San Bernardo - Igt Montenetto di Brescia Marzemino 2022


di Lorenzo Colombo

E’ poco conosciuta l’IGT Montenetto, situata su un promontorio a Sud di Brescia; tra i vitigni che vi si coltivano si distingue il Marzemino utilizzato nel vino che andiamo ad assaggiare.


Fermentazione ed affinamento avvengono in acciaio per preservare i sentori floreali e di frutta fresca del vitigno.

Il Capo di Stato ed altri vini di Loredan Gasparin e Ronco Blanchis


di Lorenzo Colombo

Qualche anno fa, avevamo scritto in merito al Venegazzù - Cru Monopol della Doc Asolo Montello - di Loredan Gasparini andando a tracciarne la storia e riportando quanto ne scrisse nel lontano 1967 André Louis Simon nel suo Wines of the World nel capitolo dedicato ai vini del trevigiano “In questa zona è stato prodotto per decenni uno dei più fini vini d’Italia, il Venegazzù, del Conte Piero Loredan, fatto con Cabernet franc, Cabernet sauvignon, Merlot, Malbec e Petit verdot che viene invecchiato per tre anni in fusti”.

Per chi fosse interessato ecco qui l’articolo completo.

L’azienda Loredan Gasparini è stata fondata nel 1951 dal Conte Piero Loredan, discendente di Leonardo Loredan che fu Doge di Venezia. Dopo essere stato a Bordeaux il Conte decise di mettere a dimora sul Montello i vitigni colà incontrati, ovvero Cabernet sauvignon e Franc, Merlot e Malbec dai quali poi sarebbe nato dapprima il Venegazzù e successivamente il Capo di Stato.
Come specificato nel sopracitato articolo nel 1973 l’azienda viene acquistata da Giancarlo Palla il quale pensa che il territorio del Montello sia adatto anche alla produzione di vini spumanti, così acquista la Tenuta di Giavera del Montello e nel 1976 inizia a produrre, oltre al Prosecco, anche del Metodo Classico. Negli anni Novanta entra in gioco Lorenzo, figlio di Giancarlo che, dopo aver visitato le principali zone viticole del mondo, dà un nuovo indirizzo alla parte agronomica, coinvolgendo dapprima i preparatori d’uva Simonit e Sirch e successivamente adottando l’Indice Bigot per valutare il potenziale qualitativo dei vigneti.


Ultimo passo - almeno per ora - è stato l’acquisto nel 2001 dell’azienda Ronco Blanchis, situata a Mossa, nel Collio goriziano la cui conduzione enologica è affidata a Gianni Menotti, qui si coltivano esclusivamente vitigni a bacca bianca, Friulano, Malvasia, Ribolla Gialla, Pinot Grigio e Sauvignon. Attualmente l’azienda dispone di 60 ettari di vigneti nel Montello, 30 a Venegazzù e 30 a Giavera del Montello (quest’ultima tenuta era stata acquistata negli anni Settanta) per una produzione annuale di circa 400.000 bottiglie. A queste poi s’aggiungono le 50.000 bottiglie prodotte dai 12 ettari di vigneti del Collio.


Nella tenuta di Venegazzù si coltivano principalmente uve a bacca rossa, mentre quella situata a Giavera è destinata ai vitigni a bacca bianca, Glera in primis ed alla produzione di vini spumanti. Le etichette prodotte sono 13, sette di vini rossi, cinque spumanti ed un solo vino bianco.
Abbiamo avuto l’opportunità di assaggiare alcuni vini, in compagnia di Lorenzo Gasparini lo scorso 2 dicembre, eccoli, in ordine di servizio.

Docg Asolo Prosecco Superiore Extra Brut “Cuvée Indigena” 2023

Le uve, Glera in purezza, provengono da un vigneto messo a dimora nel 1975 la cui densità d’impianto è di 2.500 ceppi/ha e la cui resa è di 120 q.li/ha.
La sua produzione prevede una singola fermentazione, ovvero dopo una pigiatura soffice il mosto viene posto direttamente in piccole autoclavi dove rimane per circa sei mesi, la lenta fermentazione, che s’arresta spontaneamente, darà un vino che, a seconda delle annate, avrà un residuo zuccherino diverso e che, nel caso del vino in assaggio è inferiore ai 6 gr/l, collocandolo così nella tipologia degli Extra Brut. La fermentazione avviene utilizzando lieviti indigeni selezionati in azienda.


Color giallo paglierino di discreta intensità, l’effervescenza quasi non si nota nel bicchiere. Media la sua intensità olfattiva, percepiamo sentori di frutta a polpa gialla, mela e pesca gialla. Intenso al palato, cremoso, sapido e succoso, si ritrovano le tipiche note date dal vitigno, ovvero una pera Williams matura, lunga la sua persistenza. 

Collio Friulano 2022

Le uve provengono dai due ettari di vigna posti sulla collina di Blanchis dove il suolo è composto dalla tipica Ponca del Collio composta da marne eoceniche e arenarie, allevato a Guyot con una densità di 4.830 ceppi/ha dà una resa di 65 q.li/ha, per le particolari caratteristiche climatiche di questa vigna i grappoli vengono attaccati dalla Botrytis Cinerea che conferisce un particolare e riconoscibile sapore al vino. Fermentazione ed affinamento avvengono in vasche d’acciaio dove il vino sosta per sei mesi, 8.000 le bottiglie prodotte.


Color giallo paglierino luminoso. Mediamente intenso al naso, fresco, pulito, verticale, vi cogliamo sentori di frutta a polpa gialla e d’erbe officinali.
Dotato di buona struttura, asciutto e sapido, si colgono note di frutta a polpa gialla e di pesca sciroppata, buona la sua persistenza. Un vino particolar e notevole qualità.

Doc Montello Venegazzù “Della Casa” 2019

Primo vino prodotto dal Conte Loredan nel lontano 1951 è composto in maggior parte da Cabernet sauvignon (65%) con una buona presenza di Merlot (30%) e piccole percentuali di Cabernet franc (nell’annata 2019 non è stato utilizzato il Malbec, vitigno solitamente presente in piccola percentuale).
Le uve provengono da quattro distinti vigneti esposti a Nord-Sud a 110 metri d’altitudine su suoli ricchi di ferro, le vigne hanno 25 anni d’età e danno una resa di 90 q.li/ha. La fermentazione si svolge in vasche d’acciaio e l’affinamento avviene in botti di rovere di 25 e 50 ettolitri dove il vino sosta per 30 mesi.


