InvecchiatIGP: Montecappone - Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Riserva Utopia 2008


di Roberto Giuliani

Non posso nascondere di avere un debole per i vini di Gianluca Mirizzi, che si tratti di bianchi o di rossi non fa alcuna differenza. Mi mancava però l’occasione di assaggiare un suo Verdicchio che avesse un po’ di anni sulle spalle, qualcosa che potesse confermare ulteriormente le impressioni estremamente positive che gli ho sempre elargito.


Bene, l’occasione è arrivata con la nuova rubrica InvecchiatIGP, che insieme a Lorenzo Colombo, Carlo Macchi, Luciano Pignataro, Andrea Petrini e Stefano Tesi, alias Garantito IGP, abbiamo deciso di dedicare ai vini “vecchi” che ci hanno maggiormente sorpreso. 

Arrivato il mio turno, non ho potuto fare a meno di pensare all’Utopia di Montecappone, sicuro che Gianluca potesse mandarmi qualcosa di interessante, infatti così è stato. Premetto una cosa, l’Utopia (il nome è già chiarificatore) è la realizzazione di un sogno, di un’idea di Verdicchio che raccontasse al meglio le potenzialità dei vigneti che dimorano sulle colline dei Castelli di Jesi, per fare questo Gianluca non ha voluto chiedere il supporto del legno, ma ha usato solo il cemento, per un anno, al fine di preservare al massimo tutte le caratteristiche di quest’uva straordinaria.


Il 2008, uscito nel 2010, è un’illuminante testimonianza di utopia realizzata, con il suo colore oro intenso e luminoso e i profumi di frutta candita e secca ma dal timbro fresco, non da vino passito, parliamo di albicocca, pesca, ananas sciroppato, c’è anche un piacevole richiamo alla giuggiola, all’arancia candita, poi venature di nocciola, pietra focaia, sensazioni iodate, fiori macerati. Al palato, a occhi chiusi, potresti pensare a un bianco di 4-5 anni, non certo di 13, perché quella base acida che lo sostiene rende il frutto vivo, non dolciastro, addirittura più fresco che al naso, mentre il corredo minerale e le note di nocciola e mandorla accompagnano un finale lungo, intenso e sapido.


Un grande bianco marchigiano, che conferma quanto ci sarebbe bisogno di trovare vini del genere al ristorante, con i quali si contribuirebbe a demolire quella convinzione ancora troppo diffusa che i vini bianchi italiani siano buoni solo da giovani.

Il Portichetto - Barbera d’Asti Superiore "I Tartufi" 2011


di Roberto Giuliani

Perso nei ripiani della cantina, trovo questo vino acquistato 7 anni fa, prodotto da un’azienda agrituristica di San Damiano d’Asti e maturato in botticelle. 


Un coup de coeur, esprime tanto frutto appena maturo e un corpo dove la freschezza della Barbera c’è tutta, ed è stata la sua arma vincente.



Tenute Salentine - Primitivo di Manduria 76 Monete 2017


di Roberto Giuliani

Il Primitivo di Manduria è una doc pugliese che abbraccia le province di Taranto e Brindisi; la parte del leone però la fa Taranto, infatti i comuni coinvolti sono be 15: Avetrana, Carosino, Faggiano, Fragagnano, Leporano, Lizzano, Manduria, Maruggio, Monteparano, Pulsano, Roccaforzata, San Giorgio Jonico, San Marzano di San Giuseppe, Sava, Torricella e la frazione di Talsano e delle isole amministrative del comune di Taranto, intercluse nei territori dei comuni di Fragagnano e Lizzano; mentre nel brindisino la denominazione si sviluppa nei comuni di Erche, Oria e Torre Santa Susanna.

L’azienda Tenute Salentine, dei fratelli Mario e Francesco Marinelli, si trova a Carosino (TA) e si avvale della consulenza dell’enologo Fabio Mecca, uno dei più esperti dell’area centro-sud italiana, e questo 76 Monete 2017 è uno dei vini che mi ha maggiormente colpito, maturato in legno nuovo per un anno.


Ha colore rubino profondo, praticamente impenetrabile, trama olfattiva fitta, si sentono forti note di carruba, marasca, amarena, mora, prugna, mirtillo, poi pepe nero, tabacco, cacao, liquirizia, vaniglia, noce moscata, fiori appassiti, leggero idrocarburo. 
Bocca inevitabilmente generosa, ma capace di nascondere molto bene i 15 gradi alcolici, nonostante sia un vino intenso e potente, non appesantisce il sorso grazie a una buona base acida che dà slancio alle sensazioni.


Un Primitivo di carattere, a tratti austero eppure morbido e avvolgente, che chiama piatti altrettanto intensi come le bombette ripiene, i cui ingredienti base sono la carne di maiale, il formaggio e il pepe, ma ci sono infinite varianti più o meno saporite. Altrimenti puntate direttamente al cinghiale, quello vero, non incrociato, le cui carni scure e dal gusto selvatico, insaporite con le spezie, si esaltano al massimo con un vino come questo.

Alla scoperta della Lacrima di Morro d'Alba!

Il quarto appuntamento di Studio Marche, in collaborazione con l’Istituto Marchigiano di Tutela Vini, si tinge di nuovo di rosso attraverso un approfondimento della Lacrima di Morro d’Alba DOCCon una superficie vitata di 258 ettari, la Doc ritaglia il proprio areale nella provincia di Ancona e comprende i comuni di Morro d'Alba, Monte S. Vito, S. Marcello, Belvedere Ostrense, Ostra e Senigallia, ad esclusione dei fondi valle e dei versanti collinari di Senigallia rivolti verso il mare.


Questo vino si ottiene da un vitigno autoctono antico, il Lacrima, il cui nome deriva dal fatto che la buccia dell’uva, quando arriva al punto di maturazione, si fende, lasciando gocciolare, lacrimare, il succo contenuto. 
Tradizionalmente maritato all’olmo e all’acero, non si ha conoscenza da quando il vitigno Lacrima iniziò ad essere coltivato in quella che è la sua attuale area di elezione, ma sappiamo con precisione che la sua importanza e i suoi pregi erano già ben noti nel territorio regionale nella seconda metà del diciannovesimo secolo. Infatti, nel volume “La esposizione ampelografica marchigiana-abruzzese tenuta in Ancona il settembre 1872 e studi sulla vite e sul vino della provincia anconitana” pubblicato nel 1873 è già inserita la descrizione del vitigno Lacrima che troviamo menzionato, come uno dei tre vitigni più coltivati nelle Marche, anche nel primo volume dell’Ampelografia italiana, pubblicato a Torino nel 1879, a cura del Comitato Ampelografico Centrale.

