Reh Kendermann - Rheingau Riesling Troken “Quarzit” Edition Terroir 2019 by Claus Jacob


di Lorenzo Colombo

Chiariamo subito: se avete problemi con l’acidità di certi vini è meglio che lasciate perdere. 


Qui l’acidità è tagliente, citrina, propria del limone, sia chiaro, c’è anche dell’altro in questo vino dal naso intenso, fresco, verticale e minerale, con sentori di pompelmo e frutta tropicale e con le prime note d’idrocarburi. Non per nulla si chiama Quarzit.

Il Salone Digitale dei Vini d'Alsazia: un report da stampare e leggere!


di Lorenzo Colombo

Come già accennato in due precedenti articoli, dal 7 al 9 giugno scorsi si è tenuta la prima edizione di Millésimes Alsace DigiTasting®, nella richiesta dei campioni da assaggiare abbiamo selezionato le aziende che disponevano di almeno un vino prodotto con Riesling ed in effetti abbiamo ricevuto ben 21 vini prodotti con questo vitigno -da 10 diverse aziende- con annate che variano dalla 2019 alla 2014, tutti i vini sono da considerarsi secchi anche se il loro residuo zuccherino spazia dagli 0,3g/l dell’AOC Alsace Riesling Clos de Chats 2019 di Domaine Etienne Simonis agli 8 g/l del AOC Alsace Grand Cru Furstentum Riesling 2018 di Domaine Paul Blanck. 


Cinque di essi appartengono all’AOC Alsace mentre gli altri sedici si possono fregiare dell’Appellation Grand Cru d’Alsace. 

Nella nostra degustazione abbiamo assaggiato per primi i vini appartenente alla denominazione Alsace procedendo poi con i Grand Cru in ordine geografico, ovvero partendo da quelli collocati più a Nord e scendendo ordinatamente verso Sud, oltre ad una sintetica descrizione dei vini troverete anche qualche cenno sui Grand Cru di provenienza e sulle aziende che li hanno prodotti.

Tipologie di suolo

Prima però è necessaria qualche informazione sul Riesling in Alsazia: con 3.300 ettari di vigneto il Riesling è il secondo vitigno più coltivato in Alsazia, preceduto dal Pinot Blanc e seguito dal Gewürztraminer, diffuso in tutto il territorio della regione risente molto della diversa tipologia di suolo sul quale viene allevato (si contano almeno 13 differenti tipologie di terreno nel vigneti alsaziani) dando di conseguenza vini assai diversi tra loro anche se sempre connotati dalle caratteristiche intrinseche nel vitigno.

Vitigni

Il Riesling è uno dei quattro vitigni consentiti per i Grands Crus d’Alsace e viene utilizzato anche per la produzione delle Vendages Tardives e delle Selection de Grain Nobles.


I vini degustati

AOC Alsace

Domaine Neumeyer - AOC Alsace Riesling Finkenberg 2018 (Bio) (2,1 g/l)

Suolo calcareo, 1.500 le bottiglie prodotte. Paglierino-verdolino di buona intensità. Intenso al naso, frutto giallo maturo, mela matura, note mandorlate ed agrumate, fiori secchi. Intenso, sentori di mela e pera mature, limone maturo, sbuffi di pepe, buona vena acida, lunga la persistenza.

Domaine Neumeyer

L’azienda

La tenuta della famiglia Neumeyer è situata a Molsheim, nel nord dell'Alsazia, tutti i vigneti sono gestiti secondo i dettami della viticoltura biologica, con inerbimento con flora autoctona, e selezione massale. In cantina s’adotta una vinificazione minimalista con l’utilizzo di lieviti indigeni, filtrazione lenticolare e lungo affinamento sulle fecce.

Domaine Etienne Simonis - AOC Alsace Riesling Clos de Chats 2019 (Biodinamico) (0,3 g/l)

Il nome del vino deriva dal luogo di provenienza delle uva, alcuni piccoli appezzamenti situati appena sopra il villaggio chiamati Katzenstegel (Clos des Chats in francese). La tipologia di suolo prende il nome di Gneiss (Roccia composta da feldspato, quarzo e mica), 1.300 sono le bottiglie prodotte.
Color giallo paglierino di discreta intensità, tendente all’oro chiaro. Frutto giallo maturo, pesca gialla, mela e pera, accenni di frutta tropicale, fieno. Succoso e sapido, accenni piccanti, note di zenzero, agrumi, mela un poco acerba, leggermente aromatico, buone sia la struttura che la persistenza.

Domaine Etienne Simonis

L’azienda

La famiglia Simonis coltiva la vite ad Ammerschwihr nell’Haut-Rhin sin dal XVII secolo. I sette ettari di vigneti sono situati a 15 km a nord di Colmar, le varie parcelle sono sia in pianura che in collina e comprendono due Grands Crus. La produzione annua varia dalle 35 alle 40.000 bottiglie.
Etienne Simonis ha assunto la gestione della tenuta nel 1996 e dall'inizio degli anni 2000 ha iniziato la pratica della biodinamica ottenendo la certificazione Ecocert nel 2008 e Demeter nel 2011.

Pierre Frick - AOC Alsace Riesling Rot Murlé 2017 (Biodinamico - Senza solfiti aggiunti) (2,8 g/l)

Suolo calcareo, 3.100 le bottiglie prodotte. Color giallo paglia tendente all’oro antico con leggera velatura. Intenso al naso, note macerative di mela matura e buccia di mela, arancio maturo. Intenso, mela grattugiata, agrume macerato, note piccanti di zenzero, buona vena acido-agrumata, lunghissima la persistenza.

