologici.

L’idea di creare la nuova menzione nasce da un iter metodologico che ha visto la partecipazione di tutte le aziende produttrici”, sottolinea il direttore, Paolo Solini, “e che ha portato alla nascita di una visione univoca del nostro vino, supportata dalla ricerca di esperti e anche da evidenze geologiche e pedologiche. A questo reticolo tecnico si è poi sovrapposta, con sorprendente esattezza, la realtà storica emersa dalla consultazione di biblioteche e archivi storici. Da ciò nascono le U.G.A.: Ascianello, Badia, Caggiole, Cerliana, Cervognano, Le Grazie, Gracciano, San Biagio, Sant’Albino, Sant’Ilario, Valardegna e Valiano”.

Queste coincidono con le “comunità distrettuali” del territorio poliziano già individuate catastalmente nel 1823 e determinate dalla progressiva convergenza di fattori storici, geologici, topografici e toponomastici, capaci di determinare le caratteristiche generali del vino, anche a prescindere dai diversi stili aziendali. In questo senso il disciplinare è rigido: la corrispondenza al tipo del vino destinato a diventare “Pieve” deve’essere valutata, prima dei passaggi previsti dalla normativa, da una commissione consortile interna composta da enologi e tecnici. L’uvaggio è vincolato a un 80% di Sangiovese e ai soli vitigni autoctoni complementari ammessi dal disciplinare, con uve esclusivamente prodotte dall’azienda imbottigliatrice.

La parte meno tecnica ma forse più affascinante dell’intera vicenda è però un’altra.

A un certo punto delle ricerche condotte negli anni dalla Società Storica Poliziana per ricostruire la vicenda del Vino Nobile e delle sue articolazioni sul territorio, infatti, nell’archivio della curia arcivescovile ci si è imbattuti in un paio di documenti tanto inediti quanto di fondamentale importanza, entrambi risalenti alla fine del ‘600: il taccuino con cui lo scrivano Niccolò Barbieri riportava, sotto dettatura del priore del convento di Sant’Agnese, Alessandro Mucotti, le tecniche agronomiche ed enologiche usate per produrre il vino di Montepulciano e il libretto “Rubri Apud Politianos Vini Confectio” (“L’Arte di preparare il vino a Montepulciano”) scritto dal celebre gesuita Rodolfo Acquaviva, Rettore del Collegio Poliziano tra il XVII e XVIII secolo.


Si trattava, in entrambi i casi, di veri e propri vademecum enologici destinati ai conventi, o meglio a chi, in questi, sopraintendeva alla produzione di uva e vino. Ruolo importantissimo, considerato che all’epoca agli enti religiosi era affidato il compito di produrre vino destinato ai nobili e che ai religiosi medesimi facevano capo realtà produttive importanti e strutturate. “Quelle annotazioni così approfondite e dettagliate, sebbene basate su osservazione empiriche, prive cioè di qualsiasi fondamento scientifico, dimostrano che nella realtà della Montepulciano dell’epoca già sussistevano una maestria, un’attenzione alle tecniche, una consapevolezza delle differenti vocazioni e consuetudini di zone, climi e suoli del comprensorio assolutamente sorprendenti. I due testi costituivano anche, senza saperlo ovviamente, una sorta di zonazione ante litteram la cui bontà è stata riconfermata dal fatto che le scansioni territoriali tracciate nei manoscritti sono passate, quasi immutate, nei catasti successivi”, spiega con passione il vicepresidente del consorzio, Luca Tiberini. “Barbieri infatti – insiste – scriveva sotto dettatura del suo priore, il quale a sua volta veniva sollecitato dal potere ecclesiastico, destinatario dei benefici economici derivanti dal commercio del vino di qualità. Ecco perché il vescovo raccomandava di raccogliere e trascrivere le esatte tecniche agronomiche e enologiche a cui si ricorreva nelle singole pievi facenti capo ai diversi conventi. Il tutto in conseguenza dell'indirizzo “filosofico” indicato da Acquaviva e sfociato nella necessità per la chiesa di avere norme ed indirizzi codificati che permettessero un prosieguo sicuro ed efficace alla produzione di vino nelle proprietà condotte dalle varie congregazioni. Il tutto nel quadro di ricco ed efficace commercio che a quel tempo si faceva in tutta Europa con il vino Nobile”.

La storia, insomma, continua.

InvecchiatIGP: Tenuta del Cavalier Pepe - Irpinia Coda di Volpe DOC "Bianco di Bellona" 2005


di Luciano Pignataro

“Ciao Milena, sto bevendo il tuo Coda di Volpe di vent’anni fa sulla cucina di mare di Alessandro Feo a Casal Velino nel Cilento. Perfetto!”. 

“Il 2005? E’ la mia prima vendemmia, sono contenta!!!".

Caspita, è il caso di dire, come vola il tempo. E il vino è uno dei suoi marcatori che possono declinarsi in presente, passato e trapassato remoto. Nel senso che bere i vini prodotti prima della tua nascita (ormai evento rarissimo) ti regala un senso di stupore e di immortalità. Bere i vini del passato da quando hai coscienza di cosa significa bere il vino matura un esercizio di memoria e di compiacimento tali da renderli contemporanei. Bere vini che misurano il tempo di un presente che ritenevi tali ma che è invece è misura del tempo che tu, oltre al vino, hai trascorso mette un po’ di ansia.


