Vins des Chevaliers AOC Valais – Pinot Noir del Salquenen 2012 è il Vino della settimana di Garantito IGP

Di Lorenzo Colombo


In Italia sono poco conosciuti i vini svizzeri, ancor meno i Pinot noir prodotti nel Vallese, ma vi assicuriamo che assaggiare un vino come questo è un’esperienza.
Frutti di bosco maturi, quasi in confettura, elegante, sapido, con tannini vellutati e lunga persistenza.
Unico problema è che finisce presto (la bottiglia è da 50 cl).

Assaggiando la storia. Vini (prefillosserici?) in degustazione - Garantito IGP

di Lorenzo Colombo


Nella prefazione del “Catalogo dei vini del mondo” edito da Mondadori, nel 1982 e curato da Luigi Veronelli, le prime parole del curatore (Veronelli) sono “1000 vini scelti con la puntuale (e sofferta) volontà del meglio”.
Ebbene, tra i vini italiani, spicca, a pagina 332 il “Villa Era – d.o. Spanna di Vigliano”.
Relativamente all’invecchiamento di questo vino, Veronelli scriveva “…particolari annate giungono, in ascesa, sino a tardissima età”.

Tornando ancora più indietro negli anni, Mario Soldati, nel suo primo viaggio “Alla ricerca dei vini genuini” dell’autunno 1968, riportato nel suo famoso libro “Vino al Vino”, scrive del “Mesolone” –prodotto con uve provenienti dalla collina della Mesola, nel comune di Brusnengo, nel Biellese- (60-70% Nebbiolo, 40-30% Bonarda e un po’ di Vespolina) raccontandone la modalità produttiva e descrivendolo con queste parole” Il Mesolone è un vino estremamente simpatico: proprio per il suo carattere medio, passante, corposo, serio, sì, ma non troppo impegnativo”. E poi ancora “…il Mesolone è un vino da festa, da chiasso, da grande e allegra mangiata…”.

Cita poi naturalmente i più conosciuti Lessona e Bramaterra bevuti a casa di Venanzio Sella.

Ancora più indietro nel tempo, sul volume “Vini Tipici e Pregiati d’Italia”, scritto da Roberto Capone ed edito da Editoriale Olimpia, nel maggio 1963, ovvero prima dell’avvento della prima legge sulle denominazioni (DPR 930, del 12 luglio 1963), tra i vini “degni di nota” vengono citati tra gli altri il “Masserano”, il “Mesolone di Brusnengo”, il “Chiaretto e il Rosso rubino di Viverone”.


Questa lunga (e ci auguriamo non noiosa) premessa serve ad inquadrare la particolarissima, rarissima e riservatissima degustazione (termini assolutamente non esagerati) alla quale siamo stati invitati (meno d’una ventina i partecipanti, tra cui unicamente due italiani) durante la quale un vino di Villa Era è stato messo alla prova della sua durata nel tempo.
L’annata del suddetto vino era la 1908 (avete letto bene), e tra l’altro non era neppure il più vecchio di quelli che ci attendevano in degustazione.
La vetusta batteria comprendeva infatti anche un paio di vini di fine ottocento (probabilmente prefillosserici – la Fillossera in Piemonte è infatti arrivata nel 1879), proponendo le seguenti annate: 1889, 1891, 1904, 1908, 1921, per giungere poi ai “giovanotti” del 1961, 1964 e 1973.

I vini, dei quali ovviamente non erano disponibili molte informazioni -si presume comunque prodotti in buona parte con uve Spanna (nome locale del Nebbiolo)- provenivano da quattro aziende appartenenti all’Associazione Colline Biellesi: la già citata Villa Era, Castello di Montecavallo, Centovigne (Castello di Castellengo) e la più famosa Tenute Sella.

Attualmente l’Associazione Colline Biellesi, nata nell’autunno 2015, comprende 17 aziende, e tra i vari progetti in cantiere ha quello di creare una denominazione dove venga citato il termine “Biellese”.

L’insolita e straordinaria degustazione si è tenuta a margine dell’evento “Assaggio a Nord-Ovest”, il 19 novembre scorso, presso Villa Era, a Vigliano Biellese.