Pierre Frick

L’azienda

La famiglia Pierre Frick gestisce dodici ettari vitati suddivisi in una trentina di appezzamenti, sparsi in una dozzina di terroir prevalentemente calcarei, questa grande parcellizzazione del vigneto fa sì che si possano avere sino ad una trentina di 30 cuvée uniche ogni anno. Dal 1970 le vigne sono coltivate con metodo biologico e la produzione è certificata da ECOCERT, nel 1981 è stata intrapresa la strada della Biodinamica ed i vini portano in etichetta la certificazione DEMETER. La fermentazione avviene con lieviti indigeni senza alcuna solfitazione, i vini non subiscono chiarifica e l'affinamento si svolge sulle fecce fini per 6-9 mesi in botti di rovere centenarie, il 90% dei vini viene imbottigliato senza aggiunta di solfiti.

Maison Pierre Sparr Succeseur - AOC Alsace Riesling Soil Calcaire Raisonnée 2019 (5 g/l)

Suolo calcareo, 12.000 le bottiglie prodotte Verdolino scarico, luminoso. Mediamente intense al naso, sentori floreali e di frutta a polpa bianca, pesca bianca, limone dolce, accenni aromatici e leggere note d’idrocarburi. Fresco e succoso, verticale, mediamente strutturato, buona la vena acida, pesca matura, melone, agrumi, buona la sua persistenza.

Maison Pierre Sparr Succeseur - AOC Alsace Riesling Raisonnée 2019 (3 g/l)

Suolo granitico, 7.000 le bottiglie prodotte. Paglierino-verdolino luminoso. Naso tipico, di buona intensità olfattiva, leggeri accenni d’idrocarburi, pesca gialla, confetto con mandorla, scorza d’arancia, note floreali. Fresco e sapido, succoso, sentori di pesca gialla, agrumi, mandorla amara, leggeri accenni piccanti che rimandano allo zenzero, note di frutta tropicale, buona la persistenza.

Maison Pierre Sparr Succeseur

L’azienda

L’azienda vinifica le uve provenienti da un centinaio d’ettari di vigneti situati in numerosi villages della regione.


AOC Alsace Grands Crus

Siamo nel village di Molseim, qui, su suoli marno-calcarei si trovano i 18,40 ettari dell’Alsace Grand Cru Bruderthal, si tratta di uno tra i Grand Cru d’Alsace situato più a nord, con il 38% della superficie vitata il Riesling è il vitigno più coltivato, l’altitudine varia dai 225 ai 300 metri slm e l’esposizione è Sud-Est.

Grand Cru Bruderthal

Domaine Neumeyer - AOC Alsace Grand Cru Bruderthal Riesling 2017 (Bio) (2,4 g/l)

Suolo calcareo, 2.000 le bottiglie prodotte. Giallo paglierino di media intensità. Intenso al naso, mela matura, buccia di mela, pesca gialla, fichi al sole, mango e papaia. Intenso, sapido, mela matura, mela grattugiata, pepe bianco, zenzero, mango e papaia, lunga la persistenza.

Grand Cru Wiebelsberg 

L’Alsace Grand Cru Wiebelsberg è situato nel village di Andlau, i suoi 12,52 ettari sono quasi completamente appannaggio del Riesling che occupa il 96% della superficie a vigneto che si trova situato tra i 250 ed i 300 metri d’altitudine con esposizione Sud-Ovest, Sud-Est, i suoli, sabbiosi, sono composti da arenaria.

Domaine Gresser - AOC Alsace Grand Cru Wiebelsberg Riesling 2014 (Bio) (6,54 g/l)

Il suolo è costituito da arenaria rosa dei Vosgi, 3.000 le bottiglie prodotte. Giallo paglierino di buona intensità, luminoso, tendente al dorato. Discretamente intenso, buccia di mela, mela grattugiata, accenni di zucchero filato e pasta di mandorle, scorza d’arancio, note idrocarburiche. Buona struttura, mela matura, pesca gialla, agrume maturo, note piccanti di zenzero, lunga la persistenza.

Grand Cru Kastelberg

Anche i 5,82 ettari di vigneto che costituiscono l’Alsace Grand Cru Kastelberg si trovano nel village di Andlau tra i 240 ed i 300 metri d’altitudine, esposti a Sud-Est su suoli composti da scisti, l’unico vitigno presente è il Riesling.

Domaine Gresser - AOC Alsace Grand Cru Kastelberg Riesling 2018 (Bio) (4,14 g/l)

Il suolo è composto da scisto di Steige, 2.100 le bottiglie prodotte. Verdolino scarico, luminoso. Buona intensità olfattiva, delicato, frutta a polpa bianca, mela, note floreali, leggeri accenni d’idrocarburi, buona eleganza. Di media struttura, fresco, succoso, leggeri accenni piccanti di zenzero e pepe bianco, lunga la persistenza. Intrigante.

Grand Cru Moenchberg

Tra i villages di Andlau e Eichhofen si trovano gli 11,83 ettari di dell’Alsace Grand Cru Moenchberg, dove il Riesling è padrone del 62% della superficie vitata, la altitudini variano dai 230 ai 260 metri slm, l’esposizione è Sud, Sud-Est ed i suoli sono piuttosto vari, essendo composti da marne, calcare, ardesia e colluvioni.

