Decugnano dei Barbi, là dove nasce un grande Metodo Classico umbro

Enzo Barbi ci aspetta in mezzo ad un nugolo di motociclisti venuti da chissà dove a visitare una della aziende più rappresentative e suggestive, per il contesto in cui si trova, di tutta l'Umbria.
Il tempo non è certo dei migliori, piove da varie ore, ma questo non ci impedisce di poter ammirare tutta la bellezza del panorama all'interno dell quale si staglia Decugnano dei Barbi, un piccolo borghetto locato sopra una collina con vista a 360° su tutto il panorama dell'orvietano. 
Pertanto, non sono affatto stupito quando Enzo, parlandomi della storia della sua azienda, mi riferisce che il vino di Decugnano già si vendeva in zona agli inizi del XIII secolo quando tutto quanto qua era di proprietà dello Stato Pontificio e prendeva il nome di "Santa Maria di Decugnano".


La storia dei Barbi in terra umbra, invece, inizia alla fine degli anni '60 del secolo scorso quando il nonno di Enzo, che selezionava a quel tempo vino in tutta Italia da rivendere poi in Lombardia, decise di acquistare a suo figlio Claudio (papà di Enzo) un pezzo di terreno nell'orvietano che in quel periodo era molto di moda. "Mio papà spesso di scontrava con mio nonno sul tema della qualità del vino così" - mi spiega Enzo sorridendo - "acquistargli tre ettari di terreno ad Orvieto ha significato lasciargli produrre il vino come voleva lui lasciando al tempo stesso in pace mio nonno che poteva proseguire il suo lavoro senza troppe scocciature!!".
Decugnano ad inizi del 1970 era in vendita e la famiglia Barbi non c'ha pensato due volte ad acquistare la tenuta, a quel tempo in miseria, non solo per la bellezza del posto ma, soprattutto, per il terreno che, rispetto alla zona sud dell'orvietano, non è di tipo tufaceo ma, invece, di carattere marnoso e argilloso e ricco di fossili di ostriche e conchiglie di epoca pliocenica. "Sai Andrea" - commenta Enzo - "mio madre è amante dello Chablis e questa terra ricorda molto quel particolare terroir francese"

Era il 1973 quando Claudio Barbi acquisto il podere piantando, in sequenza, i vitigni storici dell'Orvieto Classico (trebbiano, malvasia e grechetto) e alcune piante di sangiovese e canaiolo iniziando un'intensa fase di sperimentazione, che riguardò anche la spumantizzazione delle uve dell'Orvieto, che prese forma nel 1978 quando comparvero sul mercato tre vini che ancora oggi esistono: il Decugnano bianco, il Decugnano rosso ed il primo metodo classico prodotto in terra umbra.
Otto anni dopo, nel 1981, l'azienda propose sul mercato prima bottiglia italiana di vino da uve botrizzate: Pourriture Noble. Nessuno fino a quel momento si era accorto che la Botrytis Cinerea attaccava anche i vigneti di alcune zone dell'Orvietano.

Claudio ed Enzo Barbi. Foto:www.civiltadelbere.com

Attualmente Decugnano dei Barbi possiede circa 32 ettari di vigneto, 14 anni di età media, dedicati per il 60% a vitigni a bacca bianca (grechetto, chardonnay, sauvignon, procanico) e per il 40% a vitigni a bacca rossa (sangiovese, montepulciano, merlot, cabernet sauvignon, pinot nero, syrah). I vigneti hanno una densità d’impianto di circa 4200 ceppi/ha e vengono allevati a cordone speronato. La resa per ettaro varia dai 50/70 quintali/ha per le uve rosse ai 70/90 quintali/ha per le uve bianche (la resa dei vigneti per la Pourriture Noble è invece di 25/30 quintali/ha).

Entriamo a visitare la prima cantina, quella dei vini "fermi", la cui struttura si è ampliata nel tempo man mano che l'azienda prendeva piede. Una prima ala, infatti, è dedicata alla vasche di fermentazione, tutte in acciaio, dove ognuna, anche la più piccola, è dedicata ai singoli vigneti che poi vengono uniti solo in fase di assemblaggio, mentre l'altra è dedicata all'affinamento e allo stoccaggio delle bottiglie.

Parte della cantina

La parte più bella e suggestiva, però, deve ancora arrivare. Saliamo sul fuoristrada di Enzo e, tra una buca e l'altra, arriviamo all'entrata delle antiche grotte etrusche scavate nella sabbia (non tufo) regno di quel metodo classico che Claudio Barbi, originario di Brescia e con ovvie ispirazioni franciacortine, ha voluto porre in essere nel 1978 spumantizzando le uve tipiche dell'Orvieto grazie all'aiuto di Corrado Cugnasco, enologo aziendale dell'epoca.

