Tre Bicchieri 2016 Lazio Gambero Rosso

Sono un paio d'anni che il Lazio del vino manda inequivocabili segnali positivi abbandonando finalmente qual livello medio che, per anni, non si è spinto oltre la sufficienza. Aziende piccole e grandi, nomi nuovi e realtà storiche propongono oggi etichette davvero interessanti. E se quello scorso è stato l'anno della viticoltura di Ponza e del grechetto nel Viterbese, quest’anno è il momento di Anzio e del bellone, che finora non riuscivano a esprimersi a un livello in grado di interessare un pubblico non strettamente locale.

Nonostante l'annata difficile il grechetto ha riservato comunque qualche bella sorpresa e la Tuscia si afferma come area di bianchi da dove arriva una delle aziende new entry dei Tre Bicchieri. L'altro nuovo vertice rappresenta un tassello importante al riposizionamento della denominazione Frascati ed è il frutto di un lavoro di 15 anni per realizzare un Frascati di alto livello.
Il bellone, come dicevamo, ha saputo esprimersi raggiungendo i vertici e un bel lavoro arriva che da aziende storiche della regione e anche dalla zona limitrofa di Roma, con la Tenuta di Fiorano. 
Ecco l'elenco dei Tre Bicchieri 
Antium Bellone ’14 - Casale del Giglio 
Baccarossa ’13 - Poggio Le Volpi 
Fiorano Bianco ’13  - Tenuta di Fiorano 
Frascati Sup. Eremo Tuscolano ’13 - Valle Vermiglia 
Grechetto ’14 - Trappolini 
Grechetto Poggio della Costa ’14 - Sergio Mottura 
Montiano ’13 - Falesco

Langhe Nebbiolo Capisme-e 2012 di Domenico Clerico - Il VINerdì di Garantito IGP

di Angelo Peretti



Metti una sera a cena che pensi che ci vorrebbe un Nebbiolo, ma mica un Barolo o un Barbaresco, qualcosa di meno impegnativo, come prezzo e come bevuta, e allora adocchi la carta del ristorante e – zac! – eccolo qui: un rosso di Domenico Clerico, un Nebbiolo delle Langhe. Non finiresti più di berlo.

Quel gioiello dell’abbazia di Fontfroide - Garantito IGP

di Angelo Peretti


L’abbazia di Fontfroide è là in mezzo alle colline e ai boschi e alle vigne che stanno a una quindicina di chilometri da Narbonne, Languedoc, Sud della Francia. Ebbe periodi di gloria e di abbandono, com’è per tutte le cose del mondo, anche quelle che si rivolgono all’ultraterreno.

La gloria fu quella dell’epoca dei cistercensi, che furono lì dal 1145 ed espansero il potere dell’abbazia, fino ad arrivare a trentamila ettari di terre, da lì sin quasi alla Spagna, e nel 1334 un abate di Fontfroide divenne addirittura papa, col nome di Benedetto XII.
L’abbandono, progressivo, venne dopo la peste nera del 1348, che annientò la comunità e così l’abbazia decadde a commenda, e le famiglie incaricate della gestione pian piano presero possesso di parte degli edifici e i monaci si ridussero a una manciata, fino a restare appena sette nel 1594. Il crollo avvenne con la rivoluzione francese. Ci fu poi un tentativo di rifondazione nella seconda metà dell’Ottocento, ma durò poco, un mezzo secolo.
All’inizio del Novecento l’abbazia passò in mani private. Nel 1908 la comprò un artista, Gustave Fayet, e credo sia stata una fortuna, ché gli edifici furono così oggetto di continui restauri. Cosicché oggi Fontfroide è uno splendore. Garantisco che vale la pena andarci a fare una visita.

Il chiostro armonioso, la chiesa alta e maestosa (venti metri d’altezza, cinquantatrè di lunghezza) che evidenzia appieno l’idea architettonica cistercense, di passaggio fra il romanico e il gotico, il refettorio e il dormitorio dei conversi, ampi e silenti, la piccola ed elegante sala capitolare sono presenze architettoniche che narrano di remote vite monastiche ed esprimono più d’ogni parola, con la loro maestosità, la potenza che esercitò l’abbazia nei secoli andati. Il roseto, dietro la chiesa, nell’ex cimitero, è un angolo di fascinosa bellezza, coi suoi duemilacinquecento ceppi di rose. Ci si perde poi nel giardino terrazzato che copre un’intera collina, voluto sul finire del Cinquecento da Costanza Fregoso, nobildonna italiana, madre d’uno dei commendatari di Fontfroide.

Sì, certo, questo è comprensibilmente un luogo dalla forte connotazione turistica, ma l’abbazia incute rispetto, e dunque non ci si trovano orde schiamazzanti. Coi proventi delle visite si curano gli edifici e il parco, che sono tenuti splendidamente. Penso ci lavori un piccolo esercito di giardinieri e manutentori. Se ne vedono ovunque durante la visita.


E poi a Fontfroide ci si fa anche vino. Qui la vigna la si coltiva da secoli, ché lavorare e pregare era nell’idea monastica benedettina. I vigneti sono nei pianori ai margini della boscaglia di pini e delle macchie di cespugli di cisti e di eriche di quella che i francesi del Sud chiamano la garrigue. Stanno sulle argille e sulle sabbie generate dalla roccia arenaria. In tutto sono trentasei ettari, nella denominazione d’origine di Corbières, che è la più grande della Languedoc e se non sbaglio la quarta per volumi in Francia, o nell’igp del Vin de Pays d’Oc.

Per l’abbazia, le uve rosse, che reputo più interessanti in zona, rappresentano i due terzi dei vigneti. Le varietà rosse sono il syrah, il grenache noir, il mourvèdre, il cinsault, ma anche il merlot e il petit verdot. Le cultivar bianche sono la roussanne, la marsanne, il grenache blanc, il rollè, lo chardonnay e il muscat petits grains.

