Studio Marche e la bellezza del Verdicchio dei Castelli di Jesi

La crisi pandemia, come sappiamo, non permette di organizzare eventi di degustazione in presenza ma questo non ha scoraggiato gli attori del food&wine che già da oltre un anno stanno dando vita a wine tasting a distanza utilizzando le principali piattaforme digitali. In questo ambito non poteva far mancare la sua voce la Regione Marche che su volontà del suo Assessorato all’Agricoltura ha presentato “Studio Marche”, un vero e proprio studio televisivo che metterà a sistema le attività di promozione dell’intero comparto food&wine regionale attraverso una piattaforma di registrazione e trasmissione professionale – unica nel panorama nazionale – che consente di dialogare a distanza con trade, stampa, esperti e appassionati italiani ed esteri, in diretta zoom ma anche sui principali canali social di Ime, superando le barriere imposte dall’emergenza sanitaria.


“L’obiettivo è creare un hub digitale dell’enogastronomia marchigiana capace di dare voce a tutto il settore – ha detto Alberto Mazzoni, direttore dell’Ime –. Grazie al sostegno della Regione Marche, da oggi possiamo mettere al servizio delle aziende tecnologia, personale tecnico e strumenti che consentono non solo di connettersi con tutto il mondo, ma anche di riflettere nella comunicazione la qualità che il nostro comparto è in grado di esprimere, conquistando un’audience che al momento non possono raggiungere fisicamente”.

Ad aprire il calendario il vino, con un programma di wine tasting digitali organizzati dall’Istituto marchigiano di tutela vini (Imt) con focus su Verdicchio dei Castelli di Jesi e di Matelica, Rosso Conero, Lacrima di Morro d’Alba e Colli Maceratesi Ribona e tante altre Doc e Docg rappresentate dall’Imt.

Io, che non mi faccio mancare nulla, ho deciso di partecipare a tutte le iniziative, a partire dalla prima degustazione in programma, relativa al Verdicchio di Castelli di Jesi.

Foto: Adriaeco.eu

I sei produttori invitati in rappresentanza di questa denominazione, moderati da Alberto Mazzoni, ci hanno presentato i seguenti vini:

Piersanti - Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC Classico Superiore “Bacareto” 2019 (90% verdicchio, 10% altre uve marchigiane) : questo vino, che nasce da uve vendemmiate tardivamente a cui si aggiunge una piccola percentuale di uve botritizzate, ha struttura ed avvolgenza e profuma di frutta gialla matura, fieno e ginestra. Sorso generoso, caldo che termina con una leggera sensazione ammandorlata.

Pievalta - Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC Classico Superiore “Tre Ripe” 2019 (verdicchio 100%): l’azienda, la prima nelle Marche ad essere certificata biodinamica (2008) ha presentato questo Verdicchio in purezza il cui nome si rifà ai tre vigneti da cui provengono le uve posizionati su tre versanti diversi (Maiolati Spontini, Montecarotto e San Paolo di Cupramontana). Questa eterogeneità territoriale è un valore aggiunto donano al vino complessità aromatica con ritorni di sambuco, mela renetta, pesca e arancia amara. Sorso equilibrato, di piacevole cadenza acido-sapida che integra amabilmente una inaspettata e leggera morbidezza glicerica.

Foto: Adriaeco.eu

Tenuta di Tavignano - Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC Classico Superiore “Misco” 2019 (verdicchio 100%): l’azienda, certificata biologica nel 2018 e gestita da Ondine de la Feld e suo zio Stefano Aymerich, ha presentato il suo cavallo di battaglio ovvero quel Misco che da sempre prende premi dalla critica specializzata sia italiana che straniera. Il vino, verdicchio in purezza da uve in leggera surmaturazione, è come me lo ricordavo ovvero ricco di sensazioni di frutta tropicale, scorza di agrumi, seguite subito dopo da lavanda e forti richiami erbacei. Gusto caldo, morbido, sensuale, di lunghissima persistenza agrumata.

Cantina Colognola Tenuta Musone - Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC Classico Superiore “Ghiffa” 2018 (verdicchio 100%): appartenente alla famiglia Darini, questa azienda si trova in a Cingoli, in provincia di Macerata, nella piccola frazione di Cològnola da cui prende il nome. Da uve certificate biologiche nasce questo verdicchio in purezza dalla carica aromatica tipica di biancospino, acacia, pompelmo, avvolti da una nuvola minerale di grande fascino. Al sorso scocca preciso il dardo della freschezza e dell’estrema bevibilità grazie anche a importanti ritorni sapidi.

Umani Ronchi - Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC Classico Superiore “Vecchie Vigne” 2018 (verdicchio 100%): questa cantina storica, di proprietà della famiglia Bianchi-Bernetti dal 1957, ci ha presentato questo verdicchio in purezza nato per esaltare e conservare il valore qualitativo e storico di 4 ettari di vecchie vigne coltivate fin dai primi anni ‘70 nel fondo di Montecarotto. Il vino è assolutamente elegante e si accende nei profumi del tiglio, della pesca bianca, del timo e della maggiorana per poi sfumare su tonalità saline. Al gusto incanta per equilibrio e persistenza agrumata.

CasalFarneto - Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC Classico Superiore “Grancasale” 2018 (verdicchio 100%): sita nel comune di Serra de Conti, nel cuore della zona del Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico a circa 320 mt sul livello del mare, CasalFareto con i suoi 35 ha di vigneti (+ 6 ha vigneto biologico), di cui 28 a Verdicchio, rappresenta una delle aziende storiche del territorio. Ottenuto da uve verdicchio leggermente surmature, è un vino che si lascia apprezzare per un ventaglio olfattivo ricchissimo di sfumature di frutta gialla matura, resina, croccante di mandorle, zenzero e scorza di cedro. Raffinato e vellutato all’assaggio, è un Verdicchio che difficilmente potrete scordare per intensità e progressione fruttata finale.

Prossimo appuntamento con il grande Rosso Conero!

Castello di Querceto - Chianti Classico Riserva 2017


di Stefano Tesi

Se in Chianti Classico il declino del tipo Riserva, che qualcuno paventava, è questo, il qualcuno ci ripensi. 


