Barberani e quel terroir unico chiamato Orvieto

L'Italia, nonostante i mille problemi, è un territorio paesaggisticamente unico con tratti di rara bellezza spesso sconosciuti al grande turismo di massa.
Il Lago di Corbara, con la sua diga e, in generale, il Parco Fluviale del Tevere, a pochi chilometri dalla più affollata Orvieto, rappresentano uno scenario davvero incantevole sopratutto quando le insenature formano gole talmente spettacolari da convincere molti registi a girare alcuni western all'italiana.


Vigneti vista lago

Barberani si trova su una collina che domina questa Grande Bellezza umbra.

Niccolò e Bernardo mi aspettano di buon'ora all'entrata della loro azienda famigliare che oggi vanta una superficie complessiva di oltre 100 ettari di cui 58 a vigneto. Dopo l'Orvieto Tasting organizzato a Roma tempo fa da Roscioli, durante il quale ero rimasto piacevolmente stupito dal loro "Luigi e Giovanna", gli avevo promesso che sarei passato a trovarli presto e così, complice una mattina assolata di Maggio, sono partito per l'Umbria per un tour che prevederà anche altre tappe.

Niccolò, agronomo ed enologo coadiuvato da Maurizio Castelli, e Bernardo, responsabile marketing, rappresentano la terza generazione di una famiglia da oltre cinquanta anni legata al vino di questo territorio visto che già nel 1961 il nonno Vittorio coltivava i vigneti per ottenere vino da vendere ai ristoranti e ai bar della zona. 
Vini piacevoli che subiscono una svolta qualitativa solo verso la fine degli anni '70 quando le redini dell'azienda passano a Luigi e Giovanna Barberani i quali modernizzano la loro azienda, anche con la costruzione della nuova cantina, fornendo nel contempo anche una spinta internazionale alla loro visione produttiva.


Niccolò e Bernardo Barberani
I fratelli Barberani, oggi, si trovano a gestire una eredità importante composta, come scritto in precedenza, da oltre 58 ettari di vigneto inserito in un microclima unico caratterizzato dall'influenza del Lago di Corbara che, grazie alla sua umidità relativa, crea sia in inverno che in estate condizioni ideali per i vari vigneti che circondano la proprietà.
I terreni, così come accade per tutta la zona dell'orvietano, sono di origine vulcanica, sedimentaria e calcareo-argillosa e, da sempre, sono coltivati in maniera naturale grazie, ad esempio, alla tecnica dell'interramento dei tralci, all'uso del sovescio, alla concimazione organica senza assoluto uso di prodotti chimici.

La cantina, posta al centro dei vigneti e di dimensioni non troppo modeste vista l'attuale produzione annua di 350.000 bottiglie, è composta prevalentemente da vasche in acciaio inox mentre solo una limitata porzione è dedicata alla botte di varie dimensioni visto che solo tre vini, "Foresco", "Polvento" e "Luigi e Giovanna" prevedono una affinamento in legno (i primi due barrique mentre l'Orvieto Classico solo tonneau da 28 Hl). 





Piccola nota tecnica per i patiti di enologia: tutte le uve a bacca bianca sono sottoposte a macerazione a freddo prima della vinificazione.

Usciamo dalla cantina, è tempo di percorrere un piccolo sentiero che ci porta davanti l'uscio del bellissimo cottage dove i Barberani organizzano i loro wine tasting.

Col panorama del Lago di Corbara alle nostre spalle andiamo a degustare il meglio della produzione aziendale iniziando, ovviamente, dal loro vino bandiera, l'Orvieto Classico.

Barberani - Orvieto Classico Superiore DOC "Castagnolo" 2012 (grechetto, trebbiano procanico, chardonnay e riesling): è il vino della tradizione per Barberani, un vero e proprio cavallo di Troia in grado di scardinare ogni pregiudizio. Fresco, decisamente minerale con tocchi fruttati ed erbacei, fa della sua immediatezza e della sua sapidità il punto di forza. Una bottiglia si beve in amen. What else?



Barberani - Orvieto Classico Superiore DOC "Luigi e Giovanna" 2011 (grechetto, trebbiano procanico e chardonnay): nato per festeggiare il cinquantesimo anniversario dell'azienda, il vino è un omaggio a Luigi e Giovanna Barberani, genitori di Niccolò e Bernardo, che da sempre hanno due passioni: il grechetto e la muffa nobile. Dall'unione di queste due passioni nasce questo bianco che definirei la via più voluttuosa all'Orvieto Classico grazie ad aromi di frutta gialla succosa associata a caratteri minerali e vegetali. Sorso di grande avvolgenza, setoso, di grande progressione e persistenza. Un vino che sa invecchiare benissimo e che non lascia indifferrenti.



