Podere Alberese - Chianti DOCG "A Vento e Sole" 2014 è il Vino della settimana di Garantito IGP

Di Stefano Tesi


Nessuno è profeta in patria: né il sottoscritto, a cui questo piacevolissimo, generoso e profumato Chianti (Sangiovese 90% e Foglia Tonda 10%), affinato solo in acciaio, viene fatto da anni praticamente sotto il naso, né i produttori, che non a caso sono di Monza e dal 2003 sono nelle Crete Senesi a fare gli agricoltori.

Podere Alberese
Loc. Casabianca
53041 Asciano (SI)
T.: +39-0577-705089, +39-0577-704572
F.: +39-0577-704572

Alla scoperta della Fattoria Le Caprine - Garantito IGP

Di Stefano Tesi
 
Il mai abbastanza compianto Kyle Phillips mi diceva sempre, scherzando ma non troppo, che dovevo essere fissato coi formaggi. E aveva ragione.
E’ stato infatti un mese fa, in occasione della consegna, a Certaldo Alto, del premio dedicato dall’Aset alla sua memoria (e destinato al giornalista enogastronomico under 35 più anticonformista dell’anno, andato per il 2017 a Indra Galbo del Gambero Rosso) che ho avuto l’opportunità di incontrare tre giovani “pastori”, anzi allevatori di capre, che dai paesi natii in Lombardia e Piemonte sono finiti a lavorare nientepopodimento che a Gambassi, nella profonda campagna fiorentina. Dove fanno formaggi superlativi.
Già il posto mi era simpatico, perché la famiglia di mia madre ci andò sfollata durante l’ultima guerra e la mia memoria è piena del ricordo di aneddoti di pagliai, bombardamenti e di un’Italia rurale che non c’è più.


Ma ancor più simpatici mi sono subito rimasti i tre casari e, massime, i loro caprini. Dei quali in particolare uno, quello stagionato al finocchietto, mi aveva letteralmente conquistato: perfetto rapporto tra pasta e buccia, piacevole anche al tatto, una fragranza prolungata con corrispondenza oronasale che si espande in bocca e ti accompagna senza mai risultare invadente, un gusto deciso come si conviene ma anche gentile, netto, armonico e ricco.
Allora ho deciso di andare a fondo e ho scoperto una storia che meritava di essere raccontata.


I giovani pastori sono innanzitutto del genere 2.0, cioè laureati in agraria, con specifica esperienza appunto nell’allevamento delle capre. Si chiamano Michela Bisanzio, Matteo D’Agostino e Raffaele D’Agostino. Cercavano il classico posto giusto per avviare un’attività del settore del formaggio di qualità e il caso li ha aiutati: solita ricerca, trafila di annunci su internet, esplorazioni qua e là fino all’incontro fatale con una vecchia fattoria in Valdelsa con un po’ di bosco, una decina di ettari di seminativo, 200 olivi e un ettaro di vigna di Chianti vecchia di ottant’anni. I romantici direbbero che lì è scattato il colpo di fulmine, i cinici che sono scattate le rate del mutuo. Il cronista, verificate le fonti, dice che sono scattati tutti e due e, giusto un anno fa, l’avventura è cominciata. Nome prescelto (poteva essere altrimenti?): “Fattoria Le Caprine”.


Attualmente abbiamo 40 capre, tutte Camosciate delle Alpi in purezza, e una ventina di agnelli, ma l’idea è di incrociarle in futuro con razze più mediterranee, per assecondare i cambiamenti climatici a cui stiamo andando incontro", spiega Michela. "Da poco abbiamo preso anche una decina di pecore massesi. Alleviamo il bestiame col metodo del pascolo razionale, cioè realizzando piccolissimi recinti mobili elettrificati dove gli animali stazionano non più di qualche ora al giorno. In questo modo, grazie alle deiezioni, contiamo, piano piano, di arricchire il terreno impoverito dalle monocolture dei cereali”.
Nel caseificio ricorrono a due tipi di lavorazione. Quella all’italiana, da cui ricavano un ottimo cacio a crosta rossa, tipo taleggio, e la cosiddetta lavorazione lattica, di stile francese, che rispetta di più l’acidità del latte e dà prodotti più delicati.
E qui casca l’asino. O meglio, la capra.


