Selvanova, la fattoria sociale dove l’etica fa nascere grandi vini!


Selvanova, situata nel Comune di Castel Campagnano (CE), è una di quelle aziende agricole che tutti gli appassionati, almeno una volta nella vita, dovrebbero visitare anche solo per ammirare lo splendido paesaggio in cui è incastonata: il Monte Matese, ad est, il Monte Taburno, ad ovest, ed il fiume Volturno che scorre ai suoi piedi solcando una vallata ricca di pascoli, boschi, uliveti e, ovviamente, vigneti.


Il progetto vitivinicolo, iniziato nel 1997 dal Dr. Antonio Buono, napoletano di nascita e grande appassionato di agricoltura sostenibile, è stato ripreso e portato avanti nel 1998 da GESCO, un gruppo di imprese della Campania che operano nel settore sociale (recupero tossicodipendenza, portatori di handicap, giovani disagiati, abbandono scolastico, immigrazione) per il reinserimento di questo soggetti a rischio nel mondo del lavoro.


La sensibilità etica impiegata nella salvaguardia di queste categorie sensibili è riversata completamente anche nella gestione di Selvanova attraverso i seguenti punti:

- conduzione agronomica totalmente mirata al rispetto della natura e delle caratteristiche dei vitigni coltivati;
- nei prodotti finiti. Tutti i vini Selvanova sono biologici certificati dal 2000 e continueranno ad esserlo;
- complementarietà delle attività agricole visto che Selvanova è una fattoria complessa che si compone di mille sfaccettature: ulivi ed olio, allevamento di animali da cortile, produzione di miele ed apicoltura e, ovviamente, la viticoltura che rappresenta l’anima centrale dell’attività.


In tale ambito il parco vigne di Selvanova si compone di 10 ettari suddivisi in cinque appezzamenti differenti sia per esposizione che per altitudine. Vigneti, piantati tra il 1999 e il 2002, dove hanno preso dimora Pallagrello Bianco e Pallagrello Nero (i due vitigni più strettamente tipici di questo pezzo di Campania) e Aglianico e Fiano (vitigni principi della viticoltura Campana).

Selvanova, attualmente, produce quattro vini:

Terre del Volturno IGT Frizzante – Londro Bianco
Terre del Volturno IGT Frizzante – Londro Rosato
Terre del Volturno IGT – La Corda di Luino Bianco
Terre del Volturno IGT – La Corda di Luino Rosso

Terre del Volturno IGT Frizzante – Londro Bianco

Il primo, il Londro Bianco, è un vino frizzante prodotto con uve 100% Fiano provenienti da vigne situate nel comune di Castel Campagnano (CE). Le uve una volta in cantina vengono sottoposte ad una pressatura soffice a grappolo intero per ottenere il mosto fiore. Il mosto viene poi diviso in due parti: una procede con la fermentazione per dare il vino base, l'altra viene utilizzata come liqueur de tirage per la presa di spuma che avviene in bottiglia. A differenza del metodo classico tradizionale, questo spumante non va incontro a sboccatura ma viene proposto integro sui propri lieviti naturali.


Questo frizzante naturale è come te lo aspetti ovvero verace, vivace e spensierato al tempo stesso senza però, lo sottolineo, mancare di quella importante complessità che spesso fa da linea di demarcazione tra un vino con o senza anima. Il Londro Bianco, invece, sa di pera matura, nespola, litchi, melone invernale, fieno tagliato ed echi speziati. Al palato svela “polpa”, dinamicità, freschezza quasi citrina e viva componente sapida che, tutte assieme, richiamano continuamente la beva grazie anche ad un tenore alcolico limitato.

Terre del Volturno IGT Frizzante – Londro Rosato

L’altro vino frizzante, il fratello maggiore del precedente, è rappresentato da un rosato frizzante ottenuto da uve 80% Pallagrello Nero e 20% Aglianico, elaborate secondo il metodo ancestrale. Le uve una volta in cantina vengono sottoposte a diraspatura per poi passare qualche ora a contatto con le proprie bucce. Il mosto viene poi diviso in due parti: una procede con la fermentazione per dare il vino base, l'altra viene utilizzata come liqueur de tirage per la presa di spuma che avviene in bottiglia.


Se il Londro Bianco rappresenta l’anima Pop di Selvanova, con questo rosato ci catapultiamo nell’anima rock dell’azienda grazie ad un vino grintoso e anarchico allo stesso tempo. Il tratto olfattivo sa di peonia, melagrano, ribes e ciliegie nere ma è in bocca che il Londro Rosato scatena tutta la sua energia grazie ad una leggera presenza tannica e ad una misurata ruvidezza donate dal saldo di Aglianico che immette nel vino la giusta dose di territorialità e determinazione. La chiusura è fresca, fruttata, delicatamente sapida e, come nel caso del Bianco, la bottiglia finisce subito soprattutto se a fargli compagnia c’è una bellissima pizza marinara o margherita. Provare per credere!

Terre del Volturno IGT – La Corda di Luino Bianco 2020

Il primo vino fermo prodotto da Selvanova è un bianco prodotto con uve 70% Pallagrello Bianco e 30% Fiano provenienti da vigne situate nel comune di Castel Campagnano (CE). La raccolta delle uve avviene manualmente e trasportate immediatamente nella vicina cantina dove sono sottoposte ad una pressatura soffice a grappolo intero per ottenere il mosto fiore. La vinificazione e l’affinamento, sulle fecce fini per 6 mesi, avviene interamente in acciaio.


Dal carattere schiettamente contadino, La Corda di Luino, il cui nome spiegheremo successivamente, ha tutto per essere un eccellente vino quotidiano perché è accogliente nei suoi richiami di frutta ed erbe aromatiche e decisamente goloso al sorso, delicatamente rustico, sorretto egregiamente da una bellissima estensione acido-sapida. Provatelo in abbinamento con “Pasta patate e provola” per momenti di puro godimento….

Terre del Volturno IGT – La Corda di Luino Rosso 2020

Vino rosso prodotto con uve 80% Pallagrello Nero, 10% Aglianico e 10% Cabernet Sauvignon provenienti da vigne situate nel comune di Castel Campagnano (CE). La raccolta delle uve avviene manualmente e trasportate immediatamente nella vicina cantina. Vengono sottoposte a pigia-diraspatura per poi macerare, mediamente, per 15 giorni. La vinificazione viene svolta con le uve ancora separate, una volta svinate viene fatto il blend prima di continuare l’affinamento per 6 mesi in tini di acciaio.