Sembra ieri, infatti, di quando scrivemmo di una giovane ragazza con l’accento francese declinato in musicalità irpina veniva mandata dal papà Angelo a creare l’azienda di famiglia. Sembra ieri quando Milena ci parlò del Coda di Volpe piantato in grande quantità perché bianco tipico del territorio taurasino (ricordiamo l’Alopegis di Molettieri) e invece, cacchio, sono passati venti anni, venti. E il bianco che avevamo conservato sta in una forma sicuramente migliore della nostra che lamentiamo i primi veri acciacchi della vecchiaia umana.

Milena Pepe

Invece questa cazzo di Coda di Volpe si, è uscita con un colore giallo paglierino carico, vivo ma non spenti, ma si è presentata all’appuntamento perfetta, integra, a cominciare dallo stappo, con ancora l’acidità vibrante che manteneva il ritmo del sorso, il naso ricco di idrocarburi come sempre avviene con i bianchi irpini che superano i dieci anni, in una cornice di cedro candido e di miele di castagno, la beva lunga, corposa, entusiasmante, piacevole.


Cosa dire? Certo non è la prima volta che parliamo di Coda di Volpe in grado di sfidare il tempo e di evolvere bene negli anni. Lo stesso Bianco di Bellona di cui parliamo lo avevamo degustato in una verticale del 2017 e già allora eravamo rimasti stupiti dalla tenuta magnifica. Immaginate allora la sorpresa dopo vent’anni.
Soprattutto in considerazione di due fattori: il primo è che avrebbe potuto sicuramente tenere botta per almeno quattro, cinque anni per quanto era vivo e vegeto nel bicchiere. Secondo, se pensiamo ai nostri primi passi nel mondo del vino quando questa uva era usata per abbassare l’acidità di fiano e greco, allora capiamo come sia evoluta la viticultura negli ultimi anni in grado di fare esprimere vitigni meno commerciali in un modo stupendo. 


C’è bisogno di raccontare le belle esperienze fatte con il Coda di Volpe di Perillo in Irpinia e di Fattoria La Rivolta nel Sannio? Che dire? Bisogna crederci fino in fondo, perché è un peccato usare il petrolio solo per accendere candele e non per far correre una Ferrari. Cazzo!

Tenuta Cobellis - Paestum Greco IGP Thumòs 2024


di Luciano Pignataro

Il Greco del Cilento non ha la mineralità esasperata di quello irpino ma non per questo ha meno carattere e potenzialità di abbinamento.


Coltivato su terreno argilloso a 300 metri alle falde del Monte Gelbison dall’azienda Cobellis, il 2024 si presenta energico, buon frutto al naso, beva lunga e gratificante.

Tenuta San Francesco - Costa d'Amalfi doc Rosato 2021


di Luciano Pignataro

Il tiepido solo primaverile accentua la tendenza degli appassionati verso i bianchi e i rosati. Purchè, aggiungo, abbiate dato il tempo a queste bottiglie di maturare e di riequilibrarsi. Oggi agli amici di questa rubrica storica ho deciso di proporre una delle mie ultime fisse: i rosati evoluti per qualche anno sul modello Lopez de Heredia che in Italia, almeno per quel che conosco, non esistono ancora. Ci sono però degli esperimenti, non so se voluti o casuali come avveniva sino a qualche anno fa con i bianchi che vanno in questa direzione.


Il rosato che allunga il passo nel tempo diventa qualcosa di etereo, elegante, fine e al tempo stesso accentua la sua predisposizione ad abbinamenti molteplici e, anche, ad una accoglienza più ecumenica in una tavola dove non ci sono solo appassionati. Facevo queste riflessioni di fronte a questo bicchiere prodotto da Tenuta San Francesco, un piccola azienda di Tramonti, l’anima contadina della Costiera amalfitana dove sino agli anni ’70 la gente scappava per non morire di fame, che ha avuto il grande merito di recuperare una viticoltura eroica grazie alla testardaggine del suo fondatore, Gaetano Bove, medico veterinario e grande appassionato.


La sua collaborazione con Carmine Valentino, enologo irpino di grandissima esperienza e poco mediatico, ha regalato in questi anni una batterie di vin indimenticabili, da È iss, un tintore da viti giganti a piede franco, al Per Eva, una vigna di falanghina, pepella e ginestra a 600 metri che regala un bianco immortale. I suoi rosati per alcuni anni si sono adeguati allo storico delle aziende della Costiera Amalfitana, territorio che vantava una certa tradizione grazie ai Vini Gran Caruso degli anni ’60 adorati dal jet set che frequentava le rocce bagnate dal mare navigando sui Riva in legno.


Lo stile di questo rosato di quattro anni fa è diverso, il colore vira sul colore cipolla, il naso premia le note balsamiche e mediterranee lasciando il fruttato in sottofondo, ma soprattutto colpiscono l’eleganza al palato, la finezza, il tono sapido, senza concessioni piacione, con un finale amarognolo che ripulisce bene la bocca. Viene da uve tintore e piedirosso coltivate fra i 300 e i 600 metri di altezza vinificate in acciaio dove sostano circa otto mesi prima di essere messe in bottiglia altri due mesi.