La cantina aderisce all’associazione dei Vigneron Indépendant francesi, il che dice chiaramente che qui tutte le fasi di produzione sono gestire direttamente e in loco, dalla vigna alla commercializzazione. C’è, dentro all’abbazia, un negozio dove i vini si possono anche assaggiare (quasi tutti). L’accoglienza è all’insegna della cortesia.
Dei vini dell’abbazia ne ho provati tre, tutti rossi, tutti dell’appellation Corbières. Ecco le mie impressioni.

Corbières Rouge Ocellus 2014 Abbaye de Fontfroide


È fatto per due terzi con le uve di syrah e il resto è grenache noir. Lì all’abbazia lo definiscono “la riche élégance des fruits rouges et des épices douces”. In effetti fruttini rossi e spezie dolci ce n’è. È comunque un vino che vuole la tavola e il cibo, d’uso direi quotidiano. Semplice e snello.

Corbières Rouge Laudamus 2014 Abbaye de Fontfroide


Qui la cuvée si fa più ampia, essendoci il 40% di uve di mourvèdre, più un 35% di syrah e il saldo comunque significativo di grenache noir. Il colore è un rubino bellissimo e cristallino, proprio da grenache, mi verrebbe da dire. Ha i fiori (e anche qui credo sia il grenache a farsi avanti) e le spezie, più che quella “plénitude des fruits mûrs” di cui dicono all’abbazia.

Corbières Rouge Deo Gratias 2011 Abbaye de Fontfroide


Ecco, questo rosso è presentato come “la quintessence du terroir de Fontfroide, en finesse”. Vero, in quanto a finezza è un bel vino. Un rosso assolutamente caratteristico del Sud francese. Fatto per due terzi col syrah e per il resto col grenache noir, passa un anno nel legno, che tuttavia non lascia tracce boisée. Insomma, il rovere manco l’avverti. Trovi invece un bel frutto, di bosco soprattutto, e una speziatura avvolgente e una freschezza che allunga la beva e la rende succosa e a tratti perfino quasi marina. Notevole.


Tre Bicchieri 2016 Sardegna Gambero Rosso

La 2014 è stata un’ottima annata in Sardegna. Il segnale arriva dalle zone bianchiste, ma alcune indicazioni giungono anche da territori più vocati per i rossi, con le etichette d’annata in uscita.
Andiamo per ordine: la Gallura offre una serie di vini di assoluto equilibrio, dosati di alcol, freschi e dai profumi che rispecchiano in pieno la zona di provenienza. Ma non c'è solo il nord est dell’Isola: alcuni Vermentino di Sardegna provenienti da vari territori riescono a essere tipici e affascinanti e non sfigurano se confrontati con quelli della Docg.
Oltre al Vermentino arrivano conferme dal Semidano di Mogoro, dal Nuragus di Cagliari, dalla Vernaccia di Oristano (anche grazie a tipologie di produzione diverse) e dai vitigni aromatici a bacca bianca, con la Malvasia di Bosa e il Nasco di Cagliari a far la differenza, sebbene siano sempre i soliti (pochi) produttori che credono in queste varietà.
Prestazione importante anche per i rossi, col Cannonau di Sardegna che si conferma un grande vino mediterraneo, sia in versione Riserva sia giovane. I più interessanti arrivano dalla Barbagia e dall’Ogliastra. Ma c'è bisogno di una profonda modifica al disciplinare che valorizzi tutti i territori del Cannonau in Sardegna. Buone notizie anche dal Sulcis, con i Carignano che garantiscono qualità e costanza, mentre sarebbe ideale avere delle indicazioni più precise dalle altre varietà a bacca rossa presenti sull’Isola (ma soprattutto dalle loro aree più vocate) come bovale, muristellu, cagnulari, nieddera o monica.
Ecco l'elenco dei Tre Bicchieri 
Barrua ’12 Agricola Punica 
Cannonau di Sardegna Cl. D53 ’12 Cantina Dorgali 
Cannonau di Sardegna Cl. Dule ’12 Giuseppe Gabbas 
Cannonau di Sardegna Mamuthone ’12 Giuseppe Sedilesu 
Capichera ’13 Capichera 
Carignano del Sulcis Buio Buio Ris. ’12 Mesa 
Carignano del Sulcis Sup. Terre Brune ’11 Cantina di Santadi 
Turriga ’11 Argiolas 
Vermentino di Gallura Canayli V. T. ’14 Cantina Gallura
Vermentino di Gallura Sup. Maìa ’14 Siddùra 
Vermentino di Gallura Sup. Monteoro ’14 Tenute Sella & Mosca 
Vermentino di Gallura Sup. Sciala ’14 Vigne Surrau 
Vermentino di Sardegna Stellato ’14 Pala 