Barberani - Umbria Rosso IGT "Polago" 2012 (sangiovese e montepulciano): è la versione in rosso del Castagnolo per via dell'immediatezza e la facilità di beva del vino che, con i suoi sapori di frutta croccante e la bella vena acida, va giù che è un piacere. Se avessi un wine bar lo metterei senza problemi alla mescita.



Barberani - Umbria Rosso IGT "Foresco" 2012 (sangiovese, cabernet sauvignon e merlot): rosso umbro dal tocco internazionale, sa essere morbido e speziato al tempo stesso. Gode di tattilità succosa e un tannino ben domato che ben accompagna una persistenza fruttata.



Barberani - Lago di Corbara Doc Rosso "Polvento" 2009 (sangiovese, cabernet sauvignon e merlot): è il vino rosso più importante dell'azienda e già al naso non ho dubbi vista la grande complessità olfattiva che spazia tra sensazioni di ciliegia, frutti di bosco, prugna secca, tabacco, liquirizia, cola, spezie orientali, eucalipto e viola appassita. Al sorso è potente, carnoso,  intessuto da nobile trama tannica e da persistente verve fresca e sapida. Ritornano le suggestioni di spezie e frutta. 



Barberani - Orvieto Classico Superiore DOC "Calcaia" 2010 (grechetto, trebbiano procanico e sauvignon blanc): iniziamo la carrellata dei vini dolci con uno dei muffati più buoni di Italia grazie anche ad una sperimentazione che va avanti dalla fine degli anni '70 grazie alla ricerca e alla passione di Luigi Barberani e dell'enologo Maurizio Castelli. Il vino è ancora giovanissimo ma, al tempo stesso, ha una suadenza già ben definita grazie ai suoi morbidi aromi di frutta gialla appassita, iodio, zafferano e miele. Berlo e come fare l'amore, non smetteresti più vista la grande goduria. Devo andare oltre?



Barberani - Umbria IGT Dolce "Moscato Passito" 2009 (moscato bianco): tutti ad esaltare il Calcaia precedente ma vogliamo parlare di quest'altra chicca? Questo passito le cui uve appassiscono per metà in pianta e per metà su stuoie al sole, rappresenta un'altra sfida vincente dell'azienda che, come vedremo anche col prossimo, punta moltissimo sui vini da meditazione. Il colore ambrato fa da preludio ad un corredo aromatico giocato su toni di agrumi canditi, albicocca  matura, dattero, malva e resina di pino. Sorso di grande equilibrio e cremosità. Interminabile.



Barberani - Umbria IGT Rosso Dolce "Aleatico Passito" 2007 (aleatico): il Lago di Corbara con le sue tradizioni vitivinicole ha ispirato sicuramente questo vino le cui uve appassiscono in pianta almeno fino a settembre. Con i suoi aromi di visciola, ciliegia sotto spirito ed erbe officinali, ha un sorso deciso e di grande equilibrio grazie ad una dolcezza ottimamente mitigata dalla sapidità e dal setoso tannino del vino. Gustosa la persistenza di frutta rossa che rimane dopo la deglutizione.



Il mio viaggio nel terroir di Orvieto non finisce qua. Stay tuned e, se vi va di fare una bella gita da Roma, che dista circa un'ora, passate a trovare i fratelli Barberani che, anche grazie al loro splendido agriturismo, saranno felici di accogliervi.

Londra: il Parlamento inglese ama Peroni Nastro Azzurro, Sauvignon e Champagne

Fiumi d'alcol inondano Londra. L'attitudine inglese ad alzare il gomito, che il premier David Cameron sta cercando di combattere attraverso una serrata campagna contro il consumo eccessivo di alcol, è ben radicata anche in Parlamento. Secondo il Times almeno 1,7 milioni di euro sono stati spesi in due anni per rifornire i bar di Westminster. I politi inglesi tra una pausa e l'altra bevono birra e vino, preferiscono le bionde italiane e il sauvignon.