La Corda di Luino, anche nella versione rosso, conferma che Selvanova ha come obiettivo quello di produrre vini di ottima qualità e di pronta beva. Conferma ne è questo blend di palagrello, aglianico e cabernet sauvignon che punta tutto sulla succosità del vino, sull’immediatezza dei profumi che ricordano i frutti neri maturi, il dragoncello e le erbe spontanee. Sorso equilibrato, affatto austero, scorrevolissimo grazie a morbidi tannini e con una decisa marcia sapida a dettare il ritmo dell’assaggio. Vino assolutamente appagante e tutto proiettato alla bevibilità più spensierata possibile. Abbinamento consigliato: “Candele spezzate al ragù pippiato”. Ho già l’acquolina in bocca!

Piccola curiosità circa i nomi dei vini: la Frazione Squille del comune di Castel Campagnano, dove sorge Selvanova, si trova sulla riva del fiume Volturno, dove ha navigato, fino agli anni settanta, una scafa, ovvero una zattera, che fungeva da ponte e sulla quale venivano ospitati uomini e animali che venivano trascinati da una sponda all’altra con una corda tesa tra le due sponde. Al fianco di essa veniva anche trascinata una zattera più piccola, una sorta di scialuppa di salvataggio, che prendeva il nome di Londro (nome dei vini frizzanti sia bianco che rosato attualmente prodotti) utile, in caso di necessità, a salvare la vita a qualche mal capitato che cadeva in acqua. Questa attività di attraversamento era gestita dalla famiglia Luino (nome dei vini fermi, sia rosso che bianco attualmente prodotti).

InvecchiatIGP: Crivelli - Ruchè di Castagnole Monferrato 1992


di Lorenzo Colombo

Il Ruchè è un vitigno del quale ancora non si conosce bene la provenienza, ma ci sono solamente alcune ipotesi -tutte ovviamente da prendere con le molle- relative al suo nome.
La prima sostiene che esso derivi da “Rocche”, ovvero che il vitigno si adatti bene alla coltivazione su queste conformazioni sabbiose, calcareo argillose (presenti soprattutto nelle Langhe e nel Roero) dovute all’erosione. La seconda recita che il nome derivi da “San Rocco” santo assai venerato in zona, mentre la terza cita un “Convento delle Rocche” i cui frati pare abbiano salvaguardato il vitigno.

Coltivato esclusivamente nei dintorni di Castagnole Monferrato, nel 2000 si contavano meno d’una cinquantina d’ettari di questo vitigno, mentre i dati forniti dalla Vignaioli Piemontesi e relativi all’anno 2019 ne quantificano, solamente per la Docg Ruchè di Castagnole Monferrato, 158 ettari (1.130.000 le bottiglie prodotte), ai quali vanno poi aggiunti -non molti per la verità- gli ettari che si trovano fuori dalla zona a denominazione. Analisi effettuate sul DNA del vitigno hanno dimostrato che non esiste nessuna somiglianza con altri vitigni presenti sul territorio pertanto Il Ruchè rimane un vitigno unico ed un poco misterioso.

Il Ruchè di Castagnole Monferrato DOCG

Per il Ruchè di Castagnole Monferrato la Doc è arrivata nel 1987 mentre nel 2010 ha ottenuto la Docg, il suo areale di produzione è limitato a sette comuni in provincia d’Asti: Castagnole Monferrato, Montemagno, Grana, Portacomaro, Refrancore, Scurzolengo e Viarigi. Solitamente se ne ricavano vini dal color rubino brillante, con una buona intensità olfattiva, i suoi profumi sono leggermente aromatici e speziati, la sua bassa acidità e la non elevata tannicità ne fanno vini da bersi entro pochi anni.

L’Azienda Agricola Crivelli

Un trisavolo di Marco Maria Crivelli, proveniente dalla Frazione Crivelli, del comune di Castiglione d’Asti, si stabilì a Castagnole Monferrato attorno alla metà dell’Ottocento, acquistando vigneti e iniziando da subito la produzione di vino sia da vigneti propri che da altri, condotti in mezzadria.
Dopo la seconda guerra mondiale il padre di Marco Maria conferisce le uve alla, da poco nata Cantina Sociale, siamo nel 1979 quando Marco Maria decide di produrre direttamente il vino con propria etichetta e dopo una decina d’anni riesce a commercializzarlo anche all’estero. Nel 2000 è stata costruita la nuova cantina e attualmente l’azienda -che viene condotta unitamente al figlio Jonathan- può contare su otto ettari a vigneto.

Il vino

Solitamente si consiglia di bere il Ruchè entro i primi anni di vita, anche se il produttore di questo vino sostiene che può resistere tranquillamente sino ad oltre dieci anni dalla vendemmia, noi ci siamo spinti più in là e la nostra bottiglia è rimasta quasi trent’anni in cantina. Questo lungo tempo ha contribuito a scolorire molto il vino, che ora si presenta con un color tra il granato e l’aranciato scarico e con unghia aranciata. In compenso il suo spettro olfattivo s’è ampliato a dismisura, seppur perdendo molto in intensità, i sentori sono ovviamente di natura terziaria anche se un leggero ricordo aromatico rimane, l’evoluzione del vino è netta senza però sfociare in note ossidative, si va dal cuoio alle note autunnali che richiamano le foglie bagnate, i funghi, la terra umida, le radici, i fiori appassiti, il bastoncino di liquirizia, ma anche spezie (pepe e vaniglia) e frutta secca, però non si tratta unicamente d’ampiezza di profumi, ma anche di notevole eleganza.


Tale ampiezza e complessità di sentori non ritroviamo però alla bocca dove il vino appare un poco smagrito, con una struttura leggera, il vino è asciutto ed i tannini paiono ancora graffianti, vi ritroviamo accennate le note speziate ed uno sbuffo di frutta cotta, leggeri accenni piccanti si colgono in chiusura dove troviamo ancora una buona persistenza.
In complesso un vino più da naso che non da bocca che però ha svolto egregiamente il suo compito durante il pranzo, accompagnando degnamente un gallo ruspante in padella. Ultima annotazione riguarda la bellissima etichetta.

Ps: ad articolo già scritto veniamo a conoscenza della morte di Lidia Bianco, per 25 anni sindaco di Castagnole Monferrato, fu sotto la sua spinta e quella di Giacomo Cauda, parroco del comune, che si rivalutò il vitigno Ruchè, sino ad ottenere nel 1987 la denominazione d’origine Ruchè di Castagnole Monferrato.

Villa Bucci - Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore 2017


di Lorenzo Colombo

Una decina di giorni fa Ampelio Bucci è stato eletto Vignaiolo dell’anno dalla FIVI e noi lo onoriamo bevendo questo suo vino dell’annata 2017 ancora in perfetta forma.