Il vitigno

Il Lacrima è un vitigno non facile coltivazione a causa della notevole precocità di germogliamento ed è per questo che nel corso del tempo, soprattutto dopo la secondo dopoguerra, ha visto un periodo di contrazioni delle sue superfici e solo attorno alla metà degli anni ‘80, grazie al rinnovato interesse di un piccolo gruppo di produttori, si è cominciato di nuovo a valorizzare questo vino tanto che, nel 1985, si è ottenuto il riconoscimento della denominazione d’origine controllata “Lacrima di Morro” o “Lacrima di Morro d’Alba” che a sua volta ha dato ulteriore impulso allo sviluppo del territorio e al perfezionamento delle tecniche di gestione dei vigneti e di vinificazione delle uve.

La DOC Lacrima di Morro d’Alba è riferita a 3 tipologie di vino ottenuto con almeno l’85% di uve Lacrima:

- Lacrima di Morro d’Alba

- Lacrima di Morro d’Alba Superiore

- Lacrima di Morro d’Alba Passito

Ultima curiosità prima di passare alla degustazione dei sei vini: la buccia dell’uva Lacrima ha uno spessore notevole, il che, in fase di macerazione, fa sì che la cessione di antociani, tannini e sostanze coloranti, sia enorme. In particolare, tra le sostanze aromatiche, viene rilasciata una grande quantità d geraniolo che conferisce il classico odore di rosa attribuito al vino.


Lucchetti - Lacrima di Morro d’Alba DOC “Fiore” 2020
: l’azienda Agricola Lucchetti è una famiglia di vignaioli che ha fortemente creduto nella viticoltura indigena tanto che oggi, guidata da Paolo e Loretta, coltivano, in maniera biologica, 30 ha di vigneto solo a lacrima e verdicchio. Il vino, l’unico con tappo a vite, è un compendio di come deve essere un buon Lacrima di Morro d’Alba appena svinato ovvero una spremuta alcolica di rosa e frutti rossi. Sorso diretto, brioso, che sa di festa e domenica con gli amici accanto a del buon ciauscolo.


Conte Leopardi Dittajuti - Lacrima di Morro d’Alba DOC 2020
: l’Azienda Agricola Conte Leopardi Dittajuti oltre ad essere una dei maggiori produttori di Rosso Conero DOC, produce anche piccole quantità di Lacrima di Morro D’Alba come questo che ho nel bicchiere che vanta un ventaglio aromatico di rosa, geranio, frutti di bosco in composta, pepe rosa su sfondo vinoso. Fresco e beverino.


Tenute Cesaroni - Lacrima di Morro d’Alba DOC “Le Barbatelle” 2019
: la Tenuta Cesaroni è un’azienda a conduzione familiare con vigne che baciano il Trabocco, una piccola cascata naturale che appartiene ad un presto promosso Parco Nazionale. Naso ancora giovanissimo, giocato su note di ciclamino, rosa, lampone e noce moscata. Il palato è di pregevole freschezza, con i tipici aromi varietali che ritornano in chiusura.


Moncaro - Lacrima di Morro d’Alba DOC Superiore “Gaudente” 2019
: l’azienda cooperativa, che oggi gestisce oltre a 1.200 ettari di vigneti nelle aree a più alta vocazione viticola della regione, si propone in degustazione con questo interessante Lacrima di Morro D’Alba Superiore che inizia a farci capire le reali potenzialità di questo vino in termini di complessità aromatica. Infatti, il bicchiere nel corso del tempo si esprime su eleganti ed intense note floreali di iris, rosa e sentori fruttati lampone, more, mirtilli, ciliegia in confettura a cui seguono bagliori speziati. Morbido e carnoso, regala un sorso pieno e suadente e di grande persistenza fruttata.


Stefano Mancinelli - Lacrima di Morro d’Alba D.O.C. Superiore 2018: quando il Lacrima non era di moda e la superficie vitata era forse 1\20 di quella attuale, Stefano Mancinelli era l’unico a puntare sul vitigno in purezza tanto che nel 1985, all’epoca del riconoscimento della DOC, l’azienda possedeva quattro ettari sui sette totali. Dei tanti Lacrima di Morro d’Alba prodotti dall’azienda, tra cui un metodo classico, questo Superiore si fa apprezzare per trillante nota floreale di rosa e viola, seguita da un cesto succoso di more, mirto, rabarbaro e pepe rosa. In piena corrispondenza, il palato si sviluppa elegante, fresco, dinamico, per nulla intralciato da tannini filigranati, deliziando con dissolvenza sapido-amaricante di radice di liquirizia e confettura di frutti di bosco.

Marotti Campi - Lacrima di Morro d’Alba D.O.C. Superiore “Orgiolo” 2017: la Marotti Campi nasce dalla fattoria di famiglia di metà ‘800 e solo nel 1999, dopo aver coltivato la vite per generazioni, si è deciso finalmente di costruire una cantina moderna per vinificare le proprie uve da 70 ettari di vigneto dove vengono coltivati solo verdicchio e lacrima. L’Orgiolo è il loro Lacrima di Morro D’Alba da lungo affinamento e infatti la 2017 è l’ultima annata in commercio. Il vino, dopo tre anni di affinamento, esprime totalmente le potenzialità evolutive del Lacrima, smussandolo della carica aromatica giovanile che viene sostituita da sensazioni più eleganti ed austere dove ritrovo la carruba, il caffè in grani, gerle di petali di rosa appassita, noce moscata ed erbe aromatiche. Al sorso è slanciato, teso, avvolgente, ben delineato nel tannino e dalla chiusura sapidamente accattivante.



Azienda Agricola Uccellaia - Rosso dell'Uccellaia 2006


di Andrea Petrini

La ricerca di un “buen retiro” per staccare dal caos cittadino, ma anche un luogo dove coltivare le proprie passioni come allevare i cavalli oppure produrre e bere buon vino secondo le ancestrali regole contadine.


Così può iniziare la storia di
Chicca Baroni Nicoletti e suo marito che nel 1977, tra i colli della Val Nure, precisamente ad Albarola di Vigolzone (PC), scoprono e si innamorano di questo angolo di terra di 15 ettari, circondato da boschi di castagni e robinie, 8 dei quali coltivati a vigneto.


Da quel momento, e fino al 1998, l’attività principale dell’azienda agricola, chiamata Uccellaia visti i tanti volatili che nidificavano nei dintorni, è stata l’allevamento dei cavalli da sella, ma c’è un filo invisibile che lega i cavalli di ieri ai vini di oggi che prende forma e sostanza a partire dal 1998 quando i Nicoletti, grazie alla coltivazione di vigneti già presenti (dal 2002 a conduzione BIO), producono il loro primo vino, il Rosso dell’Uccellaia che, dal 2007, porta il nome di uno dei cavalli più belli e importanti del loro allevamento: Inventato. Nome particolare, vero? Già, perché se il cavallo a cui si fa riferimento è un incrocio abbastanza inusuale tra una fattrice purosangue e uno stallone hannover, anche questo Rosso, blend di merlot (55%) e barbera (45%), è frutto di un uvaggio fuori dai soliti schemi soprattutto se facciamo riferimento al territorio dei Colli Piacentini.