Villa Era, costruita tra il 1884 e il 1888 per i Magnani, famiglia di impresari edili della Valle Cervo, su progetto dell’architetto Petitti di Torino, è un’imponente e monumentale (ma al contempo) leggiadra struttura formata da un corpo centrale dotato di portico e loggiato sopraelevato al quale s’accede tramite due rampe di scale che la collegano ad giardino e sorge adiacente alla settecentesca struttura originaria, con la cantina, i locali di lavorazione delle uve e la torretta.
Impressionante la cantina storica, aperta, in occasione di questa storica degustazione unicamente per noi, dove si trovano moltissime bottiglie di fine ottocento ed inizio novecento sull’etichetta delle quali spicca il luogo di produzione “Vigliano”, un anticipo di quello che saranno le future denominazioni d’origine.
Nel 1935 la proprietà venne acquistata da Ermanno Rivetti, industriale tessile biellese, alla cui famiglia ancora appartiene.

Prima di passare alla degustazione volevamo fornirvi alcune sintetiche informazioni sui vini del biellese, zona un tempo assai vitata (in una relazione datata 1777 si parla una superficie vitata complessiva pari a oltre 4mila ettari, questi vini raggiungono la loro massima fama nel 1870, quando Quintino Sella, allora ministro delle Finanze, brinda all’unità d’Italia – dopo la presa di Roma – con lo Spanna prodotto nella sua tenuta di Lessona (che da allora si fregia della definizione di ‘Vino d’Italia’).

La decadenza della viticoltura era comunque già iniziata alla fine del ‘700, quando con l’avvento dell’industria tessile molti contadini abbandonano le campagne per andare a lavorare in fabbrica; con l’arrivo della fillossera nel 1880 -che distrugge la quasi totalità dei vigneti- arriva poi la botta finale. Attualmente sono 271 gli ettari vitati nella provincia (dati ISTAT relativi al 2015), per una produzione stimata di circa 30.000 q.li d’uva, suddivisi tra 437 aziende (dati del censimento 2010).

Veniamo dunque ai vini, citandoli in ordine di servizio, fatto alla “francese”, ovvero partendo da più vecchio per giungere al più recente, e serviti dopo decantazione.



Eccoli:
1889 – Centovigne (Castello di Castellengo)
Rosa aranciato pallidissimo, quasi incolore. Centoventisette anni sono tantissimi, per qualunque vino.Discreta la sua intensità olfattiva, esprime sentori di distillato, oltre a presentare, ovviamente, note maderizzate. Nonostante l’ovvia ossidazione e maderizzazione il vino ha una salinità impressionante e una lunghissima persistenza.

1891 – Castello di Montecavallo
La grande ed inaspettata sorpresa, un vino senza tempo, dotato d’una freschezza a dir poco impressionante.
Il colore è giallo-aranciato, scarichissimo, ovviamente.
Intenso al naso, balsamico, con sentori di fiori secchi e d’agrumi, decisamente elegante.
Ma il miracolo si ha alla bocca, che esprime all’inizio un sapore assai piacevole ma quasi indefinibile, con una spiccata vena acida, si colgono poi note d’agrumi, di succo d’arancio soprattutto, di canditi, pare infine che, curiosamente,  abbia un certo residuo zuccherino.
Un vino emozionante, incredibile pensare che abbia più di centovent’anni.


1904 – Centovigne (Castello di Castellengo)

Con questo vino si cambia secolo. Cambia anche il colore, granato-aranciato, naturalmente molto scarico.
Intenso al naso, dove l’ossidazione ci riporta a sentori di frutta secca.
Ossidato certamente, anche un poco amaro, ma dotato di una spiccata vena acida ed una netta nota sapida.

1908 – Villa Era

Color aranciato-mattonato scarico, presenta una leggera nota velata.
Intenso al naso, elegante, esprime sentori di tamarindo.
Intenso anche al palato, sapido, si percepiscono note di rabarbaro e china. Chiude un poco amarognolo.

