Villa Bucci Verdicchio dei Castelli di Jesi Riserva 2004

Il Verdicchio dei Castelli di Jesi Villa Bucci per noi appassionati è da sempre una certezza anche se, come qualcuno sostiene, il meglio di sè lo regala solo dopo almeno due lustri.

Proprio per questo, con un gruppetto di amici, abbiamo stappato ultimamente la Riserva 2004 di Ampelio Bucci, milanese trapiantato nelle Marche che durante gli anni '70, seguendo la tradizione di famiglia, decise di piantare verdicchio nell'areale dei Castelli di Jesi affidandosi a all'enologo trentino Giorgio Grai che lo stesso Bucci definisce grande genio dell'assemblaggio.

Ampelio Bucci. Foto: Corriere.it

Attualmente l'azienda gestisce circa 400 ettari, dei quali sono 26 a vigne ed olivi, mentre il resto è dedicato a grano duro e tenero, mais, bietole da zucchero, piselli, colture da seme e girasoli.

L'azienda possiede attualmente 6 vigne di Verdicchio in posizione diversa come altitudine ed esposizione (DOC Verdicchio Classico Superiore dei Castelli di Jesi) :

Vigna Comune Età Esp. Alt. Mt
Vigna Villa Bucci Montecarotto 40 est 340-360
Vigna Belluccio Montecarotto 35 sud-est 320-340
Vigna Montefiore Serra de’ Conti 45 sud-ovest 200-220
Vigna Baldo Serra de’ Conti 15 sud 160-170
Vigna Saturno Barbara 40 sud-est 180-220
Vigna S. Sebastiano Serra de’ Conti 5 sud 250-280

Vigneti Bucci. Foto: Corriere.it
La Riserva non proviene da una specifica vigna ma, come spesso spiega lo stesso Bucci, è  una cuvée, creata grazie al prezioso aiuto di Grai, da uve provenienti dai vigneti più vecchi che, come per tutta la produzione aziendale, sono coltivati secondo metodi biologici. Una scelta, pertanto, effettuata degustando il vino di tutte le grandi botti di Slavonia, alcune vecchie anche 75 anni, che contengono il verdicchio in affinamento per circa due anni prima di passare in bottiglia per altri 12 mesi.

Foto: Corriere.it

La Riserva 2004 si presenta inizialmente contratta al naso, ritrosa come un bambino che non vuole cedere il suo giocattolo migliore. Poi col tempo si apre rimanendo su toni inizialmente giocati sulla nocciola tostata, la mandorla, il miele millefiori, per poi virare su sensazioni più giovanili e "bianche" che via via prendevano la forma dei fiori bianchi, delle erbe aromatiche e della mineralità bianca.

E', invece, al sorso che questo verdicchio sembra avere una marcia in più visto che, assaggio dopo assaggio, ti rendi conto che questo vino è un piccolo capolavoro di eleganza sartoriale dove il gusto viene puntellato da una verve acida precisissima che amplifica gli aromi minerali e sapidi del vino che, alla cieca, potrebbe battersela con un ottimo Borgogna bianco. Ampio l'epilogo, difficile da dimenticare.

Un grande vino italiano, non solo marchigiano, che ancora è in fase evolutiva e promette per il futuro ancora grandi sorprese per chi lo vorrà aspettare.

I Rich Kids maltrattano lo Champagne. O no?

Sono giovanissimi, stronzissimi e, soprattutto, ricchissimi. Non ne ero a conoscenza ma a leggere il Daily Mail sembra che sti ragazzotti inglesi stiano diventando un fenomeno in Rete (Istagram prima e Snapchat ora) grazie alle loro provocazioni che prendono la forma di foto in cui cercano di ostentare la loro vita privilegiata.

La pagina Facebook, che oggi vanta oltre 240 mila "Mi Piace" è stata creata da un anonimo adolescente, che il suo portavoce dice esser diventato ricco iniziando a giocare in borsa all'età di 12 anni, che ogni giorno decide di condividere in Rete la sua e l'altrui ricchezza chiamando il resto della popolazione, quella meno abbiente, come "contadini".

Le immagini dei Rich Kids mostrano scene abbastanza trash: borse Louis Vuitton usate per tappare il bocchettone dell'allarme antifumo, iPad utilizzati per livellare l'altezza della sedia o Iphone impiegati per tagliare torte al cioccolato.


Quando si arriva al vino gli stereotipi sono all'ordine del giorno: lo Champagne fa figo per cui spazio ad immagini con impresso Dom Pérignon, Armand de BrignacLaurent Perrier.




Per la categoria vino, sicuramente, l'immagine del cagnolino che beve Champagne è la più trash.