Fresco, elegante, di buona struttura, sapido e succoso, con un frutto giallo ancora nitido, accenni di fieno ed una leggera nota piccante che ne prolunga la persistenza.

Le Cuvée bianche dell’Alto Adige


di Lorenzo Colombo

Da qualche anno diverse cantine altoatesine si sono messe a produrre vini bianchi frutto d’assemblaggio di diversi vitigni e spesso questi prodotti vanno ad occupare la posizione più alta nelle loro linee produttive, in effetti nella nostra degustazione di tutte le 20 Cuvée presenti all’Alto Adige Wine Summit non abbiamo trovato un vino che non avesse una qualità più che buona, ragione per cui abbiamo deciso di menzionarle tutte come miglior assaggio. Qui gli enologi si possono sbizzarrire, si tratta infatti di vini con composizioni molto diverse tra loro anche se vitigni come Chardonnay, Sauvignon Blanc e Pinot bianco sono i più gettonati.


Eccole quindi queste Cuvée, elencate in ordine di gradimento.

Cantina Bergkellerei Passeier - Vino bianco – Giovo 2019

Chardonnay, Sauvignon blanc e Solaris vanno a comporre questo vino, le uve provengono da vigneti situati tra i 400 ed i 900 metri d’altitudine su suoli composti da detriti morenici, il sistema d’allevamento è a Guyot con densità d’impianto di 6.000 ceppi/ettaro e la resa è di 60 ettolitri/ha. Dopo la pressatura il mosto fermenta in barriques usate dove poi il vino s’affina per sei mesi.


Paglierino luminoso di buona intensità. Intenso al naso, note affumicate e leggermente tostate, frutta a polpa gialla matura. Buona struttura, frutto giallo maturo, pesca gialla, frutta tropicale, leggere note fumé, lunga la persistenza. 90/100

Tenuta Pacher Hof - Vigneti delle Dolomiti Bianco - Private Cuvée 2018

20% Riesling, 35% Grüner Veltliner, 45% Sauvignon Blanc, le uve provengono da vigneti situati a Novacella, in Val d’Isarco, collocati tra i 600 ed i 950 metri d’altitudine. Il Riesling fermenta in vasche d’acciaio, mentre Sauvignon e Grüner Veltliner in botti di legno di grandi dimensioni, dove i vini rimangono in affinamento, dopo otto mesi viene effettuata la cuvée.


Paglierino-verdolino scarico e luminoso. Buona intensità olfattiva, sentori d'erbe officinali, frutta a polpa bianca. Fresco, verticale, note vegetali, succoso, lunga la persistenza. 89-90/100

Tenuta Manincor - Alto Adige Terlano - Réserve della Contessa 2020

55% Pinot bianco, 30% Chardonnay e 20% Sauvignon blanc, due terzi delle uve provengono dalla Tenuta Lieben Aich situata a Terlano, a 300 metri d’altitudine su suoli sabbiosi-porfirici, l’altro terzo invece proviene da vigneti situati a Castel Campan, a 500 metri d’altitudine, dove i suoli sono argillosi-calcarei. Dopo una macerazione in pressa della durata di sei ore, la fermentazione si svolge in botti di legno senz’aggiunta di lieviti, il vino s’affina quindi sulle fecce fini per nove mesi.


Paglierino luminoso. Bel naso, elegante, fresco, leggere note vanigliate, frutta a polpa bianca. Buona struttura, morbido, succoso, pesca gialla, accenni tropicali, note d'agrumi maturi, lunga la persistenza. 89-90/100

Baron Longo - Von Longo Liebenstein - Vigneti delle Dolomiti Bianco – Liebenstein 2019

Chardonnay e Pinot bianco provenienti da vigneti di 35 anni d’età.Fermentazione spontanea in botti di rovere da 500 litri dove poi il vino s’affina sui lieviti per 12 mesi.


Paglierino luminoso di media intensità. Bel naso, fresco, elegante, accenni aromatici, pesca bianca, accenni di zenzero. Discreta struttura, succoso, leggere note piccanti, frutta a polpa bianca, elegante, lunga la persistenza. 89-90/100

Cantina Tramin - Alto Adige Bianco – Stoan 2019

Chardonnay 65%, Sauvignon 20%, Pinot Bianco10%, Gewürztraminer 5%, i vigneti sono situati tra i 400 ed i 600 metri d’altitudine su suoli composta da ghiaia calcarea ed argilla con esposizione in prevalenza Sud-Est, hanno un’età variabile tra i 10 ed i 40 anni e danno una resa media di 45 ettolitri/ettaro. La fermentazione si effettua in botti da 30-40 ettolitri dove su svolge anche la malolattica, il vino rimane quindi negli stessi contenitori, sui propri lieviti, sino al mese d’agosto, seguono almeno tre mesi di sosta in bottiglia. La produzione è di 60.000 bottiglie/anno.


Paglierino-verdolino luminoso. Intenso al naso, sentori d'erbe officinali, frutta a polpa bianca. Buona struttura, fresco e succoso, pesca bianca, frutta dolce, lunga la persistenza. 89/100

Cantina Produttori S. Michele Appiano - Alto Adige Bianco – Appius 2016

La composizione del vino per quest’annata (le percentuali variano a seconda dell’annata) prevede: 58% Chardonnay, 22% Pinot grigio, 12% Pinot bianco e 8% Sauvignon blanc, le uve provengono da vigneti selezionati situati nel comune di Appiano, l’età dei vigneti varia dai 25 ai 35 anni, sono situati su suoli di natura morenica, calcarei e ghiaiosi, allevati a Guyot con esposizione Sud-Est, Sud-Ovest, la resa è di 35 ettolitri/ettaro. La vinificazione viene effettuata separatamente per ciascun vitigno e prevede anche la fermentazione malolattica (tranne che per il Sauvignon), l’affinamento dei vini viene effettuato in barriques e tonneaux dove sostano per circa un anno, s’effettua quindi l’assemblaggio dopo di che la massa rimane in affinamento sui lieviti in vasche d’acciaio.


Paglierino luminoso. Di media intensità olfattiva, frutta a polpa gialla, pesca, note balsamiche e d'erbe officinali. Buona struttura, morbido, sentori vanigliati e di nocciole, lunga la persistenza su sentori ammandorlati. 88-89/100

Cantina Colterenzio - Alto Adige Bianco - Riserva LR 2017

Iniziamo dal nome “LR” che sono le iniziali di Luis Raifer, per anni presidente nonché direttore della Cantina di Colterenzio e ispiratore di questo vino. Si tratta di un blend tra Chardonnay, Pinot bianco e Sauvignon blanc provenienti da vigneti collocati tra i 400 ed i 550 metri d’altitudine che danno una resa di 35 ettolitri/ettaro. Il vino s’affina prima in botti di rovere ed in seguito in bottiglia e viene commercializzato dopo tre anni dalla vendemmia.