Chi diffidava dell'annata, idem: colore è bello vero, il naso è una ventata di Sangiovese verticale ma solido come Dio comanda e in bocca è asciutto, nervoso, complesso ma godibile come ci si aspetta. Una sorta di vino striptease...

Un universo toscano chiamato Villa Saletta


di Stefano Tesi

Galeotti furono i tortellini alla panna - lo ammetto, una mia antica debolezza - di una storica trattoria sulle colline di Firenze, così diverse da quelle della campagna pisana nel triangolo tra Peccioli, Pontedera e Montopoli della quale in realtà stavamo parlando. E galeotto fu pure il toponimo: Montanelli. Con un nome così, potevo resistere?
Ci mise ulteriormente del suo, nel titillare la mia personale curiosità, la circostanza che al centro del progetto ci fosse un insediamento altomedievale in rovina, tutto da recuperare.

Il borgo da recuperare

Poi vennero tutti quei numeri un po’ così. Stridenti, diciamo: 720 ettari totali di tenuta, 6mila olivi sparpagliati su 34 ettari, appena 100mila bottiglie di vino prodotte su 17 ettari di vigne a regime con ulteriori 13 in divenire (Sangiovese, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon e Merlot, allevati in pari proporzioni), un progetto da 43 appartamenti da 300 mq l’uno per una sorta di resort diffuso di lusso. Ciliegina finale: un investimento di 250 (due-cinque-zero) milioni di euro, di cui 60 già spesi dal 2000 ad oggi tra l’acquisto della proprietà, espianto vecchi vigneti e costruzione di una “cantina provvisoria”, 15 per la nuova cantina in costruzione da quest’anno e l’avanzo per il resto.
Un bendiddio che, dal 2015, è in mano, sia come amministratore che come direttore, all’enologo ed agronomo David Landini, personaggio singolare con alle spalle esperienze in primarie aziende vinicole toscane e non (Frescobaldi, Antinori, Bertani tra le altre) ma desideroso, ipse dixit, di essere un “uomo solo al comando”. Dopo i proprietari, ovviamente, la famiglia inglese Hands, “attivi – dice la biografia ufficiale - nel mondo della finanza e dell'hotellerie di lusso”.

Credit: Alessandro Ghedina

Stiamo parlando di Villa Saletta, in comune di Palaia, una realtà che per dimensioni, investimenti e “modello di business”, come si usa dire oggi, è parecchio lontana dai casi di cui siamo abituati a occuparci in Toscana e molto più vicina, per respiro e riferimento, a certe grandi operazioni internazionali. Eppure, oltre al metodo gestionale, in essa c’è qualcosa di ancora più originale, che ci sembra rendere il caso abbastanza fuori dal comune. E non è né la pur importante vocazione “green” dell’impresa, una scelta (sociale e di marketing) ovvia in operazioni di questa portata, né la volontà di valorizzare altre indubbie ma implicite risorse della tenuta, come la tartuficoltura e la selvaggina.


Il tratto innovativo sta in una visione dell’azienda come di un ecosistema capace di sostenibilità non solo, come prevedibile, nelle attività da reddito, ma soprattutto in quelle da reddito minore o da nessuno reddito, in una sorta di concezione “neorurale” non frequente alle nostre altitudini: “A Villa Saletta la produzione non riguarda soltanto il nostro core business e cioè il vino – sottolinea Landini – ma coinvolge una biodiversità che definirei sostanziale. Gran parte dei terreni aziendali sono destinati infatti a varie coltivazioni agricole come orzo, avena, pioppi, erbe e fiori di campo. Tutto ciò viene tenuto in piedi, oltre che per favorire l’equilibrio dell'ambiente, anche per mantenere viva la straordinaria tradizione di questa fattoria, che nei secoli ha maturato, nonostante i vari passaggi di mano, una sua fisionomia variegata, in qualche modo antica, poco compatibile con l’idea di monocoltura da reddito oggi prevalente, secondo la quale la diversificazione colturale avviene più per declassamento dei suoli in base alla loro redditività che per una reale scelta agronomica”.

David Landini

E’ con queste parole in mente che mi sono accostato all’assaggio di molti dei copiosi vini prodotti in azienda.

Ecco i più convincenti.

980AD 2015

Fatto con 100% di Cabernet Franc è il cru aziendale, trascorre 24 mesi in barrique e altri 6 mesi in bottiglia. E’ di un bel rubino di media intensità, appena aranciato. Naso intenso ed elegante, molto varietale, con frutta rossa matura, spezie, arbusti aromatici. In bocca è coerente al tipo: morbido e denso, tannino equilibrato, corposo.


Chiave di Saletta Toscana IGT 2015

Sangiovese 50%, Cabernet Sauvignon 20%, Cabernet Franc 20% e Merlot 10%. Rosso scuro con riflessi bluastri, naso compatto che lentamente rilascia una lunga scia di cacao e di caffè. Al palato è pastoso e vellutato, con una sensazione di calore e un finale balsamico.


Chianti Docg 2015

Sangiovese 92%, Cabernet Sauvignon 4% e Merlot 4%. Fermentato in acciaio, fa un anno in botti grandi e in barrique di secondo passaggio. Il colore rubino pieno lascia spazio a un naso asciutto, diretto, molto pulito e quasi croccante, con un bel frutto in evidenza. La stessa piacevole pulizia e linearità si ritrova in bocca, con un finale vibrante, appena ruvido.

Feudi Dei Sanseverino - Moscato di Saracena 2006


di Luciano Pignataro

Un sorso antico di Calabria, non quella calda dello Jonio, ma la fresca e fredda del Pollino. Da Saracena, dove il passito si fa con un antico metodo per lungo tempo anche presidio Slow. 


Il 2006 appare fresco, 
giovane, complesso e infinitamente piacevole.

Gabriele Gorelli ed Istituto Grandi Marchi: alleanza vincente per il primo, e non ultimo, Master of Wine italiano


di Luciano Pignataro

Gabriele Gorelli è il primo Master of Wine italiano: questo risultato straordinario ci deve servire da un lato a fargli i complimenti per aver raggiunto un obiettivo difficile e impegnativo, certamente non alla portata di tutti.
Dall'altro riflettere sul ritardo del sistema italia e sul parziale recupero dovuto alla decisione strategica dell'Istituto Grandi Marchi presieduto da Piero Mastroberardino di diventare partner dell' Institute of Masters of Wine. "Sembra incredibile - ci dice il presidente - che su 418 Master of wine del Mondo solo uno sia italiano nonostante il nostro paese sia il primo produttore al Mondo di vino".