Tre Bicchieri 2016 Lombardia Gambero Rosso

Il quadro della Lombardia è complesso e ricco. In prima linea c'è lo spumante, 14 dei vini premiati provengono da Franciacorta e Oltrepò Pavese. La prima fa la parte del leone, anche per varietà di stili e di annate. Un tempo la zona era una roccaforte dello chardonnay, ma oggi molte delle cuvée più interessanti hanno per protagonista il pinot nero, in purezza o meno. È il caso delle Bollicine dell’Anno, lo spettacolare Vintage Collection Dosage Zèro Noir ’06 di Ca’ del Bosco, che festeggia il traguardo della quarta stella, ovvero i quaranta Tre Bicchieri in carriera.
L’Oltrepò Pavese è un territorio grande dove convivono diversi terroir, uve e tradizioni, dalla spensierata Bonarda ai rossi di struttura fino all'eccellente metodo classico. Su queste cuvée si sta creando la moderna identità della denominazione, che trova nel pinot nero il vitigno d’eccellenza, sia come spumante sia come vino rosso. Ma il territorio ha grandi potenzialità ancora inespresse.
La Lombardia peròè molto altro ancora. La Valtellina con le sue vigne eroiche a ridosso delle Alpi ci regala cinque memorabili vini, il Lugana, che nonostante la difficile annata 2014, stacca la cedola dei Tre Bicchieri; ma tutta la zona merita un plauso per l’impegno e la crescita tecnica ed agronomica degli ultimi anni.
Ecco l'elenco dei Tre Bicchieri 
Brut ‘More ’11 - Castello di Cigognola
Brut Farfalla - Ballabio
Brut Nature - Monsupello
Franciacorta Brut Cru Perdu ’04 - Castello Bonomi
Franciacorta Brut Extreme Palazzo Lana Ris. ’07 - Guido Berlucchi & C.
Franciacorta Brut Naturae ’11 - Barone Pizzini
Franciacorta Dosage Zéro Noir Vintage Collection Ris. ’06 - Ca’ del Bosco
Franciacorta Dosage Zero Secolo Novo Ris. ’08 - Le Marchesine
Franciacorta Dosaggio Zero Ris. ’08 - Lo Sparviere
Franciacorta Extra Brut ’09 - Ferghettina
Franciacorta Extra Brut Vittorio Moretti Ris. ’08 - Bellavista
Franciacorta Nature - Enrico Gatti
Lugana Molin ’14 - Cà Maiol
OP Pinot Nero Brut 1870 ’11 - F.lli Giorgi
OP Pinot Nero Giorgio Odero ’12 - Frecciarossa
OP Pinot Nero Noir ’12 - Tenuta Mazzolino
Pinot Nero Brut 64 ’11 - Calatroni
Valtellina Sfursat 5 Stelle ’11 - Nino Negri
Valtellina Sfursat Fruttaio Ca’ Rizzieri ’11 - Aldo Rainoldi
Valtellina Sup. Dirupi Ris. ’12 - Dirupi
Valtellina Sup. Sassella Rocce Rosse Ris. ’05 - Ar.Pe.Pe.
Valtellina Sup. Sassella Sommarovina ’13 - Mamete Prevostini 

Tre Bicchieri 2016 Liguria Gambero Rosso

Annata particolare il 2014. Eccellente all’estremo Ponente, mentre in altre zone s’è salvata solo grazie alla coda dell’estate. Partiamo dalla Riviera di Ponente dove il microclima ha preservato il territorio dalle copiose piogge estive. Qui, oltre al Pigato e al Vermentino, nasce il più importante rosso della Liguria, il Dolceacqua. Un vino che racconta un territorio unico, fatto di piccole vigne terrazzate strappate alla montagna. Quest'anno solo un prodotto sul podio ma la denominazione ha raggiunto un livello complessivo straordinario. Merito anche della coesione e la determinazione di questi produttori nell'ultimo decennio.

All’estremo Levante, invece, i produttori sono intervenuti più volte in vigna per salvaguardare le uve minacciate dalle piogge insistenti, per fortuna poi è arrivato un settembre mite e asciutto, e chi ha avuto nervi saldi e ha saputo attendere è stato premiato. Quattro i produttori della provincia di La Spezia che si aggiudicano i Tre Bicchieri, mentre da Imperia arrivano poi due eccellenti Pigato.
Tra le novità degli ultimi anni in regione, infine, c'è un interesse crescente per gli spumanti, ancora in ricerca di qualità e identità.

Ecco l'elenco dei Tre Bicchieri 

Colli di Luni Vermentino Et. Nera '14 - Lunae Bosoni 
Colli di Luni Vermentino Il Chioso '14 - Picedi Benettini 
Colli di Luni Vermentino Il Maggiore '14 - Ottaviano Lambruschi 
Dolceacqua Sup. Vign. Posaù '13 - Maccario Dringenberg
Riviera Ligure di Ponente Pigato Albium '13 - Poggio dei Gorleri
Riviera Ligure di Ponente Pigato U Baccan '13 - Bruna 

La presunta frode del Sauvignon del Collio. Tutti stupiti?

