Barone Pizzini: l'anima verde della Franciacorta!

"Non chiamatelo Spumante". Sembra uno slogan, ma per Silvano Brescianini, direttore generale dell’azienda Barone Pizzini e Presidente del Consorzio Franciacorta, le parole sono importanti e tra uno spumante e un Franciacorta passa tutta la differenza del mondo che porta ad un solo termine: territorio. Se a quanto scritto si può ribattere che si tratti (anche) di marketing vi potrei rispondere, e lo farebbe probabilmente anche lo stesso Brescianini, che in Francia lo Champagne prende il nome dal suo territorio di origine e nessuno si azzarda a chiamarlo diversamente da oltre 300 anni.

Silvano Brescianini

Lo stesso legame con la Franciacorta lo ha anche l’azienda fondata nel 1870 da Enrico e Bernardino Pizzini, eredi della casata asburgica Pizzini Piomarta von Thumberg, che fin da subito si sono distinti come agricoltori illuminati.
Giulio Pizzini Piomarta Von Thurberg. Da questa data, vari discendenti si susseguirono alla guida della cantina sino all’ultimo, il Barone Giulio Pizzini (1916-1995) che ebbe un ruolo determinante nello sviluppo della viticoltura in Franciacorta (nel 1967 fu tra i fondatori della DOC Franciacorta). Fu proprio lui, alla fine degli anni ’80, a coinvolgere nella proprietà un gruppo di imprenditori appassionati al mondo enologico, gettando così le basi dell’attuale azienda diretta oggi da Silvano Brescianini che, nel 1993, dopo un glorioso passato nel mondo della ristorazione (ha lavorato anche al San Domenico di New York col mitico Tony May) è stato uno dei soci fondatori della nuova Barone Pizzini che è stata la prima cantina a produrre Franciacorta da viticoltura biologica certificata, ovvero utilizzando per la coltivazione e il nutrimento delle viti solamente sostanze naturali o che l’uomo può ottenere con processi semplici, senza ricorrere a prodotti chimici, diserbanti, OGM, fertilizzanti o pesticidi di sintesi.


Essendo stato per tanti anni dall’altra parte della barricata – osserva Brescianini – ho sempre ragionato con un approccio da consumatore e permettere l’uso in vigna, ad esempio, di un diserbante o di un sistemico, che possono essere cancerogeni, ti porta con un minimo di buon senso a chiederti se è davvero necessario l’uso della chimica perché poi, inevitabilmente, questa roba ce la troviamo anche nel bicchiere di vino che beviamo a tavola”.
Questi ragionamenti hanno trovato concretezza grazie ad un incontro con Pierluigi Donna, il maggior conoscitore di tecniche agronomiche bio, al quale Brescianini rivolge la fatidica domanda: “In Franciacorta si può coltivare la vite in modo non invasivo e di maggior tutela della natura rispetto al sistema convenzionale?”. 


Dalla risposta, che fu ovviamente “Certo!”, è nata una collaborazione, che dura ancora oggi, e che ha portato Barone Pizzini a fare la prima prova di biologico nel 1998, e dal 2001 tutti i vigneti ottengono la certificazione A.B attraverso il solo uso di zolfo e rame nelle loro composizioni più semplici ed in quantità limitate e controllate mentre contro insetti nocivi si usano esclusivamente derivati naturali da piante o batteri.


Il concetto di sostenibilità ambientale in Barone Pizzini è anche questione di coerenza e Brescianini, durante l’intervista che mi ha concesso, mi ha regalato un aneddoto molto importante: ”Tempo fa il produttore di etichette col quale collaboravamo era molto in ritardo con la consegna perché, mi ha spiegato, l’inchiostro usato per stamparle non veniva più dalla Germania, dove era stato messo al bando per la sua tossicità, ma dall’Est Europa dove era ancora permesso produrlo. Da quel momento, era il 2001, presi la decisione ovviamente di cambiare fornitore perché non illogico produrre un vino bio e poi usare materiali non conformi alla nostra idea “green” che va ad abbracciare anche l’uso di bottiglie meno pesanti oppure l’uso di capsule meno spesse (circa 50 micron contro la media che si attesta attorno agli 80\100 micron) in modo da ridurre i materiali utilizzati e i relativi rifiuti”.


L’impegno ambientale dell’azienda franciacortina non poteva non riguardare anche l’attuale cantina che nel 2006 è stata costruita secondo i criteri dell’architettura ecocompatibile. Ogni scelta architettonica è stata progettata per avere un basso impatto ambientale e un limitato consumo energetico. I pannelli fotovoltaici, il sistema naturale di condizionamento, l’impiego di pietra e legno, la fitodepurazione delle acque, sono tutti accorgimenti che fanno della sede produttiva di Barone Pizzini una cantina BIO.


Oggi la Barone Pizzini si estende in Franciacorta, all’interno dei Comuni di Provaglio d’Iseo, Corte Franca, Adro e Passirano, su 54 ettari divisi in 29 particelle (con altitudine variabile dai 200 ai 350 metri s.l.m.) dove pinot nero, chardonnay, pinot bianco ed erbamat (antico vitigno, dalla spiccata acidità, che dal 2017 è stato inserito nel disciplinare del Franciacorta DOCG) sono piantati su suoli in parte morenici, arricchiti da deposizioni fluvioglaciali. Questa grande eterogeneità, che per una cantina rappresenta un grande potenziale di qualità, viene sfruttato anche in cantina dove, attraverso un minuzioso lavoro di selezione, si arrivano a gestire anche 70\80 vini ovvero frazioni di parcelle che poi andranno successivamente e sapientemente assemblati.


Grazie ad una diretta Instagram e ad una precedente riunione ZOOM col gruppo di Garantito IGP ho potuto recentemente degustare tutta la produzione di Franciacorta DOCG di Barone Pizzini e, di seguito, trovate le mie impressioni gustative:


Barone Pizzini - Franciacorta Extra Brut DOCG “Animante” (tiraggio 04\2018 – sboccatura 03\2020): questo vino, il cui nome è un chiaro riferimento all’anima e lo spirito aziendale, è frutto del blend di chardonnay (84%), pinot nero (12%) e pinot bianco (4%) provenienti da tutti i vigneti dell’azienda. Questo Franciacorta, vero e proprio biglietto da visita di Barone Pizzini, essendo il vino numericamente più prodotto, conferma le attese rivelando profumi di crosta di pane, gelatina di cedro, cenni di frutta secca ed echi minerali. Piacevole la bocca: quasi da manuale il tratto acido-sapido che ben si intreccia con una struttura vibrante dominata da una persistenza di buona lunghezza sapida.


Barone Pizzini – Franciacorta Brut Dosaggio Zero DOCG “Animante L.A.” (tiraggio 04\2014 – sboccatura 03\2020): in questo Franciacorta, blend di di chardonnay (78%), pinot nero (18%) e pinot bianco (4%), l’anima del terroir franciacortino di Barone Pizzini viene esaltato da un lungo affinamento del vino sui lieviti che arriva fino a ben 70 mesi. L’annata mediamente calda si fa sentire donando un olfatto molto intenso e ricco di sfumature che vanno dalla frutta matura fino a quella secca all’interno di un insieme elegante ed integro. Sorso bilanciato nonostante il volume del vino la cui persistenza lievemente salina dona al palato freschezza invogliando al prossimo bicchiere.

Barone Pizzini – Franciacorta Brut Dosaggio Zero DOCG “Animante L.A.” (tiraggio 03\2012 – sboccatura 07\2018): rispetto al precedente c’è un cambio deciso di passo grazie all’annata (2011) molto più fresca ed equilibrata della 2013. Grande finezza aromatica con note di fiori di campo, crosta di pane, agrumi, ananas, mandorla amara fino ad arrivare al miele e al pane all’uva. Complesso e profondo in bocca, sostenuto e slanciato da una lunga sinergia acido-sapida. Ancora giovanissimo. Ad avercene!