Granato profondo e luminoso il colore. Buona la sua intensità olfattiva, un poco austero, frutta a bacca scura, speziato, sentori di sottobosco e radici, legno ancora un poco percepibile. Discretamente strutturato, asciutto, austero, trama tannica importante ma ben amalgamata, frutta a bacca scura, radici, spezie scure, legno ancora un poco da integrarsi, lunga la sua persistenza.

Doc Montello Venegazzù Superiore “Capo di Stato”

Nato nel 1964 è frutto di un blend tra Cabernet sauvignon, Merlot, Cabernet franc e Malbec, vitigni selezionati dai vigneti più vecchi tra i quali spicca la vigna denominata “Le 100 piante”, messa a dimora nel 1946. Le vigne si trovano a 110 metri d’altitudine su suoli ricchi di ferro e per questo denominati “ferreto”, la densità d’impianto è di 3.000 ceppi/ha per la vigna più vecchia e di 4.800 ceppi/ha per quella messa a dimora negli anni ’80, l’esposizione è Nord-Sud e la resa è di 65 q.li/ettaro. La vendemmia s’effettua da metà settembre ad inizio ottobre, a seconda delle varietà, l’affinamento del vino, per una durata di 30 mesi, si svolge per il 60% in botti da 25 ettolitri e per il 40% in barriques nuove.
Due le annate degustate di questo vino, assai diverse tra loro, note più calde e morbide nel vino del 2019 che pare più pronto (ci è piaciuto moltissimo), più austero e probabilmente non ancora perfettamente compiuto quello del 2017.


2019 – Profondissimo e luminoso il colore. Molto intenso al naso, balsamico, note dolci, spezie dolci e legno dolce, liquirizia, elegantissimo. Buona la sua struttura, succoso, frutta a bacca scura, spezie, bella trama tannica, sentori di liquirizia, perfetto l’equilibrio tra le varie componenti, lunga la persistenza. Vino dalla notevole qualità.


2017 – Profondissimo il colore, leggermente più intenso rispetto al precedente vino, ancora vivissimo, unghia purpurea. Più intenso anche all’olfatto, più austero, presenta note più scure, radici, spezie scure. Asciutto, austero, presenta leggere note selvatiche, legno ancora un poco in evidenza, lunga la persistenza.

La Sardegna di Vinodabere: 47 aziende ed oltre 200 vini a Roma il 18 e 19 gennaio per scoprire un vero e proprio piccolo continente


Per il terzo anno consecutivo torna La Sardegna di Vinodabere, evento nato per promuovere, e far scoprire a chi non le conosce, la varietà e la complessità vitivinicola di una regione che è un vero e proprio piccolo continente.


47 aziende con più di 200 vini in assaggio

Sabato 18 e domenica 19 gennaio, all’Hotel Belstay a Roma, sarà possibile incontrare ai banchi di assaggio numerosi produttori sardi (47 aziende), in rappresentanza delle tante aree (vere e proprie sub-regioni) dove si produce vino di qualità. Tra più di 200 referenze tra bianchi, rosati, rossi, vini dolci e ossidativi, e perfino bollicine, ci si potrà orientare per apprezzare, come merita, la ricchezza enologica della Sardegna, conoscere i vignaioli che la animano e sperimentare nel calice lo stato dell’arte della viticoltura sarda, giunta ormai a livelli di indiscutibile eccellenza.

Un viaggio attraverso i sensi, dunque, tra le produzioni provenienti dai territori di Alghero, Anglona, Gallura, Mamoiada, Mandrolisai, Ogliastra, Oliena, Orgosolo, Oristanese, Romangia, Sulcis e sud Sardegna, alcuni dei quali diventeranno i protagonisti delle masterclass in programma sabato 18 gennaio (presto maggiori dettagli sul sito vinodabere.it).

Programma

Sabato 18 Gennaio

dalle 13:30 alle 15:30

Apertura banchi di assaggio per operatori (ristoratori, agenti, distributori, enotecari, n.1 accredito per attività commerciale) con richiesta di accredito scrivendo una mail entro il 17 gennaio (e ricevendo poi conferma) a operatorivinodabere@gmail.com

Apertura banchi di assaggio per stampa con richiesta di accredito scrivendo una mail entro il 17 gennaio (e ricevendo poi conferma) a stampavinodabere@gmail.com

Apertura banchi di assaggio per sommelier e assaggiatori ONAV (con tessera in corso di validità da mostrare all’ingresso): kit di degustazione 25 euro.

dalle 15:30 alle 19:30

Apertura banchi di assaggio per il pubblico (kit di degustazione 30 euro con calice incluso), per sommelier e assaggiatori ONAV (con tessera in corso di validità da mostrare all’ingresso kit di degustazione 25 euro).

Apertura banchi di assaggio per operatori (ristoratori, agenti, distributori, enotecari, n.1 accredito per attività commerciale) con richiesta di accredito scrivendo una mail entro il 17 gennaio (e ricevendo poi conferma) a operatorivinodabere@gmail.com

Apertura banchi di assaggio per stampa con richiesta di accredito scrivendo una mail entro il 17 gennaio (e ricevendo poi conferma) a stampavinodabere@gmail.com

Domenica 19 gennaio

Dalle 10:30 alle 13:30

Apertura banchi di assaggio per operatori (ristoratori, agenti, distributori, enotecari, n.1 accredito per attività commerciale) con richiesta di accredito scrivendo una mail entro il 17 gennaio (e ricevendo poi conferma) a operatorivinodabere@gmail.com

Apertura banchi di assaggio per stampa con richiesta di accredito scrivendo una mail entro il 17 gennaio (e ricevendo poi conferma) a stampavinodabere@gmail.com

Apertura banchi di assaggio per sommelier e assaggiatori ONAV (con tessera in corso di validità da mostrare all’ingresso): kit di degustazione 25 euro.

dalle 13:30 alle 19:00

Apertura banchi di assaggio per il pubblico (kit di degustazione 30 euro con calice incluso), per sommelier e assaggiatori ONAV (con tessera in corso di validità da mostrare all’ingresso kit di degustazione 25 euro).