Tratto da Il PICCOLO

Sognava di passare alla storia come l’inventore del Sauvignon più buono e più profumato del mondo. Di trovare, cioè, la formula magica che avrebbe permesso a qualsiasi produttore di esaltare il sapore del proprio vino e di lanciarlo nel gotha dell’enologia. E in parte, Ramon Persello, 39 anni, di Attimis, consulente bioclimatico tra i più noti in Friuli e, soprattutto, genio della chimica, pareva anche esserci riuscito. Questo, almeno, è ciò che sostiene laProcura della Repubblica di Udine, che attorno ai suoi esperimenti e alla cerchia di aziende agricole di riconosciuta fama che – stando alla tesi accusatoria – da lui si rifornivano, ha costruito un’inchiesta in grado di stravolgere gli equilibri dell’economia vitivinicola, e non solo, regionale.
Gettando un’inquietante ombra su una delle eccellenze indiscusse del Friuli Venezia Giulia. Al centro della bufera giudiziaria, l’ipotesi che in 17 aziende (due delle quali di fuori regione), tutte sottoposte ieri a perquisizione da parte dei carabinieri del Nas di Udine, sia stato impiegato un esaltatore di aromi non previsto dal disciplinare di produzione di vini Doc. Una “Sauvignon connection”, insomma. Il sospetto, codice penale alla mano, si traduce nelle ipotesi di reato di frode nell’esercizio del commercio e vendita di sostanze alimentari non genuine.
IL TRUCCO A quella “pozione dei desideri” Persello lavorava da tempo. Lo sapevano tutti e lui, considerato un prodigio della chimica, non ne faceva mistero. Del resto, nulla gli proibiva di provare e riprovare a mescolare gli ingredienti, alla ricerca del mix che avrebbe migliorato il gusto dei vini. Tanto più in una terra che del Bianco, complice anche la campagna pubblicitaria con cui una decina d’anni fa il fotografo Oliviero Toscani lanciò le etichette del Collio, ha fatto la propria bandiera. Il guaio è che i suoi esperimenti avrebbero dovuto restare tali.
E invece, stando alle indagini sin qui condotte dagli investigatori, l’intruglio che Persello realizzava in casa con l’aiuto di sua moglie, combinando tra loro il lievito preso dal laboratorio in cui lavora, a Corno di Rosazzo, e un amalgama di altri ingredienti “top secret”, finiva poi per entrare nelle botti di Sauvignon e, in misura minore, anche di Pinot bianco, di un gruppo non proprio ristretto di “amici” produttori. Un “elisir” – a sottolinearlo è la stessa Procura – comunque non dannoso per la salute umana. Le perquisizioni eseguite ieri, in contemporanea, in tutte le aziende agricole con le quali l’“Archimede dei vini” risultava tenere contatti puntano proprio a trovare elementi probatori capaci di confermare un quadro già di per sè abbastanza definito.
Da ciascuna delle cantine, i carabinieri del Nucleo antisofisticazione e sanità sono usciti con una serie di campioni di vino, che dovranno ora essere analizzati e rivelare se e con quali sostanze, qualora dovessero emergerne tracce, siano stati contraffatti.
GLI INDAGATI I primi a finire sul registro degli indagati sono stati i nomi di Persello e di sua moglie Lisa Coletto, 41 anni, di Udine. È alla loro porta che la Polizia giudiziaria ha bussato, già nella giornata di sabato, con il primo di una lunga serie di decreti di perquisizione.
Ed è lì che sono stati acquisiti i riscontri che hanno permesso agli investigatori non soltanto di proseguire lungo la pista tracciata, ma anche di formulare una possibile rosa di ulteriori indagati. I produttori, appunto, con vigne e aziende tra la zona del Collio e quella dei Colli orientali del Friuli, e tutti più o meno blasonati.
A cominciare da Roberto Snidarcig, che con la sua “Tiare” di Dolegna del Collio, l’anno scorso è riuscito nientedimeno che ad aggiudicarsi l’oro mondiale. Oltre a lui, a ricevere la visita dei militari dell’Arma, nella mattinata di ieri, sono stati anche Adriano Gigante, dell’omonima azienda agricola di Corno di Rosazzo, Valerio Marinig, di Prepotto, Paolo Rodaro, di Spessa,Pierpaolo Pecorari, di San Lorenzo Isontino, Michele Luisa, della “Tenuta Luisa” di Corona, Anna Muzzolini, dell’“Azienda agricola Iole” di Prepotto,Roberto Folla, dell’“Azienda agricola Cortona” di Villa Vicentina, Luca Caporale, dell’“Azienda agricola Venchiarezza” di Cividale, Federico Stefano Stanig, dell’“AZienda agricola Stanig fratelli” di Prepotto, Andrea Visintin, dell’“Azienda agricola Magnas” di Cormons, Cristian Ballaminut, titolare di un’azienda a Terzo d’Aquileia, Cristian Specogna, dell’“Azienda agricola Specogna Leonardo” di Corno di Rosazzo, Gianni Sgubin, della “Società agricola Ferruccio Sgubin” di Dolegna del Collio, e Filippo Butussi, della “Valentino Butussi” di Corno di Rosazzo. Perquisizioni sono state inoltre eseguite nelle sedi di due tenute di fuori regione: l’“Azienda vinicola F.lli De Luca”, di Remo De Luca, a Mozzagrogna (Chieti) e la “Castel Rio Società agricola” di Ficulle (Terni), amministrata da Valentino Cirulli. Nell’inchiesta sono rimaste coinvolte anche Francesca Gobessi, 65 anni, di Udine, edEmanuela Zuppello, 55, di Torreano, in quanto colleghe di Persello nel laboratorio di analisi in cui lavora.
LA SOFFIATA A mettere in moto la macchina investigativa, neanche a dirlo, sono stati delatori interni al mondo del vino. Non c’è da stupirsi, naturalmente: vedevano i loro diretti concorrenti accumulare premi su premi e hanno deciso che era ora di farla finita e di svelare quello che, a loro avviso, era il “segreto” di tanta bravura. In Procura, a raccogliere e dare forma alle segnalazioni è stato il pm Marco Panzeri.
Lo stesso che, un paio di anni fa, aveva scoperchiato il caso del latte contaminato da aflatossina M1. «Ci siamo mossi sulla base di elementi serissimi, in maniera mirata – ha affermato il procuratore capo di Udine, Antonio De Nicolo –. Eravamo stati messi in guardia da chi, in questo stesso settore, lavora in modo onesto. Da alcuni produttori del Sauvignon – continua – che seguono fedelmente il disciplinare e che si erano accorti che alcuni competitors esaltavano irregolarmente gli aromi del vino».
Alla soffiata erano seguiti i primi accertamenti, poi la perquisizione a casa di Persello e, a seguire, l’individuazione dei suoi possibili complici. La “road map” della Procura, però, non prevedva di tornare in campo a così stretto giro di posta. «Siamo stati costretti ad accelerare i tempi e anticipare a oggi (ieri, ndr) le perquisizioni nelle aziende agricole – ha spiegato De Nicolo –, perchè avevamo avuto sentore che la notizia stava per trapelare. Esisteva il rischio concreto di una fuga di notizie. E questo, come intuibile, avrebbe vanificato l’efficacia delle perquisizioni». Il destino, però, ha voluto che la giornata di ieri fosse anche quella dell’inaugurazione di Friuli Doc.
Una «sciagurata coincidenza» che De Nicolo ha tenuto a chiarire come assolutamente non voluta: casuale, quindi, e del tutto slegata da collegamenti giudiziari. «Non volevamo guastare la festa a nessuno e avremmo preferito aspettare la fine della manifestazione – ha precisato il procuratore –, come era accaduto nel caso dell’indagine sul prosciutto di San Daniele».
Non meno chiaro l’obiettivo dell’inchiesta. «La nostra preoccupazione primaria – continua De Nicolo – è la tutela sia dei consumatori, che ci sentiamo di rassicurare in ogni caso, visto che le sostanze con le quali
il Sauvignon è stato contraffatto non sono dannose per l’uomo, sia dei produttori che si attengono ai disciplinari e che, per fortuna, sono la maggioranza. Chi non lo fa va scovato e isolato. E le indagini proseguono proprio in questa direzione, alla ricerca di eventuali altri trasgressori».