Perché, oltre a quello al finocchietto già menzionato, i nostri amici fanno anche il formaggio alle cipolline, alle bacche di sambuco e alla scorza di arancia. Davvero notevoli, tutti. Produzioni limitatissime, da intenditori. Per assaggiare le quali loro stessi, vista la per ora scarsa reperibilità del prodotto, raccomandano la cosa più semplice: andare in fattoria, visitare il caseificio, accarezzare le caprette e poi passare alla degustazione: “Proprio in questi giorni otterremo la licenza agrituristica e, oltre agli assaggi del formaggio, potremo offrire ai visitatori pranzi caserecci, il nostro olio e il vino della nostra vecchia vigna”, conclude Michela.

Siccome dire a un pastore in bocca al lupo rischia di passare, visti i tempi che corrono, per menagramo, allora diremo loro “in bocca alla capra”.


Fattoria Le Caprine
Via Varna 123, Gambassi Terme (FI)
Tel. 349 1896171 o 331 4199690
fattorialecaprine@gmail.com

Domaine Labet a Rotalier: tutto il bello del Jura a portata di bicchiere

Rotalier è un villaggio (non ho trovato sinonimo migliore) composto da 173 anime e da un pugno di casette localizzato nella parte sud dell'AOC Côtes du Jura. In questo fazzoletto di territorio nell'est della Francia è localizzata la piccola cantina di degustazione del Domaine Labet varcata la quale, tra vecchie bottiglie, giornali e panche di legno, mi aspetta Julien Labet, terzo di tre fratelli (gli altri sono Charline e Romain) che da qualche anno hanno preso le redini dell'azienda fondata dai loro genitori Alain e Josie che nel 2012 si sono dichiarati ufficialmente pensionati.
Julien Labet - Foto: jurawine.co.uk
Julien, mentre rimette a posto le tante bottiglie usate per una precedente degustazione, mi spiega che nel 1997 ha iniziato a lavorare nella piccola impresa di famiglia, che produce vino a Rotalier fin dagli anni '70, dopo aver fatto esperienza come enologo prima in Sud Africa e poi nella vicina Borgogna. A quel tempo la sua idea di viticoltura era leggermente diversa da quella suo padre che, tradizionalmente, portava avanti una filosofia agronomica non del tutto naturale.

"In realtà - mi spiega Julien - quando nel 1974 mio papà iniziò a produrre vino, tentò assieme a Pierre Overnoy e Jean Macle di Château-Chalon di coltivare la vigna organicamente ma, visto il clima qua in Jura e gli investimenti fatti, ebbe tremendamente paura di perdere il raccolto per cui, sempre in maniera ragionata e in piccolissime dosi, ha iniziato ad usare prodotti chimici.....".


E' per questo motivo che nel 2003 Julien decide di invertire la marcia e lo fa prendendosi tre ettari di vigna tutta per sé che man mano verrà coltivata in maniera biologica, ovvero senza uso di fertilizzanti ed insetticidi, ricevendo nel 2010 la certificazione ECOCERT. 

Questa scelta, inizialmente, ha fatto sì che sul mercato uscissero vini con etichetta Domaine Labet (supervisionati da Alain) e vini a marchio Domaine Julien Labet (Les Vins de Julien) che sempre più spesso trovarono apprezzamento all'interno delle fiere naturali (la più importante in Jura è “Le Nez dans Le Vert).

interno cantina
Oggi, fortunatamente, questa confusione è stata eliminata visto che tutti gli altri 10 ettari di vigneto del Domaine si stanno progressivamente convertendo al biologico andando incontro alla filosofia di Julien che tende a valorizzare l'importantissimo patrimonio ampelografico dell'azienda diviso in 45 parcelle ripartite su 4 comuni e 13 "lieux dits" dove vengono coltivate vecchie viti di chardonnay (66%), savagnin (17%), poulsard (8%) pinot noir (6%), trousseau (1%) e gamay (1%) che possono raggiungere anche i 100 anni di età.

Julien nelle vigne. Foto: Sarfati.it

La caratteristica principale del Domaine Labet è che ogni parcella viene vinificata separatamente in modo da poter far esprimere al massimo il terroir di provenienza. Un approccio simile ai vini di Borgogna che porta Julien a vinificare mediamente diciotto cuvée di cui dodici da vini bianchi (maggioranza savagnin) e le altre sei da vini rossi. 

In cantina si cerca di lavorare il più naturale possibile per cui, come mi spiega Julien mentre mi versa il primo vino, la fermentazione si avvale dell'uso di lieviti indigeni con una affinamento, per la maggior parte delle cuvée, effettuato sulle fecce fini (sur lie) in botti di rovere da 228 litri di almeno quattro anni di età (si arriva anche a quindici). I vini ottenuti, inoltre, non sono né chiarificati né filtrati. L'unico prodotto che viene aggiunto, in dosi molto basse, è un po' di solforosa al fine di permettere ai vini di essere trasportati senza problemi. L’imbottigliamento avviene in primavera quando i vini sono freddi e limpidi.