La bevuta di questa bottiglia così gratificante dimostra una grande evoluzione e soprattutto un tono giovanile, vigoroso, che non ha alcun cedimento ossidativo e neanche segnala stanchezza sul colore. Il vino, così equilibrato dalla giusta quanto inaspettata attesa nella mia cantina, ha sposato una aragosta di Palinuro accompagnata da verdure dell’orto di Maria Rina, la patron del ristorate il Ghiottone, dal 1978 riferimento sicuro nel Golfo di Policastro, lì dove si incontrano l’ultima Campania, la Basilicata e la Calabria con montagne a picco sul mare.
C’è tanto da lavorare, ma siamo sicuri che i risultati saranno pazzeschi.

Origine Number 1: il primo cognac della collezione privata Maze Churchill è pura delizia per il palato


Nel panorama esclusivo dei distillati di pregio, poche storie catturano l'immaginazione con la forza e la singolarità di quella della famiglia Maze Churchill. Radicata nel cuore della regione di Borderies, l'area più piccola e considerata uno dei "cru" più pregiati di Cognac, la loro produzione di "eaux-de-vie" di alta qualità trascende la semplice tradizione; è la celebrazione di un incontro storico e di un'eredità tramandata con passione attraverso generazioni.


La narrazione si apre in un contesto inatteso e drammatico: le trincee della Prima Guerra Mondiale. Fu in questo periodo di sconvolgimenti e sofferenze indicibili che Paul Maze, figura di spicco della pittura post-impressionista, incontrò Winston Churchill. Le prime linee del fronte occidentale, teatro di orrori inimmaginabili, divennero così il luogo di nascita di un'amicizia, cementata dalla condivisione non solo delle difficoltà della guerra, ma anche di un amore profondo e condiviso per l'arte pittorica. 


Questo legame, forgiato nel fuoco della storia, era destinato a perdurare oltre il conflitto, unendo indissolubilmente le due famiglie che il destino volle far incontrare di nuovo anni dopo quando Robert, nipote di Charles Spencer-Churchill, nono Duca di Marlborough e cugino di Winston, incontrò Jeanne, nipote di Paul Maze, e figura di spicco della pittura post-impressionista. 


In questo incontro, si riconobbe un'eco potente delle eredità dei loro nonni, un'affinità profonda che li unì in un nuovo, significativo percorso familiare e imprenditoriale. Oggi, Jeanne e Robert, insieme ai figli Jack e Ivor, custodiscono e perpetuano questo straordinario patrimonio nel Domaine de Montplaisir, situato proprio nel cuore della regione francese del Cognac dove, grazie ad un terreno argilloso-calcareo, si producono raffinati distillati di grande eleganza floreale.


È in questo contesto che nasce il progetto "Les Étapes de L'Esprit", l'esclusiva collezione di Cognac presentata nei giorni scorsi con orgoglio dalla famiglia Maze Churchill. Questa collezione, prodotta in edizione limitata, sarà composta da cinque bottiglie, una per ogni anno a partire dal 2025, ed ogni Cognac ha il compito di rappresentare una fase del ciclo vitale della vigna: germogliamento, fioritura, allegagione, invaiatura e, infine, vendemmia.


Il primo atto di questo percorso è rappresentato "Origine Number I", un Cognac di assoluto livello prodotto tramite un blend di due eaux-de-vie invecchiate in media 35 anni, che racchiudono gli aromi senza tempo caratteristici dei Cognac di altissima qualità prodotti nella zona delle Borderies a partire da uve Ugni Blanc.


La degustazione di "Origine" è un'esperienza che coinvolge tutti i sensi. Il colore ambrato con riflessi ramati anticipa un bouquet complesso, dove si intrecciano note di nocciola, caramello, noce moscata, cannella, vaniglia e un tocco di agrumi. Al palato, si rivela rotondo e ricco, con un complesso gioco di frutta candita e spezie. Il finale speziato, secco e deciso aggiunge vivacità e luminosità, rendendo questo Cognac adatto sia ai palati classici che a quelli più moderni.

InvecchiatIGP: Oddero Poderi e Cantine - Barolo Vigna Rionda 2005


di Carlo Macchi

Da pochi giorni è scomparso Giacomo Oddero. Aveva quasi 100 anni ed è stato uno dei personaggi che ha dato una grossissima mano a costruire la Langa che noi oggi conosciamo. Grazie a lui sono state realizzate molte opere, tra cui l’acquedotto che oggi porta l’acqua in Langa e che 50 anni fa era ancora un sogno. L’ho intervistato pochi anni fa, durante il periodo del Covid, e sicuramente è stata una delle più belle interviste che abbia mai fatto.


La mia storia nel vino si è incrociata molte volte con il dottor Oddero ma ricorderò sempre la prima, quando ebbi la fortuna di assaggiare uno dei vini che mi hanno fatto amare in maniera incondizionata il nebbiolo: sto parlando del Barolo Vigna Rionda 1990. Così per ricordarlo sono sceso in cantina alla ricerca di una sua bottiglia e mi sono imbattuto in un altro Vigna Rionda, quello del 2005.