Grand Cru Yvorne Chablais 2009 per il VINerdì di Garantito IGP

di Lorenzo Colombo

Non è certamente facile trovarlo da noi, anzi, probabilmente è impossibile. Ma se vi capita di passare nel Vaud, in Svizzera, una capatina a Château Maison Blanche fatecela. Il Grand Cru Yvorne Chablais AOC 2014 è un grande vino, ma il 2009 da noi assaggiato è a dir poco strepitoso. Dimenticavamo: il vitigno è il non molto considerato Chasselas.


Château Maison Blanche
Route de Corbeyrier / 1853 Yvorne
info@chateau-yvorne.ch
www.chateau-yvorne.ch

Al-Cantàra, arte e poesia del vino - Garantito IGP

di Lorenzo Colombo

“Un buon vino è poesia, e per farlo ci vuole arte”.

Con queste parole si apre il sito aziendale, ecco quindi che l’azienda AL-CANTÀRA applica l’arte non unicamente al contenuto della bottiglia, ma anche alle etichette, opera di Alfredo Guglielmino, della bottega catanese Cartura, il quale s’è ispirato, nel crearle, alle poesie di Nino Martoglio, poeta catanese, vissuto a cavallo tra ‘800 e ‘900.
I nomi dei vini Etna Bianco Doc “Luci luci” e Etna Rosso Doc “O’scuru o’scuru”sono tratti dalla poesia “Li me sonetti”-Sonetti siciliani sulla mafia-, mentre l’Etna Doc Rosato “Amuri di Fimmina e Amuri di Matri” deriva il suo nome dalla raccolta “A me’ Matruzza. La ‘Atta e la Fimmina Storii d’ amuri”, e, molti altri prodotti aziendali traggono il loro nome, e l’ispirazione dell’etichetta, da altre poesie del poeta catanese.
L’azienda di Pucci Giuffrida è nata nel 2005, s’estende su quattordici ettari in proprietà, e prende il nome dal fiume Alcantara, che lambisce la Contrada Feudo Santa Anastasia a Randazzo (Ct), presso la quale si trovano i vigneti aziendali (Al-Cantàra in arabo significa ponte).

Le bottiglie prodotte sono circa 20mila all’anno.


Avevamo avuto occasione d’apprezzare, lo scorso anno, durante la tappa milanese dell’Etna Grand Tour, O’ Scuru O’ Scuru, Etna Rosso DOC 2012, questo vino nasce all’ombra dell‘Etna in una valle tra la catena montuosa dei Nebrodi e il vulcano. I vitigni interessati sono: il Nerello Mascalese ed il Nerello Cappuccio, che per l’appunto danno vita alla Doc Etna Rosso.

Ora ci dedichiamo ad altri due vini della linea HoReCa:

– Etna Dop Bianco “Luci Luci” 2013 – 12,5% vol.
Ottenuto con uve di Carricante in purezza, coltivate in una valle tra il vulcano e i monti Nebrodi, ad una altitudine di 650 metri slm.
La zona di produzione è la Contrada Feudo S. Anastasia, nel comune di Randazzo (CT), la densità delle vigne è di 6.000 ceppi per ettaro, i vigneti, situati su suolo vulcanico ricco di minerali e di scheletro. Le vigne hanno dieci anni d’età e sono allevate a doppio cordone speronato e la resa è di 75 quintali per ettaro.
Si vendemmia solitamente a metà ottobre, l’uva viene posta in una cella frigorifera a -2° C per circa 8 ore. La fermentazione alcolica avviene in vasche d’acciaio, viene quindi indotta quella malo lattica, il vino rimane poi a maturare sulle fecce per almeno 6 mesi.
Giallo verdolino luminoso, di buona intensità.
Intenso al naso, fruttato (pesca, pera, frutta tropicale), agrumato, pulito, fresco, con accenni minerali e vegetali.
Fresco alla bocca, con spiccata vena acida, sapido, fruttato, tornano i sentori agrumati, leggere note vegetali, buona la persistenza.


– Etna Dop Rosato “Amuri di Fimmina e Amuri di Matri” 2013 – 13,5% vol.
Nella tradizione etnea il vero nerello mascalese era rosato e soprattutto trasparente.
“Amuri di Fimmina e Amuri di Matri” è per l’appunto un Doc dell’Etna Rosato, vinificato secondo i dettami di questa tradizione etnea.
Prodotto con uve Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio provenienti da un vigneto di due ettari collocato a Randazzo a 650 metri di quota, con densità di 6.000 ceppi/ha, ed allevato a doppio cordone speronato.
La vinificazione prevede una macerazione a freddo delle uve prima della pressatura, dopo la fermentazione alcolica, in acciaio, segue la fermentazione malolattica -spontanea- quindi il vino s’affina sulle fecce fini prima dell’imbottigliamento.
Il colore è rosa antico, tendente all’aranciato, luminoso.
Discreta l’intensità olfattiva, , pulito, con nota alcolica in leggera evidenza, si colgono piccoli frutti di bosco, note di tabacco ed accenni floreali e vegetali che rimandano al fieno.
Fresco alla bocca, decisamente sapido, quasi salino, intenso, fruttato, con buona nota alcolica e lunga persistenza.