Barone Pizzini – Franciacorta Brut Nature “Naturae” 2016: questo Franciacorta (70% chardonnay e 30% pinot nero) nasce parzialmente dal vigneto più alto aziendale, denominato Pian delle Viti, denominato nel Medioevo la Valle Sospesa, e caratterizzato da un terreno prettamente calcareo. Naso molto algido solcato da sensazioni di gelsomino, pompelmo e melissa che riposano su uno sfondo minerale ben delineato. Teso all’assaggio, segnato da vibrante nota salina e un retrolfatto che sottolinea i ritorni di agrumi e fiori di campo.


Barone Pizzini – Franciacorta Satèn 2016: chardonnay in purezza che si fa apprezzare per la sua eleganza, sia nel perlage soffice e sottile, sia nel comparto aromatico dove si sviluppano delicatamente nuance di mandarino, mela annurca, caprofoglio, salvia e pompelmo rosa. Bocca fine, longilinea, di eccellente equilibrio e con un finale dove ritorna la prepotenza agrumata a pulire il palato.


Barone Pizzini - Franciacorta Extra Brut Rosé 2016: questo Franciacorta (70% pinot nero e 30% chardonnay) ha un coinvolgente apparato aromatico ricco di sfumature che richiamano le erbe aromatiche, il ribes, la melagrana, i mirtilli e la macerazione di rosa, il tutto all’interno di un climax di raro appagamento minerale. All’assaggio sorprende per sapidità setosa e vivace acidità, entrambe in grande equilibrio all’interno di una trama strutturata, golosa e dai richiami aromatici di frutta e mineralità rossa.


Barone Pizzini - Franciacorta Dosaggio Zero Riserva DOCG “Bagnadore” 2011: prodotto a partire da chardonnay (60%) e pinot nero (40%) provenienti da un’unica vigna di venti anni (Roccolo di Provaglio d’Iseo), questo Franciacorta rappresenta il top di gamma di Barone Pizzini grazie ad un affinamento sui lieviti di almeno 70 mesi (circa 6 anni) prima della sboccatura. La grande complessità donata dal tempo la possiamo percepire nettamente già al naso dove esplodono i fiori bianchi e i lieviti, la pesca bianca, la mandorla in pasta per poi proseguire su effluvi di torroncino, miele, distillato ed erbe officinali. Il sorso è sontuoso, aristocratico, pieno di decisa sapidità, vivace freschezza grazie anche ad un perlage armonioso ed avvolgente. Finale di notevole persistenza su ricordi di agrumi e variegata mineralità. Un grande Franciacorta senza se e senza ma!

Un vitigno famoso ma non troppo. Poderi dal Nespoli e il suo Rubicone IGT Famoso 2019


di Lorenzo Colombo

Sarà anche “Famoso” di nome, ma per la verità non è che questo vitigno a bacca bianca sia in realtà molto conosciuto e quindi “famoso”. 

Vediamo quindi di conoscerlo meglio.

Nel passato, in Romagna, c’erano due vitigni che venivano chiamati “Famoso”, uno, coltivato principalmente nel Cesenate era abbastanza simile all’Albana, l’atro invece, più diffuso nel Riminese e nel pesarese (quindi anche nel nord delle Marche), era più simile al Trebbiano. Entrambe erano utilizzate principalmente come uve da tavola. Il luogo d’origine del vitigno parrebbe però essere la Toscana, e precisamente la Val di Pesa. La Rambella viene citata dal Marzotto nel 1825 ed in seguito compare in numerosi bollettini ampelografici dell’ottocento. Nella sua relazione sui vitigni romagnoli, il prof. Alessandro Pasqualini, direttore della Regia Stazione Agraria di Forlì, nel 1889 scriveva al proposito del Famoso “Il Famoso di Cesena ha grappolo grande serrato e alato, acini medi rotondi, ricoperti di velo cereo: tralcio a internodi assai lunghi: sembra potersi classificare nel gruppo delle Albane; è dissimile dal Famoso di Pesaro”.


Nell’Ampelografia dei vitigni romagnoli, Antonio Bazzocchi nel 1923 forniva una descrizione dettagliata del vitigno “Vitigno Cesenate di pregio discreto ma pochissimo coltivato. Matura nella seconda decade di settembre. Media delle misurazioni glucometriche: 15,64%. Tralcio robusto, color cannella chiaro, internodi molto lunghi, gemme medie color ruggine. Foglia quinquolobata a dentatura irregolare; pagina superiore verde scuro, inferiore lanugginosa: picciolo breve, sottile e roseo, nervature robuste. Grappolo grande, serrato ed alato: acini medi, rotondi, color verdastro, ricoperti da pruina cerosa: polpa a sapore dolce, vinaccioli in numero di due”.


Più recentemente, siamo infatti nel 1977, il Manzoni va più a ritroso nel tempo e scrive in merito alla Rambella “uva da tavola venduta anticamente fresca sulle piazze. Elencata nella Tabella del Dazio Comunale di Lugo del 1437”.
L’attuale Famoso, che ha come sinonimo principale “Rambella”, ma anche Uva rambella, Valpeisa, Valdoppiese, è stato inserito nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite nel Marzo del 2009 ed è ammesso nella produzione di cinque vini ad Igt dell’Emilia-Romagna. Lo stesso vitigno è attualmente in “osservazione” per quanto riguarda la regione Marche.


Gli ettari vitati, secondo l’ultimo censimento agricolo, che risale al 2010, risultavano essere solamente 6 (sei), anche secondo la più recente pubblicazione dell’Università di Adelaide “Which Winegrape Varieties are Grown Where”, revisione della prima edizione -risalente al 2013-, edita nel 2020 e che prende in considerazione la superficie vitata nel mondo, paese per paese, di oltre 1.700 vitigni, la superficie vitata della Rambella risulta essere di 6 ettari, ma pensiamo che abbiano preso i dati dal famoso censimento del 2010. 



Questi dati però non corrispondono assolutamente a quanto scrive l’enologa Marisa Fontana in occasione della pubblicazione di “Tre vitigni tra tradizione ed innovazione”, editato il 23 marzo 2019 in occasione della Mostra Mo.Me.Vi. (Mostra Meccanizzazione in Viticoltura), tenutasi a Faenza, parrebbe infatti che gli ettari vitati siano molti di più, oltre 70 nel 2018 (vedi grafico). Quest’ultimo dato viene confermato anche dall’articolo pubblicato il 26 luglio del 2020 su Settesere dove si parla di 80 ettari. 
Anche i dati forniti dalla Regione Emilia-Romagna, nella sua pubblicazione “IL FUTURO DELLA VITIVINICOLTURA DELL’EMILIA ROMAGNA TRA CAMBIAMENTI CLIMATICI E INNOVAZIONE” riferiscono di circa 67 ettari, nel 2018. Pare piuttosto strano che in così poco tempo la superficie vitata del Famoso si sia così ampliata, quindi, come ultimo dato forniamo la produzione di barbatelle nel corso degli anni, a partire dalla data di pubblicazione del vitigno nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite ad oggi (vedi tabella).

Ora non ci rimane che andare a degustare il vino, e precisamente il Rubicone IGT Famoso 2019 di Podere dal Nespoli.

Podere dal Nespoli

L’Azienda Poderi dal Nespoli dal 2010 fa parte del Gruppo Mondodelvino, grossa realtà con sede a Priocca, nel Roero, della quale avevamo scritto nel luglio dello scorso anno in occasione della presentazione di Wine Experience, un innovativo Museo didattico dedicato al vino (vedi).