Durante questo periodo di pandemia, grazie al mio amico e sommelier Giuseppe Esposito, che ha organizzato la diretta via Zoom, ho avuto la fortuna di incontrare on-line Giulia Nicoletti, figlia di Chicca, con la quale, assieme a tanti altri appassionati, ho avuto la fortuna di degustare, per la prima volta, il Rosso dell’Uccellaia 2006.


Prima di entrare nel merito della degustazione e svelarvi le emozioni gustative, una breve nota tecnica per inquadrare il vino: la fermentazione del Rosso dell’Uccellaia, e poi dell’Inventato, avviene con lieviti autoctoni e la macerazione delle uve dura circa un mese, bucce e mosto rimangono a contatto durante e dopo la fermentazione alcolica. In questa fase quotidianamente si rimescola il cappello di vinacce eseguendo rimontaggi e follature, operazioni cruciali per estrarre le sostanze presenti nelle bucce come antociani, polifenoli e tannini. Invecchiamento e maturazione avvengono in barriques di rovere francese di secondo e terzo passaggio per circa 12 mesi.


La scelta di iniziare la rubrica InvecchiatIGP con il Rosso dell’Uccellaia 2006 è dovuta sostanzialmente alla sorpresa di incontrare e degustare un rosso dei Colli Piacentini, cosa non proprio scontata (!!), così vivo, elegante e complesso dopo 15 anni dall’annata di produzione.


La longevità di questo Rosso, che affonda le sue radici all’interno di un mix di struttura e acidità, caratteristiche fornite anche dal terreno di argille rosse dove sono piantate le vigne, è evidente appena si mette il naso nel bicchiere dove si percepisce la vorticosa profondità giocata su due piani diversi, uno pulsante, estroverso, veicolato dall’alcol (rosolio, essenze di rosa e viola, terra rossa, brace) e l’altro di bacche rosse aspre e selvatiche, scolpito dalla vibrante freschezza. 


Il congegno funziona anche al gusto, in cui un tannino abbondante ma ben domato dal tempo accompagna il degustatore verso un’uscita espressiva e lunghissima di aromi fruttati a cui fa eco, in fondo, una vena minerale di abbagliante chiarezza.

Arriva InvecchiatIGP!


 Domani parte una nuova rubrica che abbiamo chiamato InvecchiatIGP



No, non ci riferiamo ai problemi geriatrici di qualcuno di noi (anche se sarebbe utile) perché stavolta il nostro intento è quello di andare a scovare e raccontare i vini italiani “non giovanissimi”. 

Abbiamo pensato a questa dizione perché non parleremo quasi mai di quelli che vengono definiti “vini da grande invecchiamento” ma cercheremo sorprese, chicche, specie tra vini che nessuno si aspetterebbe e cercando di non tralasciare nessuna tipologia. All’interno di InvecchiatIGP, infatti, troverete la descrizione di spumanti metodo classico e vini bianchi con almeno 5 anni sulle spalle, i rosati con 3 mentre per i rossi andremo a considerare una gittata temporale di oltre 10 anni. Sarà un bellissimo viaggio nel tempo dell’enologia italiana che speriamo di fare assieme a voi, cari lettori di Garantito IGP!

Cascina Ca’ Rossa – Roero Riserva “Mompissano” 2017


Di Andrea Petrini

Il concetto di vino di Riserva in questo caso non ha i classici connotati di un nebbiolo denso ed impattante ma di un vino brillante che sembra danzare sulle punte donando purezza floreale ed agrumata.


Un vino fatto di luce liquida che fa di noi degli esseri diversi e sospesi (cit.).

Tasca d'Almerita e quel micromondo vinicolo chiamato Tenuta Regaleali

Di Andrea Petrini

Questa pandemia ha reso quasi insostenibile la mia voglia di tornare a viaggiare per cui, caro lettore, spero tu possa comprendermi se, al termine della diretta Zoom sui vini di Tasca d’Almerita, la mia unica necessità era quella di prendere il primo aereo disponibile per la Sicilia e proiettarmi in quel micromondo vinicolo chiamato Tenuta Regaleali.


Qui nel 1830 i due fratelli Tasca, Carmelo e Lucio, acquistarono 1200 ettari (diventati poi 500 a seguito della riforma agraria degli anni ’50), diventando custodi di questo territorio al centro della Sicilia, nell’antica Contea di Sclafani, a metà strada tra Palermo e Caltanissetta, Agrigento e Cefalù.


La tenuta, oggi, si estende per circa 550 ettari, e si trova in una fertile valle montuosa che da tempo immemorabile è dedicata all’agricoltura. Sebbene quest’isola verde interna sfoggi una vasta e rigogliosa gamma di colture, dalle olive al grano, documenti e prove archeologiche mostrano che la Vitis vinifera abbia da sempre una particolare affinità con Regaleali, e viceversa. Il primo riferimento alla “vigna di Racaliali” risale ad una cronaca del 1580 e, quando i fratelli Don Lucio e Don Carmelo Mastrogiovanni Tasca acquistarono la vasta tenuta feudale nel 1830, essa comprendeva anche un girato, un vigneto murato simile a un clos francese.


Regaleali, come detto, è una sorta di micromondo che si erge da 400 a 900 metri sul livello del mare, ha ampie escursioni termiche diurne associate a climi molto più settentrionali, ma presenta una qualità e un’intensità di luce distintamente siciliane, oltre che ad una varietà di terreni, aspetti e altitudini che si prestano a vitigni sia autoctoni che internazionali. Ma il mosaico di circa 25 varietà che attualmente cresce nella Tenuta non è frutto di un progetto impostato a priori da un enologo itinerante: è il risultato di una paziente sperimentazione durata otto generazioni, ognuna delle quali costruita sull’opera dei predecessori. Quando il conte Giuseppe Tasca piantò la vigna più pregiata di Regaleali con Perricone e Nero d’Avola, coltivati ad alberello tradizionale siciliano sulla collina di San Lucio nel 1959, stava gettando le basi di quello che è oggi Regaleali, osando sognare quello che sarebbe diventato il primo vino di un singolo vigneto della Sicilia, Riserva del Conte, che poi prese il nome di Rosso del Conte.


Vent’anni dopo, suo figlio Lucio Tasca, primo in Sicilia, fece una scommessa altrettanto visionaria quando, all’insaputa del padre, seguì l’intuizione che le varietà internazionali – Cabernet Sauvignon, Chardonnay, Pinot nero e Sauvignon Blanc - non solo sarebbero cresciute rigogliose, ma avrebbero anche assunto nuove sottili qualità aromatiche tanto da far diventare queste quasi autoctone.

Alberto Tasca

Per comprendere appieno questa realtà dalla mille sfaccettature, guidati da Alberto Tasca e da Corrado Maurigi (responsabile della Tenuta), abbiamo degustato sei vini che sono stati presentati con le nuove etichette dove il nome della Tenuta è posto oggi maggiormente in risalto per dare maggiore impulso all’identità territoriale delle cinque proprietà che compongono la Sicilia di Tasca d’Almerita: Tenuta Regaleali, culla di una Sicilia incontaminata e primordiale; Tenuta Tascante, con i suoi splendidi terrazzamenti sulle pendici dell’Etna; Tenuta Capofaro, un luogo dell’anima, scrigno della Malvasia delle Lipari; Tenuta Sallier de La Tour, la cantina liberty adagiata sulle dolci colline palermitane e, infine, Tenuta Whitaker, dove la viticoltura è immersa nelle vestigia fenice dell’isola di Mozia.