1921 – Sella

Color granato, unghia aranciata.
Intenso al naso dove presenta decisi sentori chinati e di caramella al rabarbaro.
Decisamente sapido al palato, con note chinate, chiude un poco amaro su lunghissima persistenza.

1961 – Sella

Il color granato di media intensità, con unghia mattonata, ci indica un vino ben più giovane dei precedenti.
Intenso al naso, dove presenta note terziarie che rimandano al cuoio ed al tabacco, presenti ovviamente anche sentori ossidativi.
Tannico al palato, di un tannino impressionante per l’età del vino, anche se un poco amaro.

1964 – Villa Era

Color aranciato scarico con unghia mattonata.
Al naso si coglie un intenso sentore di silicone fresco e di spunto acetico.
E’ l’unico vino della batteria dove i batteri acetici sono intervenuti pesantemente. Peccato.

Villa Era e la sua cantina storica

1973 – Castello di Montecavallo (Nebbiolo-Spanna)

Color granato di media intensità, unghia aranciata.
Intenso al naso, dove presenta sentori di cuoio e note animali.
L’ossidazione è percepibile al palato, dotato di una trama tannica importante anche se vira un poco su note amare.


Conclusioni: una degustazione emozionante, che onestamente non avremmo mai pensato di poter fare, avevamo già assaggiato in precedenza vini vetusti, sino a spingersi, anni fa, su un vino centenario, prodotto nel 1910 e degustato (bevuto per la verità) nel 2010, ma si trattava di un vino liquoroso, in questo caso invece eravamo di fronte a normali vini da pasto, certamente non pensati per simili invecchiamenti, ma il miracolo probabilmente deriva in parte dal vitigno (Nebbiolo) ed in buona parte (almeno noi pensiamo) da tecniche enologiche se vogliamo ancora rudimentali, che non prevedevano però nessuna scorciatoia per rendere pronti i vini prima del tempo necessario.


Le giustificazioni del vino

La cosa che solitamente noto è che quando un certo (grande) vino non ci è piaciuto alla fine si debbano per forza trovare delle scuse per alleviare la delusione.


Non si può dire che quel vino è stato una CIOFECA punto e basta. Subito, infatti, ci sarà qualcuno che troverà le giuste contromisure per alleviare il dolore di una spesa inadeguata e dolorosa per il portafoglio.

Ma quali sono le principali scuse che vengono utilizzate per giustificare una bevuta da libro horror?

JELLA 

"mah, sarai incappato in una bottiglia "sfigata!!"

NON SARA' COLPA TUA? 

"probabilmente la bottiglia era mal conservata!"

MAGARI NON SARA' COLPA TUA MA....
  
"strano, me lo ricordavo molto diverso...."

CONGIUNTURA TEMPORALE

"probabilmente il vino è in fase di chiusura..."

NON JE STAI SIMPATICO 

"sicuramente non hai trovato il giusto feeling con la bottiglia..."

GIUSTIFICAZIONE BIODINAMICA
 
"quando l'hai stappata che luna c'era?"

 IL TARLO DELL'ESPERTO

 "che esperienza hai con quel tipo di vino?" 

 MA LO SANNO TUTTI!

"questo sono vini che vanno abbinati a tavola e non bevuti da soli..."

 TEMPO AL TEMPO

"sono vini che si devono aspettare nel bicchiere..."

 QUALCUNO C'E' MORTO 

"l'hai bevuto troppo giovane, queste sono bottiglie che vanno aperte almeno dopo 10 anni"


Mi sono dimenticato qualcosa o avete altre "chicche" in aggiunta? 

Fattoria La Rivolta, Falanghina del Taburno doc 2006 – Garantito Igp


I vini sono come i libri, se hai una libreria, se  hai un cantina. Li dimentichi per anni, poi, improvvisamente, magari mentre stai cercando qualche urgenza, trovi un ricordo, una occasione per ripassare emozioni, rivedere un vecchio punto di vista forte della maturità degli anni che regalano esperienza.
Così, gironzolando nella mia cantina la sera di Natale trovo una vecchia casetta di legno di Fattoria La Rivolta, piccolla azienda creata da Paolo Cotroneo alle falde del monte Taburno in provincia di Benevento, recuperando una antica proprietà del nonno. Dentro una Falanghina di dieci anni.