Le immagini della cantina, penso, possano parlare per me.

Fonte: Tannico.it

Da notare che l'affinamento sui lieviti dura almeno quattro anni e che la sboccatura, come vedete dalle immagini qua sotto, viene effettuata in maniera strettamente manuale.


Usciamo e fuori piove ancora, più forte, non possiamo andare in mezzo ai vigneti per cui l'unica cosa da fare è andare a degustare un pò di vino al caldo e all'asciutto prima della cena che Enzo ha organizzato assieme ad altri amici. Prima, però, un piccolo grande aperitivo a base di Brut Metodo Classico 2006.


Lo spumante, una cuveé formata da chardonnay (70%), procanico e verdello (30%), è stato sboccato nel maggio del 2013  e si caratterizza per aromi di agrumi canditi, mughetto, pane integrale, ornati da effluvi di nocciola e spunti minerali. All'assaggio ha un registro molto severo, secco, e si caratterizza per una struttura affilata dove ritornano a cascata le impressioni olfattive all'interno di un contesto di assoluto controllo. Il perlage è fine, persistente e la tensione minerale accompagna il sorso per molto tempo.

Foto: Tannico.it

In enoteca costa meno di 20 euro per cui, a mio giudizio, rappresenta per l'Italia un metodo classico dall'ottimo rapporto q/p. Probabilmente in Franciacorta prodotti simili costerebbero quasi il doppio. Shhh, non lo dite a nessuno!

Ah, se volete sapere che mi sono bevuto a cena con Enzo e i nostri amici dovete aspettare che scriva il prossimo post su Decugnano dei Barbi. Già perchè ciò che abbiamo degustato merita un post a parte....

Dopo la grandine, la desolazione dei viticoltori della Côte de Beaune

Dopo i danni degli anni precedenti, soprattutto a Volnay, erano corsi ai ripari perchè non volevano di nuovo essere messi in ginocchio dalla grandine che, da qualche tempo, sembra essere diventata la nuova acerrima nemica dei vignaioli della Côte de Beaune.

Ci avevano provato installando ai primi di giugno ben 34 generatori anti grandine che, in caso di allarme, hanno il compito di vaporizzare una soluzione di ioduro di argento fino a 12 mila metri di altezza con lo scopo, dichiarato, di arrivare fino alle cellule temporalesche e dimezzare le dimensioni dei chicchi di grandine.

Foto:http://www.bienpublic.com/
Foto:http://www.bienpublic.com/

I vignaioli ci avevano provato ma non ce l'hanno fatta. La Natura gli ha giocato un tiro che più beffardo non si può.

Infatti, due giorni fa i vigneti di Santenay, Meursault, Volnay, Pommard sono stati colpiti da una pioggia di grandine che, secondo le testimonianze del luogo, è caduta giù con la forza e la velocità dei proiettili di una mitragliatrice.

Foto:http://www.bienpublic.com/

Il risultato, secondo i vignaioli locali, è rappresentato da un paesaggio desolato e sconfortante caratterizzato da fogliamo tritato e molta uva a terra. Le perdite di raccolto, mediamente, si attestano tra il 50% e il 90% anche se ci vorranno ancora un paio di giorni per capire la reale portata di questa grandinata.

Foto:Timothée Boissy-Ganivet
© Olivier Chanzy

Non resta che la rabbia per questa ennesima beffa del destino anche se qualcuno, leggendo i vari giornali on line, ha già puntato il dito verso la reale utilità dei dispositivi anti grandine che, assicurano, sono stati messi in funzione appena è stata emanata l'allerta meteo.

Ridurre, teoricamente, la dimensione dei chicchi non è bastato e forse non basterà a fermare una Natura che sta cambiando. Pensiamoci...

Web e Vino: arriva la guerra sui domini

Dominio www.brunello.wine in mani cinesi, americane o australiane? L'ipotesi è concreta, da un anno toglie il sonno a viticoltori italiani, francesi e spagnoli, ma ora Bruxelles ha preso una posizione ufficiale. Il commissario (uscente) all'Antitrust, Neelie Kroes, ha scritto all'Icann (la società privata americana che dal '98 assegna i ".com") di non assegnare i domini "personalizzati" (ammessi da un anno) .wine e.vin a chiunque purchè paghi, senza criteri nè controlli su chi siano, dove si trovino, cosa producano e vendano i soggetti che quei web-domini richiedono. Con buona pace della tutela dei marchi dop, dei fatturati di un intero settore europeo e, non secondaria, della salute di consumatori. E infatti già 4 aziende estranee al settore vinicolo avrebbero richiesto l'uso dei domini. 