La sua storia però parte da molto lontano, dal 1929, quando Attilio Ravaioli - che una decina d’anni prima aveva aperto l’Osteria Da Tilio- per far fronte alle richieste di vino della casa inizia i lavori di ampliamento della cantina. Antonio e Amleto, figli di Attilio, decidono di cedere la gestione della trattoria e di dedicarsi unicamente alla produzione di vino, per questo motivo acquistano il Podere Prugneto ed iniziano a produrre Sangiovese da uve di proprietà. Si aggiungono poi vigneti di Albana e Trebbiano e nasce la F.lli Ravaioli. 
Negli anni sessanta è Valerio, figlio di Amleto a dare nuovo impulso all’azienda, puntando sul Sangiovese e sul concetti di Cru, nasce il Prugneto, Sangiovese Superiore da singolo vigneto.

Celine

Negli anni ottanta l’azienda viene ampliata e rimodernata ed a guidarla, a Valerio si affianca Fabio, figlio di Antonio, viene inoltre cambiato il nome dell’azienda, che diventa Azienda Agricola Poderi dal Nespoli. Nel 2004 per la prima volta è Celine, figlia di Valerio a fare il vino e a quanto pare molto bene, ne è la prova l’ottenimento nel 2006 del prestigioso riconoscimento dei Tre Bicchieri da parte della Guida Vini d’Italia del Gambero Rosso a “Il Nespoli Sangiovese Riserva”. Siamo infine ai giorni nostri, quando a fine 2009 Poderi dal Nespoli entra a far parte del gruppo MGM, fondato da Alfeo Martini nel 1991, la parte produttiva rimane comunque nelle mai di Celine, quarta generazione della famiglia Ravaioli.

Il vino

I vigneti si trovano nella Valle del Bidente, nel forlivese, i suoli sono limosi ed il sistema d’allevamento è a Guyot, la vinificazione (in bianco) viene effettuata in vasche d’acciaio dove il vino poi s’affina.


Color verdolino scarico. Intenso e fruttato al naso, fresco e pulito, frutta a polpa bianca fresca, mela, pesca bianca, pera, note d’agrumi, pompelmo, leggeri accenni aromatici. Fresco alla bocca, con spiccatissima vena acida, quasi tagliente, sapido, agrumato, lime e pompelmo verde, leggero di corpo, vi ritroviamo la frutta bianca, mela in primis, buona la sua persistenza.

Benvenuto Brunello OFF 2021: il mio report sull'annata 2016 e i vini da acquistare!

Al ritorno da Benvenuto Brunello “OFF” 2021 sono tante le sensazioni e le emozioni che devo cercare di analizzare col giusto distacco e, credetemi, non è per nulla facile sia perché questa edizione sarà ricordata per essere la prima, e speriamo anche ultima, ad essersi svolta in piena emergenza pandemica, sia perché i Brunello in degustazione, annata e selezione 2016, e Riserva 2015, appartengono a due annate osannate soprattutto dalla critica internazionale anche perché eccezionalmente consecutive.


Prima di parlare specificatamente delle annate e dei migliori vini degustati, vorrei anzitutto fare un plauso all’organizzazione di questa manifestazione che si è svolta nel Chiostro del Museo di Montalcino con sessioni aperte sia agli addetti ai lavori sia ai wine lovers per un massimo di 25 ingressi.

Come enoblogger e critico di settore sono stato invitato a partecipare alla sessione del 20 marzo dove i partecipanti, una volta espletati i controlli anti-Covid, sono stati accompagnati a postazioni già assegnate e ben distanziate l’una dall’altra per avere al tempo stesso comfort e massima sicurezza. Altra particolarità di questa edizione “pandemica” è stata la presenza in sala di tanti sommelier AIS dotati di mascherina e visiera facciale che, con grande impegno e professionalità, hanno esaudito ogni mia richiesta di degustazione con estrema precisione e velocità. Un plauso a loro perché lavorare così non è semplice e ci vuole tanta, tanta passione!


Fatti i giusti complimenti al Consorzio del Vino Brunello di Montalcino per la gestione complessiva della manifestazione, e prima di entrare nel merito dei sangiovese degustati, vorrei fare una premessa che ritengo importante: non ho assolutamente provato i Brunello di Montalcino di tutte le aziende presenti, impossibile farlo in un solo giorno, figuriamoci in cinque ore (la mia sessione era dalle 10 alle 15) dove solo i Brunello “annata” 2016, escluse le selezioni e le Riserve 2015, erano oltre 140 campioni. Contento per coloro che sbandierano ai quattro venti di esserci riusciti alla grande ma, per rimanere lucido nelle valutazioni, ho dovuto fare delle scelte preliminari concentrandomi solo ed esclusivamente sui Brunello 2016 annata e selezione\vigna.

2016: una annata a cinque stelle a Montalcino


Se volete capire perché questo millesimo ha preso il massimo dei voti, su Youtube è presente un video di qualche minuto dove tre grandi enologi, Paolo Vagaggini, Carlo Ferrini e Maurizio Castelli, spiegano le caratteristiche di questa vendemmia che in questo caso, per rapidità, cerco di riassumere con le parole di Cecilia Leoneschi, enologa di Castiglion del Bosco:” La vendemmia 2016 è stata caratterizzata da un inverno e una primavera piuttosto miti con temperature minime più elevate della media. Questo ha portato ad un leggero anticipo nel germogliamento e una bella espressione vegetativa delle viti. L’estate è stata fresca e mite rallentando le maturazioni che si sono protratte lente e molto equilibrate. Tannini maturi, ricchezza in colore e buone acidità hanno quindi caratterizzato il Sangiovese di questa eccellente annata. La vendemmia è iniziata con un leggero anticipo ed è terminata però intorno alla metà di ottobre come spesso accade nelle grandi annate. Si registra un ottimo equilibrio nelle maturazioni del Sangiovese, questo dovrebbe portare a vini ricchi ma anche molto eleganti.”

Quelli più bravi di me parlano perciò della 2016 come di una annata finalmente “classica” ovvero caratterizzata dalla mancanza di quegli eccessi climatici (troppo caldo, troppo freddo, troppe piogge) che spesso e volentieri in questi ultimi anni, causa cambiamenti climatici in corso, hanno segnato i profili organolettici del vino nel bicchiere.

Fabrizio Bindocci - Presidente Consorzio Brunello di Montalcino

Se siete arrivati fino a qua nella lettura sarete sicuramente curiosi, almeno lo spero, di sapere finalmente quali sono i vini che mi hanno emozionato di più durante le cinque ore di degustazione del Brunello di Montalcino “OFF” 2021.

Ecco a voi la classica dei migliori 10 vini degustati….più cinque!

Agostina Pieri – Brunello di Montalcino 2016: era la prima azienda in degustazione (numero 1) e come tale poteva soffrire il fatto di poter essere “schiacciata” dai tanti assaggi successivi. Ed invece il Brunello di Agostina Pieri, con vigne a sud situate sotto Castelnuovo dell’Abate, mi e rimasto in testa anche dopo oltre 50 vini. Il suo sangiovese in purezza è l’emblema che la 2016, anche nelle zone meno fresche di Montalcino, ha dato vita a Brunello espressivi, succosi e ben dosati in tutte le componenti strutturali che in questo caso sono cesellate da mano di vignaioli sapienti.

Canalicchio di Sopra - Brunello di Montalcino 2016: da sangiovese proveniente dai due cru aziendali (Canalicchio 40% e Montosli 60%) nasce questo Brunello che durante l’anteprima mi ha sorpreso per il suo impatto aromatico di spezie orientali che per un attimo mi hanno riportato all’interno di un suk di Marrakesh. Poi, col tempo, arrivano sensazioni rarefatte di ciliegia e rosa. In bocca ho riscontrato una intrigante sapidità che ben si amalgama ad un tannino levigato.