E' il momento di degustare qualcosa assieme e, come da tradizione giurassiana, iniziamo con i rossi. Il primo servito è il Poulsard "En Billat" 2016 (100% poulsard) proveniente da vecchie viti piantate nel 1898, nel 1955 e nel 1988 con esposizione est su terreno composte da marne del Lias e ardesia. Il vino, che affina cinque mesi in botti da 228 litri, è leggiadro e sa di fragolina e agrumi e si caratterizza da un finale sapido e deciso. 


Il Trousseau 2016 (100% trousseau), selezione di parcelle localizzate nei dintorni di Rotalier piantate su terreno di argilla rossa e calcare, è speziato, graffiante e decisamente gastronomico per versatilità. Affinamento: 5 mesi in botti di rovere da 228 litri.


Il Métis 2016 (35% gamay, 22% poulsard, 10% trousseau, 18% pinot noir, 15% vecchi viti a bacca rossa locali) è un  mix di vitigni locali vinificati separatamente che danno vita ad un vino inebriante e dalla bevibilità compulsiva. Affinamento: 5 mesi in botti di rovere da 228 litri.


Passiamo ai bianchi. Con Julien, inizialmente, abbiamo degustato un Fleur de Savagnin "En Chalasse" 2015 (savagnin 100%) prodotto a partire da savagnin jaune e vert (selezione massale e clonale) derivante da vigne del 1989 e 2003 piantate su marne blu del Lias con esposizione sud. Il vino, complice anche l'annata calda, è ha un naso ricco di frutta e un sorso in cui la leggera ossidazione del vino termina con una persistente nota di frutta secca e toni salati. Affinamento: 12 mesi in legno grande da 12 hl e botti da 228 l.


Lo Chardonnay "En Chalasse" 2015 (100% chardonnay) è stato proposto per le opportune comparazioni. Lo chardonnay, in questo caso, proviene da due vitigni del 1950 e del 1985 piantati su terreno di marne blu del Lias con esposizione ovest. Il vino rispetto al precedente è più rotondo, grasso, marcato negli agrumi e nei fiori gialli. Sorso coerente ed appagante. Affinamento: 12 mesi in legno grande da 12 hl e botti da 228 l.


Lo Chardonnay "Les Champs rouges" (100% chardonnay) proviene da vigne piantate nel 1967 e nel 1979 su terreno, lo dice anche l'etichetta, formato prettamente da argille rosse. Il vino, essenza del suo terroir, è deciso, austero, minerale in ogni suo atomo. Bel vino! Affinamento: 12 mesi in legno grande da 12 hl e botti da 228 l.


Lo Chardonnay "La Reine" 2015 (100% chardonnay) proviene da vecchie viti di chardonnay del 1947 piantate su terreno composto da marne rosse e calcare. Rispetto al precedente, al quale può essere paragonato, è più profondo, complesso e all'architettura minerale si aggiungono anche importanti intarsi sapidi che aggiungono slancio e dinamismo a questo vino davvero completo.  Affinamento: 12 mesi in legno grande da 12 hl e botti da 228 l.


Les Singuliers 2013 (80% chardonnay, 20% savagnin) è il primo "vin de voile" degustato con Julien e proviene da due parcelle molto vecchie visto che hanno oltre 60 anni di età. Il vino è molto tipico, giurassiano nelle tradizionali note di frutta a guscio verde, vegetali e mela cotogna. Diretta e molto tonica la bocca. Affinamento: 3 anni in legno di cui 2 sotto "voile".


Lo Chardonnay du Hasard 2013 (100% chardonnay) proviene da una piccola parcella di chardonnay di oltre 65 anni. Rispetto al precedente ha una maggiore complessità in quanto alle classiche note di mallo di noce e mandorla tostata si aggiungono intense fragranze di legni nobili, orzo e camomilla secca. Sorso intenso sfuma con intensa sapidità su sensazioni di frutta cotta e caramello tostato. Affinamento: 4 anni di legno di cui 3 sotto "voile".