La 2005 non è certo passata agli annali con la stesso curriculum della 1990: siamo di fronte ad un’annata difficile, con due settimane di pioggia all’inizio di settembre e una ad inizio ottobre. Da gennaio a ottobre a Serralunga ci furono 42 giornate di pioggia ma comunque una sommatoria termica gennaio-settembre poco inferiore a 2000 parla di una vendemmia difficile ma con buone possibilità per chi aveva saputo lavorare in vigna e intervenire nei momenti giusti. Per quanto riguarda Winesurf, dopo gli assaggi dei Barolo 2005 parlammo di annata equilibrata e abbastanza pronta, che avrebbe potuto dare in alcuni casi ottimi risultati in invecchiamento grazie ad un equilibrio che già si intravedeva al momento dell’entrata in commercio. Serralunga è considerata la terra del Barolo con più “tannoni”, ma sinceramente c’ho sempre trovato vini con un equilibrio invidiabile, specie quando si parla di Vigna Rionda e in particolare quando si affianca il Nnome Oddero (Oddero Poderi e cantine) a questo vigneto.


Questo 2005 mi ha confermato al colore che siamo ancora in piena giovinezza, dimostrandolo anche al naso dove accanto a note di china e rabarbaro troviamo ancora frutto rosso e un alcol indubbiamente importante ma ben bilanciato. In bocca i tannini sono fitti e ancora in parte da domare, ma accanto a una incredibile freschezza la beva è sostenuta, piacevolissima e di notevole persistenza. Il corpo non è certo imponente ma nel complesso il vino si dimostra dinamico e ancora giovanissimo.

Caro dottor Oddero, non dico che questo 2005 arriverà alla veneranda età in cui ha deciso di lasciarci, ma sono convinto che darà grandi soddisfazioni per almeno altri 20-25 anni.

Galliussi - Friuli Colli Orientali Sauvignon Portis, 2021


di Carlo Macchi

Ennesima dimostrazione lampante che nei Colli Orientali si producono grandi Sauvignon! 


Naso praticamente perfetto con gli aromi classici del vitigno, ben maturi e complessi. Bocca fresca, ampia, profonda. Una goduria assoluta che viene da una nuovissima azienda partita con “entrambi i piedi giusti”.

Il Belvedere a Montegrotto Terme è una piccola perla enogastronomica sulla strada dei Colli Euganei


di Carlo Macchi

A prima vista sembra il classico locale da banchetti: posto panoramico, grande parcheggio, sala molto grande ben apparecchiata ma senza sfarzi inutili, grande terrazza panoramica per il periodo estivo. In effetti il Belvedere a Montegrotto Terme E’ (anche) un locale da banchetti, ma con una sorprendente anima gourmet che dal 1962, anno della sua nascita, è rimasta praticamente intatta. Lo si capisce strada facendo, anzi “pranzo facendo”, ma la dimostrazione arriva alla fine, quando ordini il dolce e ti arriva un millefoglie con una crema pasticcera da urlo, a cui anche Iginio Massari avrebbe fatto l’applauso. Chiedi quale pasticceria faccia quella bontà e ti rispondono che la fanno loro da sempre, è un dei vanti del locale.


Siamo sulle colline di Montegrotto Terme, nei Colli Euganei, e dal belvedere del Belvedere si può spingere l’occhio fino al mare, oppure spingere il naso verso la cucina per capire cosa “bolle in pentola”. Dal 1962 la famiglia Fornasiero si occupa, con successo, di quello che “bolle in pentola” e il menù è improntato a piatti classici del territorio con due piccoli segreti, l’ottima materia prima e una mano ormai abituata a trattarla nel migliore dei modi. In più su alcune preparazioni si sente il piglio delle ruspanti osterie venete. 

Antipasti

Tra i classicissimi antipasti, che vanno dalla soppressa veneta con polenta ad un più ricercato tortino alle verdure su fonduta di parmigiano mi sono buttato su un mix di polentina morbida, funghi e soppressa. La cosa che mi ha stupito di più è stata la qualità veramente alta della soppressa, morbida, saporita ma equilibrata. Fermi tutti! A questo punto potreste dire “Ma checcefrega di un posto dove si mangiano cose così semplici e scontate”. Prima di essere tacciati di snobismo gastronomico voglio dirvi che fare bene piatti semplici, anche per numeri importanti è una delle cose più difficili in ristorazione, specie se, come vedremo alla fine, il prezzo del pranzo o della cena è veramente corretto.

Tagliolini al sugo d'anatra

Tra i primi vi consiglio, in stagione, il risotto al radicchio trevigiano o il risotto di zucchine e miele mantecato al moscato mentre tutto l’anno troverete i bigoli o i tagliolini al sugo d’anatra. Tra i secondi molto equilibrata e saporita la faraona ripiena e si può andare sul sicuro anche sul baccalà alla vicentina. Del dolce vi ho già detto ma ve lo riconfermo perché un millefoglie così buono non lo mangiavo da decenni.

Millefoglie

Tutto questo con un servizio corretto, preciso, amicale ma non appiccicoso. La carta dei vini non è certamente vasta ma comprende interessanti etichette del territorio e alcuni “fuori regione” di buon livello.


Per un pranzo completo, dall’antipasto al dolce, arriverete al massimo a spendere 50 Euro più i vini, ma con un menù di tre portate non supererete i 40 Euro. Una cifra più che adeguata per un buon pranzo sui Colli Euganei.