Castello Tricerchi – Brunello di Montalcino 2016: gli Squarcia, che da qualche anno hanno ripreso in mano le redini dell’azienda di famiglia, si stanno impegnando tremendamente per cercare di ridare la giusta dimensione qualitativa ai loro vini. Seguo da sempre il loro percorso lavorativo e penso che questa 2016, finalmene, sia pura sublimazione del loro sangiovese da Brunello che è pura commistione tra leggerezza floreale ed eleganza agrumata che in questa annata hanno avuto una impuntatura più profonda e varietale. Sorso pieno, equilibratissimo, di piacevolezza infinita. Vino squisito.

Castello Romitorio – Brunello di Montalcino “Filo di Seta” 2016: per onestà intellettuale devo ammettere che i vini di questa azienda non sono quasi mai stati nelle mie corde, li ho trovati sempre leggermente “eccessivi” per i miei gusti. Pertanto, trovarmi il loro Brunello di Montalcino segnato sul Moleskine come uno dei migliori per me è stata una piacevolissima sorpresa e non poteva essere altrimenti visto che, in particolare, la loro Selezione esplode bel bicchiere con un caleidoscopio di profumi che vanno dalla marasca alla violetta fino ad arrivare agli agrumi freschi e alla macchia mediterranea. Capace all’assaggio di accelerazioni spaventose, delizia soprattutto il finale di bocca con ritorni agrumati e di radici. 

Fattoi – Brunello di Montalcino 2016: non capisco come questa piccola azienda famigliare, che da anni sta producendo Brunello di Montalcino di stile e territorialità impeccabili, sia ancora sottovalutata e fuori da certi radar. Vabbè, ci provo io ancora una volta a consigliarvi il loro Brunello di Montalcino che nel 2016 potrebbe essere preso come campione didattico da mandare a tutte le scuole di vino per far comprendere a a tutti gli appassionati quale sono le caratteristiche non solo del sangiovese toscano ma, soprattutto, del sangiovese di Montalcino prodotto in annate baciate da Bacco come questa. Vibrante, di impatto, giustamente tannico, profondo e con un pizzico di austerità, il Brunello di Montalcino di Fattoi scala tutte le posizioni per espressività.

Il Poggione – Brunello di Montalcino 2016: se nella letteratura mi chiedessero di nominare un grande classico probabilmente citerei la Coscienza di Zeno di Italo Svevo. Stessa cosa per il cinema dove, probabilmente, proporrei Colazione da Tiffany, con la grande Audrey Hepburn, icona di stile ed eleganza senza tempo. Tornando al vino, a Montalcino per me una delle poche aziende che incarna classicità, finezza e sobrietà è Il Poggione che da sempre produce sangiovese viscerale e profondo. Ennesima prova questa 2016 che sa di viola, muschio e di una letterale macedonia di piccoli frutti rossi. Una delizia così come lo è la bocca, elegante, setoso, coinvolgente e dalla grande persistenza floreale e fruttata.

Pietroso – Brunello di Montalcino 2016: non so è se il vino più buono degustato all’Anteprima ma sicuramente è uno di quelli che tutti noi critici abbiamo premiato. Naso classico e didattico su sensazioni di ribes, ciliegia, rosa, radici, sfumature di ruggine e un tocco di erbe balsamiche. Profilo gustativo sicuro, autorevole, ricco eppure coordinato e vibrante. Procede in perfetto equilibrio fino ad un epilogo che lascia senza fiato per purezza fruttata, carisma e incredibile persistenza. Uno tsunami emozionale.

Le Ragnaie – Brunello di Montalcino 2016: se c’è a Montalcino un sangiovese etereo, sospeso tra terra e cielo, questo è quello di Riccardo Campinoti che in attesa di far uscire le sue Selezioni, sorprende ancora una volta con un vino “base” i cui profumi esibiscono un flusso flebile di ribes, buccia di pesca, arancia rossa, fioritura estiva, mirra e terra rossa. Al momento dell’assaggio si è appagati per la pienezza e la misurata struttura. Emerge una acidità dal ricordo di agrume che sostiene una struttura di suprema eleganza e tensione sapida. Finale adamantino, da emozioni violente.

San Lorenzo – Brunello di Montalcino 2016: Luciano Ciolfi, come suo nonno Bramante, è un artigiano del vino a Montalcino per cui conosce ogni centimetro delle sue vigne. In una annata come questa Luciano, col pragmatismo agricolo che possiamo riconoscere solo a chi vive le sue vigne 365 giorni all’anno, 24 ore su 24, ha giocato facile portando in cantina sangiovese di qualità eccelsa così come lo è il suo Brunello 2016 dal bouquet di splendida articolazione aromatica dove ritrovo il pot-pourri di rose e viole che introduce uno sfilare di note di marasca, corteccia, felce, erbe aromatiche, il tutto impreziosito da chiaro-scuri minerali. Sorso disteso ed elegante, compiutamente armonico, in cui l’apparire del tannino, appena aristocratico, prelude ad un finale di nobile trama fruttata, leggermente salina. Non so se è il miglior Brunello “base” prodotto da Ciolfi ma poco ci manca. Chapeau!

Celestino Pecci – Brunello di Montalcino 2016: l’azienda guidata da Tiziana Pecci, sotto lo sguardo di suo papà Celestino, si trova a pochi passi dall’Abbazia di Sant’Antimo. Il loro Brunello di Montalcino lo potrei inserire senza dubbio nella categoria “gioielli nascosti” perché, diciamocelo chiaramente, Pecci è una piccola realtà che ancora in pochi conoscono. Grazie al suggerimento di Carlo Macchi, sangiovesista fino al midollo, ho finalmente apprezzato il loro vino che sa di erbe officinali, terra battuta, violetta, mirtillo con lieve sensazione salmastra sul fondo. Bocca di classe e di magnifica austerità; pieno equilibrio e finale lunghissimo. Un fuoriclasse per adesione territoriale


Altre segnalazioni sparse di grandi Brunello di Montalcino 2016

Tiezzi – Brunello di Montalcino “Vigna Soccorso” 2016: l’assaggio di questo sangiovese in purezza rivela ancora una volta che Vigna Soccorso è, per dirlo alla borgognona, uno dei Grand Cru di Montalcino. Quest’anno sembra leggermente più domato del solito ma non meno profondo.

Poggio di Sotto - Brunello di Montalcino 2016: come sempre il vino prodotto da Claudio Tipa incanta per luminosità e assenza di peso specifico.

Salvioni La Cerbaiola - Brunello di Montalcino 2016: molto classico ma tutt’altro che austero: viola, ciliegia ed eucalipto si intrecciano assieme ad un tocco minerale per un vino dall’assaggio toccante che si scioglie in straordinaria persistenza.

Mastrojanni – Brunello di Montalcino “Vigna Loreto” 2016: leggermente più contratto del solito, rimane un grande sangiovese ricco di sfumature speziate e fruttate. Bocca di impatto, piena, dotata di veemente spinta sapida.

Le Chiuse – Brunello di Montalcino 2016: puro di ciliegia e viola, struggente il sorso con un tannino levigatissimo e una chiusura salina e floreale.


Conclusioni

La 2016 è stata davvero, come ho letto, l’annata del secolo per il vino di Montalcino?

Prima di rispondere partiamo da un presupposto importante: questo millesimo, grazie al suo equilibrio climatico generale, è stato davvero importante per il vino italiano. Ho degustato dei 2016, a partire dal Trentino fino ad arrivare alla Sicilia, davvero emozionanti per cui a Montalcino, dove si respira vino 365 giorni l’anno, bisognava impegnarsi tanto per dar vita a prodotti meno che buoni.

Gli assaggi effettuati durante Brunello Off hanno confermato, almeno dal mio punto di vista, che la qualità media dei vini, in passato magari altalenante a seconda delle diverse zone di produzione, è stata davvero alta tanto che, anche confrontandomi con i giudizi dei colleghi, le valutazioni più basse partivano da almeno 85 punti con una media di oltre 90.