Tre Bicchieri 2016 Valle d'Aosta e Basilicata Gambero Rosso

La Valle d’Aosta del vino offre uno dei panorami più affascinanti sotto il profilo dei paesaggi e delle varietà autoctone. Non troverete in nessun’altra regione d’Italia (e in pochissime nel mondo) vigne oltre i 1200 metri di quota. Nessun altro terroir può vantare una tradizione di viticoltura di montagna plurimillenaria come quella valdostana. Il fascino di questi vini antichi, vere sfide alla natura, ci ripaga anche dell’unico neo di questa bella storia, la difficoltà di reperimento legata all’esiguità di queste produzioni.
Quest’anno c'è una crescita, particolarmente sensibile tra quei produttori che cercano di esprimere le potenzialità di queste straordinarie vigne d’alta quota e dei vitigni autoctoni valdostani. E il risultato c'è: va alla Valle d’Aosta il premio speciale Dolce dell’Anno (una sfolgorante versione di Chambave Moscato Passito ’13, il Prieuré della Crotta di Vegneron) e il numero dei Tre Bicchieri sale a 6, massimo storico per la Valle. I tre bianchi sono dei classici, ma molte belle notizie vengono dai rossi. Massio premio per due straordinari rossi da vitigni internazionali che però qui hanno trovato un habitat interessantissimo, che gli permette di esprimere con eleganza i caratteri varietali senza rinunciare alla tipica impronta alpina. Buone prove anche da numerosi Fumin, Cornalin, Mayolet e Vuillermin, ma anche Nebbiolo.
Segnali più che positivi. I giovani stanno tornando a coltivare le vigne eroiche di montagna, determinati a raccontare storie enologiche sempre più fascinosamente locali, che non possono prescindere dallo straordinario patrimonio di esperienze della tradizione e dalla ricchezza di varietà autoctone.
La Basilicata è una delle terre più belle d’Italia e tra le meno conosciute. Due affacci sul mare, il massiccio del Vulture, Matera con i suoi Sassi, patrimonio mondiale Unesco e Capitale Europea della Cultura nel 2019. E uno dallo straordinario potenziale enologico.
Il grande vino della regione è l’Aglianico del Vulture, denominazione d’origine tutelata dal 1971, Docg con la tipologia Aglianico Superiore dal 2010. Il territorio è la parte settentrionale della provincia di Potenza, una fascia di quindici comuni che sale verso le pendici del Vulture, che arriva a 1327 di quota. Per una scelta dei viticoltori, le aziende debutteranno tutte insieme con l’uscita dell’Aglianico Superiore Riserva 2011 nella prossima edizione della Guida.
Quest’anno sono tre i Tre Bicchieri lucani, tre eccellenti versioni di Aglianico del Vulture, espressioni di tre diversi terroir di un’area dove quest’uva ha trovato un perfetto habitat da oltre duemila anni.
Certo, non è tutto rose e fiori in questo distretto. All’entusiasmo di una decina d’anni fa, è seguita una fase di ristagno. Pesano le produzioni di imbottigliatori che commercializzano a prezzi sensibilmente bassi, cosa che contrasta con l’immagine di alto profilo che il nuovo disciplinare della Docg sta contribuendo a costruire. È lecito aspettarsi di più dai produttori della Doc Matera, da quelli del Grottino di Roccanova e da quelli delle Terre dell’Alta Val d’Agri. La Basilicata può crescere ancora.
Ecco l'elenco dei Tre Bicchieri della Valle d'Aosta
Valle d'Aosta Chambave Moscato Passito Prieuré '13 - La Crotta di Vegneron
Valle d'Aosta Chardonnay Cuvée Bois '13 - Les Crêtes
Valle d'Aosta Petite Arvine '14 - Elio Ottin
Valle d'Aosta Pinot Gris '14 - Lo Triolet
Valle d'Aosta Pinot Noir Semel Pater '13 - Maison Anselmet
Valle d'Aosta Syrah '13 - Rosset Terroir 

Ecco l'elenco dei Tre Bicchieri della Basilicata

Aglianico del Vulture Il Repertorio '13 - Cantine del Notaio
Aglianico del Vulture Serpara '10 - Re Manfredi - Terre degli Svevi
Aglianico del Vulture Titolo '13 - Elena Fucci

Tre Bicchieri 2016 Molise e Calabria Gambero Rosso

Due regioni per quattro premi. Questa la situazione per due aree che ancora non riescono a sviluppare appieno le loro potenzialità.
Da una parte il Molise: un territorio di confine, tra Abruzzo e Campania, che sembra fatto apposta per la viticoltura, ma ancora i risultati non sono quelli sperati: vini spesso ingenui, in bilico tra un eccesso di rusticità e tanta voglia di enologia moderna. Vitigni portati dalle regioni limitrofe e la tintilia, il vero autoctono molisano, affascinante nei suoi sentori rustici e nervosi di frutto, capace di dare vini succosi e vitali, troppo spesso interpretata cercando potenza e sentori di legno internazionali. Il difficile 2014 ha portato meno cantine in assaggio, ma anche la bella novità di Tenimenti Grieco, convincente con vini moderni e ben fatti. I Tre Bicchieri vanno al Don Luigi, dell’inossidabile Di Majo Norante, in questa edizione molto buono e sapido, tra fittezza e nerbo. Dispiace per una terra dalle grandi potenzialità e dalla tradizione antica, che non trova quella centratura enologica. Ma qui e lì si scorgono nuove prospettive.


Ancora poco centrata anche la produzione della Calabria, nonostante la sua storia enologica: probabilmente la prima regione d’Italia a coltivare la vite e a produrre vino in modo moderno. Ma la ricchezza ampelografica – quasi trecento cloni sinora catalogati tra gli autoctoni calabresi – e il passato enologico, non bastano. La Calabria è, per quantitativi, il fanalino di coda tra le regioni italiane e anche se moltissimo è stato fatto, anche dal punto di vista qualitativo, ancora stenta a decollare, pur avendo le carte in regola per territori e clima. Anche quest’anno due dei tre vini premiati con i Tre Bicchieri arrivano dal comprensorio di Cirò. Nel resto della regione l’andamento è a macchia di leopardo, in particolare nel cosentino dove tantissime nuove aziende hanno fatto un buon esordio, anche se molte sono ancora legate a un modello stilisticamente superato, che guarda più alla concentrazione e alla potenza che all’eleganza e alla finezza.
C’è un tema su cui, invece, la Calabria è in prima linea, ed è quello della sostenibilità, non solo come biologico e biodinamico, ma anche come energie rinnovabili e riduzioni di gas serra.