Ristorante Belvedere
Via Montenero, 1 Montegrotto Terme (PD)
Tel. 049793423

Anghiari Compie 50 Anni: La Mostra dell’Artigianato Celebra L’Uomo, la Creatività e il Futuro del Made in Italy


La Mostra dell’Artigianato di Anghiari festeggia quest’anno il suo 50° anniversario, un traguardo che segna non solo il lungo percorso di una manifestazione storica, ma anche l’evoluzione di un’idea che ha messo sempre l’uomo al centro. Da 50 anni, Anghiari è il palcoscenico dove tradizione, creatività e innovazione si incontrano per raccontare la bellezza dell'artigianato italiano. Un evento che, da sempre, ha celebrato il "saper fare" manuale, ma che oggi, più che mai, diventa uno spazio di dialogo per custodire e far crescere la creatività come risorsa fondamentale per il futuro.


La 49ª edizione della Mostra ha aperto un nuovo capitolo, adottando un linguaggio fresco e dinamico per attrarre i giovani verso l’artigianato, un settore che ha sempre affascinato per la sua capacità di raccontare storie di passione e competenza. Con il 50° anniversario, la Mostra si fa ancora più forte nel suo messaggio: il cuore dell’artigianato è l’uomo, di qualsiasi età, chiamato a trasformare la propria creatività in una risorsa concreta e sostenibile per il futuro, un contributo fondamentale al consolidamento del nostro Made in Italy.

Paola De Blasi, direttore artistico della Mostra, afferma: “Con questa edizione speciale vogliamo celebrare non solo il nostro passato, ma anche il futuro dell’artigianato, mettendo al centro le persone, giovani e adulte, che con la loro creatività sono pronte a continuare a scrivere la storia dell’artigianato italiano.”

Quest’anno, infatti, la Mostra si arricchisce di numerose iniziative, come le masterclass tenute dai maestri artigiani, che condivideranno la loro sapienza e le loro tecniche in vari settori: dalla liuteria alla sartoria, dalla gioielleria alla creazione di calici in vetro per la degustazione del vino, passando per la preparazione di pasta e pane artigianale, un simbolo della nostra cultura gastronomica.

Inoltre, un’attenzione particolare è rivolta alle nuove generazioni, con il Premio Leonardo da Vinci, che incoraggia gli studenti degli istituti tecnici superiori a portare innovazione e freschezza nell’artigianato, dando nuova vita alla tradizione. “In questa edizione speciale, vogliamo che ogni partecipante senta di essere parte di qualcosa di grande, che va oltre l'esposizione: è un'occasione per valorizzare il talento, l’innovazione e la passione di chi guarda al futuro con occhi nuovi”, sottolinea Paola De Blasi. “Con il 50° anniversario, la Mostra dell’Artigianato di Anghiari si conferma come un evento che celebra la bellezza del fare a mano e l’importanza di continuare a investire nella creatività e nella manualità. Un’occasione per promuovere l’artigianato come uno degli asset più importanti del nostro patrimonio culturale e per affermare, ancora una volta, che l’uomo, con la sua creatività, è la forza che rende l’artigianato una ricchezza senza tempo”.

Dal 1° dicembre 2025, i prodotti artigianali e industriali potranno ottenere la registrazione dell'Indicazione Geografica Protetta (IGP) in tutta l'Unione Europea, estendendo la tutela già prevista per il settore agroalimentare. Questo nuovo regime di protezione valorizza le produzioni locali e regionali, promuovendo la qualità, l'autenticità e la reputazione dei prodotti legati a un territorio specifico. Tra i prodotti che potranno beneficiare dell'IGP ci sono pietre naturali, gioielli, tessuti e cuoio, sostenendo lo sviluppo delle economie locali e favorendo l'internazionalizzazione delle eccellenze artigianali e industriali europee. “In un momento delicato come quello attuale”, aggiunge Paola De Blasi “è fondamentale proteggere il nostro Made in Italy, simbolo di eccellenza e autenticità, e rafforzare il valore della qualità del nostro artigianato, che rappresenta un patrimonio culturale e un motore per lo sviluppo economico delle nostre comunità”.

InvecchiatIGP: Sacrafamilia - Oltrepo Pavese Bonarda Astràgalo 2003


di Roberto Giuliani

Mi aveva già spiazzato la versione 2004 il mese scorso, qui andiamo indietro di un altro anno, al caldo 2003. Ora, che Sacrafamilia, l’azienda di Anna Mercandelli e Domenico Capeto situata a Godiasco Salice Terme nel cuore dell’Oltrepò Pavese, si distingua per il forte credo religioso che avvolge e indirizza il loro lavoro in vigna e in cantina, è cosa risaputa. Siamo a livelli estremi nelle soluzioni agronomiche, qui si opera in modo certosino, qualunque intervento chimico è bandito, compresi rame e zolfo, le vendemmie portano a casa quantità d’uva ridicole, nell’ordine del 3-4% a ettaro, neanche il più estremo dei vini passiti si ottiene da così poca resa.


Non entro nel merito delle motivazioni, anche perché non potrei, ma basta conoscere Anna e Mimmo, o semplicemente leggere le loro mail, per capire quanto siano costantemente immersi in un linguaggio legato al Divino, quanto tutta la loro esistenza ne sia profondamente immersa e li porti alla ricerca della purezza assoluta. Bene, scendendo sulla Terra, anzi sulla terra, quello che conta per noi è che riceviamo da loro dei vini che hanno qualcosa di unico, persino da un vitigno che solitamente non è neanche lontanamente paragonabile a un aglianico, un nebbiolo o un sagrantino per longevità e complessità.