Domaine Gresser - AOC Alsace Grand Cru Moenchberg Riesling 2017 (Bio) (7,2 g/l)

Calcare fossile la natura del suolo, 3.500 le bottiglie prodotte. Verdolino luminoso. Mediamente intenso al naso, sentori di fieno, erbe officinali, frutta a polpa gialla, mela leggermente acerba, scorza di limone. Buona struttura, sapido e piccante, frutto giallo macerato, note mentolate, succo di limone, buona la persistenza.

Domaine Gresser

L’azienda

La famiglia Gresser, d’origine svizzera si è stabilita ad Andlau sin dal nel XIV secolo e nel 1399 Eberhardt Gresser ottenne la cittadinanza di Andlau. L'azienda della famiglia Gresser dispone di poco più di 11 ettari di vigneti situati ad Andlau ed Eichhoffen, sono tutti certificati biologici e sono gestiti secondo i dettami del biodinamico, i suoli sono di diversa natura come si può notare dai tre Grands Crus che abbiamo assaggiato. 

Grand Cru Altenberg De Bergheim

Come dice il suo nome l’Alsace Grand Cru Altenberg De Bergheim si trova nel village di Bergheim, collocato tra i 220 ed i 320 metri d’altitudine con esposizione Sud, Sud-Est, vanta una superficie di 35,06 ettari disposti su suoli marnosi-calcarei, le varietà più coltivate sono Gewürztraminer e Riesling.

Gustave Lorentz - AOC Alsace Grand Cru Altenberg De Bergheim Riesling Vieilles Vignes 2016 (Bio) (4,6 g/l)

Argilloso-calcareo il suolo, 20.000 le bottiglie prodotte. Giallo paglierino. Intenso al naso, elegante, delicato, frutta fresca, note floreali, pesca bianca e frutta tropicale, erbe aromatiche, timo e salvia. Di discreta struttura, leggermente piccante, zenzero e pepe bianco, melone, frutto tropicale, ananas e papaia, lunga la persistenza.

Grand Cru Kanzlerberg 

Situato nel village di Bergheim, a 250 metri d’altitudine, Kanzlerberg è il più piccolo dei Grand Cru d’Alsace, nei suoi 3,23 ettari situati a 250 metri d’altitudine, con esposizione Sud, Sud-Ovest, su suoli argilloso-calcarei composti da marne grigie e nere e gesso, trovano spazio tutti i quattro vitigni consentiti nei Grands Crus d’Alsace.

Gustave Lorentz - AOC Alsace Grand Cru Kanzlerberg Riesling 2017 (Bio) (4,33 g/l)

Marne e gessi compongono il suolo, 3.500 le bottiglie prodotte. Giallo paglierino luminoso di discreta intensità. Buona intensità olfattiva, frutto giallo, pesca, melone, accenni di frutta tropicale, datteri, erbe aromatiche, leggere note d’idrocarburi. Strutturato, intenso, piccante, zenzero, pepe bianco, frutta tropicale, melone, mela, agrumi, buona la persistenza.

Gustave Lorentz

L’azienda

La famiglia Lorentz produce vino a Bergheim sin dal 1836, dei suoi 35 ettari di vigneto dodici si trovano in questo village dove coesistono anche sui due Grand Cru che abbiamo assaggiato, dal 2009 la sua viticoltura è improntata sul biologico, la metà dei suoi vini vengono esportati in ben 65 paesi.

Grand Cru Mandelberg

20 ettari di vigneto nei villages di Mittelwihr e Beblenheim costituiscono l’Alsace Grand Cru Mandelberg, l’altitudine varia dai 205 ai 256 metri slm, l’esposizione spazia da Sud-Est a Sud-Ovest passando per il pieno Sud, i suoli sono argilloso-calcarei ed il Riesling copre il 39% della superficie vitata, secondo unicamente al Gewürztraminer.

Domaine Bott-Geyl - AOC Alsace Grand Cru Mandelberg Riesling 2017 (Biodinamico) (6,5 g/l)

Suolo marnoso-calcareo, la produzione è di 1.800 bottiglie e 320 magnum. Paglierino-verdolino non molto intenso. Intenso al naso, note aromatiche e d’idrocarburi, melone, frutto tropicale, arancio, buona eleganza. Intenso, dotato di buona struttura, piccante, pepato, zenzero, ricorda un poco la salsa Wasabi, melone e frutta tropicale, papaia e ananas, lunghissima la persistenza.

Bott-Geyl

L’azienda

Edouard Bott fondò la tenuta Bott-Geyl nel 1953 anche se un suo antenato, Jean-Martin Geyl, produceva vino sin dal 1795. Nell’arco di 40 anni portò l’estensione vitata dai quattro ettari iniziali agli attuali quindici ed iniziò ad imbottigliare con proprio nome nel 1960. I vigneti sono distribuiti 75 parcelle situate in sette comuni e comprendono cinque Grands Crus.
Dal 1993 l’azienda è gestita dal figlio Jean-Christophe con esperienze acquisite sia in Francia che in Nuova Zelanda.

Grand Cru Furstentum

L’ Alsace Grand Cru Furstentum è suddiviso tra i village di Kientzheim e di Sigolsheim ed ha un’estensione di 30,5 ettari esposti a Sud, Sud-Ovest tra i 300 ed i 400 metri d’altitudine su suoli calcarei, i vitigni coltivati, oltre al Riesling, sono Gewürztraminer e Pinot Gris.