Conclusioni? Sti ragazzi non mi fanno arrabbiare ma mi fanno pena. Son contento di non essere come loro!!!!


VINERGIE all'Eclettica Festival di Roma

Dal 17 luglio al 2 agosto – Parco delle Energie, Via Prenestina 175
VinErgie ad Eclettica
All’interno di Eclettica VinErgie, uno spazio dedicato ai vini naturali.

Quest’anno all’interno di “Eclettica” troverete un’osteria la cui finalità è quella di promuovere il consumo dei vini naturali e valorizzare le aziende impegnate in questo ambito.
Ogni sera sarà possibile scegliere tra un notevole numero di etichette provenienti da diverse regioni italiane e francesi, le stesse etichette che ruoteranno in mescita. Particolare attenzione sarà dedicata alle bollicine naturali come i Sur Lie che saranno oggetto di uno specifico evento.
Terzo, partigiano e minatore, che mi ha insegnato il vino – racconta Alfonso Scarpato, tra i responsabili del progetto - nonostante gli dicessero “mettici questo nella vigna che fai più uva.. metti questo che si conserva meglio” non hai mai utilizzato nulla. Da una parte perché questa roba costava molto e poi perché il vino gli veniva bene. E poi, se un anno gli veniva meno bene, era un anno più triste così come deve essere in un ambito naturale delle cose. Naturale come la nostra curiosità fonte del nostro accrescimento culturale.
Durante la manifestazione saranno presenti vari produttori che in modo informale (seduti ai tavolini dell’enoteca, questa la specificità dello spazio che si è voluto creare), ci parleranno della loro esperienza e soprattutto del vino, delle vigne e delle tecniche naturali di vinificazione.
Cos’è un disciplinare come il biologico? Cosa significa “biodinamico”? quali differenze esistono tra i vini “convenzionali/industriali” e quelli fatti soltanto con l’uva?
Un vino naturale – continua Alfonso - si può definire partendo dalla tradizione secolare legata alla sua produzione. Questa definizione contrasta con le produzioni industriali che nell’ultimo secolo hanno visto un crescente utilizzo di fertilizzanti e di prodotti chimici impiegati prevalentemente per massimizzare le produzioni e per aumentare i tempi di conservazione del vino. La legislazione corrente, in materia, consente, infatti, l’utilizzo di più di 400 “prodotti enologici” senza obbligo, da parte del produttore, di indicare gli ingredienti in etichetta. I vini naturali nascono dalla passione di piccoli produttori. Sono diversi al gusto nel confronto con la maggioranza dei vini commerciali che tendono, al contrario dei primi, ad un certo appiattimento sotto il punto di vista organolettico
Nel corso delle serate si parlerà anche delle legislazioni correnti in materia, non prive di criticità e perplessità come ad esempio le recenti disposizioni in materia di biologico in cantina. La “rivoluzione naturale” del film di Jonathan Nossiter rappresenterà un evento di sintesi di quanto espresso a cui sarà dedicata una serata speciale.



Eventi – VinErgici
18 luglio ore 19:00:
Incontro con il produttore Mario Macciocca, Piglio (FR) per affrontare le seguenti tematiche:
·       coltura della vite attraverso pratiche naturali;
·       la produzione del vino senza l’intervento di prodotti chimici/enologici;
·       la legislazione italiana in campo enologico e le certificazioni: orientarsi tra il biologico, il biodinamico e come leggere un’etichetta.

       23 luglio ore 19:00:
I frizzanti naturali Sur Lie.. appesi al filo della carbonica” con l’enoartigiano Danilo Marcucci:
Il “sur lie”, dal francese “sui lieviti” è una vinificazione artigianale, a rifermentazione in bottiglia con i lieviti naturali che si depositano sul fondo, dopo aver trasformato gli zuccheri residui in anidride carbonica.
I vini “sur lie” fermentando a lungo in bottiglia, acquistano dalla particolare convivenza con i lieviti caratteristiche organolettiche davvero uniche. Si distinguono nettamente dagli altri frizzanti per le bollicine finissime che accarezzano il palato, per il delicato sentore di lieviti e per il gusto asciutto e piacevolmente amarognolo.

In compagnia dell’enoartigiano Danilo Marcucci un percorso attraverso alcuni dei migliori sur lie d’Italia con la degustazione di Sur lie alpino Furlani Trentino - Sur lie alpino aromatico Furlani Trentino - Metodo interrotto brut Furlani - Metodo interrotto brut rosè Furlani - Sur lie rosso Appenninico Vigneti Campanino Assisi - Sur lie rosato Appenninico Vigneti Campanino Assisi - Trebbiano rosa Frizzante naturale Vigneti Campanino - Bianco Vivace Igt Colline Pescaresi Rabasco - Frizzante Naturale Vecchia Vigna del Ceppaiolo.