L'ultimo vino degustato è Le Paille Perdue che da sempre viene prodotto come faceva il bisnonno di Julien Labet ovvero selezionando i migliori grappoli di chardonnay e savagnin posti ad essiccare per circa 4-6 mesi. Le uve così disidratate sono poi pigiate ottenendo un mosto molto dolce (oltre 400 grammi di zucchero per litro) che fermenterà, con l'ausilio dei lieviti indigeni, per circa due anni per affinare successivamente in vecchie botti di legno da 228 litri per altri 36/48 mesi prima di passare in bottiglia. Questo procedimento di vinificazione, più lungo della media grazie anche all'uso dei lieviti indigeni, difficilmente determinerà un grado alcolico di 14% vol. per cui questo vino non potrà essere venduto sotto l'appellativo di Vin de Paille ma utilizzando nomi commerciali. Fatta questa opportuna precisazione, questo Le Paille Perdue rappresenta uno straordinario nettare dove gli zuccheri residui (circa 200 g/l) sono perfettamente bilanciati da una acidità vibrante e da un respiro sapido che donano un equilibrio esaltante per un vino del genere la cui persistenza aromatica su ricordi di frutta secca, olive secche ed origano, è un'esperienza talmente esaltante che di questo vino ne ho ordinato due cassette. 


Vi ho detto tutto, alla prossima e se passate in Jura non potete mancare Domaine Labet!

Flavio Roddolo - Dolcetto d'Alba Superiore 2011

Di Luciano Pignataro

Il barolista Flavio Roddolo ha sempre amato tanto il Dolcetto. Tra i primi ad insistere sulla possibilità di allungare i tempi di assaggio. Per me ha il giusto rapporto tra il corpo e la sensazione di facile beva che non lascia insoddisfatto nemmeno ad un agnello vero che ha brucato in Irpinia. 


Montanaro il produttore, montanaro il pastore. Nord e Sud, alè, combinazione perfetta.

Amore Primitivo: dieci etichette (più una) del rosso pugliese che fa impazzire gli italiani - Garantito IGP

di Luciano Pignataro

Si legge Sud e si pronuncia Primitivo. Di Manduria o di Gioia del Colle poco importa agli occhi degli appassionati. Il fatto è che questo rosso, molto problematico sino a qualche anno fa, è dientato la punta di diamante dell'enologia pugliese e del Sud. Non è solo una questione di successo commerciale, ma anche di una grandissima ripresa qualitativa che ha ripulito il frutto, puntato sulla freschezza senza indulgere troppo sul dolce. Vini potenti, muscolari senza dubbio, ma anche scattanti e agili nonostante l'eccesso materico che ci si ritrova nel bicchiere. Una gara ad alzare l'asticella che vede alcuni protagonisti in prima fila.

Una amica produttrice alla mia domanda ipotetica: chissà come evolve nel tempo...ha risposto con ironia: basta che guardi gli Amarone della Valpolicella. Battute a parte, quando arrivano i Primitivo in batteria i degustatori alzano l'attenzione invece di smadonnare come accadeva alle prime edizioni di Radici.
Beh, adesso vi presento i miei Primitivo che vi possono servire per entrare in questo mondo. Dimenticherò qualcuno, ma il bello del vino è la scoperta del non detto, mentre quella del web è l'insulto quando non si è d'accordo.
A scanso di equivoci vi dico che i bonifici dei citati sono arrivati tutti :-)

Es 2015 Salento igt - Gianfranco Fino

Alcuni dicono che sia il migliore di sempre. Certo legno, frutto, acidità, alcol e tannini sono in un equilibrio perfetto. Lo citiamo per primo perché l'Es di Gianfranco e Simona è stato il primo grande vino evento di cui la Puglia aveva tanto bisogno dopo l'età dell'oro di Severino Garofano. Con una differenza: che questo rosso è figlio del 2.0 e , soprattutto, la punta dell'iceberg di una fenomeno di costante e incredibile miglioramento della produzione di vino. Vigne ad alberello, attenzione alle compatibilità ambientali. Imperdibile. Sui 45 euro. www.gianfrancofino.it


Old Vines 2014 Tarantino igt - Morella

Da una coppia all'altra, sempre ad alberello che, lo ricordiamo, difficilmente supera i 20 quintali di resa per ettaro. Lisa Gilbe e Gaetano Morella hanno sposato la filosofia biodinamica, dalla educazione dei figli alla produzione del vino, e la loro azienda a Manduria è anche certificata. Una bottiglia che legge in modo moderno il Primitivo, scattante, piacevole, ampio. Sicuramente anche con buone prospettive di crescita. Sui 40 euro. www.morellavini.it