Tre Bicchieri Molise
Molise Rosso Don Luigi Ris. ’12 – Di Majo Norante

Tre Bicchieri della Calabria
Grisara ’14 – Roberto Ceraudo
Magno Megonio ’13 – Librandi
Moscato Passito ’14 – Luigi Viola

Felsina - Chianti Classico Riserva Rancia 2010

Se c'è un vino nel Chianti Classico che negli anni raramente mi ha deluso questo è il Chianti Classico Riserva Rancia di Felsina. Il vigneto, che i francesi chiamerebbero CRU, è situato nel Comune di Castelnuovo Berardenga e deve il suo nome all'antico podere che sorge in corrispondenza di un antico e preesistente monastero benedettino. Le vigne Sangiovese, situate ad una altezza di circa 400 metri s.l.m. poggiano su un terreno di origine calcarea caratterizzato da alberese e galestro.


Le uve provenienti, provenienti solo dalla parte alta del vigneto, dopo la pigiatura sono fermentate in vasche di acciaio per 16-20 giorni con follature automatiche e rimontaggi giornalieri. A Marzo-Aprile il vino nuovo è trasferito in nuove barrique di rovere francese e dopo 18-20 mesi di maturazione ne segue l’assemblaggio e l’imbottigliamento. In vetro l’affinamento è garantito per almeno 6-8 mesi prima della commercializzazione.


L'annata 2010 del Rancia, bevuta poco tempo fa in compagnia di Armando Castagno, si caratterizza in Chianti Classico per vini intensi di colore e profumi, con gradazioni alcoliche non eccessive e favorevoli livelli di acidità. 

Tutto questo, come al solito, viene esaltato da questa Riserva che si presenta con una dotazione speziata di grande classe visto che gli aromi ricordano da vicino gli incensi e i balsami orientali, le resine. Poi, col tempo, questo sangiovese in purezza comincia a tirar fuori essenze vegetali di malva e timo a cui si accompagna una dotazione agrumata che prende la forma dell'arancia sanguinella e del bergamotto. 

Foto: wine-searcher.com

In bocca esplode il terroir del sangiovese di Castelnuovo Berardenga e il Rancia potrebbe rappresentare un valido esempio didattico di come la struttura del vino, di certo importante, può essere ben sorretta da una sferzante vena acida che rende il sorso armonico e vibrante. 

Se amate questo vino non potete non avere la 2010 nella vostra cantinetta. Perderlo sarebbe un delitto!

Alto Adige Pinot Nero 2014 - Cantina Caldaro. VINerdì di Garantito IGP

Nel caldo boia agostano vai a fare la spesa al discount e sullo scaffale dei saldi noti un paio di bocce a 7,99.


Ne prendi una in fretta e furia, la metti in fresco e poi la bevi a cena.

Godimento, gran frutto croccante, pulizia, linearità, semplicità.

Svoltata la serata afosa. Torni di corsa a ricomprarlo e non ce n’è più!

O forse sì, negli altri negozi della catena.

Kellerei Kaltern - Caldaro
Via Cantine 12, Caldaro (BZ)
Tel. 0471-963149
www.kellereikaltern.com
email: info@kellereikaltern.com 



Tre Bicchieri 2016 Alto Adige Gambero Rosso

Poco più di 5000 ettari vitati e ben 27 Tre Bicchieri (17 bianchi, 9 rossi e un passito), circa uno per ogni 200 ettari a vigneto, più che in ogni altra zona d’Italia, con l’unica eccezione della Valle d’Aosta. I motivi? Suolo, mesoclima e vitigni tanto diversi tra loro (qui la vite si trova tra i 250 e i 1000 metri), ma anche e soprattutto il fattore umano. Dalle grandi famiglie del vino ai Kellermeister della cantine sociali: la sensibilità alla qualità è diffusa un po' ovunque.

Il risultato è, oggi, sotto gli occhi di tutti: un gran numero di etichette capaci di confrontarsi con il meglio della produzione nazionale e internazionale. La voglia di emergere anche all’estero è un altro punto saliente del percorso virtuoso degli altoatesini, e forse è per questo che stanno nascendo vini nuovi di altissimo profilo prodotti in tirature esigue. Poche bottiglie eccezionali che rappresentano la punta di un iceberg, composto dal centinaio di etichette paragonabili con il meglio dell’offerta internazionale. 

Ecco l'elenco dei Tre Bicchieri.
A. A. Cabernet Sauvignon Cor Römigberg ’11 - Alois Tenutae Lageder 
A. A. Cabernet Sauvignon Lafòa ’12 - Cantina Produttori Colterenzio 
A. A. Gewürztraminer Auratus Crescendo ’14 - Tenuta Ritterhof 
A. A. Gewürztraminer Brenntal Ris. ’12 - Cantina Produttori Cortaccia 
A. A. Lago di Caldaro Cl. Sup. Leuchtenburg ’14 - Erste+Neue 
A. A. Lagrein Abtei Muri Ris. ’12 - Cantina Convento Muri-Gries 
A. A. Lagrein Castel Ringberg Ris. ’11 - Elena Walch 
A. A. Lagrein Staves Ris. ’12 - Tenuta Kornell 
A. A. Lagrein Taber Ris. ’13 - Cantina Bolzano 
A. A. Moscato Giallo Passito Serenade ’12 - Cantina di Caldaro 
A. A. Müller Thurgau Feldmarschall von Fenner zu Fennberg ’13 - Tiefenbrunner 
A. A. Pinot Bianco Praesulis ’14 Gumphof - Markus Prackwieser 
A. A. Pinot Bianco Sirmian ’14 - Cantina Nals Margreid 
A. A. Pinot Bianco St. Valentin ’13 - Cantina Produttori San Michele Appiano 
A. A. Pinot Bianco Tyrol ’13 - Cantina Meran Burggräfler 
A. A. Pinot Nero Trattmann Mazon Ris. ’12 - Cantina Girlan 
A. A. Santa Maddalena Cl. ’14 - Pfannenstielhof - Johannes Pfeifer 
A. A. Sauvignon ’13 - Franz Haas 
A. A. Terlano Nova Domus Ris. ’12 - Cantina Terlano 
A. A. Terlano Sauvignon Tannenberg ’13 - Manincor 
A. A. Valle Isarco Riesling ’14 - Taschlerhof - Peter Wachtler 
A. A. Valle Isarco Riesling Praepositus ’13 - Abbazia di Novacella 
A. A. Valle Isarco Sylvaner ’14 - Kuenhof - Peter Pliger 
A. A. Valle Isarco Sylvaner R ’13 - Köfererhof - Günther Kerschbaumer 
A. A. Val Venosta Riesling ’14 - Tenuta Unterortl - Castel Juval 
A.A. Valle Isarco Sylvaner ’13 Garlider - Christian Kerschbaumer 
Trias ’14 - Ignaz Niedrist 