Apertura banchi di assaggio per operatori (ristoratori, agenti, distributori, enotecari, n.1 accredito per attività commerciale) con richiesta di accredito scrivendo una mail entro il 17 gennaio (e ricevendo poi conferma) a operatorivinodabere@gmail.com

Apertura banchi di assaggio per stampa con richiesta di accredito scrivendo una mail entro il 17 gennaio (e ricevendo poi conferma) a stampavinodabere@gmail.com

Per conoscere le aziende ed i vini presenti nei banchi di assaggio e per ogni altra informazione sull’evento collegatevi qui.

Vinodabere (www.vinodabere.it) è una testata giornalistica on line che da anni promuove con i suoi articoli e con i suoi eventi la cultura enogastronomica, dando visibilità a realtà già note e storiche come a quelle nuove e da scoprire. I territori, i vini e le specialità gastronomiche della Sardegna sono sempre stati, sin dalla sua nascita, al centro dell’attenzione della testata giornalistica Vinodabere e del suo direttore Maurizio Valeriani. La Guida ai Migliori Vini della Sardegna (link), giunta alla settima edizione, pubblicata on line tra agosto e settembre 2024, ha visto un numero di letture incredibile (oltre 500 mila).

InvecchiatIGP: Tenuta Montauto - Maremma Toscana DOC Gessaia 2011


di Stefano Tesi

Prendi la macchina e, passando da vie traverse, fai un lungo viaggio fino ai dintorni di Manciano, tra le colline ondulate della Maremma interna, per assaggiare i Poggio del Crine, ossia il Pinot Nero e il Sauvignon Toscana Igt da vigne vecchie della Tenuta Montauto (sì, ne valeva oggettivamente la pena), quasi nascosta tra i boschi e le pieghe di una campagna profonda. Quella dell'azienda, oggi condotta da Riccardo Lepri, viticoltore di terza generazione, è una curiosa storia di tradizioni, di intuizioni, di applicazione imprenditoriale e di destini incrociati che, avendo spazio, andrebbe raccontata a parte.


Tu arrivi e fai diligentemente il tuo mestiere, saltabeccando tra una decina di campioni molto intriganti e cercando di non distrarti al pensiero che dopo, terminato il lavoro, ti metterai a tavola in relax e di campioni ne assaggerai anche altri, abbinati però ai piatti di Valeria Piccini, alias Caino.


A un certo punto, tuttavia, quasi alla fine della seduta di degustazione - e con una certa nonchalance - ti versano nel bicchiere il Gessaia Maremma Toscana Doc. Spiegano che è il Sauvignon aziendale “d’ingresso”, come si usa dire. Quello dell’annata 2023 attualmente in commercio, per capirsi, è un prodotto ottimo e godibile che costa meno di 20 euro. Solo che quello che ti trovi davanti non è più in vendita da un pezzo: è infatti del 2011 e non è ciò che ti aspetti.

Innanzitutto il vino ha un bel colore di oro carico, ma nemmeno troppo.

La sorpresa aumenta quando ci metti il naso dentro: avverti subito una nota intensa e profonda, con un marcato sentore pepato, una varietalità affinata, anzi direi rastremata o resa perfino acuminata dagli anni, nonchè una vitalità generale che, considerata l’età del vino, era abbastanza imprevedibile. In bocca il sorso non è lunghissimo, ma ha una sapidità e un’acidità che lo sostengono, rendendo la bevuta tesa, coinvolgente, quasi eterea.


A dimostrazione (lo so, è un refrain di noi IGP) che, se si sa aspettare o, più banalmente, ci si dimentica di averli, certi bianchi sono in grado di rallegrarti lo spirito anche dopo molti anni di sonno tra le scansie più nascoste della cantina. Fino a qualche tempo fa, chi mai l'avrebbe sostenuto?

Val di Suga - Brunello di Montalcino docg Poggio al Granchio 2020


di Stefano Tesi

Sempre della serie “quelli buoni si assaggiano anche fuori dall’anteprima”, eccone uno fatto in tini troncoconici da 60 hl: bouquet pulito, asciutto, penetrante, in bocca agilissimo, vivace ma solido, come il cru da cui proviene, a 400 mt sul versante sud-est di Montalcino. 


Bevuto (e goduto) col filetto di manzo.


Posti del cuore: ristorante San Martino 26 a San Gimignano


di Stefano Tesi

Ci sono ristoranti – soprattutto i cosiddetti gourmet, o peggio ancora stellati – dei quali è più difficile dire se, a causa della loro smania di voler essere originali a tutti i costi o di pretendersi “esperienziali”, sia più noioso mangiarci o recensirli. Posso dire con sollievo che il San Martino 26, nella pur turisticissima San Gimignano, non appartiene a nessuna delle due categorie. Ed è anzi un locale in cui, nonostante tutte le premesse e i possibili pregiudizi, mi sono divertito. Cosa che in questi tempi di tavole "inteccherite" e di cuochi saputelli, oppure di mense becere e di chef troppo rumorosi, non è cosa da poco.

Elvis e Ardit

Mi sono divertito perché, primo, la cucina del giovane albanese Elvis Dedil, che da poco più di un anno ha rilevato i mestoli del fondatore e conterraneo Ardit Curri, ora passato in sala e in direzione, è brillante, vivace, scanzonata, sfrontata al punto da saper sorridere di sè e di non prendersi troppo sul serio, sebbene sia serissima e attenta, almeno quanto è schivo chi sta ai fornelli. E, secondo, i piatti del menu non si nascondono dietro a parole tonitruanti ma riservano la sorpresa alla sostanza. 

Pasta semi di mela

Sorpresa vera, di sapori precisi, a volte intensi, altre delicati e però solari, diretti, mai sbiaditi o troppo melange. Anche quando, ossia praticamente sempre, non cercano di ostentare il glamour, ma lo propongono. L’idea del ristorante infatti è quella – pericolosissima, se affidata a mani non più che abili – della contaminazione e dell’inventiva, a volte con qualche appiglio, ma solo formale, alla tradizione. Niente paraventi, insomma, davanti alla mano felice di Elvis (omen nomen: una cucina raffinata, ma rock and roll?), che senza troppe remore inventa ed esperimenta: buonissimo, per fare degli esempi, il lampredotto di calamari col loro garum, la salsa verde e l’obbligatorio panino di contorno, assai godibile la pasta “semi di mela” (un formato abbastanza inusuale) con la salsa di baccalà in pastella e il suo latte aromatizzato alle erbette, equilibrato, ma vivo e compatto, il gusto del rombo in salsa marinaiole e verza.