Fatalone 2013 Primitivo di Gioa del Colle Riserva - Fatalone Pasquale Petrera

Un vino, una leggenda lunga cinque generazioni che adesso vede il timone in mano a Pasquale. Qui ci siamo spostati a Gioia, l'azienda mantiene attenzione alla sostenibilità ambientale e i suoi fini sono praticamente terni come hanno dimostrato più di una verticale. Uno stile meridionale, di potenza, di frutta e di alcol, ma è materia bevibile perché la freschezza resta il presupposto di partenza per la lavorazione. Risultato: un rosso di carattere, molto buono. Sui 20 euro. www.fatalone.it

Primitivo Gioia del Colle 2011 Riserva - Tenute Chiaromonte

Nicola Chiaromonte è uno dei Primitivo Boys che ha dato una spinta necessaria e indispensabile per fare uscire questo rosso dal ghetto e dalle cisterne. Lo ha fatto con una precisione maniacale, un fare artigiano che non lascia concessioni, come questo riserva, l'ultimo in commercio, che esprime al massimo tutte le doti del Primitivo di Gioia del Colle perchè abbina alla frutta e all'alcol la sostenibilità della bella acidità. Legno dosato alla perfezione. Da alberelli. Sui 10 euro. www.tenutechiaromonte.com

Vincenzo Latorre 2011 Primitivo Gioia del Colle Riserva - Cantine Imperatore

Ancora poco conosciuta questa piccola azienda ad Adelfia in provincia di Bari che ha da poco scapolato i dieci anni, fondata da Sonia Imperatore e Vincenzo Latorre. Questo rosso si esprime con molta eleganza e maturità, a distanza di sei anni ha trovato un equilibrio, il frutto è croccante, fresco, di grande fascino. Una bellissima interpretazione proposta in solo tremila bottiglie. Da non perdere. Sui 31 euro. www.cantineimperatore.com

16 Primitivo Gioa del Colle 2014 - Polvanera

Anche Filippo Cassano è un Primitivo Boys, però in questa sede confessiamo la nostra passione per i suoi bianchi. La materia messa a punto nel cuore vitivinicolo è esuberante, immensa, eruttiva quasi. Un rosso che non stai mai fermo, complesso e interessante al naso, sicuramente molto intrigante. Il pregio di questa edizione è, come in tutti quelli che stiamo segnalando, la freschezza assoluta che consente di bere senza mai stancarsi. Sui 25 euro. www.cantinepolvanera.com

Primitivo di Manduria Riserva 2011 - Attanasio

Domanda, c'è qualche appassionato che non adora il passito Dolce Naturale? Nessuno. Però qui ci manteniamo sui secchi ed ecco allora la riserva di questa azienda che poco meno di vent'anni di attività. Una scommessa che Giuseppe Attanasio, seguito dai figli, ha sempre voluto giocare sul filo della tradizione, con un rosso esuberante senza mediazioni, spudoratamente ricco di sentori fruttati e balsamici, in buon equilibrio e comunque sempre molto bevibile. Un rosso da spendere su piatti veri. Sui 30 euro. wwww.primitivo-attanasio.com

Tradizione del Nonno 2013 Primitivo di Manduria - Vinicola Savese

La tradizione dura e pura, a cominciare dall'uso dei Capasoni, gli otri di creta tipici pugliesi, per la famiglia Pichierri che ha fatto la storia del Primitivo di Manduria a cominciare dal secondo Dopoguerra. Anche qui abbiamo un Dolce Naturale di tempra straordinaria, noi segnaliamo questo rosso prodotto in circa 6500 bottiglie. Tradizione del Nonno matura parte in capasoni, parte in contenitori vetrificati interrati. Il risultato è un vino di carattere, decisamente alcolico ma anche fresco. Un vino da attendere ancora, forse un po' troppo giovane, ma che apre al mondo di una tecnica ancestrale. Sui 15 euro. www.vinipichierri.com


Sessantanni 2014 Primitivo di Manduria doc - Cantine San Marzano

Va bene, forse la bottiglia è da sollevamento pesi e l'uso dei legni un po' stile anni '90. Però dobbiamo dire che la materia selezionata da questa cantina leader del territorio è talmente potente e che il vitigno così generoso di note di frutta, da regalare un risultato più che apprezzabile. In ogni caso completa la scala interpretativa del Primitivo che come avete visto è molto ampia e per certi versi contrapposta. Un rosso elegante ottenuto da vecchie vigne, molto ben eseguito. Sui 30 euro. www.cantinesanmarzano.com