La House of Commons ha perfino una propria etichetta che usa sui vini e gli alcolici "della casa", incluso lo champagne: fra i più richiesti il sauvignon, di cui sono state comprate circa 50mila bottiglie, e il merlot, con 26mila. Tra le birre invece le più amate sono Peroni Nastro Azzurro, Beck's e Guinness. Le autorità dei Comuni hanno precisato che i prezzi applicati nei bar del Parlamento sono quelli che si ritrovano in un normale pub. Anche se le attività di ristorazione ricevono un sussidio pari a 5 milioni di sterline l'anno. 

Foto:www.esserecomunisti.it


Gran parte di questo alcol viene poi consumato da deputati e lord o nel corso degli eventi organizzati dai partiti. Da tempo si parla di un problema di dipendenza dalla bottiglia nel Palazzo della politica. Un ex deputato laburista, Eric Joyce, è stato costretto a dimettersi dal partito nel 2012 dopo che ubriaco aveva scatenato una rissa coi colleghi conservatori in uno dei bar di Westminster.


Fonte: TGCOM

Ghemme DOCG: otto vini per scoprirlo

Il nebbiolo dell'Alto Piemonte è davvero affascinante e, per certi versi, ancora tutto da scoprire visto che spesso e volentieri viene "offuscato" da denominazioni "maggiori" come Barolo e Barbaresco.
Grazie al Consorzio di Tutela Nebbioli Alto Piemonte ho organizzato, e molto altro farò in futuro, una degustazione centrata su una delle denominazioni storiche e meno "mondane" del Piemonte: il Ghemme.
Conosciuto già al tempo dei romani per la sua qualità visto che la città di Agamium, ora Ghemme, aveva come simbolo comunale un grappolo d'uva ed un mazzo di spighe di grano, questo vino, che fu apprezzato anche dalla corte dei Visconti e degli Sforza a Milano, è stato celebrato da Antonio Fogazzaro che nel primo capitolo di “Piccolo mondo antico”, del 1895, cita il “vin di Ghemme” come accompagnamento di un pranzo organizzato dalla marchesa Maironi, e gli fa eco Mario Soldati, che nel suo racconto “L'albergo di Ghemme” decanta questo vino: “Il Ghemme: eccellente, prim’ordine”.

Ghemme DOCG - Foto Lavinium

Dal punto di vista legislativo, il Ghemme divenne DOC nel 1969 e DOCG nel 1997 e, se leggendo il disciplinare, l'area di produzione riguarda parte del territorio amministrativo del comune di Ghemme e parte del territorio amministrativo del comune di Romagnano Sesia (leggi articolo 3 del disciplinare per andare nei dettagli).
Il vino viene prodotto, anche nelle versione Riserva, con un 85% minimo di nebbiolo (spanna) al quale possono concorrere per un 15% massimo i vitigni vespolina e uva rara (articolo 2 disciplinare).
E' previsto un periodo di invecchiamento obbligatorio pari a 34 mesi (46 per la riserva), di cui 18 in legno (24 per la riserva), più un periodo di affinamento minimo in bottiglia di 6 mesi, a partire dal 1° novembre dell'anno di raccolta delle uve.

Fatta questa opportuna premessa che ci permetterà di inquadrare sia il territorio che il vino, andiamo a vedere cosa ho bevuto?

Francesco Brigatti Ghemme “Oltre il Bosco” 2010: giovanissimo eppure già oggi godibile con le sue note di frutta e fiori rossi. Bocca di struttura e sapidità, con tannini fini e di rispondente chiusura. E' un Ghemme 100% nebbiolo che affina 24 mesi in botti di rovere di Slavonia più 6 mesi almeno di bottiglia. Piccola nota sull'azienda: L'Azienda Agricola Brigatti è diretta da Francesco, enologo e agronomo, e mantiene una conduzione strettamente familiare. Dispone di sei ettari a vigneto coltivati secondo i criteri della lotta integrata nel rispetto dell’ambiente. La produzione annua è di circa 20.000 bottiglie.



Torraccia del Piantavigna Ghemme 2009: il vino della famiglia Francoli si presenta con tono severo e speziato, poi salgono note più eteree e fruttate. Al gusto è dinamico, fresco, più verticale che orizzontale e presenta una bellissima persistenza sapida. Forse gli manca un pò di "polpa" ma la bevuta è assolutamente convincente. E' un Ghemme 90% nebbiolo e 10% vespolina. Piccola nota sull'azienda: il nome, Torraccia, si ispira ad un dolce rilievo, detto Torraccia, del Comune di Ghemme mentre Piantavigna è il cognome del nonno materno dell'attuale proprietario. 40 ettari vitati tutti a nebbiolo, vespolina ed erbaluce.