Lampredotto di Calamari


La toscanità, assicura Ardit, anziché simulata nelle portate è riservata alle materie prime, tutte provenienti dalla regione. Il menu è stagionale, ovviamente, e prevede la scelta alla carta o due formule di degustazione (pardòn, non ce la faccio a chiamarli percorsi, termine che riservo al trekking e al cicloturismo) da cinque o sette portate, rispettivamente a 95 e 115 euro.
L’ambiente è intimo e sobrio, appena venti coperti, nessuna atmosfera chiassosa. Servizio sorridente ma riservato, il che non guasta.

Interno

Merita una nota la cantina: oltre 700 etichette di mezza Europa, compresi quasi 200 Champagne e parecchie bottiglie fuori passo, che accrescono il divertimento.

Nebbiolo nel Cuore torna a Roma dal 12 al 13 Gennaio 2025


Il Grand Hotel Palatino di Roma, situato in via Cavour 213/M, si prepara ad accogliere la XI edizione di Nebbiolo nel Cuore, un evento esclusivo che mette al centro il fascino senza tempo del Nebbiolo, vitigno d’eccellenza piemontese. L’appuntamento, fissato per il 12 e 13 gennaio 2025, è una tappa obbligata per gli appassionati del vino e per chi desidera approfondire la conoscenza di grandi etichette come il Barolo, il Barbaresco e altri gioielli enologici realizzati con questo vitigno.


Alla scoperta del Nebbiolo e dei suoi territori

Da sempre, Nebbiolo nel Cuore si propone di valorizzare il Nebbiolo in tutte le sue espressioni, dai grandi classici come Barolo e Barbaresco fino alle realtà meno conosciute ma altrettanto affascinanti come Gattinara, Ghemme, Carema e i vini della Valtellina. Un viaggio tra terroir unici che riflettono la straordinaria diversità del panorama enologico italiano. “Anni di valorizzazione del Nebbiolo nei suoi territori d’elezione hanno fidelizzato a Roma sempre più numerosi appassionati e professionisti di settore”, spiega Marco Cum, titolare di Riserva Grande e ideatore della manifestazione.

Masterclass e novità dell’edizione 2025

L’edizione 2025 conferma il ruolo centrale della didattica e introduce una novità importante: l’evento si svolgerà di domenica e lunedì, per favorire la partecipazione degli operatori del settore. “Attraverso banchi di assaggio e masterclass sarà possibile scoprire il potenziale delle nuove annate e delle nuove cantine che partecipano per la prima volta. Anche in questa edizione, la didattica sarà prevalente grazie a masterclass straordinarie”, continua Cum.
Le masterclass tematiche, punto di forza della manifestazione, approfondiranno le caratteristiche dei diversi terroir, offrendo agli ospiti un’occasione preziosa per comprendere la varietà e la complessità di questo straordinario vitigno.

Una celebrazione della cultura enologica

Oltre ai banchi di assaggio, dove sarà possibile dialogare direttamente con i produttori, le masterclass e i laboratori offriranno momenti di approfondimento culturale dedicati al Nebbiolo e alle sue terre di elezione. Come sottolinea Cum, “Cultura, volti, sorrisi, tradizioni, esperienze di vita, racconti, emozioni… questo è Nebbiolo nel Cuore.”

Informazioni utili

Date: 12 e 13 gennaio 2025


Protagonisti: Barolo, Barbaresco e altri vini a base Nebbiolo

Per il programma completo e per prenotare le masterclass:

InvecchiatIGP: Villa Diamante - Fiano di Avellino "Vigna della Congregazione" 1998


di Luciano Pignataro

Il destino ci fa incrociare questa bottiglia sempre in occasioni straordinarie, particolari. Quasi che le condizioni ambientali possano in qualche modo valutare questo straordinario bianco. Siamo da Abraxas, l’osteria di Pozzuoli di Vanna e Nando Salemme da sempre punto di riferimento per gli amanti del buono e della cultura gastronomica delle radici presentata al passo dei tempi che cambiano.
Il locale è chiuso e con un gruppo di amici decidiamo per un pranzo di auguri, il classico pranzo del Sud che inizia alle 14 e finisce nel buio pesto della giornata corta invernale, quando il sole smette di riscaldare i laghi vulcanici e il mare dei Campi Flegrei. Ciascuno con una bottiglia particolare, con una storia da raccontare, così come avviene per le bevute che abbiamo fatto e Nando mette subito il Villa Diamante sul banco, attorno ad un braciere che riscalda all’aperto come le lampade moderne dei dehors di città non sono in grado di fare, creando l’atmosfera adatta per questo straordinario 1998.


Si tratta del secondo anno realizzato da Antoine Gaita rientrato con la moglie Diamante dal Belgio dove, entrambi figli di emigranti, si erano conosciuti e sposati. Antoine ha una testa francese e di fronte al Fiano non ha dubbi, porta in surmaturazione le uve avendo cura però di conservare la freschezza e usa il legno per l’affinamento. Una decisione che dall’anno successivo, il 1999 cambierà a favore dell’acciaio. La sua è una agricoltura biologica ante litteram, a quei tempi si parlava appena di queste tematiche. Altra novità, pioniere insieme ad un altro fianista, Guido Marsella, decide di presentare il proprio vino sul mercato un anno dopo l’uscita. Erano tempi in cui il bianco doveva essere d’annata per ristoratori e consumatori. Proprio giocando su questi semplici fattori Antoine Gaita, scomparso poi prematuramente nel 2014, ha creato una serie incredibile di Fiano di Avellino dimostrando a tutti le enormi potenzialità di questa uva se ben trattata e rispettata. Sin da subito la 1998, ancora vino da tavola per motivi burocratici, si impone per l’alta qualità e, durante tutte le numerose degustazioni che abbiamo avuto la fortuna di fare, migliora di anno in anno, di decade in decade.


In questa Antivigilia di Natale si presenta assolutamente integra, un tappo perfetto, ma ormai sono tante le sperimentazioni che abbiamo fatto in questi trent’anni di passione per il Fiano che la cosa non ci stupisce. Siamo invece travolti da una energia potente, una voglia di vivere che il vino esprime sin dal primo sorso, con un naso molto complesso che passa dai sentori di pasticceria alla frutta a pasta gialla matura, dallo zafferano alle note fumè e di idrocarburo. Il naso, dolce e ammiccante, suadente, viene ribaltato da un sorso sapido, pieno, con una chiusa lunghissima che lascia il palato non stucchevole.