Gabriele Gorelli e Pietro Mastroberardino

Per completare i numeri, Piero Mastroberardino ci inquadra la situazione: attualmente gli italiani impegnati nel riconoscimento sono 18, di cui 2 al primo livello, 7 al secondo e 9 al terzo. Insomma, se tutto va bene, a breve dovrebbero essere ben dieci gli italiani nell'esclusivo club mondiale che determina le scelte del mercato.

I motivi del ritardo? Sicuramente il mondo del vino anglosassone ed i suoi "gusti" non propriamente adattabili ai nostri e la nostra incapacità di inventare un meccanismo del genere. Se a questo aggiungiamo l'egocentrismo francese e l'influenza della critica angloamericana, possiamo considerare un vero miracolo i grandi risultati di export del nostro vino che corre una gara senza turbo da molti anni.


"In estrema sintesi - dice Piero Mastroberardino - 'Istituto Grandi Marchi, notando che l’Italia era l’unico Paese tra quelli che contano nel settore a non avere nemmeno un Master of Wine, ha deciso di investire nel tentativo di colmare questo vuoto. Da qui la partnership con IMW che, in buona sostanza, si è declinato in diverse situazioni. Ma il focus principale è stato sempre quello di fornire ai candidati italiani gli strumenti per riuscire a superare il test finale, estremamente difficile. In pratica IGM ha organizzato, nel corso degli anni, situazioni che ricreassero quanto più fedelmente possibile le condizioni di gara. Quindi i vari test, ma anche la possibilità di provare vini internazionali non facilmente reperibili in Italia".

In sostanza le tappe di avvicinamento sono state queste:

2009 -  L’Istituto del Vino Italiano di Qualità Grandi Marchi (nato nel 2004) diventa il primo e l’unico Major Supporter italiano dell’Institute of Masters of Wine. E’ la prima volta che una compagine italiana intraprende una partnership con questa istituzione internazionale del vino. L’obiettivo è quello di un accrescere l’interesse e l’attenzione dei Masters of Wine al vino italiano e alle sue espressioni territoriali e di favorire l’interesse di giovani professionisti italiani del mondo del vino a questa istituzione, promuovendo l’approccio al severo metodo di studio e alla partecipazione ai corsi per arrivare, al termine del difficile percorso, ad avere Master of Wine italiani. Dal 2009 in poi l’Istituto Grandi Marchi si è adoperato per creare programmi di istruzione in Italia, attività di formazione internazionali e iniziative utili a raggiungere gli obiettivi previsti.

2010 - L’IGM organizza “Diversity of Italy”, una sessione di lavoro dedicata interamente al vino italiano durante l’assemblea annuale dell’IMW. Un evento storico a cui hanno partecipato oltre 80 MW.

2011 - L’IGM presenta ufficialmente la candidatura dell’Italia per l’VIII Simposio internazionale dell’IMW. Il 9 Novembre l’IMW accetta la candidatura italiana e il supporto dei GM per l’organizzazione. Firenze sarà la città ospitante. Nella stessa occasione l’IMW dichiara di voler avviare, per la prima volta in Italia, le master class dell’IMW anche questi organizzati con il supporto dei GM. Sempre nello stesso anno l’IGM (con tutte le cantine presenti) organizza, all’Ambasciata di Londra, un walkaround tasting e un gala dinner esclusivamente dedicati ai MW.

2012 - Tignanello (FI) è la sede della prima Edizione italiana della Masterclass per aspiranti Masters of Wine. A settembre l’IGM bissa l’appuntamento in Ambasciata di Londra con i MW impegnati ad esplorare e a conoscere il vino italiano in un esclusivo walkaround tasting seguita dalla cena di gala.

2013 - Seconda Edizione Masterclass per aspiranti MW italiani presso Michele Chiarlo - La Morra (CN) Terza Edizione Masterclass per aspiranti MW, per la prima volta in Valpolicella presso Masi 15-18 maggio 2014- Firenze VIII Simposio internazionale MW - Identity, Innovation, Imagination sono le linee guida delle 11 sessioni di lavoro alle quali hanno partecipato la comunità dei MW, opinion leader e maker internazionali, oltre agli attori della filiera italiana e estera. Il Simposio, che si tieni ogni 4 anni, si è svolto per la prima volta in Italia e l’istituto ha ricoperto il ruolo Main Sponsor e Coorganizzatore

2015 - Quarta Edizione Masterclass per aspiranti MW - Umbria presso Lungarotti

2016 - Quinta Edizione Masterclass per aspiranti MW – Irpinia presso Mastroberardino

2017 - Sesta Edizione Masterclass per aspiranti MW – Sicilia presso Donnafugata

2018 - Settima Edizione Masterclass per aspiranti MW – Marche presso Umani Ronchi
28 Gennaio: Masterclass internazionale IMW San Francisco

2019 - Ottava Edizione Masterclass per aspiranti MW – Alto Adige presso Alois Lageder


Fondato a Londra nel 1955 l’Institute of Masters of Wine è l’istituzione che, da quasi 60 anni, si occupa di formare i più qualificati ed influenti esperti internazionali di vino. Tra gli obiettivi della prestigiosa accademia londinese: promuovere l’eccellenza professionale, la cultura, la scienza e il business del vino attraverso selezionati e pluriennali programmi di formazione che, ad oggi, hanno portato la comunità dell’Istituto a 418 Master of Wine sparsi in 32 Paesi di cui 149 donne e 269 uomini. Inizialmente attivo nel solo territorio britannico, l’IMW decide a fine anni ’80 di aprire alle candidature di aspiranti MW provenienti da altri Paesi con il debutto, nel 1988, del primo MW australiano. Oggi vi sono 28 MW in Australia, 10 in Canada, 18 in Francia, 15 in Nuova Zelanda, 210 in UK e 56 negli USA.

Insomma, c'è tanta strada ancora da fare, ma Piero Mastroberardino è fiducioso: "Almeno il primo passo è stato fatto, complimenti a Gabriele Gorelli primo master of wine italiano".

Vinitaly posticipato al 2022!