Tiziano Mazzoni Ghemme “Ai Livelli” 2009: dopo aver messo il naso nel bicchiere ho esclamato:"Questo è il nebbiolo che mi fa godere!!". In effetti, tolto l'entusiasmo, questo Ghemme è l'archetipo del nebbiolo dell'Alto Piemonte che mi aspetto, ampio nello spettro aromatico che va dall'anice alla rosa, dalla viola al sottobosco per poi confondersi ed ammaliare in mille altri descrittori, Bocca importante, solida, nebbiolesca, di grande equilibrio e sapidità. E' un Ghemme 100% nebbiolo. Piccola nota sull'azienda: il nome "ai Livelli" deriva da una specifica zona della collina di Ghemme e il nebbiolo usato per questo vino deriva dai vigneti più vecchi dell'azienda che affina il nebbiolo un anno in tonneau e uno in botti di rovere e, successivamente, due anni in bottiglia.



Platinetti Ghemme “Vigna Ronco Maso” 2008: il vino inizia molto bene con un quadro aromatico segnato da frutta rossa disidratata, rosa, goudron e un tocco di iodio. Bocca di struttura, sapida, che però promette ma non mantiene perdendosi un pò troppo in fase di persistenza e facendo uscire un tratto alcolico non proprio elegante. Da rivedere nel futuro. E' un Ghemme 100% nebbiolo. L'azienda non ha sito internet per cui è quasi impossibile avere ulteriori info. Peccato.

Cascina Ca’ Nova Ghemme 2006: naso caratterizzato da evidente note empireumatiche che, assieme ad aromi di frutta secca ed erbe aromatiche, catapulta il bevente in un austero salone piemontese durante una uggiosa serata invernale. E' un vino che scalda il cuore e l'anima al sorso dove gode di sobria eleganza e calore grazie anche ad un fitto tannino ottimamente espresso e ad una chiusura sapida e prolungata. Forse, al sorso, è il migliore della batteria. E' un Ghemme 100% nebbiolo. Piccola nota sull'azienda: di giovane costituzione, fa nascere questo vino da un vigneto di 6 ettari e il vino matura 24 mesi in grandi botti di rovere francese a cui segue ulteriore affinamento in bottiglia per almeno 18 mesi.

Mirù Ghemme 2005: nonostante gli otto anni di età è un Ghemme estremamente giovanile e con sentori fino ad ora mai percepiti. Infatti sa profondamente di agrume, arancia rossa su tutte, e questa vena acida, fresca, corroborante, la esprime anche al sorso che rimane vibrante, teso, anche se alla fine un pò troppo monocorde. E' un Ghemme composto da 95% di nebbiolo e 5% di vespolina . Piccola nota sull'azienda: di proprietà di Marco Arlunno, l'azienda può contare su oltre otto ettari di vigneto parte del quale, con un età media di circa quaranta anni, viene destinato a produrre questo vino che affina in botti di rovere per circa 30 mesi.


Rovellotti Ghemme 2005: annusando e degustando questo vino è come entrare all'interno di una stanza quasi al buio: riesce ad intravedere i contorni del mobilio ma ti manca la luce per poter percepire tutti i dettagli e a godere del contesto in cui ti trovi. Ecco, a questo Ghemme, in bianco e nero a cui mancano i colori del passato. E' composto per l'85% da nebbiolo e per il 15% da vespolina. Piccola nota sull'azienda: nasce da un vigneto di circa 3 ettari chiamato Civetta. Affina per 12 mesi in grandi botti di rovere e per 18 mesi in botti da 5 hl. Successivo affinamento in bottiglia per 9 mesi.



Ioppa Ghemme 2005: una fastidiosa nota vinilica, quasi di colla, ne compromette la degustazione. Bottiglia forse non ok. E' un Ghemme composto per l'85% da nebbiolo e per il 15% da vespolina. Piccola nota sull'azienda: l'azienda vitivinicola dei fratelli Gianpiero e Giorgio Ioppa è situata nel territorio del comune di Romagnano Sesia da dove nascono le uve usate per vinificare questo Ghemme che affina 24 mesi in botti di rovere per poi, successivamente, essere lasciato in bottiglia per almeno altri 9 mesi. E' il Ghemme base della'azienda che produce anche due Cru: Santa Fè e Bricco Balsina.