Dei vini di Paolo, sia quelli di Angelo Pizzi con cui iniziò una quindicina d’anni fa che quelli con Vincenzo Mercurio che gli è subentrato, ho sempre preferito i bianchi. Non è una eccezione, sulla base di anni di frequentazioni ritengo il Taburno una terra vocata all’aglianico ma capace di regalare grandi emozioni proprio con la Falanghina.

Insomma, che sia Greco o Coda di Volpe, una delle mie preferite, ma anche Falanghina, abbiao dei vini che con il passare degli anni evolvono in maniera clamorosamente bene sviluppando sentori di idrocarburi, note di funghi, frutta sciroppata, spezie, balsamico.
Ecco perché quando stappo la Falanghina 2006, dieci anni per un vini pensato al massimo per la stagione successiva alla vendemmia, non sono curioso, ma certo del risultato.
L’aspetto più coinvolgente di questi vini è il palato. Se il colore infatti rivela l’età, il palato ci parla di una freschezza vibrante, una tensione nella beva incredibile, piacevole, con una chiusura amara e precisa.
Che dire, la Falanghina sta conoscendo un grande successo come bianco di consumo immediato, ma se aspettate non dico dieci, ma almeno un paio di anni, è un vino capace davvero di regalare grande piacevolezza.
E allora, un buon anno Igp con la Falanghina!

Sede a Torrecuso. Contrada Rivolta. Tel. 0824.872921 – Fax 0824.884907. Tel. ufficio commerciale 081.628325



Buon Natale da Percorsi di Vino

Natale 2016 con Percorsi di Vino

Natale, tempo di regali? Nooooo, basta, tanto tutti i vari blog vi avranno "rotto le scatole" con tutti i consigli per gli acquisti in materia di vino ed affini.

Percorsi di Vino, stavolta, non vi vuole consigliare nulla ma intende augurarvi Buon Natale con alcune immagini, trovate in Rete, che potranno esservi utili per creare o decorare il vostro albero di Natale in salsa alcolica.

Fatemi sapere se vi piacciono!!














Giovanni Cherchi - Cannonau di Sardegna 2014 è il Vino della settimana di Garantito IGP

Di Carlo Macchi


Quelli che…il Cannonau è un vino rustico e difficile.

Quelli che…il Cannonau è un vino spesso “ammorbidito” per accontentare i palati continentali.
Poi c’è Cherchi e lui dice che il Cannonau è un gran vino. Lo dice da sempre e lo dimostra (anche) con questo 2014 da urlo. Da andarci a nuoto a comprarlo.



Viaggio al centro del grande Champagne: Perrier-Jouët

Avenue de Champagne, ad Épernay, è una rettilineo lungo oltre un chilometro fiancheggiato da bellissimi edifici del XIX secolo che prendono la forma di hôtels particuliers e sedi di grandi Maison di Champagne che, in maniera alternata, vanno a concretizzare quello che in molti chiamano "il viale più ricco del mondo" visto che i 110 km di cantine sotterranee situate sotto la strada sono il rifugio di oltre 200 milioni di bottiglie di Champagne.


La Storia della Maison

Proprio su questa bellissimo strada, visitata ogni anno da oltre 450.000 appassionati di vino, ha sede Perrier-Jouët la cui storia, pensate, iniziò nel lontano 1811, esattamente un anno dopo il matrimonio tra i due fondatori ovvero Pierre-Nicolas Perrier e Rose-Adélaïde Jouët.
Lui aveva 25 anni e lei 18 quando fondarono la loro Maison che fin da subito, grazie ai 10 ettari di vigna posseduti dalla famiglia Perrier tra Epernay, Aÿ, Avenay, Dizy, Pierry e Chouilly, divenne famosa per la produzione di ottimi champagne grazie anche alla lungimiranza di Pierre-Nicolas che, col tempo, acquisì alcuni appezzamenti di terra in quelle zone che sarebbero diventate celebri come Grands Crus della Côte des Blancs, ad Avize
e Cramant. “Mi sta molto a cuore soddisfare pienamente coloro che mi onorano con il proprio interesse e per questo produco vini di qualità superiore”, dichiarò Pierre-Nicolas nel 1821. La costante ricerca della perfezione lo guidò attraverso tutte le fasi di produzione dello champagne, partendo dalla raccolta delle uve, le quali non venivano utilizzate se ritenute mediocri. Allo stesso modo, come prevenzione contro le imitazioni, Pierre-Nicolas fu la prima persona a garantire la provenienza dei suoi vini aggiungendo il cru e l’annata sul tappo della bottiglia. Con la medesima passione per l’eccellenza, sua moglie Rose-Adélaïde riceveva clienti e ospiti ad Epernay realizzando, grazie ad un lavoro costante di valorizzazione del marchio, quella che per l’epoca poteva definirsi una delle migliori reti commerciali al mondo.