I vini, almeno quelli da me degustati, sono assolutamente espressivi, profondi, capaci, soprattutto le selezioni di vigna, di leggere in maniera minuziosa le sfumature del terroir di riferimento (nord\sud Montalcino, etc..) e ricchi di profumi tipici del grande sangiovese.

Quello che salta all’occhio o, meglio, al palato, è che i Brunello di Montalcino 2016 sono gustativamente lo specchio di questa annata ovvero di grande equilibrio. Già, scordatevi vini dalle durezze sferzanti come, spesso, accadeva negli scorsi anni. Scordatevi, mediamente, i classici Brunello di Montalcino da tenere in cantina per almeno 10 anni prima di poterli degustare al meglio.

No, i Brunello 2016 sono qui per farsi bere e per essere goduti ora. Regalano emozioni immediate per cui non mi sorprendono gli altissimi voti della stampa anglosassone perché, in questo millesimo, il Brunello di Montalcino è diventato un vino di respiro internazionale rimanendo però, fortunatamente, ben ancorato al DNA del suo unico pilastro chiamato sangiovese.

La domanda che mi faccio e che vi faccio è la seguente: se il Brunello di Montalcino, oggi, è un vino godibile fin da subito, ready to drink come direbbero gli americani, la 2016 è davvero una delle più grandi annate mai viste nel territorio?

La risposta è abbastanza semplice: se la qualità totale di una annata si valuta anche in base alla sua longevità, io non scommetterei molto sulla enorme gittata temporale di questo millesimo visto che gran parte di questi sangiovese avevano come unica pecca la mancanza di una vigorosa spina dorsale acida, leggasi freschezza, tale da preservarli per molto tempo. In tal caso la 2001 o la 2006 probabilmente sono le ultime annate da invecchiamento del Brunello di Montalcino (vero Macchi?). Se invece non vogliamo lasciare a nostro nipote l’onore di bere un grande sangiovese di Montalcino, allora la 2016 probabilmente è l’annata ideale che ci darà sicuramente emozioni da adesso e per almeno i prossimi 10 anni.

Studio Marche e la bellezza del Verdicchio dei Castelli di Jesi

La crisi pandemia, come sappiamo, non permette di organizzare eventi di degustazione in presenza ma questo non ha scoraggiato gli attori del food&wine che già da oltre un anno stanno dando vita a wine tasting a distanza utilizzando le principali piattaforme digitali. In questo ambito non poteva far mancare la sua voce la Regione Marche che su volontà del suo Assessorato all’Agricoltura ha presentato “Studio Marche”, un vero e proprio studio televisivo che metterà a sistema le attività di promozione dell’intero comparto food&wine regionale attraverso una piattaforma di registrazione e trasmissione professionale – unica nel panorama nazionale – che consente di dialogare a distanza con trade, stampa, esperti e appassionati italiani ed esteri, in diretta zoom ma anche sui principali canali social di Ime, superando le barriere imposte dall’emergenza sanitaria.


“L’obiettivo è creare un hub digitale dell’enogastronomia marchigiana capace di dare voce a tutto il settore – ha detto Alberto Mazzoni, direttore dell’Ime –. Grazie al sostegno della Regione Marche, da oggi possiamo mettere al servizio delle aziende tecnologia, personale tecnico e strumenti che consentono non solo di connettersi con tutto il mondo, ma anche di riflettere nella comunicazione la qualità che il nostro comparto è in grado di esprimere, conquistando un’audience che al momento non possono raggiungere fisicamente”.

Ad aprire il calendario il vino, con un programma di wine tasting digitali organizzati dall’Istituto marchigiano di tutela vini (Imt) con focus su Verdicchio dei Castelli di Jesi e di Matelica, Rosso Conero, Lacrima di Morro d’Alba e Colli Maceratesi Ribona e tante altre Doc e Docg rappresentate dall’Imt.

Io, che non mi faccio mancare nulla, ho deciso di partecipare a tutte le iniziative, a partire dalla prima degustazione in programma, relativa al Verdicchio di Castelli di Jesi.

Foto: Adriaeco.eu

I sei produttori invitati in rappresentanza di questa denominazione, moderati da Alberto Mazzoni, ci hanno presentato i seguenti vini:

Piersanti - Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC Classico Superiore “Bacareto” 2019 (90% verdicchio, 10% altre uve marchigiane) : questo vino, che nasce da uve vendemmiate tardivamente a cui si aggiunge una piccola percentuale di uve botritizzate, ha struttura ed avvolgenza e profuma di frutta gialla matura, fieno e ginestra. Sorso generoso, caldo che termina con una leggera sensazione ammandorlata.

Pievalta - Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC Classico Superiore “Tre Ripe” 2019 (verdicchio 100%): l’azienda, la prima nelle Marche ad essere certificata biodinamica (2008) ha presentato questo Verdicchio in purezza il cui nome si rifà ai tre vigneti da cui provengono le uve posizionati su tre versanti diversi (Maiolati Spontini, Montecarotto e San Paolo di Cupramontana). Questa eterogeneità territoriale è un valore aggiunto donano al vino complessità aromatica con ritorni di sambuco, mela renetta, pesca e arancia amara. Sorso equilibrato, di piacevole cadenza acido-sapida che integra amabilmente una inaspettata e leggera morbidezza glicerica.

Foto: Adriaeco.eu

Tenuta di Tavignano - Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC Classico Superiore “Misco” 2019 (verdicchio 100%): l’azienda, certificata biologica nel 2018 e gestita da Ondine de la Feld e suo zio Stefano Aymerich, ha presentato il suo cavallo di battaglio ovvero quel Misco che da sempre prende premi dalla critica specializzata sia italiana che straniera. Il vino, verdicchio in purezza da uve in leggera surmaturazione, è come me lo ricordavo ovvero ricco di sensazioni di frutta tropicale, scorza di agrumi, seguite subito dopo da lavanda e forti richiami erbacei. Gusto caldo, morbido, sensuale, di lunghissima persistenza agrumata.

Cantina Colognola Tenuta Musone - Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC Classico Superiore “Ghiffa” 2018 (verdicchio 100%): appartenente alla famiglia Darini, questa azienda si trova in a Cingoli, in provincia di Macerata, nella piccola frazione di Cològnola da cui prende il nome. Da uve certificate biologiche nasce questo verdicchio in purezza dalla carica aromatica tipica di biancospino, acacia, pompelmo, avvolti da una nuvola minerale di grande fascino. Al sorso scocca preciso il dardo della freschezza e dell’estrema bevibilità grazie anche a importanti ritorni sapidi.

Umani Ronchi - Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC Classico Superiore “Vecchie Vigne” 2018 (verdicchio 100%): questa cantina storica, di proprietà della famiglia Bianchi-Bernetti dal 1957, ci ha presentato questo verdicchio in purezza nato per esaltare e conservare il valore qualitativo e storico di 4 ettari di vecchie vigne coltivate fin dai primi anni ‘70 nel fondo di Montecarotto. Il vino è assolutamente elegante e si accende nei profumi del tiglio, della pesca bianca, del timo e della maggiorana per poi sfumare su tonalità saline. Al gusto incanta per equilibrio e persistenza agrumata.

CasalFarneto - Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC Classico Superiore “Grancasale” 2018 (verdicchio 100%): sita nel comune di Serra de Conti, nel cuore della zona del Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico a circa 320 mt sul livello del mare, CasalFareto con i suoi 35 ha di vigneti (+ 6 ha vigneto biologico), di cui 28 a Verdicchio, rappresenta una delle aziende storiche del territorio. Ottenuto da uve verdicchio leggermente surmature, è un vino che si lascia apprezzare per un ventaglio olfattivo ricchissimo di sfumature di frutta gialla matura, resina, croccante di mandorle, zenzero e scorza di cedro. Raffinato e vellutato all’assaggio, è un Verdicchio che difficilmente potrete scordare per intensità e progressione fruttata finale.