Di seguito i miei appunti di degustazione:

Tasca D’Almerita – Buonsenso 2020 (100% catarratto): l’Antisa, dal 2020 prende il nome di Buonsenso la cui espressione fa riferimento alla convinzione dei Tasca di dare il giusto valore agricolo ad una varietà storica e tipica del territorio come il catarratto. Per produrre questo vino le uve provengono da due vigneti con caratteristiche diverse: Piana Regina e Santa Costanza. Il primo, piantato su argille scure, fornirà struttura al vino mentre Santa Costanza, posto ad altitudine maggiore e su terreno sabbioso, completerà il Buonsenso donando la giusta dose di eleganza e complessità. Il vino, grazie all’altitudine delle vigne, prende i connotati aromatici quasi nordici grazie alle sue nuances di pompelmo rosa, litchi, melone bianco e salvia. Gustoso e intenso all’assaggio, ricco di richiami mediterranei con finale di pimpante freschezza che termina, appagante, su insistenti ritorni limonati e salini. Nota tecnica: vinificazione ed affinamento per 4 mesi in acciaio.


Tasca D’Almerita – Sicilia DOC Bianco “Nozze D’oro” 2018 (inzolia 66%, sauvignon Tasca 34%): questo blend è nato nel 1984 quando il Conte Giuseppe Tasca D’Almerita decise di festeggiare i 50 anni di matrimonio con la moglie Franca attraverso un vino che ripercorresse la storia di famiglia e della Tenuta. Vinificato attraverso lieviti selezionati nelle vigne della proprietà, il vino racconta il territorio di Regaleali attraverso un naso goloso che richiama la pesca gialla, i frutti tropicali, le spezie e il miele millefiori. Al palato risulta intenso, quasi vellutato, dotato di persistenza e piacevoli spunti di freschezza nel finale. Un vino che racconta l’amore non poteva essere altrimenti. Nota tecnica: vinificazione ed affinamento per 4-5 mesi in acciaio.


Tasca D’Almerita – Sicilia DOC Chardonnay “Vigna San Francesco” 2018 (100% chardonnay): uno dei vini più iconici della proprietà è sicuramente questo chardonnay in purezza che non rappresenta altro che la sfida di Lucio Tasca al mondo del vino attraverso un progetto che valorizzasse la Sicilia anche attraverso uno dei vitigni più celebrati e diffusi a livello globale. La Vigna San Francesco, una parcella di circa 5 ettari che si trova ad una altitudine media di 530 metri s.l.m., è stata piantata nel 1985 utilizzando cloni di chardonnay provenienti in parte dalla Borgogna. Il Vigna San Francesco, la cui prima annata è stata la 1989, in questo millesimo si esprime in tutta la sua solarità e il suo equilibrio grazie ad un ottimo bilanciamento tra la parte fruttata, dove ritornano prepotenti le note di papaia e agrumi canditi, e la parte del legno che dona allo chardonnay cremosità e sensazioni aromatiche di spezie dolci e piccola pasticceria. Al palato è potente ma al tempo stesso elegante, dotato di grandissima sapidità e allungo finale. Un vino che strizza l’occhio alla Borgogna e che alla cieca potrebbe dare tante soddisfazioni ad un pubblico esigente. Nota tecnica: fermentazione in barili di Rovere francese (Allier e Tronçais) da 350 litri e successivo affinamento: in barrique di rovere francese (Allier e Tronçais) da 225 litri, 100% nuovi per 18 mesi.


Tasca D’Almerita – Sicilia DOC Perricone “Guarnaccio” 2019 (100% perricone): il perricone, descritto per la prima volta nel 1735, viene allevato in Tenuta fin dal 1959 grazie allo storico vigneto di San Lucio la cui selezione ha permesso poi di costituire nuove vigne come questa, di circa 3 ettari localizzata a Ciminnita, nel palermitano, dove le piante fanno affondare le loro radici all’interno di un suolo argilloso con una piccola percentuale di sabbia in superficie. Questo perricone, detto Guarnaccio dai vignaioli di Regaleali, si presenta dinamico e vibrante nelle sue nuances di giuggiole, mora, lampone ed ancora sentori erbacei e di rosa. Al sorso è decisamente leggiadro, con un tannino ben gestito che garantisce una grande piacevolezza di beva. Vino assolutamente easy, moderno e dotato di grande capacità di abbinamento a tavola. Nota tecnica: fermentazione in acciaio e successivo affinamento in barrique di rovere francese (Allier e Tronçais) da 225 litri, al secondo e terzo passaggio, per circa 12 mesi.


Tasca D’Almerita – Sicilia DOC Cabernet Sauvignon “Vigna San Francesco” 2017 (100% cabernet sauvignon): uno dei vini simbolo di Tasca D’Almerita, l’emblema del lavoro e della lungimiranza di Lucio Tasca a Regaleali, è sicuramente questo cabernet sauvignon piantato nel 1985 nella parte alta della collina di San Francesco ad una altitudine compresa tra i 532 e i 585 metri s.l.m. Questo cabernet sauvignon, grazie anche alla modalità di affinamento in barrique nuove per 18 mesi, è da anni fedele a sé stesso e in questa annata, asciutta e decisamente calda, si presenta con un naso fitto di marasca, mirtilli, cacao, pepe nero, macchia mediterranea, cuoio, con spunti vegetali e di bergamotto a racchiudere il tutto. In bocca calore e struttura sono ben fusi, il tannino è magistralmente levigato e il finale, lungo, di torrefazione, conduce ad una armonica sinfonia finale. Nota tecnica: fermentazione in acciaio e successivo affinamento in barrique di rovere francese (Allier e Tronçais) da 225 litri, 100% nuove per 18 mesi.


Tasca D’Almerita – Contea di Sclafani DOC “Rosso del Conte” 2016 (52% nero d’Avola, 48% perricone): un altro vino iconico della Tenuta Regaleali è sicuramente il Rosso del Conte, nato nel 1970 grazie alla volontà del conte Giuseppe che volle per l’azienda un vino al tempo stesso longevo e di purezza territoriale. Questo storico blend di uve nero d’Avola e perricone, coltivate ad alberello nella vigna San Lucio si presenta nel bicchiere con una veste color rubino carico da cui, con personalità ed eleganza d’antan, si sviluppa un interminabile susseguirsi di aromi di prugna, sottobosco di castagno, rabarbaro, china, tabacco e sbuffi mentolati. Il sorso è ricco di sostanza, è suadente nella progressione ed innervato da fitti tannini e giovanile freschezza che invoglia continuamente la beva. Finale interminabile su richiami speziati. Piccola curiosità: il Rosso del Conte è stato il primo vino da singola vigna prodotto in Sicilia. Nota tecnica: fermentazione in acciaio e successivo affinamento in barrique di rovere francese (Allier e Tronçais) da 225 litri, 100% nuove per 18 mesi.