Pierre-Nicolas Perrier e Rose-Adélaïde Jouët
La costante ricerca della perfezione fu l'obiettivo anche di loro figlio Charles e, successivamente, di suo nipote Henri Gallice tanto che lo champagne Perrier-Jouët, nel corso del tempo, divenne popolare sia l’Europa (fu servito alla tavola di Napoleone III e della Regina Vittoria) sia negli Stati Uniti dove nel 1880 furono esportate un milione di bottiglie grazie all'opera dello stesso Henri che, inoltre, divenne uno dei membri fondatori dell’Association Viticole Champenoise (1898) coltivando, sempre in quel periodo, un notevole interesse per l’Art Nouveau tanto da chiedere ad uno dei suoi promotori, Emile Gallé, di decorare diversi magnum di Champagne. Questo maestro vetraio nel 1902 produsse per lui un vortice di anemoni giapponesi anche se sarebbe dovuto passare più di mezzo secolo prima che questo bouquet riemergesse grazie a Michel Budin che nel 1964, dopo essere diventato responsabile della Maison, riscoprì quasi per caso il fascino di quei magnum decorati da Gallé, ridestando così queste meraviglie addormentate. In controtendenza con le mode del momento, egli decise, insieme al suo direttore delle vendite Pierre Ernst, di utilizzarle per vestire la sua nuova cuvée, il cui stile brillante fu espresso dalla loro elegante unicità. Con un forte richiamo all’Art Nouveau, egli la chiamò “La Belle Epoque” e la sua prima annata fu lanciata sul mercato nel 1969.

Il presente di Perrier-Jouët

Oltre duecento anni di storia hanno portato il patrimonio ampelografico di Perrier-Jouët ad estendersi per più di 65 ettari, i quali sono stati classificati al 99,2% secondo i criteri di valutazione dello champagne AOC. Situati in modo ideale, le parcelle migliori fanno parte del vigneto della Côte des Blancs; piantati a metà dei pendii esposti a sud e sud-est, essi forniscono il terroir per lo chardonnay, l’emblematico vitigno dell’azienda. Le parcelle della Montagne de Reims sono per la maggior parte piantati a pinot noir mentre nella Vallée de la Marne, Perrier-Jouët vanta vigneti di pinot noir e di pinot meunier. Infine, per completare la sua produzione, Perrier-Jouët lavora da generazioni in collaborazione con altri viticoltori, selezionando le loro uve secondo i propri criteri rigorosi.


I vigneti
Le cantine Perrier-Jouët, situate come dicevamo prima ad Épernay proprio sotto Avenue de Champagne, composte da un dedalo di gallerie sotterranee lunghe chilometri, sono il luogo dove viene elaborato e riposa lo champagne e, per certi versi, rappresentano il regno di Hervé Deschamps, Chef de Cave, che proprio in questi luoghi, degustando il vino proveniente da ogni singola parcella, dà vita all’arte dell’assemblaggio andando a definire le caratteristiche di ogni cuvée.