Emidio Pepe e Sandro Sangiorgi a La Gatta Mangiona presentano "Manteniamoci giovani"

Emidio Pepe è un pezzo di storia del vino italiano e, senza ombra di dubbio, è uno degli ultimi grandi vignaioli ancora viventi. Alla veneranda età di 82 anni, portati come un ragazzino, era anche ora che qualcuno ne scrivesse la biografia e, in tal senso, probabilmente Sandro Sangiorgi non poteva essere autore migliore visto che conosce la famiglia Pepe da tantissimi anni. 
Il libro, intitolato "Manteniamoci giovani" (vita e vino di Emidio Pepe), è stato presentato tempo fa a La Gatta Mangiona con la presenza di tutta la famiglia Pepe che durante la serata ha ricevuto il giusto tributo per i cinquanta anni di attività dello storico fondatore che, per tutto il tempo, ci ha osservato divertito dalla sua postazione regalandoci, quando è stato chiamato in causa, veri e proprie perle di saggezza contadina (mitico il concetto di racia del vino che non si adatterebbe bene ai contenitori in acciaio inox).


Ovviamente sia il libro sia il compleanno dell'azienda sono stati festeggiati bevendo anche alcuni storici millesimi di Montepulciano d'Abruzzo arrivato direttamente a Roma dalla cantina di Pepe che, per l'occasione, non è stato avido di sorprese.

In degustazione abbiamo avuto:

Montepulciano d'Abruzzo 2010 Emidio Pepe: non c'è nulla da fare, questa annata rappresenta probabilmente una delle migliori mai avute in Italia negli ultimi dieci anni (e mi tengo stretto) grazie ad una qualità media dei vini bevuti, da nord a sud, davvero elevata. Non fa eccezione questo montepulciano di casa Pepe che, tra i vari degustati nel corso del tempo, è fin da subito pronto e godibilissimo pur mantenendo grandi promesse per il futuro. Attenzione: la bottiglia finisce in un amen!


Montepulciano d'Abruzzo Riserva 2010 Emidio Pepe: è un'anteprima visto che il vino non uscirà in commercio prima di 10 anni. Figlio delle vigne più vecchie, questo vino conserva tutte le caratteristiche del precedente aggiungendo, come lecito aspettarsi, una marcia in più che in questo caso si chiama profondità e complessità. E' un Montepulciano celebrale che farà bene al cuore e allo spirito. Basta aspettare e noi abbiamo tutto il tempo.  O no?


Montepulciano d'Abruzzo Riserva 2003 Emidio Pepe: parte inizialmente sporco poi, col tempo, ripulisce tutti i suoi difetti e mette le scarpe da ballerina classica che danza leggiadra su un palcoscenico aromatico di grande fascino dove il calore del millesimo è messo da parte. E' un vino che propone al naso erbe aromatiche, cola, polvere da sparo, fruttini rossi croccanti e al sorso stupisce per una struttura dove tutte le sue componenti sembrano essere perfettamente fuse. E' un 2003 non 2003 che stupirebbe anche i più scettici!


Montepulciano d'Abruzzo Riserva 2001 Emidio Pepe: coeso, terribilmente chiuso con spunti anarchici è un vino che, come una supernova, è pronto per esplodere. Nemmeno i Pepe sanno quando avverrà l'evento visto che stanno trattenendo l'annata in cantina ma, quando accadrà, avremo di fronte un grandissimo Montepulciano. Probabilmente la sua parabola discendente andrà oltre la mia sopravvivenza in questo mondo :-)

Montepulciano d'Abruzzo Riserva 2000 Emidio Pepe: cupo, scontroso, carnale, non riesce mai ad esprimersi al massimo nel bicchiere nonostante due ore e oltre di ossigenazione. Sembra non gradire la platea e lo si chiude in sè stesso fornendo un quadro organolettico austero e poco dinamico. Probabilmente era la mia bottiglia ad essere piuttosto schiva visto che pochi tavoli più in là si lodava un Montepulciano molto diverso dal mio. E' il prezzo dell'artigianalità baby!


Montepulciano d'Abruzzo Riserva 1994 Emidio Pepe: il vino che non ti aspetti, il coup de théâtre di Emidio Pepe che, come un novello Silvan, tira fuori dal cilindro un Montepulciano vivissimo il cui corredo aromatico spazia dalle note di fiori rossi secchi alla ruggine per poi virare sulle sensazioni di iodio, profumi esotici e arancia amara. Al palato è suggellato da un tannino paradigmatico, vivo e setoso allo stesso tempo e da una lunga scia acida che rende invidiabile la sua progressione. Che bello sapere che a casa ne ho altre due bottiglie...