Volere Volare 2015 - Pietraventosa

Una nuova direzione su cui muovere il Primitivo. Torniamo a Gioia del Colle, e in questo caso la giovane cantina di Marianna Annio e Raffaele Leo lancia un rosso sostanzialmente giovane, fresco, non pesante. Un anno in acciaio e uno in botte sono i pilastri del protocollo di produzione di una azienda che ha puntato tutto su questo vitigno nella piccola proprietà non lontana dal paese. Un rosso dunque di nuova concezione, che presenta il Primitivo in modo più smart attraverso un approccio simpatico e leggero. Sui 19 euro. www.pietraventosa.com

Fuori Regione

Monacello 2015 Primitivo Matera doc - Tenuta Parco dei Monaci


Ed eccoci a Matera, terra di...primitivo. Già perché siamo a ridosso di Taranto e vicini a Gioia del Cole. In questa bella azienda lavora Vincenzo Mercurio, poliedrico enologo campano. Il rosso nasce nella campagna a ridosso della città, poco meno di 15mila bottiglie con il vino maturato in tonneau per circa un anno. Più agile e scattante dei "cugini" pugliesi, il Monacello rappresenta sicuramente la bottiglia più identitaria dell'azienda materana. Sui 15 euro. www.tenutaparcodeimonaci.it

Piemonte: i Tre Bicchieri 2018 Gambero Rosso

La tendenza che si sta delineando ormai da anni si conferma anche nell'edizione 2018 della Guida: sono tanti i vitigni e tante le zone che si stanno ribellando allo strapotere del Barbaresco e soprattutto del Barolo.
A una rapida lettura dell'elenco dei premiati piemontesi, il primo dato che salta all'occhio è il numero di bianchi - secchi e dolci o ancora fermi, frizzanti e spumanti - che hanno ottenuto i Tre Bicchieri. Delle 77 perle regionali di Vini d'Italia 2018 ben 15 sono bianche, ovvero quasi il 20% del totale. Con le vendemmie 2016 e 2015, che hanno regalato ottimi risultati per quasi tutte le tipologie assaggiate, tornano alla ribalta l'uva timorasso che sfoggia un tris di Tre Bicchieri, con il dissidente Walter Massa, ormai da anni fuori denominazione, e con la piacevole la novità di Cascina Salicetti. Un'altra bella sorpresa ci arriva dal cortese che, sulle colline di Gavi, spicca il volo con 3 premiati, tra i quali ben 2 neofiti. Il Moscato, decano dei bianchi subalpini, conferma il tris dello scorso anno, nel quale rientra per la prima volta l'azienda che più ha operato nel mondo per diffonderne l'immagine di qualità, quella di Paolo Saracco. Il Canavese conserva una valida e crescente produzione di bianco e piazza ben due etichette sul gradino più alto del podio. Il risultato più bello, anche perché arriva dopo una lunga attesa, è la consacrazione dell'Arneis, al quale è sempre mancato malgrado l'indubbio successo di pubblico il placet della critica. Con 2 Tre Bicchieri ad aziende già affermate nella produzione di vini rossi, il Roero Arneis entra finalmente nel Gotha del vino italiano.
Il Barolo conferma la sua posizione dominante con 30 Tre Bicchieri, anche grazie alla concomitanza di diverse annate favorevoli, guidate dall'austera e classica 2013. Il Barbaresco ci rammenta, invece, come nella sfortunata vendemmia 2014 l'uva nebbiolo ha raggiunto risultati inimmaginabili altrove o con altri vitigni. Il risultato che più inorgoglisce la regione è il gran numero di aziende - nuove o storiche, piccole o grandi, bianchiste o rossiste, dal Canavese al Tortonese, dal Gavi all'Alto Piemonte - che conquistano per la prima volta i Tre Bicchieri.