Il Verdicchio di Matelica: sei vini per scoprire un'eccellenza marchigiana!

Studio Marche continua le sue degustazioni on line alla scoperta dei grandi vini di questa Regione e, come da programma, il terzo appuntamento ha previsto come ospite d’onore il Verdicchio di Matelica, DOC dal 1967 e dal 2010 anche DOCG con il Verdicchio di Matelica Riserva.
Considerato da molti come un bianco travestito da rosso, per me il Verdicchio di Matelica, a differenza di quello dei Castelli di Jesi, non è altre che l’espressione più nordica e algida di questo vitigno grazie al suo particolare terroir di riferimento.


La denominazione, infatti, si estende su quasi 286 ettari attraverso i comprensori di 8 comuni (Matelica, Esanatoglia, Gagliole, Castelraimondo, Camerino e Pioraco nella provincia di Macerata; Cerreto D'Esi e Fabriano in quella di Ancona), nel cuore dell’Alta Vallesina, la sola vallata marchigiana con disposizione Nord-Sud. Un posizionamento parallelo e chiuso rispetto al mare e quindi alla sua azione mitigante, in cui si viene a creare un microclima diverso rispetto a tutte le altre vallate regionali: continentale nelle ore notturne e quindi capace di preservare al meglio l’acidità delle uve; mediterraneo durante il giorno, con un irraggiamento che esalta il contenuto zuccherino degli acini.

Matelica - Foto: wikipedia

Proprio queste particolari condizioni, unite ai terreni calcarei e all’altitudine dei vigneti (tra i 400 e gli 850 metri s.l.m.), influenzano il ciclo vitale del Verdicchio e conferiscono alle uve caratteristiche peculiari che identificano in maniera inequivocabile i vini di Matelica che, soprattutto per la versione “base”, come ho scritto precedentemente, risultano con un profilo più austero e meno solare rispetto ai vini dei Castelli di Jesi.


Matelica e il suo vino hanno anche un’altra peculiarità: sono pochissimi le aziende agricole che imbottigliano il Verdicchio, 26 per quanto riguarda la DOC e solamente 7 per la DOCG ma, nonostante questi bassi numeri, la qualità media dei vini è altissima visto che, con i suoi 19 prodotti premiati nel 2020, il Verdicchio di Matelica DOC e DOCG e il vino bianco italiano a maggior tasso di riconoscimenti in rapporto alla superficie vitata. Una eccellenza riconosciuta anche lo scorso anno da Eric Asimov sul New Tork Times: “Per coloro che si aspettano un semplice vino bianco – ha scritto -, (i Verdicchio di Matelica ndr) offrono piaceri senza complicazioni. Per coloro che desiderano di più, questi vini hanno una marcia in più. Non si può non tenerne in conto il grande valore".

Eric Asimov  - Foto: spanishwinelover.com

La degustazione, organizzata dall’Istituto Marchigiano di Tutela Vini, ha previsto la presenza di sei produttori in rappresentanza della denominazione. Di seguito, come sempre, le mie note di degustazione di vini degustati:

Villa Collepere – Verdicchio di Matelica “Grillì” 2019: questa piccola realtà di circa 4 ettari produce solo due vini ovvero questo Verdicchio e un Colli Maceratesi Rosso Doc. Questo vino, da vigneti posti mediamente a 400 metri s.l.m., è un piccolo vademecum del buon Verdicchio di Matelica da tutti i giorni essendo diretto, senza troppi fronzoli ma ricco delle sfumature aromatiche tipiche dei vini di Matelica: mela verde, sambuco, fiori bianchi. Al sorso conferma la sua tipicità garantita da un nobile mix di acidità e sapidità e da un allungo ammandorlato tipico del vitigno. Il vino fa 4 mesi di affinamento in acciaio più altri 9 mesi di bottiglia prima di uscire sul mercato.

Casal Lucciola – Verdicchio di Matelica 2019: Studio Marche mi ha fatto scoprire anche aziende che non conoscevo come Casa Lucciola, gestita dalla famiglia Cruciani, che dal 1998 è certificata biologica e dal 2014 pratica in vigna la biodinamica senza però essere certificata. Il Verdicchio di Matelica presentato incarna perfettamente il terroir di Matelica in quanto risulta al naso con quel profilo nordico di cui avevo scritto in precedenza presentando la denominazione. Ha un impatto olfattivo austero e nitido dove ritrovo l’agrume, la pesca bianca, l’uva spina, il mughetto, le erbe aromatiche assieme a tanta suggestione minerale. Al palato è compatto, elegante e sapido e termina con lenti effluvi che ricordano la florealità bianca e il lime. Il vino fa 9 mesi di affinamento in acciaio più altri 6 mesi di bottiglia prima di uscire sul mercato.

Colpaola – Verdicchio di Matelica 2019: l’azienda, relativamente giovane visto che il primo imbottigliamento risale al 2013, è di proprietà di Francesco Porcarelli ed attualmente è guidata da Stefania (moglie di Francesco) e da Laura Migliorelli (manager), una guida tutta al femminile che strizza l’occhio anche all’innovazione e al packaging visto che il loro unico Verdicchio di Matelica, da vigneti piantati a circa 650 metri s.l.m., è imbottigliato all’interno di una renana col tappo a vite. Non so se questa chiusura abbia fatto evolvere il vino più velocemente, ma ho trovato questo Verdicchio molto più fruttato e solare dei precedenti, con ricordi di scorza di cedro, pesca noce, ginestra e sprazzi erbacei di mandorla verde. Morbido e avvolgente l’impatto gustativo, che resta coeso e ravvivato da vivaci intarsi di sapidità salina. ll vino fa 4 mesi di affinamento in acciaio più altri 2 mesi di bottiglia prima di uscire sul mercato.

Foto: Simone Di Vito

Cantina Belisario – Verdicchio di Matelica “Vigneti B.” 2019: l’azienda non ha bisogno di molte presentazioni, è una cooperativa nata nel 1971 e con i suoi 300 ha vitati ed una cantina di 30.000 HL di capienza è il più grande produttore di vini della denominazione. Questo vino, il cui nome fa riferimento al fatto che è prodotto da sole uve provenienti da vigneti a conduzione biologica, ha olfatto pervaso da sentori di sambuco, papaia, pesca. Spiccano inoltre note di anice e mandorla amara. Bocca avvolgente, piena, segnata da un gioco di equilibri ben riuscito e da un finale lungo e balsamico di anice. ll vino fa 5 mesi di affinamento in acciaio più altri 6 mesi di bottiglia prima di uscire sul mercato.