Quindi, questa Bonarda Astràgalo 2003 fa parte di qualcosa che fatico a spiegarmi, perché vi assicuro che è straordinaria. Già il colore è spiazzante, ancora mostra aneliti rubini in un contesto che non va oltre il granata, ma è all’olfatto che mi lascia senza parole, lo trovo ancora migliore del 2004, nonostante la qualità dell’annata avrebbe dovuto favorire quest’ultimo. Invece mostra un corredo fruttato vivo e generoso, senza sbavature né ossidazioni, se c’è qualche cenno terziario è finissimo, del sottobosco prende i lati più freschi, balsamici, si coglie benissimo anche un mazzo di violette, dopo 22 anni e dalla vendemmia 2003! Mi dà quasi fastidio entrare nello specifico perché mi sembra fuorviante scrivere di riconoscimenti olfattivi, il valore di questo rosso oltrepadano va ben oltre.


Integrità e fascino che ritrovo perfettamente al palato, dove il frutto quasi esplode in tutta la sua dolcezza, probabilmente un leggero residuo zuccherino, o forse una raccolta leggermente tardiva, sta di fatto che ha un sapore intenso e armonico, piacevolissimo, bilanciato da una vena acida perfettamente fusa con la polpa che ne esalta la vitalità, ma soprattutto non ha alcun cedimento, segno che le uve dovevano essere davvero perfette. Un vino così sovverte ogni regola, dimostra che il legame intimo tra umano e natura, basato sul profondo rispetto, può forgiare autentici capolavori come questo.

Ferlat - Venezia Giulia IGT Ribolla Gialla 2023


di Roberto Giuliani

Solo rame e zolfo nei 7,5 ettari di Federica Tabacchi e Moreno Ferlat, interessante realtà a nord di Cormòns. 


La Ribolla Gialla subisce macerazione a contatto con le bucce per 48 ore. Questo le dona personalità, freschezza e un’ampiezza espressiva dai toni di pera Williams, mango e cedro maturo.

Tappero Merlo - Caluso Kin 2020


di Roberto Giuliani

L’azienda di Domenico Tappero Merlo si trova a Loranzè, in provincia di Torino, nel cuore di quell’area nota come Canavese, dove regna incontrastato l’Erbaluce, un’uva a bacca bianca tra le più affascinanti di tutto il Piemonte.


Ho scelto per Garantito IGP questo vino perché ha una personalità tutta sua e non passa inosservato. Domenico ha una visione produttiva che vede nell’equilibrio la chiave di lettura più corretta, la Terra merita rispetto proprio per tutta la vita che ci dona, senza di essa non esisteremmo. Per questa ragione, laddove le conoscenze e le tecnologie ce lo consentono, si possono fare scelte più attente e rispettose, preferendo ai tanti prodotti chimici che l’industria ci propone, lavorare “con prodotti naturali a base di estratti vegetali di erba medica, alghe brune, barbabietola, aloe vera, yucca, propoli, castagno, olio essenziale di arancio dolce, oltre a specifici batteri, lieviti, microelementi e biostimolanti fogliari, latte vaccino e un ridotto impiego di rame e zolfo”. In questo contesto, flora e fauna si sviluppano liberamente dando vita a un ecosistema dove l’uomo è osservatore rispettoso e mai invasivo, sebbene ancora qualche compromesso sia inevitabile, ma questa è la strada giusta.


Il Kin nasce da terreni fortemente acidi di origine morenica, composti per l’80% di sabbia, 15% limo e 5% argilla. Sono terreni poverissimi che consentono delle rese decisamente basse, tra i 35 e i 40 quintali per ettaro. La fermentazione delle uve è spontanea con lieviti indigeni, l’affinamento si svolge in botti di rovere da 20hl per un periodo che può variare dai 18 ai 36 mesi secondo le caratteristiche dell’annata.
La 2020 ha colore paglierino intenso e luminoso, profuma di agrumi, salvia, fiori di campo, una trama speziata che si avvicina alla curcuma e allo zafferano, in un contesto piacevolmente balsamico. Al palato emerge la consueta vivacità e freschezza dell’erbaluce, in un contesto profondo dove il legno contribuisce a dargli ampiezza espressiva; un’interpretazione indubbiamente non “classica”, ma di notevole appeal.

InvecchiatIGP: Costa Archi – Sangiovese di Romagna Superiore Riserva “Monte Brullo” 2007


Ho conosciuto Gabriele Succi, anima e cuore di Costa Archi, nel 2010 quando ero intento a festeggiare i tre anni del mio blog “Percorsi Di Vino” con una grande festa (organizzata da Dino De Bellis) dove, tra gli altri, erano presenti tanti vignaioli ancora emergenti tra cui una giovanissima Elena Fucci che da lì a poco diventò la Signora dell’Aglianico del Vulture. Credo di aver pubblicizzato molto quella “wine fest” perché prima del 30 gennaio, giorno dei festeggiamenti, mi arrivò dalla Romagna una mail con la richiesta dell’azienda Costa Archi di Gabriele Succi di poter partecipare alla ricorrenza nonostante fosse impossibilitato a presenziare di persona.