Veronafiere posticipa al 2022 la 54ª edizione di Vinitaly, Salone internazionale dei vini e dei distillati, in calendario dal 10 al 13 aprile del prossimo anno.  «Le permanenti incertezze sullo scenario nazionale ed estero e il protrarsi dei divieti ci hanno indotto a riprogrammare definitivamente la 54ª edizione della rassegna nel 2022 – ha detto Maurizio Danese, presidente di Veronafiere SpA –. Si tratta di una scelta di responsabilità, ancorché dolorosa; un ulteriore arresto forzato che priva il vino italiano della sua manifestazione di riferimento per la promozione nazionale e internazionale. In attesa che lo scenario ritorni favorevole – conclude Danese – Vinitaly continua a lavorare congiuntamente con tutti i protagonisti anche istituzionali del settore, a partire dal ministero delle Politiche agricole e Ice-Agenzia oltre a tutte le associazioni e le categorie, per continuare a supportare la competitività del vino made in Italy sia sul mercato interno che sui Paesi già proiettati alla ripresa, Usa, Cina e Russia in primis».


In quest’ottica, prosegue il ceo di Veronafiere,
 Giovanni Mantovani: «Confermiamo OperaWine con la presenza di Wine Spectator e delle top aziende del settore individuate dalla rivista americana per il 10° anniversario dell’iniziativa che rimane in programma il 19 e 20 giugno prossimo a Verona. L’evento, tutto declinato alla ripartenza del settore, grazie alla partecipazione di stampa e operatori nazionali e internazionali – commenta Mantovani – farà anche da collettore e traino a tutte le aziende del vino che vorranno partecipare a un calendario b2b che Veronafiere sta già approntando». 

Operawine sarà preceduta, sempre a giugno, dal Vinitaly Design international packaging competition (11 giugno) e da Vinitaly 5 Stars Wine The book (16-18 giugno). Mentre la Vinitaly international Academy (21-24 giugno) chiuderà gli eventi estivi in presenza.


Tra le novità anche un evento eccezionale di promozione a forte spinta istituzionale a ottobre prossimo e che traghetterà il settore alla 54ª edizione di Vinitaly nel 2022.  Prosegue Giovanni Mantovani: «Si tratta di Vinitaly-edizione speciale, una manifestazione rigorosamente b2b che segnerà la ripresa delle relazioni commerciali nazionali e internazionali in presenza a Verona dal 16 al 18 ottobre».

«Vogliamo mantenere viva l'attenzione del mon

do sul vino italiano, uno degli ambasciatori più significativi del Made in Italy – afferma, presidente di ICE Agenzia, Carlo Ferro –. Le iniziative messe in campo da Veronafiere per mantenere il file-rouge tra Vinitaly 2019 e 2022, con l’edizione di Vinitaly-edizione speciale e le altre manifestazioni che faremo insieme hanno questo obiettivo. Senza soluzione di continuità, nonostante la pandemia mondiale e grazie all’impiego di nuovi strumenti in chiave di commercio digitale.  Faccio i miei auguri a tutto il team di Veronafiere e ai produttori vinicoli con la convinzione che gli eventi in programma per il 2021 contribuiranno a sostenere l'eccellenza del nostro Paese».


In attesa della ripresa degli eventi fisici nel nostro Paese, Vinitaly prosegue in presenza sui mercati internazionali, a partire dalla Russia con le tappe a Mosca e a San Pietroburgo in programma dal 23 al 25 marzo. Dal 3 al 6 aprile sarà la volta di Vinitaly Chengdu e poi a giugno di Wine to Asia (Shenzhen, 8-10 giugno). E sarà ancora la Cina ad aprire con il road show il calendario estero autunnale di Vinitaly (13-17 settembre) prima di trasferirsi in Brasile per la Wine South America (22-24 settembre). Veronafiere, inoltre, mette a disposizione il proprio know how per realizzare ulteriori eventi di promozione in altri mercati obiettivo per il settore.


La decisone dello spostamento di Vinitaly è stata condivisa con le organizzazioni e associazioni della filiera vitivinicola e agricola. Di seguito, in ordine alfabetico, le dichiarazioni di: Alleanza delle Cooperative Italiane Agroalimentare, Assoenologi, Cia-Agricoltori Italiani, Coldiretti, Confagricoltura, Copagri, Federdoc, Federvini e Unione Italiana Vini (Uiv).


«Prendiamo atto della decisione di posticipare la 54ª edizione di Vinitaly al 2022 – afferma il coordinatore del settore vitivinicolo di Alleanza cooperative agroalimentari, Luca Rigotti –. Una scelta certamente non facile ma che, alla luce dell’attuale situazione sanitaria, è in linea con quanto auspicato dall’Alleanza delle Cooperative Italiane-Agroalimentare. Accogliamo con favore, inoltre, le altre iniziative di promozione proposte da Veronafiere per i prossimi mesi: l’aspettativa è poter entrare finalmente in una fase caratterizzata da un maggiore livello di sicurezza e da minori incertezze per il comparto vitivinicolo, condizioni necessarie anche per poter rilanciare, grazie all’esperienza ed alla competenza di Veronafiere, il settore vitivinicolo a livello internazionale».


Per il presidente di Assoenologi, Riccardo Cotarella «la decisione assunta da Veronafiere di posticipare al 2022 la 54ª edizione di Vinitaly va nella direzione suggerita dalla filiera del vino, ma soprattutto tiene conto del perdurare di una situazione di grave difficoltà generata dall'emergenza pandemica, che non ha ancora trovato una risposta risolutiva nella vaccinazione. Una scelta di responsabilità che condividiamo ampiamente, così come siamo pronti a sostenere le altre iniziative, annunciate da Veronafiere e messe in calendario sia per il prossimo giugno, che per l'ottobre. È necessario da parte del mondo del vino farsi trovare pronto al giorno della ripartenza dei mercati e quindi è molto importante tenere alta l'attenzione anche con manifestazioni capaci di creare relazioni nazionali e internazionali e interesse verso il nostro settore. Ma ancora più importante sarà il sostegno che il governo italiano e l'Europa sapranno mettere in campo a favore dell'intero agroalimentare che, dopo oltre un anno di pandemia, sta accusando il peso della crisi al pari degli altri settori dell'economia nazionale».