Borgo Paglianetto - Verdicchio di Matelica “Petrara” 2019: nata nel 2008, questa importante cantina di Matelica può contare oggi su circa 30 ettari di proprietà a conduzione biologica. Il loro Petrara, il cui nome si ispira ad una antica zona della città di Matelica, è un Verdicchio di Matelica è intenso nei suoi aromi dove ritrovo la melissa, la frutta esotica, il floreale di ginestra e zagara e un accenno di pietra focaia. Il sorso è di grande personalità, invade il palato regalando equilibrio e sostanza sapida allo stesso tempo. Il ritorno, in retrolfattiva, di frutta matura e mandorla verde, non fa altro che amplificare la piacevolezza di questo vino. ll vino fa 6 mesi di affinamento in acciaio più altri 2 mesi di bottiglia prima di uscire sul mercato.

La Monacesca – Verdicchio di Matelica 2019: l’azienda, situata in contrada Monacesca, a 4 Km da Matelica, è condotta dal vulcanico Aldo Cifola che da anni rappresenta per me uno dei punti di riferimento per la denominazione. Il suo Verdicchio di Matelica “base” non può lasciare indifferenti per un impatto aromatico iniziale di pietra focaia che col tempo vira verso uno scenario più ampio e variegato di biancospino, camomilla, mandorla, kiwi e percezioni di erbe officinali. In bocca è carezzevole, elegante grazie ad una sferzante acidità e ad una composta alcolicità. Finale lunghissimo e si spessore per un vino che si lascia ricordare anche nel suo vestito più casual. ll vino fa 8 mesi di affinamento in acciaio più altri 4 mesi di bottiglia prima di uscire sul mercato.

Quartomoro –Vino Rosso "Intrecci di Vite MAI" 2012


di Lorenzo Colombo

Descrivere questo vino in 300 battute è impossibile, si riescono a malapena ad elencare le uve che lo compongono, si tratta infatti di un blend di vitigni tipicamente sardi: Carignano, Bovale, Muristellu, Cagnulari e Cannonau provenienti da vigneti ad alberello messi a dimora tra il 1925 ed il 1960. 


A questo punto non vi rimane che procurarvene una bottiglia.

Il Groppello di Revò ed El Zeremia: racconti di vino e di riscoperte


di Lorenzo Colombo

Augusto Zadra detto El Zeremia è stato un personaggio decisamente fuori dal comune, basti pensare che ha messo a dimora il primo bananeto della Val di Non.
El Zeremia nei suoi due ettari di vigneto si era focalizzato sul Groppello di Revò un vitigno locale praticamente scomparso che voleva far conoscere in tutto il mondo, purtroppo se n’è andato nel settembre del 2013 ed ha fatto solamente in tempo a veder realizzata la sua cantina ed assaggiare il primo vino, frutto dell’annata 2011, la sua eredità è stata presa dal figlio Lorenzo, coadiuvato dalla giovane enologa Erika Pedrini, figlia di Domenico, uno dei tre fondatori dell’azienda Pravis. Anche Lorenzo a quanto pare non ha scelto la strada più facile, infatti nel 2018 ha messo a dimora un altro antico vitigno a rischio di estinzione, il Maor, detto anche Groppello bianco.


Quattro i vini prodotti per un totale di 7.000 bottiglie, due dei quali da Groppello di Revò, uno giovane, vinificato in acciaio e l’altro affinato in barriques per dodici mesi, le uve per quest’ultimo provengono da un vigneto ultracentenario, con vini ancora non innestate, gli altri due vini sono prodotti con uve Johanniter, un vitigno appartenente ai PiWI, ossia non soggetto alle malattie fungine, di tratta di un vino bianco fermo ed uno spumante prodotto con il Metodo Classico.

Il Groppello di Revò

Confuso con i vari Groppello della sponda bresciana del Garda il Groppello di Revò è stato recentemente riconosciuto come vitigno a se stante ed è stato inserito nel Catalogo Nazionale delle Varietà di Vite nel maggio 2004, unico elemento in comune con gli altri Groppello è dato dalla compattezza del grappolo.


Il vitigno, il cui nome deriva dal paese di Revò, divenuto frazione del comune di Novella il 1° gennaio 2020, è autorizzato nella produzione di tre vini ad Igt del Trentino, la sua superficie vitata nel 2010 risultava essere di 12 ettari mentre la produzione vivaistica di barbatelle ha raggiunto un picco di 6.000 unità nel 2008 per poi affievolirsi (nel 2018 se ne sono prodotte 360 unità).
 

Vitigno antico, la cui presenza è attestata da documenti risalenti al ‘500, durante il periodo di appartenenza del Trentino all’impero austro-Ungarico la sua produzione era arrivata ai 50 mila ettolitri, ora non se ne producono che 200 ettolitri, ad opera di un piccolo gruppo di vignaioli tra i quali appunto l’Azienda El Zeremia che è stata la principale artefice della su riscoperta. 
Tra le cause della quasi scomparsa del vitigno sono da annoverare certamente il flagello della fillossera e l’acquisizione del Trentino da parte dell’Italia, con spostamento dell’importanza del vino in favore della frutticoltura. Altra caratteristica particolar del Groppello di Revò è data dal fatto che, contrariamente alla maggior parte dei vitigni autoctoni trentini, generalmente allevati a Pergola, per lui si è sempre utilizzato il filare.

Il vino

La limitatissima produzione deriva da un vigneto di 0,2 ettari situato sulle sponde del Lago di santa Giustina, in località Sperdossi del comune di Revò, a 700 metri d’altitudine e con elevata pendenza, su suolo sabbioso di natura calcarea, le viti, allevate a Guyot ed esposte a Sud-Est hanno un’età variabile dai 100 ai 120 anni e danno una resa di 30-40 q.li/ha.


La vendemmia viene effettuata nella prima decade del mese d’ottobre, la vinificazione, effettuata in vasche d’acciaio, prevede una macerazione per due settimane, mentre l’affinamento s’effettua in barriques nuove per 12 mesi.


Iniziamo subito col dire che non è un vino di facile approccio, manca di quella morbidezza, di quella ruffianeria e di quella neutralità accattivante che lo fa piacere al grande pubblico, soprattutto ai consumatori che nel vino vedono unicamente un effimero piacere.  Si tratta invece di un vino che va assaporato innanzitutto con la testa.



Il suo colore è granato trasparente, mediamente intenso. Nessuna esplosività al naso, i sentori sono di frutta rossa selvatica, con note terrose di sottobosco umido, cuoio, ricordi d’erbe aromatiche, leggeri accenni speziati e vanigliati ricordano che è stato affinato in barriques.

Foto: Andrea Aldrighetti

Asciutto al palato, mediamente strutturato, quasi esile, nuovamente cogliamo le sue note selvatiche, il tannino ruspante, accenni di caffè e di pepe, la vaniglia ed il legno si colgono meglio che al naso, probabilmente necessiterebbe di più tempo per armonizzarsi meglio. Un vino che, piaccia o meno non passa certo inosservato.

Alla scoperta del Pinot Nero dell'Oregon!


di Rachele Bernardo

Che cosa ha il Pinot Noir dell’Oregon che lo rende così speciale? Gli esperti di vino discutono spesso al riguardo e noi vi faremo capire i motivi!