Giallo paglierino luminoso di buona intensità. Buona l'intensità olfattiva, sentori nocciolati e vanigliati, frutta a polpa gialla. Buona struttura, nocciole tostate, frutta tropicale, pesca gialla, lunga la persistenza. 88-89/100

Cantina Malojer – Gummerhof - Alto Adige Bianco - Bautzanum 2020

Cuvée di Chardonnay, Pinot bianco e Sauvignon blanc, le uve provengono da vigneti situati nei dintorni di Bolzano, la vinificazione si svolge in vasche d’acciaio ed una parte del vino s’affina in barrique, dove sosta per tre mesi.


Color paglierino scarico, luminoso. Intenso al naso, frutto tropicale, pesca gialla, pulito e fresco. Fresco, elegante, bel frutto, pulito, pesca gialla, accenni d'erbe officinali, lunga la persistenza. 88-89/100

Tutzer Erhard - Tenuta Ploner - Mitterberg Bianco – Nörder 2020

33% Sauvignon blanc, 33% Riesling renano e 34% Pinot bianco, provenienti da vigneti situati a Marlengo costituiscono il blend di questo vino, i diversi vitigni vengono vinificati separatamente, si svolge quindi l’affinamento in botti di grandi dimensioni.


Paglierino luminoso di media intensità. Frutta a polpa gialla, pesca, accenni di frutto tropicale, pulito. Buona struttura, fresco, fruttato, pesca gialla e frutta tropicale, sapido, lunga persistenza. 88-89/100

Tenuta Strasserhof - Vigneti delle Dolomiti Bianco – AnJo 2019

50% Sylvaner, 35% Riesling e 15% Kerner da vigneti d’età compresa tra i 25 ed i 40 anni, situati in Val d’Isarco a 700 metri d’altitudine su suoli sabbiosi e ghiaiosi, sopra l’Abbazia di Novacella, che danno una resa di 60 q.li/ettaro.


Paglierino luminoso di media intensità. Mediamente intenso al naso, sentori di mela, pesca bianca. Fresco e succoso, sapido, note d'agrumi e di pesca bianca, mela, lunga la persistenza. 88-89/100

Cantina Kurtatsch - Alto Adige Bianco - Amos 2019

Pinot Bianco, Chardonnay, Pinot Grigio, Kerner e Sauvignon provenienti da vigneti situata a Penone e Corona, tra i 600 ed i 900 metri d’altitudine e con esposizione ad Est su suoli dolomitici, la resa per ettaro è di 40 ettolitri. Le uve fermentano separate in vasche d’acciaio, dopo l’assemblaggio s’affinano sulle fecce fini in botti di rovere per quindici mesi.


Paglierino-verdolino luminoso. Buona intensità olfattiva, accenni d'erbe officinali, frutta a polpa bianca. Fresco, succoso, note d'agrumi, pesca bianca, lunga persistenza, buona eleganza. 88/100

Lorenz San Nicolò - Mitterberg Bianco – Ouvertüre 2020

Nessuna info su questo vino, a parte che l’azienda si trova in località San Paolo nel comune d’Appiano.
Paglierino rendente al platino. Intenso al naso, aromatico, sentori di rose. Fresco, aromatico, frutta tropicale matura, buona persistenza su sentori di salvia. 88/100

Franz Haas - Vigneti delle Dolomiti Bianco – Manna 2019

Riesling e Chardonnay, più percentuali minori di Gewürztraminer ed ancor più piccole di Sauvignon blanc e Kerner, provenienti da vigneti situati tra i 350 e gli 800 metri d’altitudine con esposizione Sud-Ovest su suoli di diversa natura, dolomitica, porfirica, sabbiosa e marnosa. Vinificazione delle uve separata, Chardonnay e Sauvignon fermentano in barrique, gli altri vitigni in acciaio, dopo l’assemblaggio il vino sosta sui lieviti per dieci mesi.


Giallo paglierino luminoso. Intenso al naso, note aromatiche, frutta tropicale, pesca gialla, pulito. Buona struttura, succoso, fresco, frutta tropicale, accenni di zenzero, lunga persistenza su note di salvia. 87-88/100

Baron Di Pauli - Vigneti delle Dolomiti Bianco - Enosi 2020

60% Riesling e 40% Sauvignon blanc provenienti dal maso Höfl unterm Stein, situato a Sella, frazione di Termeno, a 500 metri d’altitudine su suoli calcarei argillosi. Le uve di Riesling fermentano in acciaio mentre quelle del Sauvignon, vengono prima macerate per dodici ore, l’affinamento del vino s’effettua in acciaio ed in botti di grandi dimensioni per sei mesi.


Giallo paglierino luminoso. Intenso al naso, frutto tropicale, pesca gialla matura. Strutturato, morbido, leggere note piccanti, frutta tropicale, lunga persistenza. 87/100

Tenuta Kornell - Alto Adige Bianco - Aichberg 2019

Pinot Bianco, Chardonnay, Sauvignon blanc provenienti dal vigneto Ansitz Aichberg situato ad Appiano Monte, a 450 metri d’altitudine con esposizione Sud-Est, i suoli sono di natura calcarea con abbondante presenza d’argilla rossa, il sistema d’allevamento è a Guyot con densità di 6.000 ceppi/ettaro, la resa è di 50 q.li/ha. La fermentazione si svolge in botti di legno senz’aggiunta di lieviti selezionati, l’affinamento s’effettua in botti grandi, barrique e tonneaux per nove mesi ai quali seguono ulteriori sette mesi di sosta in bottiglia.


Giallo paglierino luminoso. Intenso al naso, note vanigliate e nocciolate, frutto giallo maturo. Buona struttura, legno dolce, note vanigliate, accenni piccanti, lunga la persistenza. 87/100

Cantina Terlano - Alto Adige Terlano - Riserva Nova Domus 2018

60% Pinot bianco, 30% Chardonnay e 10 % Sauvignon blanc, i vigneti, esposti a Sud, Sud-Ovest sono collocati a diverse altitudini in base al vitigno, siamo infatti tra i 500 ed i 600 metri slm per il Pinot bianco e tra i 300 ed i 350 metri per gli altri due vitigni. I suoli sono magri, sabbiosi ed argillosi, la roccia prevalente è il porfido quarzifero d’origine vulcanica.
La fermentazione si svolge separatamente in botti di legno, su Pinot bianco e Chardonnay s’effettua una parziale fermentazione malolattica, l’affinamento, in botti di grandi dimensioni, si protrae per un anno sulle fecce fini, dopo l’assemblaggio trascorrono almeno altri tre mesi prima dell’imbottigliamento.