Foto:www.riccagioia.com

Posto che Bruxelles non può vietare l'utilizzo di suffissi emessi dall'Icann – che per ora attende l'esito dei negoziati tra i rappresentanti europei del vitivinicolo e le aziende che hanno richiesto il dominio – deve però mettere in campo tutto il suo peso specifico – soprattutto nel semestre di presidenza italiano della Ue – per tutelare la qualità del suo alto di gamma alimentare. E all'orizzonte si affacciano i domini .pizza, .moda, .roma. Non sono solo a rischio fette di fatturati. Si profila un furto di identità in grande stile, ai danni proprio di quel patrimonio culturale che noi fatichiamo a far fruttare ma che potrebbe arricchire mani abili e senza scrupoli.

Il Barolo Rocche 2004 di Brovia

L'azienda, situata a Castiglione Falletto, nasce nel 1863 e possiede vigne solo all'interno dei Cru più importanti dell'areale del Barolo: Rocche (terreno abbastanza magro, leggermente sabbioso, piuttosto sciolto e tendente al calcareo con esposizione Sud-Est e altezza di 350 metri)Villero (ha un terreno moderatamente argilloso, calcareo e compatto con esposizione Sud-Ovest e altezza di 340 metri) Garbelet Sué (ha un terreno variegato formato da una parte ricca d’argilla con una parte di calcare, una parte argillosa e una sezione prettamente calcarea con esposizioni Sud e Sud-Ovest e una altezza di 250 metri) in Castiglione Falletto mentre a Serralunga d’Alba abbiamo la vigna di Ca’Mia che presenta un terreno argilloso e calcareo con esposizione Sud-Est e Sud e una altezza di 350 metri.


Le Rocche - Foto: http://soyouwanttobeasommelier.blogspot.it/

I Brovia nella vinificazione e nell'affinamento dei loro Barolo sono puramente tradizionalisti per cui i vini sono sempre affinati in botti di rovere di Slavonia e di rovere francese di dimensioni di circa 30 Hl. 

Tornando al Barolo Rocche 2004, la cosa che ti colpisce di più, appena lo versi nel bicchiere, è l'intensità e l'eleganza olfattiva del vino, una scia profumata di agrume rosso che ti catapulta dentro un aranceto per qualche minuto risvegliandoti bruscamente quando, con due schiaffi di mineralità rossa, vieni riportato ad un presente fatto di sfumature di rosa canina e viola. Col tempo, invece, la farfalla sembra diventare una falena e il Barolo tende a scurirsi creando costellazioni di erbe aromatiche, cuoio, goudron e china. In bocca, inutile dirlo, ha solida struttura, equilibro, trama tannica finissima e setosa. Che bel vino!

Foto di quel gran Beone di Andrea Federici

Tenuta Le Velette: il mio viaggio nel terroir di Orvieto continua!

Villa Felici, il quartier generale della Tenuta Le Velette fa sfoggio di tutta la sua bellezza appena superata la rupe di Orvieto.
Corrado Bottai, attuale proprietario, e il mio amico Fabio Ciarla, responsabile della comunicazione, mi aspettano appena fuori il grande portone di ingresso di questa dimora storica che nel corso dei secoli è stata al centro di interessi, non solo vitivinicoli, di etruschi (che scavarono qui grotte nel tufo), romani, monaci, feudatari fino ad arrivare, nei primi anni '50 del '900 ad essere di proprietà dell'agronomo toscano Marcello Bottai (papà di Corrado) e della moglie Giulia, discendente della famiglia Felici, che scelsero la tenuta come dimora e, soprattutto, come punto di riferimento per la valorizzazione dei vini non solo aziendali ma di tutto il territorio grazie alla promozione della formazione di strutture di tutela della viticoltura del territorio.


L'esterno di Villa Felici

Corrado, dopo esserci salutati con calore, mi dice:"Entriamo!"

Superato un primo ingresso troviamo un piccolo portone oltre il quale si esce nuovamente dalla dimora che, da questo lato, fa confluire il visitatore all'interno di un terrazzo naturale con affaccio su parte dei vigneti aziendali e su Orvieto. La vista è fantastica.