Domaine Paul Blanck - AOC Alsace Grand Cru Furstentum Riesling 2018 (in conversione BIO) (8 g/l)

Suoli calcarei, composti da marne ed arenarie, 6.000 le bottiglie prodotte. Giallo paglierino tendente al verdolino, luminoso. Di media intensità olfattiva, agrumato, limone maturo, pesca gialla, mela acerba, note tropicali.
Fresco, verticale, minerale, sapido, acidità citrina, agrumi, succo d’ananas, leggeri accenni idrocarburici, lunga la persistenza.

Domaine Paul Blanck

L’azienda

Frédéric e Philippe Blanck dispongono di 24 ettari di vigneti -in fase di conversione biologica- nella valle di Kaysersberg, comprendenti quattro Grand Cru: Schlossberg, Furstentum, Sommerberg, Wineck Schlossberg. L’azienda esporta l'80% della produzione in 42 paesi. Con i suoi 80,28 ettari lo Schlossberg è il più esteso tra i Grands Crus d’Alsace, situato nel village di Kientzheim dispone di un suolo granitico e di esposizione Sud, la sua altitudine varia tra i 230 ed i 400 metri slm ed il vitigno più coltivato è il Riesling che copre il 76% della superficie vitata.

Grand Cru Schlossberg


Domaine Bott-Geyl - AOC Alsace Grand Cru Schlossberg Riesling 2017 (Biodinamico) (2 g/l)

Suoli composti da sabbie d’origine granitica, 2.040 le bottiglie prodotte. Giallo paglierino luminoso. Intenso al naso, frutto giallo maturo, frutta tropicale, mango, papaia, accenni d’idrocarburi. Buona struttura, sapido, frutto giallo maturo, mango, mote d’agrumi, accenni piccanti di pepe bianco, buona la persistenza.

Domaine Paul Blanck - AOC Alsace Grand Cru Schlossberg Riesling 2017 (in conversione BIO) (3 g/l)

Suolo granitico, 6.000 le bottiglie prodotte. Giallo paglierino luminoso, brillante. Di media intensità olfattiva, pesca gialla, mela matura, frutta tropicale, fiori di sambuco, accenni idrocarburici, buona eleganza. Discreta struttura, note piccanti di zenzero, sentori d’idrocarburi, leggere note di miele e d’ananas, lunga la persistenza.

Grand Cru Kaefferkopf 

Kaefferkopf è il più giovane Grand Cru d'Alsace, ha infatti ottenuto l’ambito riconoscimento unicamente nel 2007. E’ situato nel comune di Ammerschwihr e vanta una sua superficie è di 71,65 ettari, la sua altitudine varia dai 230 ai 350 metri slm ed è esposto ad Est, i suoli sono granitici-calcarei. Il principale vitigno coltivato è il Gewürztraminer, mentre il Riesling copre il 30% del vigneto.

Domaine Etienne Simonis - AOC Alsace Grand Cru Kaefferkopf Riesling 2019 (Biodinamico) (1,3 g/l)

Suolo granitico, 1.000 le bottiglie prodotte. Paglierino luminoso di media intensità tendente al verdolino. Mediamente intenso al naso, pesca gialla, frutta tropicale, mela, accenni d’erbe officinali. Buona struttura, sapido, note piccanti di pepe bianco e zenzero, accenni di salsa Wasabi, frutta tropicale, spiccata vena acido-agrumata, lunga la persistenza.

Kuehn Vins & Cremant d’Alsace - AOC Alsace Grand Cru Kaefferkopf Riesling Conventionnel 2019 (3 g/l)

Suolo granitico-calcareo, 5.500 le bottiglie prodotte. Paglierino luminoso di buona intensità. Intenso al naso, aromatico, sentori di rose, fiori gialli, frutta tropicale, mango, papaia, succo di pesca. Fresco, morbido, succoso, succo di pesca, frutta tropicale, mango e melone maturo, note dolci, lunga la persistenza.

Kuehn Vins

L’azienda

Fondata nel 1675 la Kuehn Vins si trova ad Ammerschwihr e dispone di 80 ettari di vigneti con una vasta gamma di vitigni, se ne ricavano annualmente circa un milione di bottiglie, il 30% delle quali vengono esportate. Come s’evince anche dal nome aziendale, la Kuehn è inoltre specializzata nella produzione di Crémant d’Alsace.

Meyer-Fonne – AOC Alsace Grand Cru Kaefferkopf Riesling 2018 (Bio) (6,5 g/l)

Marne ed arenaria costituiscono i suoli, 3.200 le bottiglie prodotte. Giallo limone luminoso. Mediamente intenso al naso, agrumato, pesca bianca e mela acerba, mango e papaia, note floreali. Fresco, verticale, presenta leggere note piccanti di pepe bianco, note tropicali e leggeri accenni d’idrocarburi, buona la sua persistenza.

Grand Cru Wineck-Schlossberg

27,49 ettari, il 70% dei quali coltivati a Riesling costituiscono l’Alsace Grand Cru Wineck-Schlossberg, situato tra i village di Kattzenthal e Ammerschwihr, la sua altitudine varia tra i 280 ed i 400 metri slm, il suolo è di natura granitica e l’esposizione è Sud, Sud-Est.

Meyer-Fonne – AOC Alsace Grand Cru Wineck-Schlossberg Riesling 2019 (Bio) (7,5 g/l)

Suolo granitico, 5.000 le bottiglie prodotte. Giallo paglierino con riflessi verdolini. Mediamente intenso al naso, fruttato, pesca bianca, mela e leggere note tropicali di succo d’ananas. Buona struttura, succoso, sapido, piccante, note di zenzero e di pepe bianco, frutto tropicale, buona vena acida, buona la persistenza.