Quindici anni fa, la conoscenza con Gabriele e la sua azienda era limitata a sporadici incontri online, dove si distingueva come uno dei pionieri vignaioli blogger. Nonostante la sua precoce e apprezzata attività di divulgazione sul web, non avevo mai avuto l'opportunità di degustare i suoi vini. Accettai quindi con piacere la sua offerta di una cassa di Monte Brullo Riserva 2007, un Sangiovese che, una volta assaggiato, sorprese per la sua vitalità e che, pur non essendo più prodotto dal 2016, rimane ancora oggi un punto di riferimento per i Sangiovese romagnoli moderni, caratterizzati da equilibrio e rispetto per il frutto e il territorio, lontani da eccessive concentrazioni e dall'invadenza del legno nuovo.

Gabriele Succi

Delle sei bottiglie ricevute nel 2010, una la misi da parte in cantina, spinto dalla forte curiosità di osservare l'evoluzione del Monte Brullo. Forse attendere quindici anni è stato un azzardo, e ammetto di non aver trattato il vino nel modo migliore: il tappo, quasi completamente disfatto all'apertura, non faceva presagire nulla di buono sulla tenuta di questo sangiovese romagnolo. Risolsi filtrando e decantando il vino che, nel suo nuovo contenitore di cristallo, offrì segni di speranza grazie a un colore rosso granato assolutamente vivo e luminoso.


La speranza si trasforma in un grande sorriso quando metto il naso nel bicchiere che esplode in aromi assolutamente garbati anche se giocati sul filo di una ossidazione ancora in fase embrionale. Il Monte Brullo 2007 è, perciò, ancora tra noi, emana invitanti aromi di prugne, pot-pourri, china, spezie balsamiche, resina di pino, suggestioni di humus e rosa appassita. Dalla bocca, vivaddio, trapela solido vigore mitigato da inaspettata freschezza; esibisce tannino perfetto sia per trama che per integrazione e una morbidezza che, dopo tutto questo tempo, afferma una bella dose di equilibrio. Finale non troppo persistente ma assolutamente coerente.


Gabriè, detto alla romana, volevo farti con questo articolo una sorpresa ma più ci penso e più credo che tu, alla fine, l’abbia fatta a me.

W il Sangio di Romagna!

Teresa Mincione - Terre del Volturno IGP Casavecchia “Nulla è per caso” 2023


Teresa Mincione ha deciso di ascoltare il suo cuore e, cambiando vita, è diventata vignaiola.


Nulla è per Caso è un Casavecchia affinato in anfora che rompe gli schemi col passato portando modernità, agilità e bevibilità a questo rosso casertano troppo spesso imbrigliato in inutili sovrastrutture.

Avenida Calò celebra a Roma il matrimonio tra pizza e vino


Negli ultimi anni, l'abbinamento pizza-vino sta diventando una tendenza affermata nelle pizzerie italiane, elevando l'esperienza gastronomica oltre la tradizionale birra.
Antesignani di questa nuova tendenza sono stati sicuramente Francesco Calò e sua moglie Chiara Maggio che, dopo varie peripezie e in cerca di un futuro lavorativo fuori dall’Italia, hanno aperto nel 2016 nel centro di Vienna la loro Via Toledo Enopizzeria, un locale ampio, elegante e accogliente che nel giro di qualche anno riesce ad affermarsi come la migliore pizzeria di tutta l’Austria ottenendo importanti riconoscimenti internazionali. 

Francesco Calò e Chiara Maggio

Inizialmente è stato davvero difficile per noi – sottolinea Francesco Calò – poiché, come facile pensare, in Austria il classico abbinamento con la pizza, per storicità e cultura, è ovviamente con la birra. Aprire una Enopizzeria è stata sicuramente una sfida ardua ma, grazie anche alla caparbietà di mia moglie Chiara, appassionata di vino, pian piano siamo riusciti ad affermarci e da venti coperti al giorno che facevamo siamo arrivati, grazie anche al premio come “Miglior pizzaiolo italiano nel Mondo” per il campionato mondiale Pizza Doc, a sfornare centinaia di pizze al giorno abbinandolo ai grandi vini italiani”.

Sala interna

Spinti dal desiderio di espandersi, Francesco e sua moglie stavano per aprire una nuova pizzeria a Madrid, ma un imprevisto li ha diretti verso Roma. Durante una vacanza in Puglia, entrambi ricevettero contemporaneamente delle telefonate. La moglie apprese della disponibilità del locale a Madrid, ma Francesco la interruppe con una notizia più allettante: un'opportunità si era presentata a Roma, vicino al quartiere Flaminio, per un locale per il quale aveva già fatto un'offerta, lasciando ai proprietari 48 ore per decidere. Il seguito è l'imminente apertura di Avenida Calò a Roma, prevista per metà dicembre 2024 in Viale Pinturicchio 40. L’Enopizzeria Avenida Calò, al cui interno contiamo un massimo di 50 coperti, si presenta luminosa ed accogliente, col colore verde che caratterizza gran parte degli spazi valorizzati anche dalle ceramiche di Vietri con le maioliche realizzate dal ceramista Giovanni De Maio e Cristina Celestino.


Una volta seduti al tavolo, assieme al piccolo benvenuto accompagnato da un calice di metodo classico o da un drink analcolico, il personale di sala, tutte ragazze giovani e bravissime, fornirà al cliente il menù relativo alla proposta gastronomica con relativa carta dei vini.