«Siamo a fianco di Veronafiere per continuare a sostenere il settore, tutte le aziende e i produttori che ogni giorno contribuiscono a rendere il vino una delle eccellenze del Made in Italy riconosciuta in tutto il mondo – dice presidente nazionale di Cia-Agricoltori Italiani, Dino Scanavino –. La pandemia ancora morde e costringe a un ulteriore rinvio degli eventi in presenza, ma siamo pronti a lavorare insieme al Vinitaly per supportare, in questa fase difficile, un comparto prezioso per l’agroalimentare con una produzione del valore di circa 12 miliardi di euro e una reputazione imbattibile».

«Lo spostamento del Vinitaly è un atto dovuto per consentire la partecipazione anche degli operatori stranieri e sostenere il successo del prodotto agroalimentare made in Italy più esportato nel mondo dove, nonostante la pandemia, il vino ha fatturato 6,3 miliardi di euro nel 2020» afferma il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, nel sottolineare l’importanza del programma dei prossimi appuntamenti di Veronafiere a partire da OperaWine.


«La decisione di Veronafiere, benché dolorosa, va nella giusta direzione – commenta presidente Confagricoltura, Massimiliano Giansanti –. Apprezziamo in particolare la capacità di resilienza e di proposta variegata in un momento molto difficile per il comparto vino. Confagricoltura dà pieno appoggio a Veronafiere e all’intero settore fieristico agroalimentare nazionale. Siamo convinti che occorra sostenere la validità del sistema italiano ed evitare pericolose aperture ad altre realtà internazionali. Riteniamo inoltre che la Fiera di Verona, con le sue attività e il Vinitaly, sia un validissimo strumento di promozione e di immagine per tutto il comparto vitivinicolo italiano. Auspichiamo pertanto di ripartire a pieno ritmo nel 2022, dando ampio risalto alle iniziative in programma da oggi fino alla prossima edizione del Vinitaly, insieme alle nostre imprese che fanno grande nel mondo l’Italia del vino».


Per il presidente di Copagri, Franco Verrascina, «la scelta di Veronafiere, seppure dolorosa, conferma la serietà dell’ente fieristico e la volontà di sostenere i viticoltori al meglio in questo momento critico. Ci mettiamo a disposizione per collaborare ed essere al fianco di Veronafiere nel programmare sia la 54ª edizione di Vinitaly che per l’evento speciale di ottobre, dando un segnale al mondo vitivinicolo per la promozione e valorizzazione dei grandi vini italiani».

«È un grande dispiacere l’annuncio del rinvio, ma la realtà della pandemia non lascia spazio ad ipotesi alternative: abbiamo difficoltà a programmare viaggi e contatti, avremmo difficoltà nell’accogliere gli ospiti negli stand – afferma Sandro Boscaini, presidente di Federvini – ma il secondo rinvio amplia il vuoto che Vinitaly lascia. Abbiamo necessità di contatti internazionali, abbiamo necessità di presentare i nostri prodotti e restare in contatto con il grandissimo numero di operatori nazionali ed internazionali che affluivano a Verona. Siamo certi che l’esperienza e la professionalità di Vinitaly, con l’aiuto di ICE Agenzia, possano essere di grandissimo aiuto per le nostre Imprese, con formule e proposte da studiare rapidamente insieme».


«Comprendiamo e condividiamo le ragioni che hanno portato Veronafiere al rinvio della manifestazione di riferimento per il vino italiano – spiega il presidente di Unione Italiana Vini (Uiv), Ernesto Abbona –. Riteniamo però che sia fondamentale in questo difficile momento tenere acceso il motore della promozione e perciò appoggiamo l’intenzione di Vinitaly di sostenere il settore anche nel corso di quest’anno attraverso l’organizzazione di eventi mirati in favore del business e dell’immagine internazionale del vino tricolore».


«Non posso che rimarcare il dispiacere di dover rinunciare anche quest’anno al Vinitaly, la principale manifestazione di riferimento del settore vinicolo italiano – commenta il presidente di Federdoc, Riccardo Ricci Curbastro –. Una manifestazione ricca di eventi, rassegne, degustazioni e workshop mirati all'incontro degli espositori con gli operatori del settore nazionali ed internazionali, che ha contribuito al successo del vino italiano nel mondo ricordando che il settore enologico è uno dei pilastri del successo del made in Italy nel mondo. Chiediamo al Governo di considerare il grande danno economico che questa decisione comporta e di prevedere aiuti concreti per mantenere alta la competitività internazionale del nostro settore fieristico».

Bruno Clair - Chambolle-Musigny les Véroilles 2016


di Carlo Macchi

Chambolle-Musigny cioè eleganza e questo cru che domina dall’alto Les Bonnes Mares dovrebbe interpretarla al meglio. Invece l’ho trovato  nervoso e profondo, ampio ma con un carattere forte.


Naso ancor più spiazzante con sentori che vanno dal sangue alla mora. La Borgogna che ti sorprende.

Anteprima Brunello OFF: l'annata 2016 a Montalcino è davvero straordinaria?


di Carlo Macchi

Annata 2016 oramai alle stelle (molte più di 5 a sentire tanta stampa), Riserva 2015 osannata come mai, 141 cantine presenti, più di 400 vini in degustazione. Questi pochi dati fanno capire quanto bendidio ho avuto a disposizione nello scorso fine settimana e visto che mio padre diceva sempre che “nel troppo ci si rientra sempre”, in questa anteprima per soli 25 giornalisti mi ci sono proprio crogiolato. Infatti, se i vini erano tantissimi i giornalisti, per chiari motivi di Covid, non solo erano pochissimi ma ben distanziati, “tamponati” (abbiamo dovuto presentare un tampone negativo) e serviti da sommelier dotati di varie mascherine, anche in plexiglas.
Credo che il Consorzio abbia dovuto e dovrà superare ancora una serie notevole di problemi per organizzare quest’anteprima a tappe, che vedrà nei prossimi tre fine settimana succedersi blogger, influencer, sommelier, addetti ai lavori, opinion leader, sempre e comunque a gruppi di 25, in qualche caso anche con accessi ristretti a due sole ore.