Meyer-Fonne

L’azienda

Azienda famigliare situata a Katzenthal la Meyer-Fonne dispone di 18 ettari a vigneto coltivati seguendo i precetti dell’agricoltura biologica (sono in attesa della certificazione. L’azienda dispone di vigneti in cinque Grands Crus ed in tre diversi lieux-dits.

Grand Cru Florimont

L’Alsace Grand Cru Florimont è suddiviso tra i villages di Ingersheim e Katzenthal, i suoli sono argilloso-calcarei, l’altitudine varia dai 250 ai 280 metri slm e l’esposizione è Sud, Sud-Est ed Est, il Riesling copre poco oltre un terzo della superficie vitata, secondo solamente al Gewürztraminer.

Kuehn Vins & Cremant d’Alsace - AOC Alsace Grand Cru Florimont Riesling Conventionnel 2017 (6,6 g/l)

Suolo argillo-calcareo, 23.500 le bottiglie prodotte. Giallo paglierino di buona intensità. Di media intensità olfattiva, sentori di mela matura, nespole, fichi al sole, cera d’api. Intenso e deciso alla bocca, mela, datteri, ananas, piccante, pepato, spiccata vena acida, buona la persistenza.

Grand Cru Vorbourg

L’Alsace Grand Cru Vorbourg è situato nel comune di Rouffach Westhalten, copre una superficie di 73,61 ettari esposti a Sud e Sud-Est tra i 210 ed i 300 metri d’altitudine, i suoli sono composti da calcare ed arenaria ed il vitigno principale è il Gewürztraminer, mentre il Riesling copre il 24% del vigneto.

Pierre Frick - AOC Alsace Grand Cru Vorbourg Riesling 2018 (Biodinamico - Solfiti totali 18 mg/litro) (3,7 g/l)

Suoli di natura calcarea, composti da marne ed arenarie, 1.450 le bottiglie prodotte. Color giallo paglia. Buona intensità olfattiva, mela matura, buccia di mela, fiori gialli, papaia, mango. Intenso e sapido, succo di mela, frutta tropicale, note idrocarburiche, chiude un poco amaro e vegetale.

InvecchiatIGP: la magia del Chianti Rufina "Vigna Bucerchiale" Riserva 1981 di Selvapiana


di Stefano Tesi

Ci ho messo una settimana buona a ricostruire la tempistica di quei giorni remoti che, pur tali, erano assai più recenti di quelli in cui il vino di cui sto per parlarvi nacque.
Devo fare però una premessa. Quando ero giovane ho avuto la sfacciata e immeritata fortuna di ricevere la stima di alcuni grandi vecchi del vino toscano, che mi hanno onorato del loro rispetto e della loro amicizia, aprendomi le porte non solo delle loro cantine, ma pure delle loro case e della loro conversazione. Uno di questi fu Francesco Giuntini di Selvapiana, personaggio inimitabile. Correva il 1991 e io ero un giornalista tanto intraprendente quanto inesperto. Gli resi molte visite e furono tutte memorabili tra assaggi, chiacchiere e motteggi. Sono passati trent’anni da allora eppure il vino che Federico Giuntini, il figlio di Francesco, mi ha fatto assaggiare qualche mese fa, quando incontrai suo padre stava già lì in cantina a riposare da un decennio: Chianti Rufina "Vigna Bucerchiale" Riserva 1981.


Il gioco rotondo dei numeri è affascinante e, lo ammetto, il loro rincorrersi mi intriga sempre: 1981, 1991, 2021. Ebbene sì, tra lo stupore intriso di attesa di pochi fortunati a giugno scorso ho potuto non solo riassaggiare quel vino, ma ascoltare il racconto della vendemmia e delle tecniche dell’epoca, desunto dalle annotazioni: si vendemmiò oltre il primo novembre, dopo il blocco vegetativo di agosto dovuto al gran caldo. I grappoli, “12, 15 per pianta”, avevano la buccia sottilissima e molti marcivano. Era una “viticoltura rustica” e il vino veniva fatto in grandi botti di castagno.


Ed eccola nel bicchiere, la Riserva 1981.

Il colore è miracolosamente integro, da non credere. Al naso l’impatto esile si evolve lentamente, con l’aria, nel respiro di un lucidissimo vegliardo, sprigionando una solidità e una compattezza in cui le note terziarie si susseguono a ondate tra ritorni balsamici, cuoio grasso, foglie smosse di sottobosco. Da qualche parte spunta un refolo di cassetto di vecchia farmacia. E’ profondo e suadente, vivo. Anche in bocca non ha cedimenti: compatto ma setoso, morbido ma bello dritto, lunghissimo, elegante, con bagliori di freschezza e un richiamo irresistibile alla ribevuta. Un vino solenne e gentile, come era il suo produttore.


Poi, sorso dopo sorso, i sensi e le immagini si sovrappongono ai ricordi e la degustazione assume altri toni, in bilico tra compiacimento e nostalgia.

Andriano - Alto Adige Pinot Nero DOC 2020


di Stefano Tesi

Se invece di 5mila bottiglie ne facessero trecento, le comprerei tutte: la metà per bermela da solo, metà per regalarla agli amici. 


Un vino di pulizia inconfondibile, varietale nella migliore accezione del termine, succoso, etereo e quasi afrodisiaco, in bocca lunghissimo, suadente, sostenuto da un'acidità ficcante. Gaudeamus!