Hervé Deschamps e l’arte dell’assemblaggio

Hervé Deschamps, che incontriamo nella sala degustazioni privata, è un uomo di mezza età, dal sorriso coinvolgente, e per molti appassionati di champagne è una sorta di leggenda visto che il suo mestiere, ovvero l'arte dell'assemblaggio, rappresenta per questa azienda un momento fondamentale i cui segreti si sono tramandati nei secoli attraverso soli sette Chef de Caves. “Mi dedico anima e corpo in ogni singolo progetto di cuvée, tutto in una volta, così come in una prima bozza fatta da un artista nella quale intuizione, sensibilità e competenza affiorano tutte insieme, senza che nessuno sappia spiegare esattamente come”, afferma Hervé Deschamps, Chef de Caves dal 1993 dopo un apprendistato durato dieci anni che gli ha insegnato non solo a conoscere i segreti della Maison, compreso l'inequivocabile "tocco" floreale che ne costituisce il tratto distintivo da sempre, ma anche a raggiugere quell’esperienza tale da prendersi in prima persona la responsabilità di giudicare quando si è alla presenza di un’annata eccezionale, che dovrebbe essere utilizzata per creare una cuvée millesimata.

Hervé Deschamps

La degustazione

Iniziamo il wine tasting Perrier-Jouët con un classico ovvero Cuvée Grand Brut che prevede l’assemblaggio di circa cinquanta cru provenienti dai migliori vigneti di chardonnay (20%), pinot noir (40%) e pinot meunier (40%) a cui vengono aggiunti un 12-20% di vini di riserva. Dopo tre anni di affinamento in cantina il vino si apre in tutto la sua espressività e il "gusto" Perrier-Jouët emerge prepotentemente con la sua eleganza floreale. Sorso caratterizzato da perlage soffice che accarezza il palato senza però trascurare equilibrio e nobile persistenza finale su toni di tiglio e pesca bianca.


Il Blason Rosé (50% pinot nero, 25% chardonnay, 25% pinot meunier), secondo Hervé Deschamps, è forse lo champagne più indulcente della Maison ed è concepito secondo il modello della Cuvée Grand Brut, poi leggermente arricchito con lo chardonnay (+5%) per compensare l’aggiunta di struttura fornita da un pinot nero di cui una parte viene vinificato in rosso. Dopo tre anni di affinamento in cantina questo champagne è dotato di un olfatto goloso che ricorda la pasticceria e i frutti di bosco le cui sinuosità ritroviamo anche al gusto che, fortunatamente, viene equilibrato da una persistenza quasi salina che rende la beva meno scontata di quanto si può immaginare.


La Cuvée Belle Epoque 2007 rappresenta un grande classico e questo vino, più di altri, rappresenta lo stile della Maison. Frutto di un assemblaggio di chardonnay (50%) proveniente dai Grands Cru di Cramant, Avize e Chouilly, pinot noir (45%) proveniente dalle terre di Mailly, Verzy e Aÿ e pinot meunier di Dizy (5%), lo champagne riposa almeno sei anni sui lieviti prima di uscire sul mercato. Hervé ci parla di un millesimo, il 2007, molto equilibrato e questa purezza la si riscontra anche al naso dove incantano gli aromi di magnolia, biancospino e sambuco che ben si fondono all’interno di un mosaico aromatico composto da lime, bergamotto e pesca bianca. Beva piacevolissima, lussureggiante, facilitata da uno straordinario equilibrio e da una tensione sapida che richiama irresistibilmente un nuovo assaggio.


Belle Epoque Blanc de Blanc 2004, ci confida Hervé, rappresenta un po' la quintessenza dello stile Perrier-Jouët perchè ci troviamo di fronte ad un grande champagne frutto non solo di una singola annata, ma anche di un unico vitigno ed uno specifico vigneto. La cuvée, infatti, è realizzata esclusivamente con lo chardonnay di due parcelle leggendarie: Bourons Leroy e Bourons du Midi, situati proprio nel cuore della Côte des Blancs, nella zona di Cramant.  Otto anni di permanenza sui lieviti nelle cantine completano questo grande vino il cui pregio principale è il suo essere understatement ovvero di avere un peso specifico di una farfalla nonostante abbia una forza e una complessità da rendere questo Champagne quasi da meditazione. 