E’ una beva emozionale, che ci fa viaggiare nel tempo e nello spazio. E’ una beva nostalgica, delle belle esperienze che abbiamo avuto la fortuna di vivere. E’ una beva ottimista perché sicuramente le nuove generazioni di viticoltori sapranno trarre insegnamento da questa esperienza e faranno vini memorabili.
Cari amici, vi allego il post che riassume tutte le degustazioni fatte nel corso di questi due decenni con il 1998. Se volete potete aggiungerlo al pezzo oppure anche copiare e incollare il testo oppure lasciar perdere e pubblicare solo quello che ho scritto sopra. A voi la libera scelta (clicca QUA)

Frank Cornelissen - Munjebel Rosso 2017



di Luciano Pignataro

Dissetante e sgrassante. Giovanile e deciso. In questo quadrilatero definiamo la beva senza confini di un classico di Frank etneo, usato per smaltire e digerire la imponente cucina di quinto quarto del ristorante Consorzio a Torino. 


Imperdibile Nerello Mascalese, gastronomico, da battaglia.

Uno sguardo verso i grandi bianchi di Piero Mastroberardino


di Luciano Pignataro

Siamo tornati al Radici Resort esattamente un anno dopo: ormai è consuetudine quella di vederci con Piero Mastroberardino ad Atripalda nella tenuta che ha costruito e dove funziona l’osteria la Tana del Lupo con il bravo e affidabile Francesco Spagnuolo ai fornelli. Come l’enologo Massimo Di Renzo, una sicurezza, due professionisti concentrati sul proprio lavoro come se il mondo dei social, il Paradiso dell’Ego incompiuto, non esistesse. Sul tavolo alcune novità e alcuni ritorni. 


Al centro di questo incontro il progetto Stilema che riporta ai modelli anni ’80, meno esuberanti, più essenziali, che hanno reso l’azienda famosa in tutto il mondo. Il loro assaggio è una sorta di benchmark per il territorio anche il 2025 si annuncia una novità assoluta di cui avremo modo di parlare, gli spumanti metodo classico.

Nero a Metà IGT Campania Bianco 2020

Devo ammettere di aver un po’ sottovalutato questa etichetta a cui Piero invece tiene molto. Si tratta di un Aglianico vinificato in bianco, un po’ come si usava negli anni ’90 sia in Campania che in Puglia. La differenza, in questo caso è che l’azienda ci crede fino in fondo e il vino presenta una gran bella struttura, note di pera matura, pompelmo, note di spezie. Lunghissimo sorso finale. Grande carattere. Gli anni lo hanno messo in equilibrio e pronto a qualsiasi abbinamento. Sui 12-15 euro sul web

Stilema Greco di Tufo DOCG 2020

Una piccola anteprima per l’uscita prevista a marzo. Siamo spiazzati dalla profondità di questo bianco e dalla complessità. Grandissima eleganza e finezza. Naso di arancio e agrume, note sulfuree. Al palato è ben delineato, lungo. Una piccola parte, meno del 10 per cento, viene passata in legno ed è probabilmente questo accorgimento che consente un allungo. Il costo si aggira sui 25 euro.

Stilema Greco di Tufo DOCG 2017 

Riproviamo per l’occasione questa vecchia annata, vivace e ricca di energia come se fosse stata spillata dalle vasche appena qualche mese fa. Grandi note di zolfo, il vino è pieno, si riscontra una affidabilità del prodotto. Grande bianco, lungo, si sente lo zolfanello.

Stilema Fiano di Avellino DOCG 2020 

Anche questo è un assaggio in anteprima perché l’uscita commerciale è prevista in aprile. Parliamo di un bianco davvero stupendo con sentori di frutta matura. Naso elegante, fine, al palato manifesta grandissima energia. Una nota balsamica e vegetale lo alleggerisce e lo rinfresca, la chiusura è precisa, amarognola, lunghissima. Anche qui siamo sui 25 euro.

Stilema Fiano di Avellino DOCG 2016

Anche in questo caso procediamo con un riassaggio del passato. Serve a dimostrare la grandezza del vitigno con il passare del tempo. A otto anni dalla vendemmia questa versione presenta un naso complesso, rimandi floreali, piacevoli, fruttati. Tartufo, idrocarburo, mandorla amara. Freschissima, gioventù, lungho, amaro, sapido. Nota finale amara lasciata pulito il palato.

More Maiorum Irpinia Doc 2019

Questa etichetta con gli anni ha cambiato protocollo: da solo Fiano passato in legno vede adesso un blend di Fiano e Greco. Fermentazione e affinamento in legno sia barrique che tonneaux di diverse tostature. Palato elegante, fine, molto piacevole lungo. Cremoso, con note di pasticceria, non stucchevole. Freschezza lunga, piacevole. In commercio fra sei, sette mesi. Sui 25 euro.


Degustazioni come queste rafforzano la convinzione di potenzialità ancora sostanzialmente inespresse dei bianchi irpini anche se ormai sono numerose le aziende che giocano bene sul tempo. Fiano e Greco sono due grandissime uve che non temono confronti quando vengono coltivate in questo areale cosi circoscritto e unico. Le forti escursioni termiche restano nonostante il gloabl warming e, anzi, possiamo dire che in queste zone fredde favorisce il viticoltore nella gestione della maturazione delle uve. Il Greco, ma soprattutto il Fiano, sono praticamente immortali se partono da un progetto di lungo periodo. Ed è ancora una volta la Mastroberardino a dettare i tempi.

InvecchiatIGP: Cantina di Terlano - Alto Adige Lagrein Riserva Doc 1997


di Carlo Macchi

Molti di voi durante le feste saranno o andranno a sciare e così mi è venuto in mente di cercare in cantina una vecchia bottiglia che ricordasse a me e a voi in qualche modo la montagna, “abbinandola” ad una foto di quando il vostro Giovane Promettente era veramente giovane e anche promettente sugli sci.


Ecco quindi la scelta di questo Lagrein Riserva con ben 27 anni sulle spalle, di una cantina che di vini invecchiati se ne intende. Però il Lagrein non era in passato un vino da invecchiamento e proprio in quegli anni subiva una vera e propria metamorfosi, spesso condita con dosi non omeopatiche di legno nuovo.