Montepulciano d'Abruzzo Riserva 1983 Emidio Pepe: Cosa resterà di questi anni '80? Sicuramente un vino che, ci confida la stessa Sofia Pepe, è rimasto in cantina oltre 10 anni prima di essere messo sul mercato. Sicuramente un Montepulciano con profumi d'antan che non rinuncia a metterci i brividi quando lo beviamo dato che, probabilmente, ha conservate (quasi) immacolati i suoi originari punti di forza come sapidità ed equilibrio certosino. Manteniamoci giovani, lo dice Emidio in questo vino.

Chiudo questo omaggio alla famiglia Pepe con le parole di Sandro Sangiorgi: "Non riusciremmo a immaginare Emidio alle prese col Barolo o col Brunello, che mostrano presto l’inclinazione a un’aristocratica maturità – pensiamo, per esempio, nel colore. Lui ha bisogno di “vedere” il sangue del Montepulciano, non importa che il vino sia in bottiglia da quarant’anni: se è a posto, il nostro pretende una complessità dalla fragranza giovanile".




Vino e genetica: un test per capire se è veramente siciliano

C’è un metodo scientifico per sapere non solo se un vino è buono, ma anche per conoscere informazioni sulla sua provenienza, con quali uve è stato preparato, quali lieviti sono stati impiegati per la trasformazione del mosto. A garantire tutte queste informazioni utili al consumatore e ai produttori è la certificazione genetica del vino di origine siciliana, un protocollo di analisi applicata sul vino, in grado di certificare la rispondenza tra quanto dichiarato in etichetta e il contenuto della bottiglia.

Il protocollo rivoluziona l’approccio tradizionale fino ad oggi impiegato, costituito dalle varie certificazioni (Doc, Dop, Igp), basato sul monitoraggio durante i processi di produzione, che lasciano ampi margini di discrezionalità al produttore. La nuova certificazione, invece, permette di controllare il prodotto finale grazie a test genetici. Queste analisi di laboratorio consentono l’estrazione del DNA e l’identificazione, attraverso tecnologie molecolari, delle sequenze identificative dei vitigni con cui è stato preparato il prodotto. 

Foto:http://palermo.repubblica.it

Le sequenze vengono poi confrontate con i dati dichiarati in etichetta. In caso di riscontro affermativo, il vino riceve la certificazione di prodotto. Il progetto è stato realizzato nell’ambito del PSR Sicilia 2007/2013, Misura 124 “Cooperazione per lo sviluppo di nuovi prodotti, processi e tecnologie nei settori agricolo e alimentare e in quello forestale” e presentato dall’Istituto di Bioscienze e BioRisorse del Consiglio nazionale delle Ricerche da Bionat Italia Srl. 

Questi i vitigni autoctoni siciliani utilizzati per le DOC: Carricante, Catarratto, Corinto nero, Damaschino, Frappato, Grecanico, Grillo, Inzolia, Malvasia di Lipari, Moscato bianco, Nerello Cappuccio, Nerello Mascalese, Nero d’Avola, Nocera nera, Perricone e Zibibbo;. Al progetto hanno aderito Azienda Vinicola Benanti S.r.l., Aziende Agricole Planeta Società Semplice, Cantine Settesoli Soc. Coop. Agricola; Azienda Agricola Bonivini di Di Bella Sebastiano; Azienda Individuale Saladino Luigi; Cantina Sociale Primavera Soc. Coop. Agricola; Cantine Siciliane Riunite S.r.l. (già Cantine Trapanesi Riunite S.r.l.); Graham & Associati Soc. Coop.


"Oggi siamo in grado di distinguere con innovative analisi sui vini - dice Francesco Carimi, responsabile dell’UOS Palermo dell’Istituto di Bioscienze e BioRisorse del Consiglio Nazionale delle Ricerche - i produttori che dicono la verità da quelli che mentono. Ovvero quei produttori che nel dichiarare un vino di origine siciliana, non si avvalgono di uve provenienti da vitigni tradizionali siciliani.” Ma al Cnr sono stati clonati anche i vitigni resistenti a batteri e virus, che mettono a rischio il patrimonio varietale siciliano.