Non c’è che dire, il mondo in un anno è cambiato tantissimo e allora mi è venuto da pensare a quanto e come sia cambiato il Brunello di Montalcino, non in un anno ma, per esempio, negli ultimi 20-25. 
Parto dagli assaggi della tanto osannata vendemmia 2016: indubbiamente un’ottima annata, già aperta e ben declinata, con tannini dolci ma a cui, per me, manca qualcosa. Cosa? Da una parte (in una parte dei vini) quella freschezza che, per esempio nel 2001 era quasi sempre presente e dall’altra la “ruvida dolcezza” dei tannini del sangiovese.


Accanto a queste due “mancanze” ci sono però tanti punti a favore per chi ama vini più pronti anche se importanti: notevole dolcezza tannica, equilibrio generale già di ottimo livello, legno sempre ben dosato. Inoltre, sarei cieco se non vedessi che oramai non esistono più da anni vini difettati a Montalcino, che la qualità media è altissima, che la piacevolezza è indubbia.


Molti punti positivi in un vino che però è anche molto cambiato, credo soprattutto a livello analitico: sono convinto infatti che se si confrontassero i pH dei vini di 20-25 anni fa, per non parlare delle acidità e del grado alcolico, con quelli dei vini attuali ci troveremmo di fronte a parametri molto diversi. Indubbiamente il riscaldamento globale ha dato una mano a fare Brunello più rotondi, “pronti con corpo”, apprezzabili in tempi più brevi, in definitiva più (mi si passi il termine) “internazionali” per un mercato sempre più globale che ama molto di più la rotondità, sopporta in un vino importante l’alcol non sempre contenuto e cerca di evitare la ruvidezza e gli spigoli.


A questo però dobbiamo aggiungere ulteriori considerazioni: ho fatto un conto veloce di quante aziende oramai presentino tra i loro prodotti una o più selezione (di vigna o di cantina) e sono arrivato circa alla metà dei produttori. Poi mi sono messo a dare un’occhiata a quanti producano una o più Riserva e qui il numero è salito e non di poco. Infine, ho fatto il calcolo di quante cantine non abbiano selezioni e Riserva e non sono andato oltre un 10%. 
Da una parte quindi il territorio di Montalcino ha impattato un cambio climatico non indifferente, che ha messo i produttori di fronte a problemi viticoli mai affrontati, dall’altra è esplosa da alcuni anni la “tendenza”, che oramai e diventata quasi un obbligo, delle Selezioni. Queste, specie con l’albo vigneti bloccato e con alcune delle vigne più vecchie che bisogna incominciare a ripiantare, toglie ottime uve (probabilmente le migliori) dal Brunello “base”. Se poi ci mettiamo che a monte (e devo dire finalmente!) tante cantine si sono messe a selezionare alla vendemmia le migliori uve che andranno nella Riserva, ci troviamo di fronte in diversi casi ad un quadro dove il Brunello “base” è la terza/quarta scelta dell’azienda. Se l’annata non è buona questi tre livelli si riducono a due o a uno, con selezioni e Riserva che finiscono nel Brunello “base” per rimpolparlo, ma quando l’annata è ottima, come la 2016, ci ritroviamo con tutti i livelli e quindi in diversi casi con vini buonissimi (perché i produttori sono diventati veramente bravi!) più facilmente abbordabili ma con meno “grip” al palato, già pronti, aperti, ampi, con tannini rotondi e alcolicità che spesso spicca. In passato invece, con clima, pH, acidità, tecnologie diverse e senza tante (ottime) selezioni, si trovavano vini con trama tannica più accentuata, acidità ben presenti, alcol più contenuto e tempi di maturazione molto allungati.


Per questo il mio giudizio sulla 2016 non è stato in linea con tanti colleghi
, perché mi riservo di capire la metodica evolutiva di diversi vini e perché vedo sempre di più innalzarsi lo scalino tra le Selezioni e i Brunello annata e vorrei veramente capire cosa questo comporta. Ripeto che oggi i Brunello sono molto più levigati e piacevoli che in passato e che questa è sicuramente una scelta commerciale vincente, ma permettetemi di avere nostalgia per un diverso modo di pensare questo grande vino.


Bisogna essere chiari: il Brunello di Montalcino non è il solo su questa strada, altre grandi denominazioni si ritrovano quasi nella stessa condizione di “cambiamento”. Una su tutte il Barolo, che ha avuto le due ultime vendemmie (2015-2016, la 2017 verrà presentata a fine mese) con un andamento molto simile. In particolare, nella 2016 di Barolo, ottima sotto tanti versi, non ho trovato quella potenza tannica da nebbioli di razza che mi sarei aspettato da una grande vendemmia, ma una buona potenza con tannini dolci e vellutati, molto diversi da quelli che annate come la 1996, la 1999 o la 2001 mettevano in campo appena in commercio.


Quindi la vendemmia 2016 a Montalcino è figlia di vari cambiamenti che alla fine portano a disegnare un profilo diverso per il Brunello, in parte da esplorare per quanto riguarda non tanto la durata nel tempo ma i tempi e i modi con cui questa durata si potrà sviluppare.

Cantine Villa Dora e l'evoluzione nel tempo del suo Lacryma Christi del Vesuvio DOC Bianco “Vigna del Vulcano”

I vini vulcanici, negli ultimi tempi, stanno avendo un grande richiamo tra gli appassionati tanto che, nel 2012, è nata una vera e propria associazione per promuovere i c.d. “Volcanic Wines” attraverso degustazioni ed iniziative promozionali. Tra i tanti territori vulcanici italiani, che vanno da Soave a Pantelleria, probabilmente quello con le maggiori potenzialità di sviluppo e promozione si trova in Campania, nella zona del Vesuvio, vulcano ancora attivo che dal 1944 si trova in stato di quiescenza.


All’interno di questo areale, dove si pratica la viticoltura fin da tempi antichissimi e dove le viti sono talvolta ancora a piede franco, si trova una delle aziende più rappresentative del territorio:
Villa Dora. La sua storia nasce a Terzigno (NA), nel 1997, dal desiderio di Vincenzo Ambrosio che eredita dal nonno la passione per il vino del territorio al fine di orientare la produzione vitivinicola vesuviana verso standard qualitativi quanto più elevati possibile. Oggi, dopo oltre venti anni, quel sogno è diventato solida realtà grazie alla coltivazione, in regime biologico certificato dal CCPB di Bologna, di nove ettari di vigneti, tutti racchiusi tra le mura aziendali, coltivati sulla c.d. “schiuma di lava” mista a lapilli, ovvero l’insieme di rocce laviche derivanti dal susseguirsi delle eruzioni.