Venti anni di vino di Marco Capitoni. La Doc Orcia ha trovato il suo leader?


di Stefano Tesi

Non è frequente che dopo appena un mese gli IGP tornino a occuparsi del medesimo vino o del medesimo produttore, ma stavolta diciamo l'InvecchiatIGP del 7 agosto a firma di Lorenzo Colombo sul “Frasi” 2006 di Marco Capitoni funse da antipasto a quanto officiato più in grande qualche giorno fa: una verticale di 20 vini, uno per anno, a celebrare il ventennale dalla prima vendemmia di questo verace vignaiolo di Pienza, pioniere della doc Orcia.

Marco Capitoni

Del Capitoni uomo, che conosco più o meno dall’inizio e di cui ho seguito con interesse la parabola, mi sono sempre piaciuti la schiettezza, l’onestà intellettuale e la nessuna inclinazione a pavoneggiarsi. Qualità che si riflettono in tutta la famiglia.
Del Capitoni produttore mi sono sempre piaciuti invece la coerenza, la grande attenzione alla territorialità, la consapevolezza dettata dalla conoscenza profonda di sé e dell’azienda e una sobrietà che lo rendono un ottimo critico di se stesso e dei propri vini, peraltro ottimi. A ciò va aggiunto uno slancio a sostegno della denominazione che va oltre le oggettive difficoltà strutturali della medesima, a riprova che gran parte delle fortune di un territorio dipendono molto più dalla convergenza di scopi di chi ci lavora che da ambiziose ma impraticabili strategie di marketing.


Tanto premesso, la degustazione del ventennale - guidata da par suo da Armando Castagno (che giustamente non ha mancato di lumeggiare le storiche contraddizioni socioeconomiche di un contesto tanto affascinante quanto aspro) - è stata oltremodo interessante.


Per tre ragioni: dapprima perchè ha coinvolto ambedue le etichette “storiche” della cantina (il “Capitoni”, oggi un Orcia Doc Riserva prodotto fin dal 2001 con uve di Sangiovese e Merlot, e il “Frasi”, un Orcia Doc Sangiovese Riserva prodotto dal 2005 da uve di Sangiovese, Canaiolo e Colorino della più vecchia vigna aziendale), poi perché ogni annata è stata commentata alla luce dei ricordi personali del produttore e infine perchè, nell’alternanza tra vetri bordolesi e magnum, ha consentito anche un confronto sulla diversa evoluzione dei vini a seconda del contenitore.


La vera sorpresa di fondo (o forse no?) è stata la sensazione di continuità offerta dagli assaggi: ovverosia la possibilità di riflettere, attraverso i vini, sull’indubbia evoluzione tecnica, stilistica e climatica marcata dall’arco temporale, ma sempre attraverso il calmiere di uno stile produttivo capace, nel suo adeguarsi, di rimanere coerente. E’ stata esclusa dalla degustazione, per evidenti limiti anagrafici, la terza etichetta della casa, il “Troccolone”, un Orcia doc Sangiovese in anfora prodotto solo da pochi anni, che però ha saputo farsi apprezzare a tavola.

Ed ecco il dettaglio!

Capitoni 2001

Rubino scurissimo un po’ aranciato, naso integro e opulento, ricco di frutti maturi e note dolci, quasi solenne. In bocca è rotondo ed elegante, con un finale minerale molto stuzzicante.

Capitoni 2002

Una sorta di miracolo in un’annata disastrosa: il tempo gli ha conferito una levità generale e un’agilità molto in linea col gusto odierno. Al naso rivela note vegetali marcate che poi si evolvono in salmastro, mentre in bocca giunge un po’ diluto ma vivo, con buona acidità e una complessità fine, eterea.

Capitoni 2003

L’annata bollente dà un colore scurissimo e un po’ appesantito, il naso accenna all’ossidazione e le note di frutta cotta emergono in modo evidente anche in bocca. Ciononostante il vino mantiene una sua godibilità.

Capitoni 2004

Andò tutto bene fino alla grandinata distruttiva di settembre, quindi vino poco ma buono: al rubino scurissimo fa fronte un naso brillante, elegante e vivo e un palato altrettanto equilibrato, di bella lunghezza.

Frasi 2005 (magnum)

Il 90% di Sangiovese e la botte da 33 ettolitri danno sentori varietali quasi nervosi, asciutti e ben fruttati, mentre in bocca i tannini sono ancora in evidenza con qualche spigolo.

Frasi 2006 (magnum)

Rubino decisamente scarico per un vino freschissimo, lineare e croccante: frutto in evidenza, grande equilibrio e finezza con sorso elegantissimo, lungo e sapido, molto profondo. Tra i migliori campioni assaggiati.

Frasi 2007 (magnum)

Un vino complesso, equilibrato e avvolgente: al naso ha note salmastre, accenni balsamici e qualcosa di erbe aromatiche, in bocca è vivissimo, pimpante, con richiami speziati che lo rendono quasi gioioso. Bene!

Frasi 2008 (magnum)

L’annata da manuale regala un vino senza incertezze, che al naso coniuga maturità e dolcezza, freschezza e varietalità, mentre al palato rivela una sobrietà quasi austera che lo rende complesso, lineare, verticale.

Frasi 2009 (magnum)

Il millesimo difficile dà un vino strano, con un naso ricco e denso, frutto maturo e un accenno quasi carnoso, mentre in bocca è agile, con tannini in evidenza. Bevuta più gastronomica che da degustazione.


Frasi 2010 (magnum)

Un vino strano, ricco, quasi ingombrante, pastoso e abbondante, che al naso ha note autunnali e in bocca è ampio ma un po’ spigoloso.