28 luglio ore 21:00:
Proiezione del film “Resistenza naturale“, il nuovo film del regista di “Mondovino”, Jonathan Nossiter: Un documentario sulla viticoltura “naturale” in Italia, raccontata appunto come una “resistenza”.
Nossiter dieci anni fa, con “Mondovino”, criticò radicalmente l’industria del vino riuscendo a stupire il Festival di Cannes, dove venne candidato alla Palma d’oro. Oggi con “Resistenza naturale” fa un elogio degli italiani del vino naturale e racconta la nostra cultura contadina con le regole del cinema. Tanto pessimista era “Mondovino”, tra descrizioni di affari e speculazioni, quanto allegro è “Resistenza naturale”. Perché i quattrocento vignaioli naturali d’Italia per Nossiter non sono semplici artigiani ma veri artisti moderni.
Ma che cos’è il vino naturale? In un certo senso è l’ala più “estrema” di un movimento che nasce con il vino biologico e biodinamico. Anche se chi si fregia dell’etichetta di produttore biologico ci tiene a marcare le differenze e per il termine ” naturale” non ha troppa simpatia.
Alle 19:00 incontro informale, muniti di bicchiere, con il regista e degustazione dei vini di Giovanna e Stefano Tiezzi Borsa dell’Azienda Pacina (Castelnuovo Berardenga, Siena).

31 luglio ore 21:00:
Serata dedicata all’Associazione “VinNatur”:
VinNatur nasce nel 2006 dall'esigenza di unire piccoli produttori di vino naturale, italiani ed europei, in un'associazione che permetta loro di far conoscere il proprio prodotto e allo stesso tempo di ampliare le proprie conoscenze specifiche in viticoltura ed enologia naturale.
Per vino naturale si intende un prodotto derivato da un'agricoltura sana che abolisce l'uso di pesticidi, diserbanti, concimazioni al terreno o alle foglie di derivazione chimica. L'attenzione maggiore è rivolta al suolo e al suo equilibrio naturale. La ricerca in questo settore riguarda il tentativo di eliminare il rame e lo zolfo per la cura delle malattie, rivolgendosi invece ad estratti vegetali ed essenze naturali che aiutino la pianta ad autodifendersi.
In cantina si prosegue il lavoro iniziato in vigna; anche qui non sono permessi lieviti selezionati, additivi (di qualunque origine) e tecniche invasive, poco rispettose della materia prima. Gli obbiettivi sono quelli di ridurre o, se possibile, eliminare l'uso dell'anidride solforosa (conservante con noti effetti collaterali sulla salute dell’uomo) e di perfezionare la pratica della fermentazione spontanea, prediligendo i lieviti migliori, già presenti in natura, che aumentano il valore del vino, donando personalità ed unicità.

A cura di:
SO2 Promozione e Distribuzione Vini Naturali
Magazzino e shoow room: Via Fanfulla da Lodi, 97/99 Pigneto (RM)

Mediapartner:
 Andrea Petrini - Percorsi di Vino Wine Blog

Contatti:
alfonsoscarpato@tin.it – Cell. 333/4836000
caterina.frontino@tiscali.it - Cell. 346/7498568
Ufficio Stampa:
Pamela Maestri

pamelamaestri83@gmail.com - Cell. 339/1833093

Il Soave e i suoi Cru hanno conquistato Roma - Parte Seconda

Dopo una prima parte dell'articolo prettamente tecnica, in cui ho cercato di spiegare i vari caratteri del "terroir" Soave, arriva questa seconda parte, più edonistica, dove cercherò di trasporre on line i miei appunti di degustazione scritti sul mio immancabile Moleskine.

La domanda è: cosa si è bevuto di buono a Roma durante il Soave tour presso l'enoteca Trimani e il Simposio di Costantini

Latium Campo Le Calle Soave Doc 2013: un Soave 100% garganega che si fa apprezzare in queste serate estive per la sua freschezza e per il suo essere immediato. Al naso un cesto di frutta estiva vi accoglierà assieme ad un contorno minerale. Bocca che si rivela stuzzicante per per sapidità e allungo. Dissetante! Vendemmia, Vinificazione e Affinamento: Raccolta in casse nella prima decade di ottobre, l’uva viene fatta riposare per 15/20 giorni in fruttaio. Successivamente diraspata e macerata in pressa per 12 ore, il mosto pulito affronta una fermentazione a temperatura controllata a massimo 15°C per 20/25 gg in acciaio inox. 