Fonte: Repubblica

Terraviva in degustazione 2014: tutto il meglio per immagini

Sono passate quasi due settimane dalla bellissima degustazione che Terraviva organizza, purtroppo, solo ogni due anni a Roma.
Tanti bravi produttori presenti, tanti vini e prodotti di altissima qualità Stavolta non metto note di degustazione perchè, spero, che le immagini di ciò che mi è piaciuto di più possano parlare per me.

Location!
Bella idea di presentare i vari terroir delle aziende presenti
Luca Ferraro - Bele Casel
La gamma Bele Casel, prosecchi mai banali!
Costadilà, altri prosecchi di personalità
Movia, grande Slovenia
Lo Chardonnay di Movia
Giulio Armani
Elena Pantaleoni - La Stoppa
Il primo molto meglio del secondo!
Un grande vino dolce italiano
La Sicilia di Arianna Occhipinti
Il Frappato, la bandiera di Arianna
La Sardegna di Tenute Dettori
Uno dei migliori assaggi del 2014
I Custodi delle vigne dell'Etna. Grande vino
Il Lazio e la sua qualità
Quando il Brunello ha gli occhi di Florio e Rossella Guerrini
Grande Matelica

Post Scriptum: io sono andato di domenica e alle 16 già molti vini erano terminati o, come più volte accaduto, erano di difficile fruizione causa fila. Questi sono i motivi per cui molti non sono presenti in questa galleria fotografica.

Verticale storica del Chianti Classico Riserva dell'Agricola Monterinaldi

Dopo aver scritto dei vini di Castello di Monterinaldi un paio di anni fa (qua trovate gli appunti di degustazione), la mia seconda visita presso questa storica azienda raddese ha coinciso con l'organizzazione di una emozionante verticale storica del loro Chianti Classico Riserva partendo dal 2009 fino ad arrivare al millesimo 1968



Ad aspettare me e Stefania, come sempre, Daniele Ciampi, storico proprietario dell'azienda, e Fabrizio Benedetti, responsabile marketing ma, soprattutto, amico ed appassionato di vino.

Le annate in degustazione, oltre alle sopracitate 2009 e 1968 sono 20082007, 2005, 1999, 1995, 1988. In totale otto vini, otto personalità diverse!



Castello di Monterinaldi - Chianti Classico Riserva 2009: solamente da tre mesi in bottiglia, ha materia davvero importante ma, purtroppo, ancora sconta un leggero odore di legno dato dal passaggio di parte del vino in tonneaux di primo passaggio. Resta comunque il fatto che il vino, passata questa fase giovanile, darà grandi soddisfazioni. Parte della critica già se ne è accorta per cui....



Castello di Monterinaldi - Chianti Classico Riserva 2008: giovanissimo ma senza alcun cenno di legno, è una spremuta di frutti rossi e fiori freschi a cui segue un'accennata nota fumè che, come vedremo, risulterà un "timbro di fabbrica" del Chianti Classico dell'azienda. Bocca ruggente, viva, caratterizzata da una decisa vena fruttata e da una persistenza lunga e molto sapida. Tornano per via retronasale gli aromi fumè.



Castello di Monterinaldi - Chianti Classico Riserva 2007: metti il naso nel bicchiere e capisci subito che le cose cominciano a farsi decisamente "serie". L'evoluzione del grande Chianti Classico di Radda ci mette davanti ad un vino elegante e, sulle prime, decisamente femminile visto che emana intense sensazioni di rosa e di mammola. La parte fruttata rimane un pò nascosta nella complessità aromatica e solo con l'ossigenazione e il giusto tempo nel calice, cominciano a sprigionarsi aromi di visciola a cui seguono ritorni di terra e di finocchio selvatico. La parte affumicata, leggerissima, fa da contorno. Al sorso è vibrante come deve essere un sangiovese che si rispetti, puro territorio che si allunga al palato con chiusura su toni sapidi e leggermente minerali. 



Castello di Monterinaldi - Chianti Classico Riserva 2005: l'annata abbastanza fredda si fa sentire dando vita ad un vino più timido dei precedenti e, forse, meno complesso anche se tutto ciò che esprime è di grande eleganza. Tornano in prima linea, rispetto al precedente millesimo, le sensazioni fruttate con accenni di cuoio, grafite, tè nero Lapsang Souchong. Le sensazioni floreale sono più nascoste e sembrano virare verso la viola essiccata. Sorso davvero interessante, dinamico, succoso, sempre teso e con la ormai "classica" chiusura a metà tra il fruttato e il sapido con ritorni retronasali fumè. 