I vini del Piemonte premiati con Tre Bicchieri

Alta Langa Brut Zero Nature Sboccatura Tardiva ’11 - Enrico Serafino
Barbaresco Albesani S. Stefano Ris. ’12 - Castello di Neive
Barbaresco Crichët Pajé ’08 - Roagna
Barbaresco Maria di Brün ’ - Ca' Rome'
Barbaresco Martinenga Camp Gros Ris. ’12 - Tenute Cisa Asinari dei Marchesi di Grésy
Barbaresco Montaribaldi ’13 - Fiorenzo Nada
Barbaresco Nervo ’14 - Rizzi
Barbaresco Ovello ’13 - Cantina del Pino
Barbaresco Ovello ’14 - Cascina Morassino
Barbaresco Pajoré ’14 - Sottimano
Barbaresco Rabajà ’13 - Bruno Rocca
Barbaresco Roncaglie ’14 - Poderi Colla
Barbaresco Serraboella ’13 - F.lli Cigliuti
Barbaresco Sorì Tildin ’14 - Gaja
Barbaresco Vallegrande ’14 - Ca' del Baio
Barbera d'Asti Bricco dell'Uccellone ’15 - Braida
Barbera d'Asti Sup. Epico ’15 - Pico Maccario
Barbera d'Asti Sup. Nizza Riserva della Famiglia ’09 - Coppo
Barbera d'Asti Sup. Sant' Emiliano ’15 - Marchesi Incisa della Rocchetta
Barbera d'Asti Sup. V. La Mandorla ’15 - Luigi Spertino
Barbera del M.to Giulin ’15 - Giulio Accornero e Figli
Barolo ’13 - Bartolo Mascarello
Barolo Bricco Rocche ’13 - Ceretto
Barolo Brunate ’13 - Enzo Boglietti
Barolo Brunate ’13 - Giuseppe Rinaldi
Barolo Cerretta V. Bricco ’11 - Elio Altare - Cascina Nuova
Barolo del Comune di Barolo Essenze ’13 - Vite Colte
Barolo Falletto V. Le Rocche Ris. ’11 - Bruno Giacosa
Barolo Gabutti ’13 Gabutti - Franco Boasso
Barolo Ginestra Ris. ’09 - Paolo Conterno
Barolo Lazzarito Ris. ’11 - Ettore Germano
Barolo Monfortino Ris. ’10 - Giacomo Conterno
Barolo Monprivato ’12 - Giuseppe Mascarello e Figlio
Barolo Monvigliero ’13 - F.lli Alessandria
Barolo Ornato ’13- Pio Cesare
Barolo Paiagallo Casa E. di Mirafiore ’13 - Fontanafredda
Barolo Ravera Bricco Pernice ’12 - Elvio Cogno
Barolo Resa 56 ’13 - Brandini
Barolo Ris. ’10 - Giacomo Borgogno & Figli
Barolo Ris. ’11 - Paolo Manzone
Barolo Rocche dell'Annunziata Ris. ’11 - Paolo Scavino
Barolo Sarmassa V. Bricco Ris. ’11 - Giacomo Brezza & Figli
Barolo Sarmassa V. Merenda ’10 - Giorgio Scarzello e Figli
Barolo Sottocastello di Novello ’12 - Ca' Viola
Barolo V. Lazzairasco ’13 - Guido Porro
Barolo V. Rionda ’10 - Figli Luigi Oddero
Barolo V. Rionda Ester Canale Rosso ’13 - Giovanni Rosso
Barolo V. Rionda Ris. ’11- Massolino
Barolo Vignarionda ’13 - Terre del Barolo
Barolo Villero ’13 - Brovia
Barolo Villero Ris. ’09 - Vietti
Boca ’12 Le Piane Bramaterra ’12 - Noah
Colli Tortonesi Timorasso Fausto ’15 - Vigne Marina Coppi
Colli Tortonesi Timorasso Ombra di Luna ’15 - Cascina Salicetti
Costa del Vento ’15 - Vigneti Massa
Dogliani Papà Celso ’16 - Abbona
Dolcetto di Ovada ’15 - Tacchino
Erbaluce di Caluso ’16 - Podere Macellio
Erbaluce di Caluso Le Chiusure ’16 - Benito Favaro
Gattinara Osso San Grato ’13 - Antoniolo
Gattinara Ris. ’12 - Giancarlo Travaglini
Gavi del Comune di Gavi GG ’15 - Cantina Produttori del Gavi
Gavi del Comune di Gavi Monterotondo ’15 - Villa Sparina
Gavi V. della Rovere Verde Ris. ’15 - La Mesma
Ghemme V. Pelizzane ’11 - Torraccia del Piantavigna
Grignolino del M.to Casalese ’16 - Vicara
Marcalberto Extra Brut Millesimo2Mila12 M. Cl. ’12 - Marcalberto
Moscato d'Asti ’16 - Paolo Saracco
Moscato d'Asti Canelli Sant'Ilario ’16 - Ca' d' Gal
Moscato d'Asti Casa di Bianca ’16 - Gianni Doglia
Nizza La V. dell'Angelo ’14 - Cascina La Barbatella
Roero Arneis Cecu d'la Biunda ’16 - Monchiero Carbone
Roero Arneis Le Rive del Bricco delle Ciliegie ’16 - Giovanni Almondo
Roero Gepin ’13 - Stefanino Costa
Roero Valmaggiore V. Audinaggio ’15 - Cascina Ca' Rossa
Ruché di Castagnole M.to Laccento ’16 - Montalbera

Il Greco di Tufo, quello buono, lo trovate da Tannico!