Giallo paglierino luminoso di buona intensità. Buona intensità olfattiva, sentori d'erbe officinali. Buona struttura, pesca gialla, accenni di frutta tropicale, sapido e morbido, chiude leggermente amaricante con buona persistenza. 86-87/100

Tenuta Alois Lageder - Vigneti delle Dolomiti Bianco - Casòn 2018

Completamente diverso rispetto a tutte le altre Cuvée bianche la composizione di questo vino che prevede l’utilizzo di Viognier e Petit Manseng, le uve provengono dal vigneto Casòn Hirschprunn situato a Magrè ad un’altitudine di 230 -360 metri slm su suolo dolomitico, sabbioso pietroso, le viti hanno un’età tra gli 11 ed i 26 anni. Fermentazione spontanea in botti di varie dimensioni, sosta sulle fecce per circa 18 mesi sino al momento dell’assemblaggio, segue affinamento in bottiglia per un anno.


Giallo paglierino luminoso tendente al dorato. Mediamente intenso al naso, mela matura, accenni d'erbe officinali. Buona struttura, accenni piccanti, mela matura, succoso, buona la persistenza. 86/100

Baron Longo - Von Longo Liebenstein - Vigneti delle Dolomiti Bianco - Felix Anton 2020

Chardonnay, Pinot bianco e Pinot grigio in parti uguali, fermentazione spontanea, affinamento in tonneaux ed in vasche d’acciaio.


Paglierino luminoso. Buona intensità olfattiva, erbe officinali, accenni d'agrumi e di frutta a polpa gialla. Buona struttura, sapido, frutta a polpa gialla, accenni d'erbe aromatiche, buona la persistenza. 86/100

GraWü - Mitterberg Bianco – Ambra 2020

Inserito tra le Cuvée bianche, in realtà questo vino è il frutto di un monovitigno appartenente alla famiglia dei PIWI, il Souvignier Gris, proveniente da un vigneto situato a Naturno, su suoli composti da granito e gneiss.
la vinificazione prevede una macerazione sulle bucce per ben sette mesi in botti usate, il vino viene poi posto in contenitori d’acciaio dove sosta per cinque mesi, viene quindi imbottigliato senza filtrazione.


Ramato, oro antico, velato. Buccia d'uva e di mela, note macerative. Buona struttura, buccia di mela, sidro, buona la persistenza. Particolare. 86/100

Tenuta Eberlehof - Mitterberg Bianco – Blaterle 2019

In verità anche questo vino -alla sua prima annata di produzione- non sarebbe dovuto essere inserito tra le “Cuvée” essendo frutto di un raro vitigno, il Blaterle, coltivato a 300 metri d’altitudine sulla collina di Santa Maddalena, con esposizione sud. Parte del mosto fermenta in acciaio e parte in barrique, rimanendo sulle fecce fini, dopo alcuni mesi viene assemblato ed imbottigliato.Il Blatterle (con 2 t) è stato inserito nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite il 30 novembre 2018.


Paglierino-verdolino luminoso. Intenso al naso, note vegetali, mela un poco acerba. Mela acerba, succoso, fresco, con buona vena acida, accenni citrini, buona la persistenza. 85-86/100.

Il Verdicchio di Matelica "Vigneto Fogliano" di Bisci declinato in sei annate storiche. Voi quale preferite?


Da grande appassionato di Verdicchio di Matelica, Bisci per me ha sempre rappresentato una azienda di riferimento grazie, soprattutto, alla serietà del lavoro agricolo ed enologico dei fratelli Giuseppe e Pierino Bisci che nel 1972 acquistarono una proprietà di oltre 20 ettari trasformandola ben presto in uno dei fari qualitativi per il vino del territorio. 


L’azienda, gestita attualmente da Mauro e Tito Bisci, figli di Giuseppe, è situata tra le province di Macerata e di Ancona e si estende su una superficie di circa 25 ettari dove troviamo in maggioranza Verdicchio, circa 18 ettari, mentre la restante parte, poco più di 2 ettari, è coltivata a Sangiovese e Merlot. Tutte le vigne, piantate ad una altitudine variabile tra i 320 ed i 370 metri s.l.m., seguono il metodo biologico: zolfo e rame sono i prodotti utilizzati e viene praticata la tecnica dell’inerbimento tra i filari. 


Durante l’ultimo press tour in terra matelicese, ho avuto la fortuna di partecipare ad una verticale storica del Verdicchio di Matelica “Vigneto Fogliano”, vero e proprio Cru, che Bisci produce solo nelle migliori annate attraverso una vinificazione in cemento vetrificato a cui segue un affinamento per 15 mesi, sempre in cemento, più almeno altri 4 mesi di bottiglia prima che il vino esca sul mercato. 


La verticale storica è partita con l’annata 2018 per finire con la 2011. Di seguito, come sempre, le mie note di degustazione comprensive di una piccola descrizione dell’annata che ho potuto inserire grazie allo stupendo database che si trova all’interno del sito dell’azienda

Bisci - Verdicchio di Matelica “Vigneto Fogliano” 2018 (100% verdicchio): l'annata 2018 a Matelica è iniziata con un inverno moderatamente freddo ed è stata caratterizzata da alcune gelate a fine stagione. In primavera sia la temperatura che le piogge sono state nella norma. L'estate relativamente calda, ha avuto varie precipitazioni con violenti temporali ma fortunatamente senza grandine. Le temperature estive hanno avuto escursioni termiche costanti con picchi di temperature elevate che raramente hanno superato i 34°C. Le condizioni meteorologiche descritte hanno portato alla produzione di uva che presentava sia un eccellente livello di maturazione che ottime condizioni ‘sanitarie’ senza alcun segno di stress idrico o termico. 


L’ultima annata in commercio del Cru si presenta, dal punto di vista organolettico, come un vero e proprio piccolo bignami di un Verdicchio di Matelica “giovane” ovvero luminoso, odoroso di frutta bianca e gialla croccante, lievemente sapido e con un tocco di anice a condire la parte aromatica. Sorso fragrante, fresco, dinamico con chiusura dove sono vivi i ritorni di mandorla. Come me l’aspettavo e cosi è! Gran vino! 

Bisci - Verdicchio di Matelica “Vigneto Fogliano” 2017 (100% verdicchio): l'annata 2017 si è stata molto anomala da un punto di vista precipitazioni e di temperature. Ad un inverno non eccessivamente freddo ma con alcune importanti nevicate è seguita una primavera con temperature medie superiori alla media e con scarse piogge ed una estate in cui si sono susseguite importanti ondate di caldo con temperature elevate e senza alcuna pioggia. Tutto ciò ha ridotto la produzione del 30% rispetto alla media delle annate precedenti ma le uve rimanente erano tutte perfette dal punto di vista sia fitosanitario che della maturazione.