Chiudiamo la degustazione con il Belle Epoque Rosé 2006 che nei piani dello Chef de Cave rappresenta la cuvée dove eleganza e ricchezza vanno giocare un ruolo preminente e paritario grazie alla delicatezza floreale dello chardonnay (45%) dei migliori vigneti di Cramant e Avize che, assieme alla struttura fruttata del pinot noir di Mailly e Verzy (50%, incluso il 10% di vino rosso da Vertuse Vincelle) e all'armonia del pinot meunier di Dizy (5%), donano a questo Champagne una cremosità e una polposità quasi irriverente assicurandogli al tempo stesso un lungo futuro.



Marco Capra- Dolcetto d'Alba Sireveris 2015 è il Vino della Settimana di Garantito IGP

Di Roberto Giuliani

Marco ama scherzare con il nome dei vini, questo si può leggere da sinistra o da destra.


Il Dolcetto però, vinificato e maturato in acciaio, lo prende sul serio, è una splendida interpretazione del vitigno: viola, lamponi e ciliegie; fresco, succoso, con un guizzo tannico che ne esalta il carattere.


Chianti Classico Riserva 1995 di Casa Emma - Garantito IGP

Di Roberto Giuliani


Gli anni '90 erano ancora caratterizzati dagli effetti di quel cambiamento iniziato negli anni '70 in Toscana con il Vigorello di San Felice e, soprattutto, con il Sassicaia della Tenuta San Guido, che vedeva nel vitigno internazionale e nell'uso delle barrique, una possibile risposta alle "statiche" denominazioni di origine, accusate di non sapersi adeguare ai mutamenti del mercato, percorso abbracciato da un sempre maggiore numero di produttori e che ha visto nascere i cosiddetti "super tuscans".
 Fu un periodo di svolta profonda nel modo di fare vino, a partire dalla vigna, dove venivano rivisti i metodi di allevamento, le fittezze d'impianto, le rese per ettaro, si selezionavano i cloni più adatti allo scopo, mentre in cantina i piccoli legni prendevano sempre più piede, oltre a tecnologie che permettevano di ottenere maggiori estrazioni in tempi sempre più brevi, vini più strutturati, concentrati e colorati.

Anche nel Chianti Classico avvenne questo mutamento, stimolato dai sempre maggiori successi e riconoscimenti, che determinarono rialzi nei prezzi a volte in modo anche sfacciato, magari dopo aver ricevuto premi dalle guide di settore, una fase fatta di eccessi ma anche di sperimentazioni e passaggi importanti.
Ma questa è storia, una storia della quale ha fatto parte anche Casa Emma, l'azienda della famiglia Bucalossi che ha voluto ricordare nel proprio marchio la nobildonna fiorentina Emma Bizzarri, precedente proprietaria della storica tenuta. Nell'azienda di San Donato in Poggio, frazione di Barberino Val d'Elsa, a fianco del Chianti Classico nasceva il Soloìo, un merlot in purezza maturato in barrique, mentre la Docg ha continuato a mantenere un uvaggio tutto toscano.

Questa Riserva 1995 è composta da sangiovese al 95% e malvasia nera al 5%, maturata per 2 anni in rovere di Allier, se non ricordo male si trovava sugli scaffali delle enoteche attorno alle 40mila lire, un prezzo indubbiamente elevato a quell'epoca.
Conservata in cantina rivela un tappo in condizioni perfette e senza sorprese maleodoranti. Il vino ha colore granato con unghia aranciata, lasciato respirare a lungo si apre man mano, scalciando le iniziali note terziarie evolute e ossidative a favore di più nitidi rintocchi di humus, funghi, tabacco umido, cuoio, ciliegia e prugna essiccate, legno di liquirizia, cardamomo, goudron.

La bocca non riserva sorprese, ma mostra ancora un'ottima vena acida e una materia di una certa eleganza, con un frutto non ossidato, pur se qualche effetto evolutivo, soprattutto nella fase finale, lascia presagire l'inizio di un processo di inevitabile discesa; ma dopo oltre vent'anni ne ha anche il diritto, soprattutto da un'annata non proprio strepitosa come la '95.
Insomma tanto di cappello per una Riserva che ha ancora molto da raccontare e che consiglio, se ne avete qualche bottiglia da parte, di stappare senza ulteriori indugi.