Avevo sinceramente qualche dubbio sulla tenuta ma appena stappato e visto il colore i dubbi sono svaniti come neve (appunto) al sole. Era un porpora addirittura brillante e appena nel bicchiere mi sono addirittura arrivati al naso profumi di frutta nera e poi liquirizia, sottobosco e la classica nota di terra del Lagrein. Il legno, che in quegli anni imperava, era un ricordo del passato e chiudeva con note balsamiche e un leggero vegetale con ricordo di cassis , quasi volesse far finta di essere un cabernet sauvignon. In bocca non era certo straripante ma bensì elegante, con tannini perfetti e ottima freschezza, nonostante l’annata non certo fredda.
Un buonissimo vino di 27 anni per fare gli auguri a tutti voi, agli altri Giovani Promettenti e anche a quel giovane sciatore che venti anni prima della nascita del vino veniva immortalato ancora in bianco e nero.

Buon 2025, buone sciate e buone bevute!

Cataldi Madonna - Montepulciano d’Abruzzo Doc 2021 "Tonì" 2021


di Carlo Macchi

Il primo Tonì penso di averlo bevuto 25 anni fa. Era molto buono allora è molto buono adesso, ma in più profuma di frutta e macchia mediterranea, è dinamico con tannicità viva ma dolce. 


Luigi e Giulia Cataldi Madonna, centrano sempre il bersaglio. Anche con i libri: leggete il loro “il Vino è rosa.

E se per l’ultimo dell’anno bevessimo solo vini rossi?


di Carlo Macchi

Ormai il fatto che il consumo di vini rossi sia in caduta verticale, che la maggioranza di chi beve vino, specie giovani e donne, preferiscano bianchi e bollicine è ormai un dato acclarato. Dato che questo sarà l’ultimo Garantito IGP del 2024 e volendo sempre andare in controtendenza, noi Giovani Promettenti, amanti da moltissimi anni soprattutto di vini rossi, vogliamo consigliarvi come passare un indimenticabile 31 dicembre brindando solo con vini rossi, per dimostrarvi che dove arriva un bianco, un vino rosa o una bollicina, può arrivare tranquillamente un vino rosso.

Partiamo quindi per questo nostro viaggio tra i rossi “alternativi” alle solite bollicine.

Ormai è regola che l’antipasto specie se di pesce, voglia il bianco o, al limite il vino rosa. Ma avete provato a mettere in fresco un Santa Maddalena, magari del 2023, che tra l’altro è stata, nonostante tutto, un’ottima annata per questo vino?


Il nostro consiglio sicuro è il
Santa Maddalena Classico DOC 2023 di Glögglhof o il Santa Maddalena Classico DOC 100, 2023 di Katharina Martini: due vini che uniscono profumi incredibili di frutta ad una setosa freschezza. Provateli e ci ringrazierete!


Se poi per voi vale il detto “Famolo strano” dirottatevi non su Cuba ma su un
Pelaverga di Verduno, per esempio su quello consigliato la settimana scorsa da Roberto Giuliani o, se il pesce fosse in compagnia di un filo di pomodoro, su una Lacrima di Morro d’Alba, vino dai profumi assolutamente incredibili e dal corpo rotondo e godurioso. In questo caso vi proponiamo la Lacrima di Morro d’Alba Fiore 2023 di Lucchetti, che ha anche il tappo a vite, così il “famolo strano” è completo.


Superato lo scoglio antipasto andremo più spediti perché i primi piatti sono uno dei cavalli di battaglia preferiti dei rossi. Potremmo spaziare da ogni parte d’Italia ma il Babbo Natale che è in me vi propone due vini agli antipodi: da una parte il
Morellino di Scansano e dall’altra un Valtellina Superiore, due modi particolari di coniugare il sangiovese e il nebbiolo. Se il primo è rotondo il secondo è verticale, se il primo va sul frutto il secondo punta tanto su note floreali, insomma sono tanto ma tanto diversi ma quelli che vi proponiamo sono tanto ma tanto buoni e non costano cifre da capogiro. Quello che costa veramente poco è Morellino di Scansano Roggiano (Biologico) 2023 dei Vignaioli del Morellino di Scansano mentre il Valtellina Superiore Il pettirosso 2022 di Ar.Pe.Pe, costerà qualche euro in più ma non molti. La scelta dipende dai piatti.


E dopo i primi, anche se la fame è calata, arriviamo ai secondi. Magari è calata la fame ma non la sete e soprattutto la voglia di provare un vino che rimarrà impresso nella mente per tutto l’anno a venire. Anche qui la scelta, pur non sconfinando, è infinita ma noi vogliamo cadere sul sicuro e quindi proponiamo due “intensità diverse di tannino”. Da una parte il Gioia del Colle Primitivo DOC 17 Vigneto Montevella 2021 di Polvanera, dove il motore del vino non è certo il tannino e dall’altra il Barolo Ornato 2020 di Palladino, dove il tannino comanda con fermezza e dolcezza.


A questo punto l’eventuale formaggio non può derogare dal continuum enoico temporale di proseguire con una delle due bottiglie suddette (anche tutte e due se volete, basta non dobbiate guidare) e quindi andiamo al dolce, dove vi aspetta la dolcezza leggera e rinfrancante ma una concreta e appagante, come quella del Recioto della Valpolicella Classico Vin del Sette 2015 di Mizzon. Ve ne proponiamo solo uno perché ormai sarete saturi e quindi poco ma buono, anzi buonissimo.

Vino dopo vino vi abbiamo accompagnato fino al nuovo anno, 
quindi BUON 2025 DA PARTE DE I GIOVANI PROMETTENTI!

InvecchiatIGP: Colli di Lapio - Taurasi Vigna Andrea 2007


di Roberto Giuliani

Non vi preoccupate se nella retroetichetta è stampato 2006 e il produttore l’ha sovrascritta a penna con 2007, non era una bottiglia in vendita ma una “donazione” affinché la potessi degustare. Essendo due campioni, uno l’ho conservato in cantina e oggi ho deciso di stapparlo. La fama di Clelia Romano è tale che non mi metterò qui a raccontare la storia dell’azienda nata nel 1994, preferisco immergermi in questo Taurasi di 17 anni, un tempo non lunghissimo ma più che valido per verificare le sue condizioni di salute.