Capitoni 2011

Prevalgono al naso i sentori intensi e dolciastri di frutta matura in questo vino così morbido da sembrare un po’ ruffiano. Impressione confermata in bocca con un sorso pieno e ricco, coerente al tipo.

Frasi 2012 (magnum)

Un vino molto mutevole nel bicchiere, con un’impronta iniziale severa e asciutta che lo rende quasi “chianticlassicheggiante”, ma poi vira nell’opulenza dettata dall’annata calda che anche in bocca si fa sentire. Finale amarognolo.

Capitoni 2013

Al naso è importante, solenne, appena speziato, con accenni di legno, mentre in bocca è rotondo ed ampio, molto profondo, ma con un’asciuttezza che invita alla convivialità.

Capitoni 2014

L’annata piovosissima consente appena 5mila bottiglie di un vino strano, ove i sentori vegetali e di rovo del Merlot hanno la netta prevalenza, accompagnati da note di caffè e pomodoro. Al palato è semplice e piacevole.

Frasi 2015

Il campione, da bordolese, paga un po’ il gap coi confratelli da magnum: il naso è un po’ chiuso, come involuto, con accenni di carne cruda che si ritrovano anche al palato, con un vino che fatica un po’ a liberarsi anche nel finale amarognolo.

Frasi 2016 (magnum)

Rubino scarico e naso ricchissimo, con un gran frutto e una brillantezza invogliante che non trovano completa rispondenza in bocca, dove il vino si asciuga un po’ e si accorcia.


Capitoni 2017

La ricchezza quasi ridondante di note fruttate lo rende fin troppo opulento e fa più che ben sperare in un futuro tutto da attendere, come anche al palato l’abbondanza suggerisce.

Capitoni 2018

Un vino coi fiocchi: naso esplosivo per eleganza e profondità, frutto pulito in evidenza, godibilissimo. Le sensazioni di piacevolezza replicate anche al sorso lo rendono goloso.

Frasi 2019 (campione da botte)

Molto acerbo e molto promettente

Frasi 2020 (campione da botte).

Come sopra, ma meno esplosivo.

Chiosa finale: una bella giornata e un quadro realistico dello stato dell’arte.

InvecchiatIGP: Clelia Romano - Fiano di Avellino DOCG "Colli di Lapio" 2009


di Luciano Pignataro

Non so se è giusto inserire un Fiano di Avellino di undici anni in questa rubrica. In realtà prove e controprove, studi scientifici anche, verticali e orizzontali, hanno ampiamente dimostrato che questo bianco non solo resiste al tempo ma migliora, si evolve, ed è questa la ragione per cui chi dimentica un Fiano di Avellino in cantina non sbaglia mai perché lo ritroverà migliorato sempre.


Ormai sono sempre più numerosi i produttori che ci credono e lo presentano ad un anno dalla vendemmia, finalmente la docg ha ammesso la dizione "riserva", alcuni dopo due come Marsella, altri puntano ormai su tempi più lunghi di uscita come Mastroberardino, Di Meo, Tenuta del Cavalier Pepe.

Clelia Romano - Foto:https://www.skurnik.com

Uno dei riferimenti di questa DOCG è sicuramente Colli di Lapio di Clelia Romano che sta completando il passaggio generazione con Carmela e Federico ormai in prima battuta e il giovane enologo Michele D'Argenio che ha preso il testimone del grande Angelo Pizzi. Anche questa azienda, con un po' di ritardo, ha deciso di lanciare un Fiano con un anno di ritardo. La verità è che la purezza della frutta coltivata in Contrada Arianello del Comune di Lapio ha sempre messo questa azienda un passo avanti alle altre creando un vero e proprio club di appassionati che aspettano diversi anni prima di stappare queste preziose bottiglie in grado di competere con qualsiasi bianco nazionale e internazionale in degustazioni cieche. Ecco perché durante un pranzo estivo fra amici è spuntata questa magnum assolutamente perfetta. Dodici anni dalla vendemmia, il formato aiuta nella conservazione e nella evoluzione, il Fiano di Lapio si conferma essere assolutamente ricco e pieno. Oltre alla frutta ben evoluta, spezie dolci, note di macchia mediterranea e soprattutto la tipica evoluzione fumé che esalta al naso e in bocca odori e sapori. Al palato la freschezza domina assoluta e rende la beva elegante, pulita, la chiusura è lunghissima, passando dalla sensazione olfattiva tendente al dolce all'acidità rinfrescante sino all'amaro.


Insomma, un vino, lavorato solo in acciaio, che non sta mai fermo e, proprio come un grande piatto, si muove in continuazione generando nuove sensazioni. Spettacolare anche considerando il fatto che la 2009 non è stata un'annata particolarmente eccezionale, ma è proprio in queste circostanze che si vede il manico dell'enologo. Infine, una bottiglia che avrebbe potuto ancora resistere per molti anni.

Roberto Voerzio - Barbera d'Alba Riserva "Vigneto Pozzo dell'Annunziata" 2001


In un bel pranzo estivo fra amici spunta anche questa magnum, ospite gradita e sorprendente. 


La purezza del vino a distanza di 20 anni è 
assoluta, olfatto e palato eleganti, puliti e pieni di verve. Una chiusura infinita e la domanda finale: ma la Barbera non muore mai dunque?

Macchia dei Goti 1994: il Taurasi di Antonio Caggiano che ha fatto la storia


di Luciano Pignataro

Ci sono bottiglie che conservi senza neanche più sapere perché. Come questa della vendemmia 1994, la prima uscita del Macchia dei Goti di Antonio Caggiano, il produttore che ha fatto scoprire Taurasi agli amanti del Taurasi grazie alla costruzione di una cantina in pietra visitabile dal pubblico.