Parlando di Pinot Noir, è chiaro che solo poche regioni al mondo hanno dimostrato risultati eccezionali con quest'uva antica e l'Oregon rientra in questo piccolo club.
La storia del Pinot Noir inizia nella regione francese della Borgogna e risale almeno al I secolo d.C., è lì che è fiorito nonostante la sua tendenza ad esser un vitigno difficile da coltivare, con basse rese e varie malattie da evitare. Sebbene l’uva di Pinot Noir viene allevata in altri luoghi, i risultati non sono sempre eccezionali.


L’Oregon viene spesso indicato come la Borgogna del Nuovo Mondo, affermando che alcuni vini hanno un carattere "borgognone", ma se pensassimo bene al concetto di “terroir” ci renderemmo conto di quanto sia errata questa affermazione. La realtà è che la terra ed il clima dicono come coltivarlo e terroir diversi richiedono tecniche diverse.
I produttori dell'Oregon non producono vini che imitano la Borgogna, ma vini che riflettono il terroir unico dell'Oregon.


Vi sono somiglianze e differenze tra questi territorio, partendo dal clima più marittimo, con più umidità, che determina l’esposizione dei vigneti principalmente a sud in Oregon.
Anche il suolo fa la sua parte, la Willamette Valley ha suolo vulcanico (chiamato Jory) con sedimenti marini e basalti, ma non calcare. All’interno di ogni regione c’è eterogeneità: a livelli più bassi si trovano i terreni Missoula Flood che sono più ricchi di nutrienti e tendono a produrre con vigore; nella parte più collinare della Dundee Hills Ava, il suolo vulcanico è ricco di argilla e ferro, i vini di questi terreni esibiscono una certa terrosità e mineralità che sono diventate la loro firma; il suolo sedimentario, chiamato localmente Willakenzie, ha una consistenza secca simile al talco e nelle AVA di Ribbon Ridge, Yamhill-Carlton e McMinnville, conferisce ai vini struttura e capacità di invecchiamento; infine c'è il loess, un terriccio limoso mosso dal vento che spesso dona ai vini un finale pepato su frutti di ciliegia rosso vivo.


Gli attributi che rendono questa valle adatta alla crescita del Pinot Noi, con gradevole clima fresco, includono la protezione offerta dalle Cascade Mountains a est, le montagne Coast Range a ovest e una serie di colline più basse all'estremo nord della valle.


La Willamette Valley American Viticultural Area (AVA) dell'Oregon è riconosciuta come la zona migliore dell’Oregon, dove il Pinot ha prosperato per esplorare il suo vasto potenziale. Il freddo rappresenta la condizione climatica di partenza per la coltivazione di un’uva che in fasce climatiche più temperate o in zone più soleggiate sembra perdere il suo stato di grazia. L'industria dell'Oregon Pinot Noir trova le sue radici in California, con viticoltori che non erano stati in grado di produrre Pinot eccezionali nel loro clima caldo e secco.

Superati gli anni del proibizionismo, il comparto vitivinicolo riparte lentamente, per prendere poi velocità negli anni ‘60 coadiuvata da investimenti di aziende francesi e da pioneristici impianti di Pinot Noir a nord verso le condizioni di crescita più fresche e umide della Willamette Valley. Nel 1965 questa era solo un'area rurale a sud di Portland, punteggiata da alcune piccole città e in gran parte coperta da foreste e da poche colture alimentari.

È stato in tale contesto che un appassionato di Borgogna, David Lett, ha deciso che questo sarebbe stato un posto perfetto per piantare il Pinot Noir. Lasciò la California settentrionale con qualche migliaio di talee e si diresse verso Dundee, al centro della Willamette Valley. Alcuni anni dopo fu seguito da altri due pionieri Chuck Coury e Dick Erath. Ognuno di loro ha condiviso la visione del potenziale di questa zona per coltivare il Pinot Noir.

Nel 1979 la convinzione si è trasformata in realtà quando il Pinot Noir Riserva Eyrie Vineyards di David Lett 1975 vinse il massimo dei riconoscimenti per il Pinot Noir alle Olimpiadi del vino di Parigi, battendo molti nomi di spicco della Borgogna. Nel 1983 la Willamette Valley ha ottenuto lo status ufficiale di American Viticultural Area ("AVA").


Ora è riconosciuta in tutto il mondo come una delle migliori regioni vinicole dal clima fresco. Dopo decenni di sperimentazione, la valle oggi comprende sette sub-AVA. In ognuna si produce uno stile distinto di Pinot Noir, basato sulle differenze di terreno, elevazione, aspetto, agricoltura e scelte del produttore di vino; ogni regione sa trasmettere una vibrazione diversa.


La Willamette Valley ospita i due terzi delle cantine e dei vigneti dello stato, quasi 800 aziende vinicole e questo vitigno continua ad essere il protagonista della scena del vino. I progressi nelle pratiche di vigneto e gli aggiustamenti della vinificazione hanno temperato e addomesticato gli enormi Pinot Noir prodotti inizialmente. L'obiettivo è la complessità piuttosto che la potenza pura. Nel tempo anche la California ha scoperto alcune regioni di coltivazione dal clima più fresco, favorevoli al Pinot Noir (la Sonoma Valley) ma in Oregon l'uva produce risultati migliori, vini di qualità e di grande finezza, con tannini setosi e una complessità di sapori. Sono vini rossi sfumati, con un'elevata acidità che non sempre esplodono di frutti vigorosi.

Willamette Valley

Vi sono più fattori da considerare nello stile di questo Pinot: il tempo inclemente in primavera e in autunno; la posizione del vigneto: la nebbia mattutina nella Willamette Valley che indica come i pendii esposti a sud sono ideali; la complessità e il corpo derivante dall'invecchiamento della quercia: alcuni produttori utilizzano però botti di rovere francese di alta qualità per un invecchiamento più lungo. Il rovere francese aggiunge al vino note di cannella, chiodi di garofano e vaniglia. 

Quasi il 90% del Pinot Noir prodotto in Oregon proviene dalla Willamette Valley AVA, un'ampia valle orientata da sud a nord sul lato orientale della Coast Range of Oregon.  All'interno della Willamette Valley ci sono 7 sottoregioni più piccole che sono diventate l'epicentro della scena vinicola del Pinot in Oregon. Le montagne fungono da leggero cuscinetto per la fredda costa dell'Oregon, ma la valle sperimenta alcune delle condizioni più umide di altre regioni vinicole.


Le montagne Chehalem sono, in effetti, le colline a sud-ovest di Portland. I vigneti, in questa località, stanno vivendo una crescita eccezionale a causa della loro vicinanza alla città. Alcuni dei più audaci vini Pinot Noir (con sentori di ciliegia, tè nero e cannella) provengono dalle montagne di Chehalem AVA. Produttori: J. Christopher, Raptor Ridge, Rex Hill, Sineann, Ponzi Vineyards, J. Albin.