Castello di Monterinaldi - Chianti Classico Riserva 1999: lo stacco dai vini precedenti, dal futuro di Monterinaldi è abbastanza netto visto che con questo Chianti si affacciano senza troppi indugi gli aromi terziari che forniscono al vino tutta una serie di complessità affascinanti e inedite per la verticale che fino ad ora aveva preso in considerazioni vini ancora scalpitanti e ricchi di fervore giovanile. Il '99 si apre con un complesso aromatico molto intenso dove la prima nota che sento è quel tono empireumatico che nelle precedenti annate faceva solo da contorno. Questa sensazione autunnale, da camino spento, è ben integrata da eleganti note di tabacco da pipa, prugna secca, spezie rosse e catrame. Bocca matura, di grande equilibrio, con un tannino perfettamente fuso e corroborato da una decisa spinta sapida e minerale.



Castello di Monterinaldi - Chianti Classico Riserva 1995: più austero del precedente grazie ad una maggiore ricchezza di sensazioni terziarie che vanno dal fungo alla terra bagnate fino ad arrivare alla frutta essiccata. Il tempo e l'ossigenazione non aiuta molto il vino che rimane un pò sulle sue, un pò troppo monocorde. Al sorso, invece, è tutt'altro che "andato" visto che le sensazioni dure e morbide del vino sono ancora perfettamente assemblate e tengono. Gli manca forse un pò di complessità e di spinta sapida ma, nonostante tutto, è un Chianti Classico di quasi 20 anni che si lascia bere senza troppi fronzoli.



Castello di Monterinaldi - Chianti Classico Riserva 1988: entrare nel mondo dei vini "invecchiati" è sempre un viaggio affascinante anche se sono pochi ad apprezzare certe sfumature grige. Questo Chianti è perfettamente didattico dotandosi di una complessità aromatica che spazia dalla terra umida al caffè, dal cacao amaro al torroncino fino ad arrivare al finocchio selvatico e all'inconfondibile nota di tè nero affumicato. Il sorso, così come abbiamo visto col precedente vino, veste panni decisamente meno austeri datosi che il Chianti è dotato di un tannino ancora capace di graffiare e di una struttura ben composta legata ancora una volta da una spina acida decisa e corroborante. Chiusura lunga, sapida, su toni di torrefazione e terra.



Castello di Monterinaldi - Chianti Classico Riserva 1968: è la seconda Riserva dell'azienda visto che la prima è stata la '67 la quale nella cantina storica di Monterinaldi è presente in unico esemplare. Colmo di emozione per via di una certa predilezione per le vecchie annate mi accorgono quasi subito che, nonostante venti anni di differenza col predente sangiovese, questa Riserva risulta essere già al naso quasi meno evoluta della precedente. Il ventaglio aromatico è da grande Chianti di razza invecchiato dove la parte ferrosa, minerale la fanno da padrone accanto a bellissime sensazioni di erbe balsamiche e pietra focaia. Col passare del tempo, parliamo di almeno due ore, il vino si apre e, a prescindere dai tanti riconoscimenti aromatici percepiti, quello che mi preme sottolineare è che questo Chianti durante tutta la degustazione non si è seduto nemmeno per un istante. Mai una sensazione brodosa, mai una sensazione di fungo e di tartufo. Mai! 
Il sorso, contro ogni previsione iniziale, non solo ha confermato ma addirittura ha amplificato la sensazione di freschezza del vino che al gusto è dotato di acidità da vino bianco altoatesino che tramuta questo sangiovese di quasi 50 anni di età in un ragazzino dalla schiena dritta e vigorosa. Certo, gli manca un pò di polpa per essere immenso, ma sapere che questo Chianti è stato vinificato senza alcun uso di legno presumibilmente da un mezzadro dell'azienda è davvero una bella storia troppo ghiotta per non essere raccontata su Percorsi di Vino.




Piccole note finali: le uve bianche, come prevedeva il vecchio disciplinare, sono state usate nelle annate '68, ''88, e '95. Il 1988, da una ricostruzione dei libri di cantina, risulta affinato in botti di rovere di Slavonia non tostate da 65 HL. Sia il '95 che il '99 sono stati affinati in botti di rovere di Slavonia da 50 HL. Il '05, '07, '08 e '09 sono stati affinati sia tonneau, parte di primo passaggio e parte vecchi, sia in vecchie barrique.