Un Tram carico di ragù (di pecora) - Garantito IGP

di STEFANO TESI


Dov’era la fermata del “tramway” (il vecchio orario dice proprio così) tra Firenze e Poggio a Caiano è rimasto lo storico alimentari-trattoria. E lì fanno ancora le penne al sugo di pecora (e un sacco di altre buone cose all’antica).

Non nascondo di avere un debole per certe vecchie trattorie da carrettiere nate millanta anni fa lungo le grandi vie di comunicazione dell’epoca per offrire un economico ristoro ai viandanti e rimaste, più o meno, tali e quali. Leggendaria, in proposito, la gag realmente accaduta nelle campagne fiorentine d’inizio ’900 che mi raccontava mia nonna: un tipo un po’ male in arnese entra defilato in osteria, fa capire di essersi portato il pane da casae ordina sottovoce un piatto di fagioli: al che il perfido oste, contrariato per la modestia della comanda, bercia beffardamente alla cucina: “Qui un piatto di fagioli, vino beve acqua e il pane l’ha da sè“.

Altri tempi, davvero.

Erano le stesse trattorie che, con l’avanzare della modernità, si sono ritrovate pian piano incastrate in quella terra di mezzo oggi chiamata hinterland: un’area nè carne e nè pesce, sospesa tra città e campagna, nel suburbio di paesi e frazioni diventate satelliti. Molte sono defunte, ma le sopravvissute hanno saputo mantenere la propria identità e hanno continuato a fungere da punto di riferimento per la gente del posto, i pendolari, icommessi viaggiatori e i nostalgici di una certa sana, riconoscibile, rassicurante cucina tradizionale.

E’ questa la prima cosa che ho pensato quando, dopo lunghe insistenze, un amico mi ha convinto ad andare a cena a “L’Antica Trattoria di’ Tramway” a Signa, agli estremi confini occidentali della provincia di Firenze (ma in un comprensorio tradizionalmente fiorentinissimo), in bocca a Poggio a Caiano e alla sua famosa villa medicea.


Già il nome dice tutto: è un vecchio negozio di tabacchi e generi alimentari, con bancone e vendita ancora in piena attività, sorto dove una volta c’era anche la fermata del tranvai (chissà perchè nel nome del locale mantenuto all’inglese, tramway) che collegava, appunto, Poggio a Caiano a Firenze.
Ancora più esplicito il biglietto da visita sui cui, all’antichissima, sono stampigliati alcuni motti popolari. Tipo “Isolina, dove vai? Al Poggio col tramway!“, oppure “Piace alle donne, assai assai, girare in su sul tramway, godere in tutte e a tutte l’ore, ballare e far l’amore“.
Insomma avete capito il genere.

Sempre il biglietto recita: “Alimentari, tabacchi, cucina casalinga, cacciagione, funghi e tartufi. Pagare, sorridere e ringraziare!“, specificando che l’esercizio è di “Bacchereti Morando in arte Giorgio“.
Il quale Morando (la sua famiglia gestisce l’attività dal 1961) si aggira ancora, ciarliero, tra i tavoli. I camerieri sono vispi e hanno la parlantina facile. Alle pareti, in allegra anarchia, quadri di artisti del comprensorio. Mobili ingombri di bottiglie di vino e immancabile giardino per mangiare al fresco d’estate. Fronzoli, zero. Clientela diversa da quella abituale: nessuna o quasi.
Cucina ricca, toscanissima, nel suo genere perfino opulenta con i salumi, le finocchione, i fritti, tutto in grandi porzioni e cucinati con mano felice. Ottima la bistecca. Tanto buona che me ne sono fregato di chiedere razza dell’animale, certificati e altre amenità. Pappa e ribollita, va da sè.
Ma il vero motivo per il quale, atmosfera a parte, il mio amico ha insistito per portarmi lì e io consiglierei di farci una sosta è l’inusuale specialità della casa: le penne al ragù di pecora. Sì, pecora: “Fatto come un ragù normale, ma con la carne di pecora“, ribadisce la cameriera ridendo. Un’antica tradizione locale, retaggio di quando le greggi pascolavano i terreni marginali della piana.

Un sugo ottimo, credetemi. Tanto da far regredire la proverbiale diffidenza dei toscani verso le carni ovine diverse dall’agnello. Robusto, pieno di sapore, asciutto quanto basta, rustico ma a suo modo gentile e niente affatto eccessivo nè stopposo. Un “primone” d’altri tempi e una curiosità piuttosto difficile da reperire altrove.
frequentatori abituali della trattoria, gente dal palato esperto, mi hanno parlato anche di altre pietanze a base di pecora: pappardelle e perfino bistecche. Ma io, lo ammetto, non le ho ancora assaggiate.
Giuro, però: dopo aver testato il ragù, appena posso ci torno.
Anche perchè con 35 euro ci si abbuffa.

Antica Trattoria di’ Tramway

via Pistoiese355, Sant’Angelo a Lecore (FI)

tel. 055/8778203 o 333/4636068
Chiuso domenica sera e lunedì
trattoriatramway@gmail.com