Il vino, coerentemente, rispetto al precedente, risulta più largo che verticale, sa di frutta gialla matura, quasi esotica, di spezie gialle, di erbe mediterranee a cui da sfondo comincia a delinearsi un profilo aromatico che più che minerale definirei salmastro. La bocca è generosa, piena ma non morbida, a cui manca solo un piccolo slancio fresco-sapido per essere equilibrata come vorrei. 

Bisci - Verdicchio di Matelica “Vigneto Fogliano” 2016 (100% verdicchio): l’inverno 2015/2016 è stato mite e con poco pioggia. Questo ha portato ad avere una germogliatura anticipata. La pioggia sono arrivate a fine primavera. Dopodiché si sono avute piogge settimanali per tutta l’estate accompagnate da abbassamenti di temperatura. Cosa che ha favorito la maturazione aromatica delle uve bianche che, in generale, hanno dato vita a vini con buona acidità e basso pH. 


Il Vigneto Fogliano 2016, già dal colore, un giallo dorato vivo, sembra essere arrivato già ad uno stadio avanzato di evoluzione e, di conseguenza, di complessità aromatica. Infatti, il vino è magnetico ed espressivo fondendo sensazioni idrocarburiche a soffi di ginestra, pesca matura, papaia, zafferano e noce moscata. Alla gustativa è vibrante, appagante e di spessore gustativo. Finale lunghissimo, armonico e lievemente salmastro. Un Verdicchio di Matelica che si fa amare e ricordare anche se la domanda che mi pongo è:”Ma non sarà già troppo maturo per avere solo 5 anni?”…. 

Bisci - Verdicchio di Matelica “Vigneto Fogliano” 2015 (100% verdicchio): ad un inverno mite con un livello medio di piogge è seguita una primavera secca. Ci sono state buone piogge durante maggio e giugno in concomitanza con la prima fase vegetativa delle viti. Tempo ottimo si è susseguito sia a luglio che agosto caratterizzato da poche piogge. A metà settembre si sono avute piogge che sono continuate poi fino ad inizio ottobre. L’annata 2015 è una annata molto buona e molto equilibrata. 


Il colore, molto più chiaro del precedente, fa da preludio ad un naso che offre profumi di fiori bianchi poi pesca e nespola, mandorla fresca, erbe aromatiche e precisi soffi minerali. In bocca è ben accordato all'olfatto con netti ritorni di pesca, giusta spinta sapida e finale di estrema pulizia e rigore. 
Questa è stata l’ultima annata, la terza, in cui le vigne hanno completato la conversione (iniziata nel 2013) per essere certificate organiche

Bisci - Verdicchio di Matelica “Vigneto Fogliano” 2013 (100% verdicchio): un inverno nella media con poca neve. Una primavera piovosa. Una annata fresca eccetto 15-20 giorni in agosto. Si sono avute, come al solito, importanti escursioni termiche tra giorno e notte. L’azienda è al primo anno di conversione per la certificazione biologica. 


Il vino ha un profilo simile alla 2017, quindi con notevole ricchezza di frutta gialla matura, spezie, erbe aromatiche e sale. Al gusto è inizialmente avvolgente e dinamico, poi a centro bocca sempre cedere leggermente tagliando un po’ le ali ad una persistenza, purtroppo non esaltante, che non è certo un punto di forza di questa annata. 

Bisci - Verdicchio di Matelica “Vigneto Fogliano” 2011 (100% verdicchio): Il clima è stato ottimale fino a tutto luglio. Agosto è stato molto caldo e ventoso mentre a settembre e durante la vendemmia è stato buono. Nonostante non si siano state importanti escursioni termiche giorno/notte le uve erano molto sane grazie al clima asciutto. La produttività è stata molto bassa soprattutto per quello che riguarda il rapporto grappoli mosto. 


Fatte queste opportune premesse tecniche, posso dire, anche a nome di altri colleghi intervenuti durante la verticale, che la 2011 a Matelica, in generale, stupisce per eleganza ed equilibrio. Prova ne è questo buonissimo Vigneto Fogliano che in maniera ampia e sinuosa regala intensi aromi floreali di acacia, ginestra, mimosa, a cui seguono tocchi di frutta gialla croccante. Un tocco erbaceo e lampi lontani di alga marina vanno a completare il quadro olfattivo. Al sorso è giovane e gioviale, intenso, e dalla trama acido-sapida di grande serbevolezza. Finale vibrante con richiami all’agrume e al salgemma. Sicuri abbia 10 anni? Grande annata!!!

Brunello di Montalcino 2017: focus sull'annata e cinque consigli per gli acquisti!


di Andrea Petrini

Il 2021 sarà un anno che a Montalcino ricorderanno per molto tempo sia dal punto di vista climatico sia dal punto di vista organizzativo visto che l’Anteprima Benvenuto Brunello, con l’edizione numero 30 tenutasi dal 19 al 30 novembre scorsi, ha segnato una vera e propria svolta storica visto che per la prima volta, ufficialmente, i vini sono stati degustati e valutati “en primeur” visto che il Brunello 2017, la Riserva 2016 e il Rosso di Montalcino 2020 saranno messi in commercio solo a partire da Gennaio 2022. 


L’altra grande novità di questo ultimo Benvenuto Brunello ha riguardato anche la metodologia di analisi della nuova annata, valutata in stelle, che il Consorzio, nelle veci del Presidente Fabrizio Bindocci, da questo anno ha deciso di non attribuire nell’immediatezza della vendemmia ma, invece, in occasione della Anteprima 2022, dopo almeno un anno di affinamento del vino, quando il grande Sangiovese di Montalcino svelerà molte più informazioni sul potenziale effettivo della vendemmia.