Damiano Fornaro Soave Classico Doc 2013: un Soave 100% garganega che rispetto al precedente ha un registro olfattivo totalmente differente visto che, accanto alla frutta gialla, sempre in sottofondo, emergono intensi effluvi di iodio. Sul mio Moleskine ho scritto chiaramente che questo è un Soave marino. Al sorso morde con la sua acidità e per il suo carattere quasi sbarazzino. Chiude molto fresco e su ricordi di agrumi. Vinificazione: in bianco, spremitura di uve selezionate e raccolte a mano, fermentato a bassa temperatura in piccoli serbatoi d’acciaio e affinato a contatto con i lieviti


Marcato "Monte Tenda" Soave Classico Doc 2013 (80% garganega, 20% trebbiano di Soave): grande intensità olfattiva dove ritrovi la luminosità della frutta gialla solare e i fiori di zagara. Al palato te lo aspetti rotondo e polposo ed invece ti stupisce per verticalità ed affondo sapido/minerale. Chiude lungo. Vinificazione: 3 ore di macerazione in atmosfera di anidride carbonica, spremitura soffice e fermentazione in acciaio a temperatura controllata di 14- 16°C. Maturazione: in vasche di acciaio per minimo 6 mesi.


Coffele "Cà Visco" Soave Classico Doc 2013 (75% garganega, 25% trebbiano di Soave): austero al naso, rimane contratto nel bicchiere per molti minuti prima di "aprirsi" su note calcaree e di frutta e fiori bianchi. Al sorso conferma le sue durezze ma anche una complessità ed una estensione in bocca tipiche di un grande bianco ancora giovane. Crescerà col tempo, va aspettato. Vinificazionea temperatura controllata. Il vino subisce un solo travaso ed una sola filtrazione. Maturazione: in piccoli recipienti di acciaio inox con temperatura sempre inferiore ai 16°.


I Stefanini "Monte di Fice" Soave Classico Doc 2013 (100% garganega): ferroso, basaltico, esprime al meglio il territorio di appartenenza. Dotato di un sorso di grande personalità ed equilibrio, incanta anche per l'ottimo rapporto q/p. Sempre se lo trovate....Vinificazione: macerazione prefermentativa a bassa temperature, pressatura soffice e illimpidimento enzimatico, fermentazione a temperatura controllata totalmente in acciaio, lungo affinamento sui lieviti. Malolattica svolta. Maturazione: si imbottiglia in tarda primavera.


Gini "La Froscà" Soave Classico Doc 2012 (100% garganega): se il mondo è affascinato dai Soave dei fratelli Gini ci sarà un motivo e, ogni volta che bevo il La Froscà, questo si manifesta nel grandissimo equilibrio che riescono a dare a questa garganega in purezza che vede, grazie ad un sapiente uso del legno, esprime al meglio il territorio vulcanico dove sono piantate le vigne. Il La Froscà è rotondo, deciso, superbo, avvolgente e sapido allo stesso tempo. Piccolo consiglio: provatelo nelle annate non recenti e vi stupirete! Vinificazione: pressatura soffice, fermentazione a temperatura controllata totalmente in acciaio, lungo affinamento sui lieviti fino all’imbottigliamento. Maturazione: 30% in rovere 228 lt.



Cantina di Monforte "Vigneti di Castellaro" Soave Superiore DOCG 2012 (100% garganega): la teoria del Big Bang traslata nel mondo del vino ovvero un Soave talmente compatto e allo stato primordiale che solo il tempo potrà dirci che tipo di universo potrà tratteggiare. Comunque, non abbiate paura a berlo oggi, è un sorso più che appagante e poi si sa, come diceva Oscar Wilde, l'unico modo per resistere alle tentazioni è cedervi.. Vinificazione: le uve vengono pigiate in maniera soffice usando delle presse discontinue a polmone, con leggera permanenza del pigiato a contatto delle bucce a freddo. Il mosto viene fatto fermentare in piccole botti (barrique) e in botti da 15 hl, dove rimane per circa un anno. Maturazione: sei mesi di bottiglia.


Roccolo Grassi "La Broia" Soave DOC 2011 (100% garganega): cosa succede quando un grande rossista e uno dei maggiori produttori della Valpolicella tenta la strada di vinificare la grande garganega di Soave? Creare un vino bianco molto boteriano il cui stampo è ben definito ovvero grande struttura, spalle larghe e complessità. Sfiderà il tempo, del resto chi produce Amarone ha i suoi orizzonti temporali... Vinificazione: svolta in barrique e botti da 22 hl per lʼ80 % del prodotto, lʼaltro 20% viene fermentato in acciaio. Poi il vino viene lavorato surlie per 12 mesi. Malolattica svolta per la parte in barrique. Maturazione: 12 mesi surlie e 6 mesi in bottiglia.