Prossimo appuntamento con il grande Rosso Conero!

Castello di Querceto - Chianti Classico Riserva 2017


di Stefano Tesi

Se in Chianti Classico il declino del tipo Riserva, che qualcuno paventava, è questo, il qualcuno ci ripensi. 


Chi diffidava dell'annata, idem: colore è bello vero, il naso è una ventata di Sangiovese verticale ma solido come Dio comanda e in bocca è asciutto, nervoso, complesso ma godibile come ci si aspetta. Una sorta di vino striptease...

Un universo toscano chiamato Villa Saletta


di Stefano Tesi

Galeotti furono i tortellini alla panna - lo ammetto, una mia antica debolezza - di una storica trattoria sulle colline di Firenze, così diverse da quelle della campagna pisana nel triangolo tra Peccioli, Pontedera e Montopoli della quale in realtà stavamo parlando. E galeotto fu pure il toponimo: Montanelli. Con un nome così, potevo resistere?
Ci mise ulteriormente del suo, nel titillare la mia personale curiosità, la circostanza che al centro del progetto ci fosse un insediamento altomedievale in rovina, tutto da recuperare.

Il borgo da recuperare

Poi vennero tutti quei numeri un po’ così. Stridenti, diciamo: 720 ettari totali di tenuta, 6mila olivi sparpagliati su 34 ettari, appena 100mila bottiglie di vino prodotte su 17 ettari di vigne a regime con ulteriori 13 in divenire (Sangiovese, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon e Merlot, allevati in pari proporzioni), un progetto da 43 appartamenti da 300 mq l’uno per una sorta di resort diffuso di lusso. Ciliegina finale: un investimento di 250 (due-cinque-zero) milioni di euro, di cui 60 già spesi dal 2000 ad oggi tra l’acquisto della proprietà, espianto vecchi vigneti e costruzione di una “cantina provvisoria”, 15 per la nuova cantina in costruzione da quest’anno e l’avanzo per il resto.
Un bendiddio che, dal 2015, è in mano, sia come amministratore che come direttore, all’enologo ed agronomo David Landini, personaggio singolare con alle spalle esperienze in primarie aziende vinicole toscane e non (Frescobaldi, Antinori, Bertani tra le altre) ma desideroso, ipse dixit, di essere un “uomo solo al comando”. Dopo i proprietari, ovviamente, la famiglia inglese Hands, “attivi – dice la biografia ufficiale - nel mondo della finanza e dell'hotellerie di lusso”.

Credit: Alessandro Ghedina

Stiamo parlando di Villa Saletta, in comune di Palaia, una realtà che per dimensioni, investimenti e “modello di business”, come si usa dire oggi, è parecchio lontana dai casi di cui siamo abituati a occuparci in Toscana e molto più vicina, per respiro e riferimento, a certe grandi operazioni internazionali. Eppure, oltre al metodo gestionale, in essa c’è qualcosa di ancora più originale, che ci sembra rendere il caso abbastanza fuori dal comune. E non è né la pur importante vocazione “green” dell’impresa, una scelta (sociale e di marketing) ovvia in operazioni di questa portata, né la volontà di valorizzare altre indubbie ma implicite risorse della tenuta, come la tartuficoltura e la selvaggina.


Il tratto innovativo sta in una visione dell’azienda come di un ecosistema capace di sostenibilità non solo, come prevedibile, nelle attività da reddito, ma soprattutto in quelle da reddito minore o da nessuno reddito, in una sorta di concezione “neorurale” non frequente alle nostre altitudini: “A Villa Saletta la produzione non riguarda soltanto il nostro core business e cioè il vino – sottolinea Landini – ma coinvolge una biodiversità che definirei sostanziale. Gran parte dei terreni aziendali sono destinati infatti a varie coltivazioni agricole come orzo, avena, pioppi, erbe e fiori di campo. Tutto ciò viene tenuto in piedi, oltre che per favorire l’equilibrio dell'ambiente, anche per mantenere viva la straordinaria tradizione di questa fattoria, che nei secoli ha maturato, nonostante i vari passaggi di mano, una sua fisionomia variegata, in qualche modo antica, poco compatibile con l’idea di monocoltura da reddito oggi prevalente, secondo la quale la diversificazione colturale avviene più per declassamento dei suoli in base alla loro redditività che per una reale scelta agronomica”.

David Landini

E’ con queste parole in mente che mi sono accostato all’assaggio di molti dei copiosi vini prodotti in azienda.

Ecco i più convincenti.

980AD 2015

Fatto con 100% di Cabernet Franc è il cru aziendale, trascorre 24 mesi in barrique e altri 6 mesi in bottiglia. E’ di un bel rubino di media intensità, appena aranciato. Naso intenso ed elegante, molto varietale, con frutta rossa matura, spezie, arbusti aromatici. In bocca è coerente al tipo: morbido e denso, tannino equilibrato, corposo.


Chiave di Saletta Toscana IGT 2015

Sangiovese 50%, Cabernet Sauvignon 20%, Cabernet Franc 20% e Merlot 10%. Rosso scuro con riflessi bluastri, naso compatto che lentamente rilascia una lunga scia di cacao e di caffè. Al palato è pastoso e vellutato, con una sensazione di calore e un finale balsamico.


Chianti Docg 2015

Sangiovese 92%, Cabernet Sauvignon 4% e Merlot 4%. Fermentato in acciaio, fa un anno in botti grandi e in barrique di secondo passaggio. Il colore rubino pieno lascia spazio a un naso asciutto, diretto, molto pulito e quasi croccante, con un bel frutto in evidenza. La stessa piacevole pulizia e linearità si ritrova in bocca, con un finale vibrante, appena ruvido.

Feudi Dei Sanseverino - Moscato di Saracena 2006


di Luciano Pignataro

Un sorso antico di Calabria, non quella calda dello Jonio, ma la fresca e fredda del Pollino. Da Saracena, dove il passito si fa con un antico metodo per lungo tempo anche presidio Slow. 


Il 2006 appare fresco, 
giovane, complesso e infinitamente piacevole.

Gabriele Gorelli ed Istituto Grandi Marchi: alleanza vincente per il primo, e non ultimo, Master of Wine italiano


di Luciano Pignataro

Gabriele Gorelli è il primo Master of Wine italiano: questo risultato straordinario ci deve servire da un lato a fargli i complimenti per aver raggiunto un obiettivo difficile e impegnativo, certamente non alla portata di tutti.
Dall'altro riflettere sul ritardo del sistema italia e sul parziale recupero dovuto alla decisione strategica dell'Istituto Grandi Marchi presieduto da Piero Mastroberardino di diventare partner dell' Institute of Masters of Wine. "Sembra incredibile - ci dice il presidente - che su 418 Master of wine del Mondo solo uno sia italiano nonostante il nostro paese sia il primo produttore al Mondo di vino".

Gabriele Gorelli e Pietro Mastroberardino

Per completare i numeri, Piero Mastroberardino ci inquadra la situazione: attualmente gli italiani impegnati nel riconoscimento sono 18, di cui 2 al primo livello, 7 al secondo e 9 al terzo. Insomma, se tutto va bene, a breve dovrebbero essere ben dieci gli italiani nell'esclusivo club mondiale che determina le scelte del mercato.

I motivi del ritardo? Sicuramente il mondo del vino anglosassone ed i suoi "gusti" non propriamente adattabili ai nostri e la nostra incapacità di inventare un meccanismo del genere. Se a questo aggiungiamo l'egocentrismo francese e l'influenza della critica angloamericana, possiamo considerare un vero miracolo i grandi risultati di export del nostro vino che corre una gara senza turbo da molti anni.