Durante i due giorni di manifestazione dedicati alla stampa di settore, come di consueto, mi sono soffermato prevalentemente sull’analisi e la degustazione dei Brunello dell’ultima annata che verrà commercializzata, ovvero la 2017, giudicata a quattro stelle, che in maniera sintetica potremmo definire calda ma, soprattutto, siccitosa. Andando nel dettaglio, questo millesimo è stato caratterizzato da una primavera con temperature miti e con scarse precipitazioni, condizioni che hanno favorito un germogliamento ed una fioritura anticipata che sono stati abbastanza compromessi dalla terrificante gelata dei primi di aprile che, come tutti ricordiamo, a Montalcino ha costretto molti produttori ad andare di notte nei vigneti bruciando grandi rotoli di paglia al fine di riscaldare l’aria ed evitare ulteriori danni alle gemme. Dal mese di maggio si è registrato, via via, un aumento dei valori termici al di sopra delle medie stagionali accompagnato da una siccità che hanno raggiunto l’apice nel mese di agosto dove le vigne, già in forte difficoltà per il passato, sono spesso andate in stress idrico con conseguente arresto delle fisiologiche maturazioni. A salvare (parzialmente) l’annata è arrivata fortunatamente il 2 settembre una provvidenziale pioggia di un paio di giorni che, principalmente nella zona nord-est di Montalcino, ha rimesso le cose a posto soprattutto per quei vigneti piantati su terreni argillosi in grado di trattenere l’umidità e ridare fiato alle piante. 

Il Presidente Fabrizio Bindocci

Da quanto sopra detto potete ovviamente capire come i bravissimi vignaioli di Montalcino, complice anche un cambiamento climatico che anno dopo anno si fa sempre più tangibile, abbiano dovuto gestire una vendemmia molto difficile che non è facile sintetizzare in poche battute visto anche i diversi terroir che compongono l’areale del Brunello di Montalcino DOCG. 

All’interno de trecentesco Chiostro di Sant’Agostino di Montalcino, coadiuvato dai bravissimi sommelier AIS, sono riuscito a degustare circa l’85% dei Brunello di Montalcino 2017 presenti in degustazione (un discorso a parte meriterebbero poi i produttori assenti ingiustificati!) per i quali mi sono fatto una idea generale abbastanza chiara che, va sottolineato con forza, non può prescindere dall’assoluta gioventù dei vini esaminati i cui giudizi, che rappresentano una fotografia rigorosamente statica, possono essere facilmente rivedibili in un futuro a medio termine quando i vini avranno raggiunto il giusto grado di evoluzione. 


Fatta questa opportuna premessa la prima cosa che salta all’occhio, esaminando anche le retroetichette, è l’importante componente alcolica dei Brunello 2017 che raramente, da anni, vanno sotto i 14% di alcol soprattutto in una annata calda e siccitosa come questa dove la sfida del vignaiolo non era tanto ridurre ma gestire al meglio il grado alcolico. In questo, devo ammettere, la maggior parte dei campioni ha rispettato l’obiettivo ovvero nella maggior parte di vini degustati la componente alcolica è stata abilmente equilibrata tanto che nessun Brunello di Montalcino ha sofferto di “sbuffi alcolici”. 

Anche cromaticamente ed aromaticamente nulla da eccepire: la totalità dei vini aveva il classico colore rosso rubino brillante tipico del sangiovese di razza che, mediamente, fungeva da preludio ad un profilo olfattivo nitido, pulito, dove la frutta rossa succosa, mai troppo matura, la faceva da padrone sulle altre componenti odorose. Al sorso, come mi aspettavo, la struttura del vino, a volte imponente, spesso peccava leggermente di acidità e sapidità ma, se parliamo di componenti dure del vino, ciò in cui sono rimasto tremendamente imbrigliato ha un nome ben specifico: il tannino!! 

Foto: avvinando.tgcom24.it

Non me ne voglia il mio grande amico Carlo Macchi ma io, al contrario suo, ho trovato soventemente nei Brunello di Montalcino 2017 una componente tannica eccessivamente scontrosa, verde, tanto da diventare quasi fastidiosa. E’ chiaro, cercavo di spiegarlo anche in precedenza, questo è il risultato dell’annata siccitosa i cui effetti, mediamente, hanno generato un forte anticipo della maturazione tecnologica dell’uva su quella fisiologica con conseguenti tannini ancora immaturi in fase di vendemmia. 

Ricapitolando: i Brunello di Montalcino 2017 sono figli identitari di una annata molto complicata che ha dato vita a molti vini intricati, tannicamente tortuosi e ancora da decifrare completamente. Non mancano, fortunatamente, le eccellenze che, al momento, si distinguono per la loro immediatezza e, soprattutto, per il loro sublime equilibrio tanto da renderli emozionanti, piacevolissimi da bere e territoriali fino al midollo. 

Di questi, cinque mi hanno fatto innamorare! 

Castello Tricerchi – Brunello di Montalcino “A.D. 1441” 2017: il loro, probabilmente, era il vino che aveva il colore più scarico di tutti ma non fatevi ingannare dalle apparenze cromatiche perché questo sangiovese in purezza, proveniente zona nord di Montalcino, è profondo, graffiante, ricco di sfumature agrumate, di viola essiccata, timo e ghisa. Sorso vigoroso, pregno di fresca acidità e massa fenolica saporita. 

Fattoria dei Barbi - Brunello di Montalcino “Vigna del Fiore” 2017: i Cinelli Colombini conoscono il loro territorio a menadito e sanno, da sempre, come gestire annate complicate come questa. Il loro Brunello menzione “vigna” è un piccolo capolavoro di equilibrio, intensità fruttata corredata da eleganti note speziate e soffi di menta e liquirizia. 

Fattoi - Brunello di Montalcino 2017: giratela come volete ma nelle annate complicate, alla fine, esce sempre fuori il “manico” del piccolo vignaiolo che conosce alla perfezione come gestire i suoi nove ettari di vigneto. Il vino si rivela con sensazioni scure di rabarbaro, ginepro, pepe, per poi virare verso sentori di amarena e prugna. Tannino nobile. Armonico al sorso. 

Pietroso - Brunello di Montalcino 2017: sbuffi floreali si schiudono gradualmente verso una miscela boschiva di muschio e radici. Poi cesti di visciole ed erbe aromatiche. L’incidere gustativo si distingue per l’estrema eleganza e per un sorso teso e compatto. Finale lunghissimo con ritorni di frutta rossa succosa. 

La Magia – Brunello di Montalcino “Il Ciliegio” 2017: non sono mai stato un fan di questa azienda ma davanti ad un vino del genere bisogna solo applaudire: immediati gli accenni intriganti di frutta rossa croccante soavemente accompagnati da una delicata speziatura di pepe, anice stellato e macis; completano il quadro soffi di viola, eucalipto rifiniti da una energica vena ferrosa. Grandioso l’impatto gustativo, immediato e sostenuto da tannini serrati ma vellutati. Il corpo è al tempo stesso potente ed elegante, rifinito da un alcol perfettamente calibrato. Persistenza da record!