Senza entrare troppo nel discorso tecnico degli impasti, basta sapere che Francesco usa un blend di farine da lui creato caratterizzato da alta percentuale di crusca (Farina Intensa), Avenida Calò propone in carta 26 tipologie di pizza divise tra classiche, doppia cottura e “revolution” che sono le pizze in cui Francesco Calò dà libero sfogo alla sua creatività. In aggiunta, per chi vorrà, ci sarà anche la possibilità di fare un percorso degustazione, entrando nel vivo della visione creativa di Francesco, che si compone di sette portate (Euro 55) per un massimo di 4 persone per tavolo. Particolarità di questa degustazione è che ogni portata viene servita sul “piatto mano”, fatto in ceramica e realizzato appositamente per Francesco Calò da Vincenzo Del Monaco, porcellanista storico di Grottaglie.

Piatto mano

Al percorso degustazione ma, estendendo il discorso anche alle singole pizze, è possibile aggiungere anche il pacchetto wine pairing (Euro 25 p.p.). In questo ambito il merito è tutto di Chiara Maggio che propone una carta di oltre 130 etichette che, posso dirlo senza piageria, rappresenta una lista di vini affatto scontata e ricca di tante “chicche” anche per i sommelier più smaliziati come me. Il ruolo importante del vino da Avenidà Calò è teorico ma, soprattutto, pratico visto che, sfogliando il menù, di fianco ad ogni piatto, che sia una montanarina, una pizza o un primo piatto, quest’ultimo a cura dello chef Antonio Giugliano, Chiara indica sempre il vino che è possibile prendere in abbinamento, un pairing studiato abilmente che metterà a suo agio anche i neofiti di questa bevanda alcolica.

Montanarina con tartare di Fassona

Il mio percorso di degustazione, scelta che consiglio a tutti coloro che vogliono conoscere la vera anima di Avenida Calò, è iniziato con una Montanarina con tartare di fassona, maionese salata, nocciole del Piemonte e cicoria selvatica, accompagnato egregiamente da un Crémant d’Alsace Blanc de Blanc di Vincent Stoeffer


La prima pizza “Revolution” è l’imperdibile Nero di Marinara con San Marzano DOP datterino rosso, aglio nero di Voghera e origano di montagna (Pizza dell’anno 2024 per la Guida 50 Top Pizza “Latteria Sorrentina Award”).

Nero di marinara

L’abbinamento, anch’esso azzeccatissimo, è col Negramaro Rosato “Tacco Rosa” di Tenute Stefàno


Un’altra pizza strepitosa che mi arriva è la Tre Consistenze di Friarielli (Fiordilatte, provola, salsiccia fresca, crema di friarielli, friarielli spadellati, friarielli croccanti, basilico, Olio EVO) la cui saporosità e persistenza è ben bilanciata dal Franciacorta Pas Dosè di Ca’ dei Ronchi.

Tre consistenze di friarielli


Si cresce di struttura con la Genovese di Coda (Fiordilatte, Genovese di coda, pomodoro confit, pecorino romano, basilico, Olio EVO), chiaro omaggio a Napoli la cui struttura e avvolgenza ben si sposa con la Barbera d’Asti DOCG de La Gironda.

Genovese di coda


L’abbinamento migliore, anche per la qualità delle proposte enogastronomiche, arriva con la pizza successiva ovvero la Takumi No Umai (Tartare di ricciola, zucca Hokkaido, Katsuobushi, cipolla rossa, Olio EVO) il cui gusto, davvero particolare ed intenso, è supportato alla grande dall’Aranzu (Vermentino 80%, Nuragus e Semidano 20%) della cantina Raica, una piccolissima cantina sarda che ho appena scoperto grazie alla bravura di Chiara.

Takumi No Umai


Il vino più importante del pairing, un ottimo Chardonnay borgognone prodotto da Pierre Ponnelle, lo abbiamo abbinato al Sogno di Bottarga (Fiordilatte, Cosacavaddu ibleo stagionato 12 mesi, Bottarga di Tonno Rosso “Testa”, limoni costa d’Amalfi marinati in aceto di mele “Il Tenello”, burro Fattorie Fiandino, Olio EVO), ultima pizza del mio menù di degustazione che avrei preferito meno “spinta” sulle note agrumate che un pochino coprivano la bontà della bottarga che è passata in secondo piano.

Sogno di bottarga


La degustazione si chiude in dolcezza con una montanarina mirtilli e cannella accompagnata da un mini-cannolo di ricotta che ho preferito abbinare ad un Amaro dell’Erborista prodotto da Varnelli.

Montarina dolce e mini cannolo

Alla luce dell’esperienza appena descritta posso tranquillamente sostenere che Avenida Calò è un locale davvero sorprendente e per certi versi unico, rappresenta infatti un nuovo modo di intendere la pizzeria, un luogo dove la passione per la pizza si fonde con la cultura del vino e la ricerca della qualità. Un locale che, grazie alla sua atmosfera accogliente e alla sua proposta gastronomica innovativa, è destinato a diventare un punto di riferimento gourmet di Roma Nord. Prosit!

CONTATTI
Avenida Calò (aperta pranzo e cena)
Viale Pinturicchio 38, 40, 42 - Roma
Tel. 06 89238209
www.avenidacalo.it