Alla vista non sembra già sulla via del declino, conserva una bella tinta granata con unghia appena velata di arancio; al naso ha indubbiamente un carattere da vino invecchiato, con note di fumo, prugna, legno di cedro, cuoio, ma sono sensazioni che emergono appena versato nel calice. Tempo di prendere un po’ d’aria e già certi slanci terziari vedono sparire la sfumatura ossidativa, restituendo una percezione più sobria e ancora vitale.


Al palato conferma comunque una condizione leggermente in discesa, nei toni di caffè e caramella d’orzo, tabacco da pipa, torba. Vino ancora molto piacevole, con una buona vena acida, ma sicuramente destinato ad essere bevuto ora, non è in grado di reggere ulteriormente.

Fratelli Alessandria - Verduno Pelaverga Speziale 2023


di Roberto Giuliani

Uno spaziale Speziale il Pelaverga dei Fratelli Alessandria di Verduno, un prezioso compagno a tavola in grado di rallegrare l'intera compagnia con i suoi profumi di ciliegia, lampone e pepe. 


Sorso vibrante, che ti riporta le spezie al retrolfatto lasciando una sensazione di assoluto godimento.

L’Amaro Camatti compie 100 anni e noi ce lo beviamo


di Roberto Giuliani

A 99 anni vince il concorso internazionale World Liquers Awars, segno che ancora oggi quella ricetta ideata dal chimico livornese Umberto Briganti, tutt’ora parzialmente segreta, continua a piacere. Tutto ha avuto inizio nel 1924 a Recco, ridente cittadina in provincia di Genova, quando Umberto, con il contributo del fratello Cesare, realizza il liquore dedicato alla moglie, che di cognome faceva Camatti.


La prima fase era la creazione della giusta miscela di ingredienti, selezionando fiori, erbe e radici aromatiche da porre in infusione seguendo una ricetta segreta che viene tramandata da generazioni. Di questa si conoscono solo alcune componenti, come la genziana, il mandorlo, la cinchona officinalis (pianta della china), la menta piperita e l’arancio amaro. Ognuno degli ingredienti viene macerato in base alle caratteristiche botaniche, poi uniti e posti in infusione e il liquido ottenuto viene lasciato decantare in legno o in fusti di acciaio inox.


Dopo il processo di filtrazione, necessario a eliminare le impurità, viene aggiunto uno sciroppo di acqua e zucchero, infine il prodotto viene imbottigliato. La gradazione è contenuta, solo 20% vol. Nel 1935 la ditta guidata da Umberto Briganti viene riconosciuta quale "Fornitore della casa di Sua Altezza Reale il Principe di Piemonte" con la concessione di tenere innalzato sull'insegna dello stabilimento lo Stemma Principesco. Durante la Seconda Guerra Mondiale lo stabilimento di Recco viene requisito dagli Alpini della Monterosa e dai soldati della Wehrmacht, ma appena terminata Umberto Briganti riprende immediatamente l’attività con sempre crescente successo. Muore nel 1964, lasciando il compito di portare avanti l’Amaro Camatti al figlio Cesare.
Nel 1989 il marchio e la ricetta dell’amaro vengono ceduti alla Sangallo Distilleria Cinque Terre di Giovanni Bergamino, che aveva iniziato a lavorare nell’opificio Ballerini di Lavagna, dove si producevano liquori artigianali. Oggi la produzione continua con il figlio Stefano e Marco De Marchi che ne preservano la ricetta segreta. La sede produttiva della Sangallo è a San Colombano Certenoli (GE).

LA PROVA DEL NOVE

Premetto che sono di parte, perché non mi piacciono gli amari che sono troppo morbidi, dolci, per me l’amaro deve essere degno del suo nome e fare davvero da digestivo, più zuccheri contiene e più il suo compito è destinato a fallire. D’altronde ogni ditta deve fare dei compromessi per vendere un prodotto apprezzabile da più gente possibile, la bravura, quindi, è nel dosare le componenti in modo da non far prevalere la nota dolce.


Nel calice vediamo un bel colore ambrato-affumicato, i profumi sono intensi e richiamano subito le note amare di china e genziana, accompagnate da arancia amara, menta, sensazioni tostate, fumo da pipa, noce.
Al palato si fa apprezzare per equilibrio dei sapori, la nota cremosa dello sciroppo non sovraccarica il sorso lasciando percepire gli aromi di radici ed erbe in un contesto piacevole e persistente. Si sente l’ottima qualità della materia, io lo avrei preferito un po’ più aggressivo, amaro, ma non posso negare che ha un certo fascino e si beve davvero con gusto.

InvecchiatIGP: Tasca d’Almerita – Contea di Scaflani DOC “Rosso del Conte 2014”


Nata nel 1830 con l'acquisto della Tenuta Regaleali, Tasca d'Almerita è oggi un'icona dell'enologia siciliana, un'azienda che ha saputo, in tempi non sospetti, “guardare oltre” esprimendo al meglio l'anima di un'isola ricca di cultura e di contrasti. La sua storia è un racconto affascinante, intrecciato con quello del territorio e della famiglia che, per generazioni, ha dedicato la propria vita alla viticoltura. Tutto ha inizio con i fratelli Don Lucio e Don Carmelo Mastrogiovanni Tasca che, in tempi non sospetti, intuiscono il potenziale enologico della Tenuta dotata di caratteristiche uniche e situata sulle colline tra Palermo e Caltanissetta. Questi terreni, ricchi di calcare e argilla, sono infatti l'habitat ideale per i vitigni autoctoni siciliani, come il Nero d'Avola e il Perricone, che diventeranno i protagonisti indiscussi della produzione enologica aziendale dove spicca il blasone del Rosso del Conte, non solo un vino ma un vero e proprio simbolo.


La decisione di creare il questo rosso nasce dalla volontà di valorizzare il territorio e di produrre un vino che esprimesse l'essenza moderna della Sicilia. Negli anni '60, infatti, l'enologia italiana era ancora legata a produzioni di massa e a vini poco caratterizzati. Tasca d'Almerita, invece, aveva una visione diversa: voleva creare vini che raccontassero la loro Sicilia, che fossero un'espressione autentica delle uve e del terroir. Il Conte Giuseppe Tasca, figura carismatica e visionaria, fu il promotore di questo progetto ambizioso tanto da individuare nella vigna San Lucio, a Regaleali, il luogo ideale dove vinificare le prime uve di Nero d’Avola e Perricone destinate a diventare il Rosso del Conte. La prima annata risale al 1970 mentre quella degustata per #invecchiatIGP è la 2014, millesimo che in Sicilia risulta molto migliore rispetto ad altre zone d’Italia.