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Il Greco di Tufo, vino bianco prodotto in provincia di Avellino, da sempre rappresenta un’eccellenza enologica prodotta a partire dal vitigno greco il cui nome dichiara apertamente le origini geografiche e storiche, in principio era chiamato Aminea Gemina: Aristotele riteneva che il vitigno delle Aminee arrivasse dalla Tessaglia, terra di origine degli Aminei, popolo che colonizzò la costa napoletana ed impiantò questo pregiato vitigno sui pendii fertili del Vesuvio. Ne testimonia la remota presenza sul vulcano un affresco 8 ritrovato nell’antica Pompei risalente al I secolo a.c., dove viene chiaramente nominato il vino “greco”. Plinio il Vecchio invece ne conferma il pregio scrivendo: “In verità il vino Greco era così pregiato che nei banchetti veniva versato una sola volta”.

Vitigno Greco di Tufo. Foto: Vinitaly Wine Club
Il rapporto stretto tra il vitigno greco e Tufo inizia però in tempi più recenti quando, tra la fine del 1800 e gli inizi del secolo scorso, cominciò ad essere coltivato nelle zone interne dell’Irpinia, in particolare all’interno della Valle del Sabato, caratterizzato dalla presenza terreni argillosi, sabbiosi o calcaree di origine vulcanica, ricchissimi di sostanze minerali tra cui lo zolfo che, grazie alle miniere Di Marzo, venne estratto per moltissimo tempo nel comune di Tufo giovando allo sviluppo dell’attività vitivinicola dell’intera provincia grazie anche alla costruzione della prima strada ferrata d’Irpinia, da lì a poco chiamata propriamente “ferrovia del vino”, che collegava i migliori e maggiori centri di produzione vinicola delle Colline del Sabato e del Calore direttamente con i maggiori mercati italiani ed europei.
La crisi dell’industria estrattiva irpina degli anni ’60 culminata, come accaduto a Tufo, con l’avvenuta chiusura di tutti i giacimenti minerari negli anni ’80 ha creato una importante crisi economica del territorio che solo grazie alla viticoltura, ovvero al recupero della tradizione antica legata al Greco di Tufo, è stata tamponata generando un’opportunità per tutte le persone che avevano perso il lavoro che sono (finalmente) tornate nei campi a coltivare nuovi e vecchi vigneti di greco. Questa nuova vita del Greco di Tufo, con fortune alterne, ha raggiunto il suo culmine nel 2003 quando è stato tutelato e valorizzato diventando un vino DOCG (Denominazione di Origine Controllate e Garantita).

L'areale di produzione. Foto: Campania Stories
Il disciplinare di produzione prevede che il vino debba essere prodotto con uva greco (minimo 85%) e coda di volpe (massimo 15%) che devono assicurare una gradazione alcolica minima dell’11,5%.
Caratteristica principale del Greco di Tufo è il suo profumo che si pone quale eccezionale specchio del territorio di origine: tratto di pietra focaia e gesso evidente che non vanno ad offuscare l’ampio patrimonio aromatico giocato su tratti di fiori di campo e frutta gialla. Al gusto si caratterizza per una carica sapida decisamente prorompente ridondante di suggestioni fruttate che terminano con un “classico” finale leggermente amarognolo di mandorla tostata.

Il Greco di Tufo, che potete acquistare comodamente sul nostro shop on line, può essere bevuto sia giovane sia a distanza di qualche anno. Non abbiate paura di conservarlo in cantina a temperatura controllata anche per dieci anni.


A tavola il Greco di Tufo può essere abbinato tranquillamente a tutti i piatti a base di pesce (sublime l’accostamento col pesce spada alla griglia) ma non bisogna avere paura di sposarlo anche con la le carni bianche come l’arrosto di vitello o il pollo alla cacciatora. Non abbiate paura, inoltre, ad accompagnarlo ad un piatto assortito di formaggi freschi dove non dovrebbe mai mancare una succosa mozzarella di Montella condita con poche gocce di olio.

Su Tannico potrete comprare Greco di Tufo delle più importanti e premiate cantine irpine come, ad esempio, Pietracupa, Ciro Picariello, Cantine di Marzo, Mastroberardino, Petilia, Villa Raiano, Le Ormere, Antonio Caggiano e Villa Matilde.


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