Il Soave e i suoi Cru hanno conquistato Roma - Prima parte

Il titolo di oggi sembra una frase fatta ma, chi ha partecipato, può assolutamente testimoniare il successo della due giorni di seminari organizzati presso il Wine Bar Trimani ed il Simposio di Costantini e tenuti dal bravissimo Giovanni Ponchia, enologo del Consorzio Tutela Vini Soave e Recioto Soave, al quale va tutta la mia gratitudine per aver creduto nel progetto.

Giovanni Ponchia

Tante le nozioni che abbiamo imparato da Giovanni, a partire dall'inquadramento della zona di produzione del Soave che è situata nella parte orientale dell'arco collinare della provincia di Verona (a nord dell'autostrada serenissima, tra il 18° e il 25° km tra Verona e Venezia). Essa comprende in tutto o in una parte i territori del comune di Soave, Monteforte, San Martino Buon Albergo, Lavagno, Mezzane di Sotto, Caldiero, Colognola ai Colli, Illasi, Cazzano di Tramigna, Roncà, Montecchia di Crosara, San Giovanni Ilarione e San Bonifacio.

Le denominazioni del Soave con relativa mappa

Non solo. Abbiamo scoperto che il Soave di qualità viene prodotto a partire da uve garganega (almeno 70%) e trebbiano di Soave (tra il 10% e il 30%) che trovano la loro massima espressione e identità grazie alla specifica identità geologica dei terreni di origine vulcanica con importanti affioramenti calcarei la cui carta di identità è stata presentata dallo stesso Ponchia e che io, con grande piacere, vi fornisco grazie all'immagine sottostante

I suoli del Soave. Clicca per ingrandire immagine


Creando un match tra le due cartine soprastanti è facile comprendere come, nell'areale del Soave, la qualità sia espressamente legata alle caratteristiche pedologiche ed ambientali del territorio tanto da creare una vera e propria Piramide della Qualità del vino.


Alla base, come possiamo vedere, c'è il Soave Doc, prodotto da uve coltivate in pianura su suoli di carattere alluvionale che, dati del Consorzio alla mano, viene prodotto in 40 milioni di bottiglie rappresentando, da sempre, la testa di ponte verso i mercati esteri grazie al suo ottimo rapporto q/p.
Al di sopra, poi, troviamo la denominazione Soave Classico Doc, ottenuto nella fascia collinare dei comuni di Soave e Monteforte d'Alpone, territori nei quali si trova la zona originaria più antica, detta "zona storica" e delimitata già nel 1931, il cui suolo, così come possiamo vedere dalla cartina, è formato da un substrato di rocce vulcaniche. 
Infine, al vertice qualitativo della piramide, c'è il Soave Superiore, DOCG nel 2001, la cui zona di produzione è limitata alla sola area collinare del territorio coincidente con la denominazione Recioto di Soave Docg. Ovviamente, come si può notare dal grafico soprastante, il Soave Superiore, che può avere anche la menzione Classico, ha maggiori parametri qualitativi rispetto al Soave Classico Doc e al Soave Doc soprattutto in termini di resa per ettaro e affinamento prima dell'immissione al consumo.





CLICCA QUA PER LA SECONDA PUNTATA DEL SOAVE A ROMA

Lo Champagne Polisy di André et Jacques Beaufort

Se un giorno mi avessero detto che avrei "guidato" una verticale di Champagne mi sarei messo a ridere perchè in Italia, per non parlare di Roma, c'è gente molto ma molto più preparata di me.
Un pizzico di fortuna e amici temerari che credono nel sottoscritto possono ridefinire il destino di un wine blogger che, un pomeriggio di giugno, può essere catapultato al Wine Expo di Zagarolo per incontrare Réol Beaufort, uno dei figli di Jacques, per vivere assieme a lui una degustazione anticonformista e, forse, irripetibile.

Descrivere la filosofia di Jacques Beaufort non è cosa semplice viste le sue mille sfaccettature per cui, complice un pubblico vasto ed eterogeneo, dovevo trovare le parole adatte a preparare gli ospiti ad una esperienza degustativa "inedita". 
Come iniziare l'evento? Beh, migliore risposta a questa domanda non poteva che essere data dalla guida 99 Champagne che così descrive Beaufort e i suoi Champagne:
Non sono assolutamente champagne per iniziati, ma champagne che trovano il loro primario valore nell'essere espressione di una vigna curata in modo maniacale e un'uva di qualità assoluta, valore che si percepisce ad ogni sorso, sorso a volte forse manchevole di alcuni "canoni" estetici di perfettibilità che non gli devono appartenere.Qui non c'è nessuna ricerca estetica, c'è semmai la ricerca etica di uno champagne fatto con un'uva e non con un'altra, che viene da quella terra, e non da un'altra, in quella determinata annata e non in un'altra, frutto di una trasformazione in cantina che vuole rispecchiare e rispettare quell'uva, quella terra, quell'annata.
Poi è toccato a Réol descrivere la sua azienda e fare le veci del papà. Pochi minuti di convenzionalità che, nel prosieguo della degustazione, verranno amabilmente vanificati!!!