Ribbon Ridge si trova in realtà nelle montagne di Chehalem, ma poiché si dirama sul versante meridionale delle montagne, con un terreno e un tipo di clima leggermente diversi, ha guadagnato il proprio AVA. Ribbon Ridge produce Pinot Noir con sapori intensi di mirtillo rosso e note rustiche terrose. Produttori: Beaux Freres, Brick House, Patricia Green

Dundee Hills (aromi di lampone e tè nero)
Alcuni dei vigneti più antichi si trovano in questa zona, tra cui Eyrie Vineyards, che fu il primo a impiantare viti di Pinot Noir nel 1965. Vi sono anche Chardonnay e spumanti. Dundee Hills ha un'alta densità di viticoltori: Four Graces, Domaine Serene, Roco Winery, Archery Summit, White Rose, Eyrie Vineyards, Willful, Torii Mor

I migliori vigneti di Yamhill-Carlton si trovano sulle basse colline a sud-ovest di Ribbon Ridge. In questa zona molto estesa, il clima è più caldo nelle ore pomeridiane, nei vini si riscontrano aromi fruttati di amarena. Produttori: Big Table Farm, Shea Vineyards, Anne Amie Vineyards, Wilakenzie Estate, Penner Ash, Soter, Belle Pente.

Un'area in crescita prende il nome dalla città pittoresca di McMinnville. I vigneti esposti a sud promettono di produrre un Pinot Noir ricco di ciliegia scura e prugna. L’angolo di inclinazione dei vigneti fa la differenza nel sapore dei vini, alcuni sono molto rustici con note di pino ed erbe aromatiche. Produttori: NW Wine Company, Hyland Estates, Yamhill Valley Vineyards.

Eola-Amity Hills (prugne, ribes e spezie)
Questa zona vinicola si estende lungo una bassa serie di colline che conducono a sud, verso Salem. Tutti i migliori vigneti sono sui pendii esposti a sud-est, uno scenario fantastico perché le pianure esplodono con fattorie di luppolo che sfociano poi nei vigneti in collina. Il Pinot Noir delle colline di Eola-Amity ha ricchi sapori di prugna e ribes con sottili aromi di spezie. Produttori: Cristom, St. Innocent, Evesham Wood.

Una nuova regione vinicola, Van Duzer Corridor, si trova all'interno della Willamette Valley, a ovest di Salem, e vicino a Eola-Amity Hills AVA. È una grande area in crescita in Oregon, con sei cantine vincolate e quasi 1.000 acri piantati (405 ettari). Il corridoio Van Duzer prende il nome da una fessura nella catena costiera che conduce all'Oceano Pacifico. Il passaggio provoca un effetto di induzione che aspira aria fresca nella Willamette Valley dall'Oceano Pacifico. I venti iniziano a raffiche alle 14:30 del pomeriggio. "È quasi un timer” e donano benefici alle uve: l’aria fresca rallenta la maturazione e aiuta a mantenere l'acidità, facendo si che i coltivatori di Van Duzer Corridor possano raccolgliere l'uva circa una settimana o più dopo tutti gli altri. Inoltre conferiscono all'uva bucce più spesse, il che aumenta la concentrazione di colore, gli aromi e il potenziale tannico. Dopo la pioggia, i vigneti si seccano rapidamente, il che riduce la pressione delle malattie.


Per degustare un ottimo Pinot Noir dell'Oregon è meglio prestare attenzione all'annata. A differenza di alcune zone climatiche più calde, il vino dell'Oregon dipende molto dal tempo. La differenza di gusto tra le diverse annate può essere sorprendente. Le annate più fresche producono vini più eleganti e magri che invecchiano bene, mentre le annate più calde producono vini più ricchi, fruttati e opulenti. Come si può immaginare, non è stato facile selezionare tra tante bottiglie eccellenti.

Ma qui ci sono alcune mie scelte:

Acrobat Pinot Noir 2016, da uve coltivate sulle colline e nelle valli dell'Oregon occidentale della Willamette Valley


Erath Pinot Noir 2016: Erath, uno dei pionieri della Willamette Valley dell'Oregon e principale produttore della regione di Pinot.


Patricia Green Cellars Volcanic 2017: viti clone Pommard di Pommard di 44 anni e il Dijon 115 di 18 anni; sito piantato nel 1990, influenze vulcaniche del suolo Dundee Hills.


Willamette Valley Vineyards, Whole Cluster Pinot Noir 2017: un mix di cloni di Pommard e Wädenswil, tutti fermentati con interi grappoli (compresi i raspi) che vengono delicatamente convogliati in serbatoi di acciaio inox, riempiti poi con CO2 (Macerazione carbonica)


Anche per il Pinot Noir si parla di selezione clonale. I produttori di vino si sono resi conto che i diversi cloni danno luogo a diversi livelli di qualità e gusti nel vino. Alcuni cloni di Pinot Noir producono vini audaci e robusti mentre altri sono di colore chiaro con aromi floreali più sorprendenti. Ci sono oltre 40 diversi cloni di Pinot Nero documentati nel Catalogo delle varietà e dei cloni di vite e circa 15 di questi cloni sono popolari in tutto il mondo per la loro qualità.


Oltre ai grandi vini, l’Oregon offre una natura strepitosa. A due passi dalla Willamette Valley, la West Coast americana si affaccia sul Pacifico. Volendo proseguire verso le regioni vinicole più a sud (The Rogue e Umpqua Valley) vale la pena di seguire il tracciato della Highway 101, strada leggendaria che mostra una meraviglia dietro l’altra. Procedendo verso sud il litorale si fa scosceso, con una successione di baie, scogliere, faraglioni e fari. Newport ha un centro storico vivace, un mercato del pesce colorato e ospita l’Oregon Coast Aquarium. Dall’alto delle scogliere di Yachats si possono avvistare i profili imponenti delle balene, mentre nelle aree sabbiose intorno a Cape Perpetua si incontrano i leoni marini.

Coos Bay

Coos Bay, 50 miglia di dune vive, è un paesaggio in continua trasformazione e un paradiso per le passeggiate, perfetto per i bagni di sole e la contemplazione della natura. Se la costa è spettacolare l’entroterra non è da meno. A tre ore dal mare c’è Crater Lake: il cono del vulcano oggi custodisce il cobalto e il viola del lago. Lo sguardo vola per chilometri in ogni direzione fino alla catena di vulcani innevati che caratterizza il Far West: Shasta, Mount St. Helens (che esplose in un’apocalittica eruzione nel 1980), Mount Hood, Mount Rainier. Raggiungere le altre regioni vinicole, WallaWalla e Columbia, significa percorrere lo straordinario Columbia River Gorge. Qui la potenza scultorea dell’acqua ha disegnato il grande canyon che taglia la nera colata di lava preistorica, al confine tra l’Oregon e lo Stato di Washington. 

Multnomah Falls

Pareti verticali che precipitano per centinaia di metri, imponenti cascate, verdi e fitte foreste pluviali. La più spettacolare delle cascate è Multnomah Falls, un salto nel nulla di 192 metri di altezza.