Vincenzo Ambrosio

I vigneti, per la maggior parte coltivati a pergola vesuviana e rigorosamente a piede franco, sono terrazzati su tre livelli, tutti esposti a sud-ovest con un’altitudine di 250-300 metri s.l.m., in un ambiente soleggiato e sempre ventilato, perfetto per la coltivazione di uve autoctone come piedirosso, aglianico, caprettone e falanghina, varietà antichissime tradizionalmente utilizzate per la produzione del Lacryma Christi del Vesuvio, il cui adattamento alle condizioni pedo-climatiche della zona è garantito da millenni di permanenza e di coltivazione.



Il motivo per cui amo particolarmente Villa Dora è legato al fatto che dal 2001, grazie all’ausilio di Roberto Cipresso, ha intrapreso un progetto assolutamente all’avanguardia per l’areale vesuviano e, in generale, per la Campania: produrre solo vini da invecchiamento, bianchi e rossi, con l’obiettivo di uscita sul mercato almeno dopo 2/3 anni la vendemmia.


Tra i vini prodotti più rappresentativi c’è sicuramente il Lacryma Christi del Vesuvio DOC Bianco “Vigna del Vulcano”, blend di caprettone e falanghina, che ho avuto il piacere di degustare, presso la FIS Roma, attraverso una verticale storica di undici annate guidata da Massimo Billetto.


Prima di entrare nel vivo della degustazione una precisazione dal punto di vista tecnico: caprettone e falanghina vengono fatte macerare in pressa per 6/8 ore in riduzione; fermentazione in acciaio con controllo della temperatura. Per la sola annata 2002 c’è breve passaggio in barrique di rovere francese per 3 mesi. Dopo una sosta in acciaio, sulle proprie fecce fini, per altri 6/8 mesi, il vino viene imbottigliato e poi commercializzato almeno tre anno dopo l’anno di vendemmia.


Lacryma Christi del Vesuvio DOC Bianco “Vigna del Vulcano” 2017
: una delle annate più calde degli ultimi 15 anni restituisce un vino articolato nell’olfatto con sentori affumicati e minerali che aprono la via a sensazioni di ginestra e spezie. Sorso contraddistinto da importante forza glicerica che viene spezzata in due da una carica acido/sapida davvero inebriante che fornisce, nonostante tutto, grande bevibilità al questo bianco ancora non uscito in commercio.

Lacryma Christi del Vesuvio DOC Bianco “Vigna del Vulcano” 2016: annata regolare e vino assolutamente diverso dal precedente grazie ad una maggiore estroversione. La mineralità vulcanica, timbro territoriale e costante di questo vino, stavolta gioca e viene quasi messa da parte da una carica fruttata e floreale di grande ampiezza che viene amplificata da una scia mentolata, di erbe aromatiche, molto pronunciata man mano che il questo bianco si apre con l’ossigenazione. Sorso elegantissimo, misurato, tipico ed armonico in ogni aspetto, con chiusura salmastra persistentissima.

Lacryma Christi del Vesuvio DOC Bianco “Vigna del Vulcano” 2015: annata più calda della media e un vino che si caratterizza per un panorama aromatico di pietra focaia ed erbe aromatiche impreziosito da the nero, spezie gialle, zafferano soprattutto, e sensazioni iodate. Quando accarezza il palato si rivela corposo e saporito anche se crolla leggermente a centro bocca non fornendo la consueta e lunga persistenza sapida.

Lacryma Christi del Vesuvio DOC Bianco “Vigna del Vulcano” 2014: annata contraddistinta, causa piogge e basse temperature, ad un calo della produzione del 25% in Campania. Il vino molto originale sembra essere impossessato da due anime. Al naso, infatti ha un bouquet aromatico molto matura che ricorda le spezie dolci, il frutto bianco sciroppato, la cera d’api e la canfora. Sembra una evoluzione olfattiva quasi da distillato. Al gusto, invece, sorprende per freschezza, dinamismo e tensione acido/sapida.


Lacryma Christi del Vesuvio DOC Bianco “Vigna del Vulcano” 2013
: vendemmia decisamente bella, dove la qualità è andata a braccetto con la quantità. Al naso evoca sensazioni succose di agrumi e frutto della passione, poi esce la nota di sambuco, timo per virare, con l’ossigenazione nel bicchiere, verso una leggera terziarizzazione dove ritrovo le spezie dolci orientali e la noce. Al gusto è assolutamente coerente col naso, ha grinta e carattere con una capacità importante di riempire la bocca simile alla 2016. Molto interessante il contrasto dolce\amaro tra la frutta dolce e succosa e la sensazione minerale, quasi iodata, che va ad equilibrare il tutto.

Lacryma Christi del Vesuvio DOC Bianco “Vigna del Vulcano” 2009: vendemmia che può definirsi in Campania decisamente importante con diverse punte di eccellenza. Se qualcuno, dopo questo salto temporale di quattro anni, si aspettava un vino stanco e terziarizzato è sicuramente rimasto piacevolmente deluso perché questo Lacryma Christi del Vesuvio, dopo oltre dieci anni dalla sua vendemmia, sembra rinascere sempre più forte e deciso. Naso assolutamente integro, senza cedimenti, finemente minerale e avvolto da articolati sentori di resina, glicine, foglie di the e sensazioni di erboristeria e finocchietto selvatico. Il sapore è ancora ricco, vivace, accarezza ed avvolge come una coperta invernale tutte le papille gustative lasciando a noi degustatori un finale lungo e salino. Grande vino! Nota a margine: prima vendemmia di Fabio Mecca, attuale consulente enologo.

Lacryma Christi del Vesuvio DOC Bianco “Vigna del Vulcano” 2008: grazie ai continui ammodernamenti dei sesti di impianto e ai numerosi interventi in vigna ed in cantina votati alla qualità e voluti da Roberto Cipresso, qua al suo ultimo anno di consulenza, si è arrivati ad una 2008 decisamente originale con un profilo olfattivo e gustativo molto austero ed essenziale, quasi da grande bianco mitteleuropeo. I profumi del vino, infatti, richiamano la torba, il tabacco da pipa, il the nero, il floreale giallo secco e lo iodio. Al sorso è pieno, piacevole, salino, fresco e di grande persistenza salmastra. Un vino intimo, quasi da meditazione.