Come avete visto nel video, Réol non vedeva l'ora di prendere le bottiglie portate direttamente dalla sua cantina in attesa di essere sboccate. Già, avete capito bene, il nostro vignaiolo per tutte le bottiglie ha effettuato in sala un dégorgement à la volée. Avete mai visto come si fa? Eccolo!!



La verticale, come scritto in precedenza, ha riguardato solo ed esclusivamente lo Champagne proveniente dalla zona di Polisy che rappresenta uno dei due territori, l'altro è Ambonnay (Grand Cru), dove Beaufort ha impiantato le vigne di pinot nero, in prevalenza, e chardonnay.

Degustare in maniera tecnica ed oggettiva uno Champagne appena sboccato potrebbe essere lavoro fattibile. 
Degustare in maniera tecnica ed oggettiva uno Champagne mentre Réol cerca di innaffiare i sommelier col vino stile premiazione Formula 1 potrebbe essere moooooolto più complicato. Mi impegnerò!

Champagne Beaufort Polisy 2010 (100% pinot nero): l'annata abbastanza difficile viene interpretata magistralmente dal produttore che dà vita ad un vino di bella struttura e solidità con note intense di frutta gialla e spezie orientali a cui segue un sorso rotondo, intenso e di grande persistenza sapida. 


Champagne Beaufort Polisy 2009 (100% pinot nero): l'annata favorevole si sente subito annusando il vino che in maniera franca si esprime su sensazioni di freschezza. Se quello di prima era già uno Champagne adulto, questo invece è uno ragazzino un pò bullo e ancora con i brufoli che mostra solo durezza ed arroganza minerale. Appagante il sorso e la sua persistenza finale che va avanti per minuti.

Champagne Beaufort Polisy 2008 (80% pinot nero, 20% chardonnay): l'annata molto classica, più pronta rispetto alla 2009, si percepisce subito anche se, in una ipotetica scala evolutiva, il vino si piazza a metà strada tra la 2009, sbarazzina, e la 2010 con i suoi fianchi larghi e confortanti. Fruttato, con tratti terrosi e speziati, ha un ottimo equilibrio alla beva dove la sapidità gioca una partita tutta sua prolungando oltre misura la persistenza. Così com'è, oggi, è lo Champagne che preferirei, per molteplicità di abbinamento, su una tavola imbandita.

Champagne Beaufort Polisy 1997 (80% pinot nero, 20% chardonnay): l'annata è stata particolarmente difficile ma Beaufort è riuscito comunque a fornire alla vigna un buon equilibrio che, di pari passo, troviamo anche nel vino che dopo 17 anni si svela dotato di bella complessità aprendosi su note di frutta secca, cotognata, iodio, tocchi di miele e zenzero. Sorso solido, concreto, dove acidità e sapidità sono ancora abbastanza graffianti e performanti. Un primo approccio ai grandi champagne invecchiati firmati Beaufort!

Champagne Beaufort Polisy 1996 (80% pinot nero, 20% chardonnay): come descrivere uno champagne così in una delle migliori annate di sempre? L'unica cosa che mi viene in mente è un'armata invincibile dove fanteria, cavalleria e divisione corazzata sono perfettamente coese facendosi ammirare per forza e magnificenza. E' un bere psichedelico, può creare dipendenza.

Champagne Beaufort Polisy 1989 (80% pinot nero, 20% chardonnay): ed eccolo qua il vecchietto del gruppo che molti tra i partecipanti davano sulla via dell'ospizio. Ed invece no!! Tiè! Bello pimpante e non troppo brizzolato si fa apprezzare per un ventaglio di aromi che vanno dal caramello alla crema bruciata fino ad arrivare alla noce, al pepe bianco e alla mineralità quasi rossa. Sorso dinamico, appagante, florido con ottimo allungo finale. Una bella conferma e, per molti, una grande sorpresa!