"In estrema sintesi - dice Piero Mastroberardino - 'Istituto Grandi Marchi, notando che l’Italia era l’unico Paese tra quelli che contano nel settore a non avere nemmeno un Master of Wine, ha deciso di investire nel tentativo di colmare questo vuoto. Da qui la partnership con IMW che, in buona sostanza, si è declinato in diverse situazioni. Ma il focus principale è stato sempre quello di fornire ai candidati italiani gli strumenti per riuscire a superare il test finale, estremamente difficile. In pratica IGM ha organizzato, nel corso degli anni, situazioni che ricreassero quanto più fedelmente possibile le condizioni di gara. Quindi i vari test, ma anche la possibilità di provare vini internazionali non facilmente reperibili in Italia".

In sostanza le tappe di avvicinamento sono state queste:

2009 -  L’Istituto del Vino Italiano di Qualità Grandi Marchi (nato nel 2004) diventa il primo e l’unico Major Supporter italiano dell’Institute of Masters of Wine. E’ la prima volta che una compagine italiana intraprende una partnership con questa istituzione internazionale del vino. L’obiettivo è quello di un accrescere l’interesse e l’attenzione dei Masters of Wine al vino italiano e alle sue espressioni territoriali e di favorire l’interesse di giovani professionisti italiani del mondo del vino a questa istituzione, promuovendo l’approccio al severo metodo di studio e alla partecipazione ai corsi per arrivare, al termine del difficile percorso, ad avere Master of Wine italiani. Dal 2009 in poi l’Istituto Grandi Marchi si è adoperato per creare programmi di istruzione in Italia, attività di formazione internazionali e iniziative utili a raggiungere gli obiettivi previsti.

2010 - L’IGM organizza “Diversity of Italy”, una sessione di lavoro dedicata interamente al vino italiano durante l’assemblea annuale dell’IMW. Un evento storico a cui hanno partecipato oltre 80 MW.

2011 - L’IGM presenta ufficialmente la candidatura dell’Italia per l’VIII Simposio internazionale dell’IMW. Il 9 Novembre l’IMW accetta la candidatura italiana e il supporto dei GM per l’organizzazione. Firenze sarà la città ospitante. Nella stessa occasione l’IMW dichiara di voler avviare, per la prima volta in Italia, le master class dell’IMW anche questi organizzati con il supporto dei GM. Sempre nello stesso anno l’IGM (con tutte le cantine presenti) organizza, all’Ambasciata di Londra, un walkaround tasting e un gala dinner esclusivamente dedicati ai MW.

2012 - Tignanello (FI) è la sede della prima Edizione italiana della Masterclass per aspiranti Masters of Wine. A settembre l’IGM bissa l’appuntamento in Ambasciata di Londra con i MW impegnati ad esplorare e a conoscere il vino italiano in un esclusivo walkaround tasting seguita dalla cena di gala.

2013 - Seconda Edizione Masterclass per aspiranti MW italiani presso Michele Chiarlo - La Morra (CN) Terza Edizione Masterclass per aspiranti MW, per la prima volta in Valpolicella presso Masi 15-18 maggio 2014- Firenze VIII Simposio internazionale MW - Identity, Innovation, Imagination sono le linee guida delle 11 sessioni di lavoro alle quali hanno partecipato la comunità dei MW, opinion leader e maker internazionali, oltre agli attori della filiera italiana e estera. Il Simposio, che si tieni ogni 4 anni, si è svolto per la prima volta in Italia e l’istituto ha ricoperto il ruolo Main Sponsor e Coorganizzatore

2015 - Quarta Edizione Masterclass per aspiranti MW - Umbria presso Lungarotti

2016 - Quinta Edizione Masterclass per aspiranti MW – Irpinia presso Mastroberardino

2017 - Sesta Edizione Masterclass per aspiranti MW – Sicilia presso Donnafugata

2018 - Settima Edizione Masterclass per aspiranti MW – Marche presso Umani Ronchi
28 Gennaio: Masterclass internazionale IMW San Francisco

2019 - Ottava Edizione Masterclass per aspiranti MW – Alto Adige presso Alois Lageder


Fondato a Londra nel 1955 l’Institute of Masters of Wine è l’istituzione che, da quasi 60 anni, si occupa di formare i più qualificati ed influenti esperti internazionali di vino. Tra gli obiettivi della prestigiosa accademia londinese: promuovere l’eccellenza professionale, la cultura, la scienza e il business del vino attraverso selezionati e pluriennali programmi di formazione che, ad oggi, hanno portato la comunità dell’Istituto a 418 Master of Wine sparsi in 32 Paesi di cui 149 donne e 269 uomini. Inizialmente attivo nel solo territorio britannico, l’IMW decide a fine anni ’80 di aprire alle candidature di aspiranti MW provenienti da altri Paesi con il debutto, nel 1988, del primo MW australiano. Oggi vi sono 28 MW in Australia, 10 in Canada, 18 in Francia, 15 in Nuova Zelanda, 210 in UK e 56 negli USA.

Insomma, c'è tanta strada ancora da fare, ma Piero Mastroberardino è fiducioso: "Almeno il primo passo è stato fatto, complimenti a Gabriele Gorelli primo master of wine italiano".

Vinitaly posticipato al 2022!

Veronafiere posticipa al 2022 la 54ª edizione di Vinitaly, Salone internazionale dei vini e dei distillati, in calendario dal 10 al 13 aprile del prossimo anno.  «Le permanenti incertezze sullo scenario nazionale ed estero e il protrarsi dei divieti ci hanno indotto a riprogrammare definitivamente la 54ª edizione della rassegna nel 2022 – ha detto Maurizio Danese, presidente di Veronafiere SpA –. Si tratta di una scelta di responsabilità, ancorché dolorosa; un ulteriore arresto forzato che priva il vino italiano della sua manifestazione di riferimento per la promozione nazionale e internazionale. In attesa che lo scenario ritorni favorevole – conclude Danese – Vinitaly continua a lavorare congiuntamente con tutti i protagonisti anche istituzionali del settore, a partire dal ministero delle Politiche agricole e Ice-Agenzia oltre a tutte le associazioni e le categorie, per continuare a supportare la competitività del vino made in Italy sia sul mercato interno che sui Paesi già proiettati alla ripresa, Usa, Cina e Russia in primis».


In quest’ottica, prosegue il ceo di Veronafiere,
 Giovanni Mantovani: «Confermiamo OperaWine con la presenza di Wine Spectator e delle top aziende del settore individuate dalla rivista americana per il 10° anniversario dell’iniziativa che rimane in programma il 19 e 20 giugno prossimo a Verona. L’evento, tutto declinato alla ripartenza del settore, grazie alla partecipazione di stampa e operatori nazionali e internazionali – commenta Mantovani – farà anche da collettore e traino a tutte le aziende del vino che vorranno partecipare a un calendario b2b che Veronafiere sta già approntando». 

Operawine sarà preceduta, sempre a giugno, dal Vinitaly Design international packaging competition (11 giugno) e da Vinitaly 5 Stars Wine The book (16-18 giugno). Mentre la Vinitaly international Academy (21-24 giugno) chiuderà gli eventi estivi in presenza.


Tra le novità anche un evento eccezionale di promozione a forte spinta istituzionale a ottobre prossimo e che traghetterà il settore alla 54ª edizione di Vinitaly nel 2022.  Prosegue Giovanni Mantovani: «Si tratta di Vinitaly-edizione speciale, una manifestazione rigorosamente b2b che segnerà la ripresa delle relazioni commerciali nazionali e internazionali in presenza a Verona dal 16 al 18 ottobre».

«Vogliamo mantenere viva l'attenzione del mon

do sul vino italiano, uno degli ambasciatori più significativi del Made in Italy – afferma, presidente di ICE Agenzia, Carlo Ferro –. Le iniziative messe in campo da Veronafiere per mantenere il file-rouge tra Vinitaly 2019 e 2022, con l’edizione di Vinitaly-edizione speciale e le altre manifestazioni che faremo insieme hanno questo obiettivo. Senza soluzione di continuità, nonostante la pandemia mondiale e grazie all’impiego di nuovi strumenti in chiave di commercio digitale.  Faccio i miei auguri a tutto il team di Veronafiere e ai produttori vinicoli con la convinzione che gli eventi in programma per il 2021 contribuiranno a sostenere l'eccellenza del nostro Paese».