Lacryma Christi del Vesuvio DOC Bianco “Vigna del Vulcano” 2006
: un’annata abbastanza regole e un vino ancora vivace il cui profilo olfattivo, molto complesso, sembra una sorta di riassunto aromatico dei vini precedenti visto che ritrovo, non in maniera gridata, la frutta gialla esotica, le erbe aromatiche, le foglie di the, la pietra focaia, il sambuco, la ginestra, il tabacco da pipa e chi più ne ha più ne metta. Il sorso conferma eleganza, sapidità e avvolgenza. Forse il finale non è così travolgente ma con un vino così possiamo anche perdonare questa piccolissima pecca…

Lacryma Christi del Vesuvio DOC Bianco “Vigna del Vulcano” 2005: vendemmia di grande qualità e un vino dove si intercettano inizialmente aromi molti suadenti di crema pasticcera, lievito, cannella, zafferano per poi virare decisamente, grazie al giusto tempo di ossigenazione nel bicchiere, in profumi più rigorosi di idrocarburo e canfora. Al gusto è maturo, bilanciato, graffiante ancora di acidità e mirabolanti tensioni sapide nel finale.


Lacryma Christi del Vesuvio DOC Bianco “Vigna del Vulcano” 2003
: l’andamento anomalo di questa annata, caratterizzata da una prolungata siccità, ha dato vita ad un vino dove l’armatura olfattiva, decisamente compressa come capita spesso nelle annate calde, si muove tra effluvi di frutta gialla matura, speziatura dolce e sensazioni autunnali di noce e tabacco. Al gusto la struttura non è così incatenata come mi aspettavo, il vino sembra meno imbalsamato grazie ad un sorso condito da elementi speziati e minerali intervallatati da intarsi acidi che rendono la beva spedita e sorprendentemente vibrante.


Lacryma Christi del Vesuvio DOC Bianco “Vigna del Vulcano” 2002
: la vendemmia, come tutti sappiamo, è stata fredda e piovosa anche se in Campania, grazie ai suo tanti microclimi, è stata più clemente soprattutto sul Vesuvio dove le vecchie vigne hanno dato il loro valore aggiunto riuscendo ad autoregolarsi producendo poca uva ma di qualità. Il vino in questione ha un corredo olfattivo molto originale di uva macerata, infusi di erbe aromatiche, noce, cera d’api, terra rossa, humus, curry. Al gusto avvolge il palato con sensazioni decisamente morbide di yogurt e agrume candito che stemperano con sapore e decisione una lunga scia salmastra che, fortunatamente, tende tutto ad armonizzare.

La verticale completa. Foto di Roberto Greco


Cataldi Madonna - Terre Aquilane IGT Pecorino "Giulia" 2019


di Roberto Giuliani

“Vuoi un Pecorino?”

“No, sai che non posso mangiare formaggio.”


“Ma no, intendo vino, fatto con il Pecorino!”

“Scusa, ma cosa cambia? Sempre di formaggio si tratta…”.

“Il Pecorino è un’uva!”

“Ah… e di che sa?”

“Di ginestra, pesca, nocciola, mela, bello fresco, succoso, ed è biologico…”.

“E allora versa va!”.

Comm. G. B. Burlotto - Barolo Monvigliero 1999


di Roberto Giuliani

Ne è passato di vino nei calici da quando ho conosciuto Marina Burlotto, il marito Giuseppe Alessandria e loro figlio Fabio; questa storica azienda che possiamo incontrare sulla Via Vittorio Emanuele a Verduno, uno degli 11 comuni dove si produce Barolo, è stata fra le prime a farmi innamorare di questo straordinario vino di Langa.

Verduno. Foto: Langhe.net

Verduno (Vërdun in piemontese) è un piccolo comune in provincia di Cuneo con poco più di 500 abitanti, ovviamente tranquillo e probabilmente spiazzante per un cittadino, ma basta salire al belvedere per rendersi conto di trovarsi di fronte un panorama fra i più affascinanti di tutte le Langhe.

Il Cru Monvigliero, in arancione

Qui dimorano alcuni cru (oggi Menzioni Geografiche Aggiuntive) di assoluto rilievo, come Neirane, Massara, Breri, San Lorenzo, Pisapola e soprattutto Monvigliero, 25 ettari la cui formazione geologica è caratterizzata dalle Marne di Sant’Agata Fossili in forma laminata, a un’altitudine che va dai 220 ai 310 metri, dove il nebbiolo occupa più del 90%, affiancato da barbera, dolcetto e pelaverga, quest’ultimo vitigno di notevole importanza che si è guadagnato la Doc Verduno Pelaverga.

Fabio Alessandria - Foto: Ais Lombardia

Il Monvigliero, come tutti i grandi cru, nelle migliori annate esprime una straordinaria eleganza, la 1999 è sicuramente fra queste e la versione di Burlotto è da sempre la mia preferita. Riassaggiarla a distanza di 22 anni dalla vendemmia mi suscita una certa emozione, ormai erano almeno 5 anni che non degustavo più questo millesimo.

Ovviamente il colore è un granato-aranciato, ma questo non deve stupire perché il vino nasce già con un granato pronunciato, in ogni caso è limpidissimo e non manca di una rassicurante luminosità.


Doverosamente lo lascio respirare per parecchi minuti, in modo da ripulirsi da qualsiasi riduzione, ed eccolo fiero mostrare un corredo espressivo raffinato, dove emergono con straordinaria decisione due note che lo caratterizzano in modo inequivocabile: l’oliva e l’arancia. Seguono profumi di prugna, ciliegia sotto spirito, tabacco, cuoio, sottobosco, liquirizia, cenere ed erbe aromatiche essiccate.

All’assaggio colpisce per la freschezza e balsamicità che riesce ancora a esternare, rendendo il sorso piacevolissimo e per nulla stanco, la componente terziaria non rivela cedimenti ossidativi ma esprime una notevole coesione; un tocco di austerità in un contesto squisitamente comunicativo. E ha ancora tanta strada davanti a sé…