Memorie di un cameriere ligure. Gianni Ruggiero scrive per Percorsi di Vino

Gianni Ruggiero, oggi, potremmo definirlo un vero e proprio manager della ristorazione essendo una di quelle poche persone alle quali puoi affidare tranquillamente le chiavi del tuo locale che, stai sicuro, verrà gestito nel migliore dei modi.Gianni, invece, si definisce semplicemente un cameriere. Non per falsa modestia, chiariamoci, ma perchè semplicemente è legato ad una visione lavorativa che oggi scarseggia ovvero quella di una figura professionale preparata a 360° che vede la sala come il suo regno e i clienti come amici da coccolare e viziare.Gianni lavora al Simposio di Costantini a Piazza Cavour (Roma) e lo potrete riconoscere perchè è l'unico che, contemporaneamente, può preparare al volo una tartare di fassona, consigliare il cliente sul migliore vino in abbinamento e, perchè no, sorridere ed essere il miglior confidente degli altri clienti che si rilassano nel locale.A Gianni ho chiesto di scrivermi alcune sue memorie, frammenti di un passato che difficilmente ritroveremo. Per me è un piacere condividerle sul blog.....

Bisogna essere ristoratore, di quelli veri, oppure un semplice "cameriere di esperienza", come mi piace considerarmi, per apprezzare fino in fondo quel momento intenso e pieno di poesia che vede l'ultimo cliente andarsene dal tuo locale. 
La porta si chiude e si spalanca l'ultima luce della notte, appena prima del giorno che arriva. La frenesia della prestazione, la noia che a volte arriva con la ripetizione, lo stupore di emozionarsi ancora davanti a un cliente che "ne capisce" e ti racconta un suo pezzo d'infanzia, commosso da un piatto di funghi e patate fatto con amore, si sciolgono in questo momento magico in cui si può vagare sul palcoscenico, finalmente vuoto, dove passi tutti i giorni della tua vita di lavoro. In questa solitudine impregnata di fantasmi la testa vaga e tutto si accelera e rallenta col ritmo del tuo cuore. 


Gianni Ruggiero al suo Simposio

E' in una notte così, nel disordine delle bottiglie accatastate, delle tovaglie macchiate di presenze appena partite, nel colpo d'occhio della cucina ancora da rigovernare, dei bicchieri un poco tristi con qualche rimasuglio di Nebbiolo, che penso a mio padre che ordinava vino sfuso dall'azienda piemontese di turno ed in omaggio riceveva 6 Barolo e 6 Moscato d'Asti imbottigliato. Si, perché la bottiglia voleva dire festa e "loro" venivano stappate nei giorni più felici dell'anno. Certo, è un passato che forse non c'è più ma se oggi il Piemonte vanta 16 DOCG e 42 DOC, non scordiamocelo, lo si deve al vino in damigiana comprato da mio padre, ai commercianti dell'epoca e, perchè no, ai tanti contadini che si improvvisavano anche trasportatori di vino.

Già, il Nebbiolo, un vino capace di esprimere come nessun altro tutte le sfumature dell'eleganza e della complessità che può prendere varie sfaccetttature: la freschezza nervosa del Lessona, la femminilità e la seduzione del Fara, l'asciutta compostezza del Barbaresco, la pienezza e la ricchezza del grande Barolo. É questo spirito, lo spirito di uomini dalle mani callose e l'animo candido, che ha reso grande questo paese, non dimentichiamolo mai.

Panorama delle Langhe. Foto:www.piemonte-landofperfection.org

Decugnano dei Barbi, là dove nasce un grande Metodo Classico umbro

Enzo Barbi ci aspetta in mezzo ad un nugolo di motociclisti venuti da chissà dove a visitare una della aziende più rappresentative e suggestive, per il contesto in cui si trova, di tutta l'Umbria.
Il tempo non è certo dei migliori, piove da varie ore, ma questo non ci impedisce di poter ammirare tutta la bellezza del panorama all'interno dell quale si staglia Decugnano dei Barbi, un piccolo borghetto locato sopra una collina con vista a 360° su tutto il panorama dell'orvietano. 
Pertanto, non sono affatto stupito quando Enzo, parlandomi della storia della sua azienda, mi riferisce che il vino di Decugnano già si vendeva in zona agli inizi del XIII secolo quando tutto quanto qua era di proprietà dello Stato Pontificio e prendeva il nome di "Santa Maria di Decugnano".


La storia dei Barbi in terra umbra, invece, inizia alla fine degli anni '60 del secolo scorso quando il nonno di Enzo, che selezionava a quel tempo vino in tutta Italia da rivendere poi in Lombardia, decise di acquistare a suo figlio Claudio (papà di Enzo) un pezzo di terreno nell'orvietano che in quel periodo era molto di moda. "Mio papà spesso di scontrava con mio nonno sul tema della qualità del vino così" - mi spiega Enzo sorridendo - "acquistargli tre ettari di terreno ad Orvieto ha significato lasciargli produrre il vino come voleva lui lasciando al tempo stesso in pace mio nonno che poteva proseguire il suo lavoro senza troppe scocciature!!".
Decugnano ad inizi del 1970 era in vendita e la famiglia Barbi non c'ha pensato due volte ad acquistare la tenuta, a quel tempo in miseria, non solo per la bellezza del posto ma, soprattutto, per il terreno che, rispetto alla zona sud dell'orvietano, non è di tipo tufaceo ma, invece, di carattere marnoso e argilloso e ricco di fossili di ostriche e conchiglie di epoca pliocenica. "Sai Andrea" - commenta Enzo - "mio madre è amante dello Chablis e questa terra ricorda molto quel particolare terroir francese"