In attesa della ripresa degli eventi fisici nel nostro Paese, Vinitaly prosegue in presenza sui mercati internazionali, a partire dalla Russia con le tappe a Mosca e a San Pietroburgo in programma dal 23 al 25 marzo. Dal 3 al 6 aprile sarà la volta di Vinitaly Chengdu e poi a giugno di Wine to Asia (Shenzhen, 8-10 giugno). E sarà ancora la Cina ad aprire con il road show il calendario estero autunnale di Vinitaly (13-17 settembre) prima di trasferirsi in Brasile per la Wine South America (22-24 settembre). Veronafiere, inoltre, mette a disposizione il proprio know how per realizzare ulteriori eventi di promozione in altri mercati obiettivo per il settore.


La decisone dello spostamento di Vinitaly è stata condivisa con le organizzazioni e associazioni della filiera vitivinicola e agricola. Di seguito, in ordine alfabetico, le dichiarazioni di: Alleanza delle Cooperative Italiane Agroalimentare, Assoenologi, Cia-Agricoltori Italiani, Coldiretti, Confagricoltura, Copagri, Federdoc, Federvini e Unione Italiana Vini (Uiv).


«Prendiamo atto della decisione di posticipare la 54ª edizione di Vinitaly al 2022 – afferma il coordinatore del settore vitivinicolo di Alleanza cooperative agroalimentari, Luca Rigotti –. Una scelta certamente non facile ma che, alla luce dell’attuale situazione sanitaria, è in linea con quanto auspicato dall’Alleanza delle Cooperative Italiane-Agroalimentare. Accogliamo con favore, inoltre, le altre iniziative di promozione proposte da Veronafiere per i prossimi mesi: l’aspettativa è poter entrare finalmente in una fase caratterizzata da un maggiore livello di sicurezza e da minori incertezze per il comparto vitivinicolo, condizioni necessarie anche per poter rilanciare, grazie all’esperienza ed alla competenza di Veronafiere, il settore vitivinicolo a livello internazionale».


Per il presidente di Assoenologi, Riccardo Cotarella «la decisione assunta da Veronafiere di posticipare al 2022 la 54ª edizione di Vinitaly va nella direzione suggerita dalla filiera del vino, ma soprattutto tiene conto del perdurare di una situazione di grave difficoltà generata dall'emergenza pandemica, che non ha ancora trovato una risposta risolutiva nella vaccinazione. Una scelta di responsabilità che condividiamo ampiamente, così come siamo pronti a sostenere le altre iniziative, annunciate da Veronafiere e messe in calendario sia per il prossimo giugno, che per l'ottobre. È necessario da parte del mondo del vino farsi trovare pronto al giorno della ripartenza dei mercati e quindi è molto importante tenere alta l'attenzione anche con manifestazioni capaci di creare relazioni nazionali e internazionali e interesse verso il nostro settore. Ma ancora più importante sarà il sostegno che il governo italiano e l'Europa sapranno mettere in campo a favore dell'intero agroalimentare che, dopo oltre un anno di pandemia, sta accusando il peso della crisi al pari degli altri settori dell'economia nazionale».


«Siamo a fianco di Veronafiere per continuare a sostenere il settore, tutte le aziende e i produttori che ogni giorno contribuiscono a rendere il vino una delle eccellenze del Made in Italy riconosciuta in tutto il mondo – dice presidente nazionale di Cia-Agricoltori Italiani, Dino Scanavino –. La pandemia ancora morde e costringe a un ulteriore rinvio degli eventi in presenza, ma siamo pronti a lavorare insieme al Vinitaly per supportare, in questa fase difficile, un comparto prezioso per l’agroalimentare con una produzione del valore di circa 12 miliardi di euro e una reputazione imbattibile».

«Lo spostamento del Vinitaly è un atto dovuto per consentire la partecipazione anche degli operatori stranieri e sostenere il successo del prodotto agroalimentare made in Italy più esportato nel mondo dove, nonostante la pandemia, il vino ha fatturato 6,3 miliardi di euro nel 2020» afferma il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, nel sottolineare l’importanza del programma dei prossimi appuntamenti di Veronafiere a partire da OperaWine.


«La decisione di Veronafiere, benché dolorosa, va nella giusta direzione – commenta presidente Confagricoltura, Massimiliano Giansanti –. Apprezziamo in particolare la capacità di resilienza e di proposta variegata in un momento molto difficile per il comparto vino. Confagricoltura dà pieno appoggio a Veronafiere e all’intero settore fieristico agroalimentare nazionale. Siamo convinti che occorra sostenere la validità del sistema italiano ed evitare pericolose aperture ad altre realtà internazionali. Riteniamo inoltre che la Fiera di Verona, con le sue attività e il Vinitaly, sia un validissimo strumento di promozione e di immagine per tutto il comparto vitivinicolo italiano. Auspichiamo pertanto di ripartire a pieno ritmo nel 2022, dando ampio risalto alle iniziative in programma da oggi fino alla prossima edizione del Vinitaly, insieme alle nostre imprese che fanno grande nel mondo l’Italia del vino».


Per il presidente di Copagri, Franco Verrascina, «la scelta di Veronafiere, seppure dolorosa, conferma la serietà dell’ente fieristico e la volontà di sostenere i viticoltori al meglio in questo momento critico. Ci mettiamo a disposizione per collaborare ed essere al fianco di Veronafiere nel programmare sia la 54ª edizione di Vinitaly che per l’evento speciale di ottobre, dando un segnale al mondo vitivinicolo per la promozione e valorizzazione dei grandi vini italiani».

«È un grande dispiacere l’annuncio del rinvio, ma la realtà della pandemia non lascia spazio ad ipotesi alternative: abbiamo difficoltà a programmare viaggi e contatti, avremmo difficoltà nell’accogliere gli ospiti negli stand – afferma Sandro Boscaini, presidente di Federvini – ma il secondo rinvio amplia il vuoto che Vinitaly lascia. Abbiamo necessità di contatti internazionali, abbiamo necessità di presentare i nostri prodotti e restare in contatto con il grandissimo numero di operatori nazionali ed internazionali che affluivano a Verona. Siamo certi che l’esperienza e la professionalità di Vinitaly, con l’aiuto di ICE Agenzia, possano essere di grandissimo aiuto per le nostre Imprese, con formule e proposte da studiare rapidamente insieme».


«Comprendiamo e condividiamo le ragioni che hanno portato Veronafiere al rinvio della manifestazione di riferimento per il vino italiano – spiega il presidente di Unione Italiana Vini (Uiv), Ernesto Abbona –. Riteniamo però che sia fondamentale in questo difficile momento tenere acceso il motore della promozione e perciò appoggiamo l’intenzione di Vinitaly di sostenere il settore anche nel corso di quest’anno attraverso l’organizzazione di eventi mirati in favore del business e dell’immagine internazionale del vino tricolore».


«Non posso che rimarcare il dispiacere di dover rinunciare anche quest’anno al Vinitaly, la principale manifestazione di riferimento del settore vinicolo italiano – commenta il presidente di Federdoc, Riccardo Ricci Curbastro –. Una manifestazione ricca di eventi, rassegne, degustazioni e workshop mirati all'incontro degli espositori con gli operatori del settore nazionali ed internazionali, che ha contribuito al successo del vino italiano nel mondo ricordando che il settore enologico è uno dei pilastri del successo del made in Italy nel mondo. Chiediamo al Governo di considerare il grande danno economico che questa decisione comporta e di prevedere aiuti concreti per mantenere alta la competitività internazionale del nostro settore fieristico».