InvecchiatIGP: Tenute del Cabreo Folonari - La Pietra Toscana IGT 2001


di Stefano Tesi

Una cosa è assaggiare un vino molto vecchio e magari ancora ottimo o perfino entusiasmante. Un’altra è riassaggiare lo stesso vino a distanza di vent’anni, quando la memoria ovviamente ti aiuta solo a sprazzi, a lampi, a immagini che riaffiorano, a circostanze dimenticate, a sentori che non sai bene se sono veri o immaginari o forse sono solo delle tenere madeleine. Ma tu, mentre fai ruotare il vino nel bicchiere, puoi comunque compiacerti di dire “eh, che tempi”, oppure “eh, mi ricordo di quando” e così via. 


Due decenni del resto, e non lo dico solo per consolarmi, non sono un periodo così lungo da implicare che chi li rievoca sia per forza di cose già anziano. Un quarantenne non è anziano e può benissimo rammentarsi di quando di anni ne aveva la metà. 

Io, per esempio, la prima volta che assaggiai il Cabreo La Pietra Toscana IGT di Folonari, un 100% Chardonnay fatto sulle alte colline chiantigiane di Panzano, non ero ancora trentenne. E dalle schede aziendali leggo che la gloriosa, diciamo pure storica etichetta di questo “bianco strutturato” toscano vide la luce addirittura nel 1983. Insomma è stato un gran piacere fare un tuffo nel passato intrecciando assaggi e chiacchiere con Giovanni Folonari, che in occasione di una cena al fiorentino Fuor d’Acqua nell’ambito del progetto “Il gusto della sfida” dell’Istituto Grandi Marche, ha inserito nella tenzone due bottiglie di quel vino: una pimpante 2018 e una vetusta 2001. 


Perdercisi subito dentro, nella seconda intendo, non è stato difficile, complice una tonalità di giallo in indefinibile equilibrio tra l’arancione e il rosa che faceva l’occhio di triglia ai colori cangianti della catalana di crostacei a cui era stato abbinato.  
Al naso non sapevo che aspettarmi ed ecco di partenza una nota evoluta che immediatamente si stempera con eleganti ondate di funghi, melone maturo, toffees, datteri e frutta secca, il tutto molto sobrio, in una sequenza perfino ordinata, direi. 


Metti in bocca e, sorpresa, al palato ecco spuntare una residua freschezza, con un retrogusto nervoso e appena pungente, gradevole ed elegantissimo. Insomma una bevuta buona e intrigante, un ottimo ripasso della storia del vino toscano, delle mode enoiche e delle loro vicende stilistiche e commerciali. Non a caso, tra considerazioni e copiosi riassaggi, la bottiglia è finita subito. Anche se assicurano che in azienda ci sono ancora alcune decine di pezzi in vendita. 

Gli interessati sono avvertiti!!

Rocca di Castagnoli - Chardonnay Toscana IGT "Molino delle Balze" 2019


di Stefano Tesi

Ecco un’interessante interpretazione chiantigiana dello Chardonnay, fatto per metà in barriques e per metà in acciaio. 


Il legno non disturba e al naso lascia presto il posto a un melange delicato ma asciutto. In bocca ha invece una sapidità nervosa che lo rende godibilissimo. Da bere subito. O anche no.

“Non serviamo fiorentine ben cotte”, un libro tutto da....mangiare!


di Stefano Tesi

In Toscana la ciccia è una faccenda parecchio delicata.

Non tanto in termini di body shaming, come oggi potrebbe sembrare andando dietro al politicamente corretto, ma proprio in termini di carne. La cui regina è ovviamente la bistecca, ossia la cosiddetta fiorentina. Che però non esaurisce affatto il novero delle cicce toscane e dell’arte di cucinarle, argomento su cui spesso i miei conterranei trovano peraltro l’ennesimo terreno ideale per accapigliarsi.


C’è poi, sempre parlando di ciccia, un ulteriore, insidioso e assai dolente punto: viste le premesse, in Toscana è difficile trovare un soggetto più a rischio di retorica e di oleografia della carne. Qui la bistecca sta alla popolarità come Firenze o Venezia all’overtourism. La banalità, a parlarne, è dietro l’angolo. Il risaputo, idem.

Ed ecco che, in questo scenario, un bravo collega fiorentino come Guido Cozzi se ne esce con un volume da titolo quantomai significativo preso in prestito dai cartelli minacciosi che molti osti appendono nei loro locali per inibire preventivamente richieste di cottura “sconvenienti” da parte di clienti sprovveduti: “Non serviamo fiorentine ben cotte” (Sime Books 2021, 242 pagine, 24€).

In che modo, ci si chiederà, l‘autore è riuscito a sfuggire al pericolo del già visto o sentito che l’oggetto del volume può implicare? Il segreto (non per me, che conosco bene Guido, ma in generale) è stato nel fatto che Cozzi ha aggirato l’ostacolo facendo semplicemente il proprio mestiere, quello di fotogiornalista. Ha infatti fotografato ciccia, piatti, persone, animali, attrezzi e situazioni con un realismo vivido che, senza perdere un milligrammo del fascino dell’immagine in sè, non ha mai nulla di finto e sta in equilibrio tra minimalismo e opulenza, cronaca e suggestione.


E soprattutto, non essendo uno specialista del food, ha agito come ogni buon giornalista dovrebbe agire: sapendo di non sapere, ha indagato, chiesto in giro, intervistato chi della materia se ne intende davvero. Facendo insomma in modo che, alla fine, di ciccia e dintorni non parli lui, ma coloro che (è il caso di dirlo) ne masticano: un’istituzione della macelleria toscana come Stefano Bencistà della celebre Macelleria Falorni (sue anche le 40 ricette di “ciccia doc” in tutte le salse, dalla trippa all’arrosto girato, dalle palle di toro ai fegatelli, che lardellano il libro), norcini, artigiani dei coltelli da carne, cuochi, massaie, allevatori, cacciatori e anche un enologo di grido come Stefano Chioccioli per gli immancabili “abbinamenti” vino-carne.

Il risultato è un volume godibile e persino versatile: la veste grafica è curata, le foto splendide, l’impaginazione vivace, la copertina cartonata e la rilegatura solida paiono ideali sia per resistere alla consultazione “militante” in cucina che per non sfigurare come libro-strenna da libreria o da salotto. Il prezzo, viste la qualità e la corposità generali dell’opera, è assai accessibile. E i contenuti – cosa più importante di tutte – sono corretti, leggibili, senza sbavature, asciutti e puntuali. Nel libro si conversa di ciccia, non si impongono ponderose inchieste o approfondimenti abissali.


Un’ultima nota: “Non serviamo fiorentine ben cotte non è però nemmeno una sguaiata celebrazione sibaritica, un’esortazione alla crapula. Non mancano le notazioni sociali e le riflessioni sulle radici profonde che storicamente legano un alimento ricco come la ciccia a una terra alla fin fine povera come la Toscana. Il che non guasta.