Era il 1973 quando Claudio Barbi acquisto il podere piantando, in sequenza, i vitigni storici dell'Orvieto Classico (trebbiano, malvasia e grechetto) e alcune piante di sangiovese e canaiolo iniziando un'intensa fase di sperimentazione, che riguardò anche la spumantizzazione delle uve dell'Orvieto, che prese forma nel 1978 quando comparvero sul mercato tre vini che ancora oggi esistono: il Decugnano bianco, il Decugnano rosso ed il primo metodo classico prodotto in terra umbra.
Otto anni dopo, nel 1981, l'azienda propose sul mercato prima bottiglia italiana di vino da uve botrizzate: Pourriture Noble. Nessuno fino a quel momento si era accorto che la Botrytis Cinerea attaccava anche i vigneti di alcune zone dell'Orvietano.

Claudio ed Enzo Barbi. Foto:www.civiltadelbere.com

Attualmente Decugnano dei Barbi possiede circa 32 ettari di vigneto, 14 anni di età media, dedicati per il 60% a vitigni a bacca bianca (grechetto, chardonnay, sauvignon, procanico) e per il 40% a vitigni a bacca rossa (sangiovese, montepulciano, merlot, cabernet sauvignon, pinot nero, syrah). I vigneti hanno una densità d’impianto di circa 4200 ceppi/ha e vengono allevati a cordone speronato. La resa per ettaro varia dai 50/70 quintali/ha per le uve rosse ai 70/90 quintali/ha per le uve bianche (la resa dei vigneti per la Pourriture Noble è invece di 25/30 quintali/ha).

Entriamo a visitare la prima cantina, quella dei vini "fermi", la cui struttura si è ampliata nel tempo man mano che l'azienda prendeva piede. Una prima ala, infatti, è dedicata alla vasche di fermentazione, tutte in acciaio, dove ognuna, anche la più piccola, è dedicata ai singoli vigneti che poi vengono uniti solo in fase di assemblaggio, mentre l'altra è dedicata all'affinamento e allo stoccaggio delle bottiglie.

Parte della cantina

La parte più bella e suggestiva, però, deve ancora arrivare. Saliamo sul fuoristrada di Enzo e, tra una buca e l'altra, arriviamo all'entrata delle antiche grotte etrusche scavate nella sabbia (non tufo) regno di quel metodo classico che Claudio Barbi, originario di Brescia e con ovvie ispirazioni franciacortine, ha voluto porre in essere nel 1978 spumantizzando le uve tipiche dell'Orvieto grazie all'aiuto di Corrado Cugnasco, enologo aziendale dell'epoca.

Le immagini della cantina, penso, possano parlare per me.

Fonte: Tannico.it

Da notare che l'affinamento sui lieviti dura almeno quattro anni e che la sboccatura, come vedete dalle immagini qua sotto, viene effettuata in maniera strettamente manuale.


Usciamo e fuori piove ancora, più forte, non possiamo andare in mezzo ai vigneti per cui l'unica cosa da fare è andare a degustare un pò di vino al caldo e all'asciutto prima della cena che Enzo ha organizzato assieme ad altri amici. Prima, però, un piccolo grande aperitivo a base di Brut Metodo Classico 2006.


Lo spumante, una cuveé formata da chardonnay (70%), procanico e verdello (30%), è stato sboccato nel maggio del 2013  e si caratterizza per aromi di agrumi canditi, mughetto, pane integrale, ornati da effluvi di nocciola e spunti minerali. All'assaggio ha un registro molto severo, secco, e si caratterizza per una struttura affilata dove ritornano a cascata le impressioni olfattive all'interno di un contesto di assoluto controllo. Il perlage è fine, persistente e la tensione minerale accompagna il sorso per molto tempo.

Foto: Tannico.it

In enoteca costa meno di 20 euro per cui, a mio giudizio, rappresenta per l'Italia un metodo classico dall'ottimo rapporto q/p. Probabilmente in Franciacorta prodotti simili costerebbero quasi il doppio. Shhh, non lo dite a nessuno!

Ah, se volete sapere che mi sono bevuto a cena con Enzo e i nostri amici dovete aspettare che scriva il prossimo post su Decugnano dei Barbi. Già perchè ciò che abbiamo degustato merita un post a parte....