C’è poi il momento, in una bevuta collettiva, in cui devi chiudere, possibilmente con il botto. ed ecco che allora, dopo 27 anni, perché di questo si tratta, decidiamo di aprirla. Una bottiglia storica, che magari oggi a tanti giovani non dirà niente, ma i professionisti del vino sanno che questa è la prima bottiglia di Taurasi fatta dal professore Luigi Moio tornato fresco di studi da Bordeaux per affermarsi nella propria terra come studioso, come enologo e infine come produttore. Una carriera completa in cui la sua pignoleria metodica, la sua totale incapacità di essere superficiale gli ha portato qualche nemico gratis in più ma sicuramente a risultati concreti e palpabili di grandissimo spessore.

Antonio Caggiano

Probabilmente è l’ultima 1994 che era ancora tappata. In una precedente degustazione Al Campanaro di Alessandro Barletta a Taurasi avevo portato un po’ tutte le bottiglie degli anni ’90 che non ero stato capace di aprire, compresa questa. Risultato, in una cassetta dimenticata restano due 1997 e un Salae Domini 1994. Poi non ci saranno altri scritti a testimonianza di queste bottiglie.

Vecchia vigna di Caggiano

Perché ne scrivo? Perché è anche stato il primo Taurasi passato in barrique, all’epoca una rivoluzione per questo areale abituato ai tonneaux, spesso neanche puliti molto bene fra una vendemmia e l’altra. La visita a Caggiano, all’epoca in Campania a scrivere di vino c’era solo il compianto Mimì Monzon, mi fece conoscere Moio prima di incontrarlo. Antonio mi parlò, girando nella vecchia vigna Salae Domini a un centinaio di metri dalla cantina ancora in costruzione, che l’attenzione di Moio cominciava dalla campagna, dalla pianta, cosa molto rara per un enologo a quei tempi. In Francia aveva appreso le tecniche di lavorazione, l’importanza della potatura verde e tutto quanto serve a far maturare perfettamente le uve.

Aglianico

Spesso gli enologi sono visti come stregoni. Forse in passato, quando dovevano curare le grandi masse di uve non selezionate in arrivo nelle cantine sociali e dai grandi vinificatori poteva essere giusto generalizzare. Ma gli anni ’90 hanno portato la stretta relazione fra il grappolo e il vino come mai era accaduto sino a quel momento in Italia.
E l’ossessione di Moio per l’uva, oggi assolutamente inalterata, aveva tanto più ragione di essere con l’Aglianico, vino tardivo, molto tannico, i cui chicchi devono arrivare alla fermentazione assoluta liberi da ogni impurità.
Questo è stato il salto di qualità che ha trasformato il valore di questo vino da potenza in atto per dirla con Aristotele, ossia, liberata dalle vecchie pratiche di vinificazione, l’Aglianico arriva all’appuntamento in grado di essere finalmente leggibile e competitivo con le altre varietà.

Il Prof. Luigi Moio

La rivoluzione di Moio è stata questa, e questa bottiglia ha segnato questo inizio. Naturalmente, all’epoca non esistevano studi e comparazioni possibili, se non i Taurasi di Mastroberardino e Struzziero che infatti furono usati per l’assegnazione nel 1993 della DOCG. Dopo 27 anni abbiamo dovuto liberare il vino dal tappo, completamente bagnato. Va detto che la conservazione della bottiglia non è stata perfetta perché tenuta in casa di città, sempre al buio e sempre coricata, ma sottoposta ai grandi caldi delle estati 2000, 2003, 2007, 2011 e 2017. Solo da un anno era stato fatto il trasferimento in una vera cantina. Nonostante questo, il vino è uscito perfetto, ha solo avuto bisogno di respirare profondamente per una quindicina di minuti prima di rilasciare sentori di frutta, ma soprattutto carrube e terziari di cuoio, cenere, caffè tostato, quasi bruciato. Al palato il vino si è comportato molto bene, ancora dotato di grandissima freschezza, ma su questo avevamo veramente pochi dubbi. Una chiusa precisa è stato il saluto di questo 1994 che, vale la pena di ricordarlo, non è stata una grande annata.


In conclusione, non c’è stato il wow, ma sicuramente è stata una bevuta di testimonianza del primo esperimento che ha aperto la strada a un nuovo modo di lavorare l’aglianico, protocolli che si sono arricchiti di una esperienza sempre più collettiva e che oggi regalano vini di grande longevità ma anche di buona bevibilità immediata.
In trent’anni sono stati fatti finalmente studi scientifici e non si è andati avanti per sentito dire, e abbiamo avuto spunti molto interessanti di Taurasi non necessariamente dediti ad accumulare e a concentrare materia, ma capacità di imboccare una via più essenziale, pensiamo alle prove di Antoine Gaita, agli stessi cru di Quintodecimo, e ovviamente a Mastroberardino che resta sempre un benchmark. Le riflessioni possibili sono davvero tante, perché anche i muscolosi Molettieri dei primi anni del nuovo millennio o i surmaturati di Perillo riescono a muovere bene oggi nel palato grazie alla inesauribile freschezza di questo vitigno.
Ma quel che conta, alla fine, è aver condiviso questa bottiglia storica con persone per le quali valeva la pena di stapparla. Ed è questo il senso ultimo dell’apertura, dunque della fine di ogni bottiglia di vino, qualunque sia la sua natura e il suo prezzo.