Stappando il vino, da sommelier, posso dire che il vino era ancora assolutamente perfetto, non c’erano segni di cedimento sia del colore che dell’impatto aromatico ancora giocato su intensi profumi di gelso, prugna, viola, tabacco ed erbe mediterranee. Al sorso mantiene tutte le promesse, il bellissimo equilibrio tra ricchezza di frutto, tannini setosi e vibrante freschezza garantisce una bevibilità pazzesca disegnando un potenziale di invecchiamento degno di un grande vino rosso mondiale. Dalle serie #invecchiatopernullaigp!!!

Henry Fuchs - Crémant d'Alsace AOP Extra Brut


Non c’è bisogno di andare sempre in Champagne per bere delle ottime bollicine francesi, prova ne è questo Crémant prodotto in Alsazia dalla famiglia Fuchs che elabora questo metodo classico (uve bio auxerrois e pinot noir) elegante, saporito, dinamico e dall’ottimo rapporto q\p. 


W le bollicine alternative!!

Il Monastero di Cortona è il lusso che tutti ci meritiamo!


Cortona, affascinante borgo arroccato su una collina che domina la Val di Chiana, è una meta imperdibile per chi desidera immergersi nella storia e nella bellezza della Toscana. Il suo centro storico, un labirinto di vicoli e piazze, è un vero e proprio museo a cielo aperto, ricco di palazzi medievali, chiese romaniche e rinascimentali. Perdendosi in questa bellezza, non è difficile imbattersi nel Monastero di Cortona, risalente al XV secolo, che recentemente la famiglia Poli ha coraggiosamente recuperato e trasformato in un moderno hotel a 5 stelle mantenendo intatto il suo fascino originale. 


In questo luogo incantato, poche settimane fa, mi sono concesso un meritato weekend e, devo ammettere, che varcare la soglia del Monastero di Cortona è stato come fare un viaggio nel tempo. Gli ambienti sono davvero incantevoli e, anche se rinnovati, hanno mantenuto l’antica disposizione della struttura conventuale: soffitti a travi o a volta, imponenti corridoi, loggiati e i magnifici affreschi, alcuni dei quali emersi durante i lavori e riportati alla luce, andando ad arricchire ulteriormente la bellezza del luogo. 


L’hotel attualmente dispone di 36 Camere e Suites, ricavate dalle antiche celle, e per chi desidera concedersi un momento di puro relax, la spa del Monastero di Cortona, situata all’interno di una antica cisterna romana, è il luogo ideale per concedersi, così come ho fatto io, una sauna o un idromassaggio dopo aver percorsi decine di chilometri tra i vigneti di Syrah di Cortona.


Visto che non siamo su una rivista di viaggi ma all’interno delle pagine di Garantito IGP, vorrei sottolineare, cosa non scontata, che il Monastero di Cortona dispone anche di un ottimo ristorante chiamato “Gli Affreschi” dato che in questo ambiente, durante la ristrutturazione, sono stati scoperti sotto l’intonaco affreschi che alcuni esperti dicono riferirsi alla battaglia di Montaperti del 1260 tra Guelfi e Ghibellini. 


La sala, intima e raffinata, conta appena 18 coperti, per seguire al meglio l’ospite. Alla guida della brigata di cucina c’è lo chef Michele Ricci, originario di San Sepolcro, sempre nella provincia di Arezzo. La sua è una passione che nasce in famiglia, poi portata avanti con la scuola alberghiera, con maestri importanti, tra cui Gualtiero Marchesi, Luigi Sartini e Paolo Lopriore, e con esperienze anche in ristoranti stellati.

Chef Michele Ricci

Agli Affreschi porta la sua idea di cucina, ovviamente legata alla stagionalità e al ritmo della natura, fatta di pochi ingredienti nel piatto che vanno a raccontare la tradizione toscana, rivisitata e alleggerita con tecniche moderne con l’obiettivo primario di esaltare la materia prima. Pulizia, freschezza, sincerità: sono queste le parole chiave che descrivono la cucina dello chef Ricci. Aperto tutti i giorni, offre oltre alla Carta due menu degustazione di quattro portate: uno di terra “Sapori Toscani” e uno di pesce “Dal Mare”. Il percorso di pesce, sebbene più insolito per l’entroterra toscano, riscuote il consenso degli ospiti, consolidando piatti come il Calamaro arrosto su crema di piselli e il suo inchiostro.



Ma i cavalli di battaglia dello Chef hanno i sapori delle sue terre, come la pappa al pomodoro servita sia come amuse-bouche che racchiusa all’interno dei plin o i pici (tipica pasta toscana) tirati a mano, o la cacio e pepe su vellutata di zafferano di Cortona e aria di pepe. Ancora sapori regionali nel Patè di fegatini di pollo, albicocche, gel di Vermouth di Cortona e cantuccio salato. Tra i piatti più richiesti, il Controfiletto di manzo con millefoglie di patate e cenere alle erbe, che richiama le vecchie braci; e il Filetto di cervo, spinacino, topinambur e salsa al ginepro. Grande attenzione anche all’elemento vegetale, che oltre ad accompagnare altri ingredienti, in alcuni casi diventa protagonista assoluto: le Verdure dell’orto vengono servite infatti giocando con consistenze e colori. Menzione speciale per i dolci, tra cui spicca il classico tiramisù ma proposto in tre consistenze diverse.


La carta dei vini, recentemente premiata dalla rivista Wine Spectator con Un Calice, è curata dalla Maitre e Sommelier Tiziana Lai. Circa 300 etichette che mettono in luce il meglio di questa parte della Toscana, Cortona, Montalcino, Montepulciano, e poi oltre andando fino al Chianti Classico e Bolgheri. Ben rappresentate anche le altre Regioni di Italia con alcune chicche presenti in carta che faranno felici anche i palati più esigenti.


Verso Pasqua il Monastero di Cortona riaprirà i battenti e il mio consiglio è quello di scappare dalla città e di passare in questa struttura almeno una notte per rigenerarvi nello spirito e….nella pancia. #garantitoigp!