La vista dalla terrazza

Bottai, da perfetto Cicerone, mi parla del territorio e delle sue differenze. "Vedi Andrea, ad una ventina di chilometri da qua trovi il lago Bolsena, di origine vulcanica, la cui formazione ha portato al deposito di una enorme quantità di materiali che ha creato questo terreno qui composto, nella parte sottostante da argilla marina, poi abbiamo la lava raffreddata senza contatto con l'aria che ha formato il basalto mentre il  materiale sparato in aria dall'eruzione, tra cui cenere e lapilli, ha creato il tufo che oggi rappresenta la superficie del terreno agrario. Questo, essendo molto poroso, si comporta come una spugna che assorbe acqua che facilmente viene assorbita dalla radici che, in ogni condizione climatica, hanno una umidità sempre costante evitando al vigneto lo stress idrico tipico, ad esempio, delle stagioni torride.

Tenuta Le Velette si estende per circa 100 ettari di vigneto che possiamo dividere in tre grandi sezioni ognuna delle quali ha caratteristiche microclimatiche distinte:




Podere Belvedere (in verde) è una porzione di circa 45 ettari si caratterizza per l’esposizione a sud est che la rende ben soleggiata già dai primi raggi del mattino ma con temperature fresche nel pomeriggio. Questo, insieme alla vicinanza del bosco limitrofo permette un clima mitigato favorevole allo sviluppo e al rispetto degli aromi delle uve. Sono qui coltivati soprattutto vitigni a bacca bianca come trebbiano, malvasia, verdello, drupeggio, grechetto e il sauvignon blanc. Nascono quindi da qui Berganorio, Lunato e Traluce.

Podere Citerno (in beige) è composto da Ventinove ettari di terreno con esposizione a sud-ovest che beneficiano del sole da mattina a sera, con buone escursioni termiche tra giorno e notte ma con un microclima mitigato dai boschi limitrofi, condizioni che facilitano la sintesi e il mantenimento degli aromi e contemporaneamente una buona sintesi di zuccheri e sostanze polifenoliche. Un terreno adatto ad ottenere uve bianche per vini pieni e aromatici e uve rosse ricche e fragranti. Si coltivano in questa zona le varietà dell’Orvieto classico destinate alla produzione del vino amabile, il miglior grechetto, sangiovese, canaiolo e il moscato e il sauvignon per l’appassimento. Nascono da qui Rasenna, Sole Uve, Il Raggio, Monaldesco e, in parte, Lunato e Rosso di Spicca.

Podere Spicca (in blu) è la parte più soleggiata della tenuta, una porzione di circa 29 ettari con esposizione a sud-ovest che permette alle piante di beneficiare dei raggi del Sole dall’alba al tramonto. La zona, non delimitata da boschi e caratterizzata da terreni più chiari, è soggetta nei mesi di Settembre-Ottobre ad ampie escursioni termiche giornaliere, che facilitano la sintesi e l’accumulo degli zuccheri e dei composti polifenolici indispensabili per la qualità dei vini rossi. Molte delle varietà a bacca rossa sono coltivate in questa zona, in particolare sangiovese, merlot e cabernet sauvignon. Nascono quindi qui Rosso di Spicca, Accordo, Calanco e Gaudio.

Torniamo all'interno della casa padronale, stavolta la sorpresa e lo stupore è ancora maggiore quando, scesi una trentina di scalini nascosti da una porticina, arriviamo in un luogo storico di grande suggestione ovvero i circa cento metri di grotte di tufo scavate nel tufo usate nel corso dei secoli per conservare sia cibo che vino e, successivamente, come rifugio. Oggi, invece, rappresentano un ottimo luogo dove far riposare le annate storiche dei vini aziendali. 





Spero che le foto facciano comprendere la bellezza del posto!

Un rapido giro nella cantina di fermentazione, divisa in una parte più vecchia formata da vasche di cemento e da una parte più moderna composta da solo acciaio, e arriviamo nei "locali di affinamento" rappresentati, anche in questo caso, da più grotte interrate e scavate nel tufo usate forse dai monaci in passato per seppellire i morti (!!) e che ora Corrado utilizza per affinare in barrique  i suoi vini più importanti. 


Entrata

Sta cominciando a piovere per cui, di corsa, entriamo nella sala degustazione dove ci aspetta una batteria di vini non indifferente (l'azienda produce circa 250.000 bottiglie suddivise tra DOC locali (Orvieto Classico, Orvieto Classico Superiore, Rosso Orvietano, Orvieto Classico Amabile) e IGT di livello sperimentale.



Tenuta Le Velette - Orvieto Classico "Berganorio" 2013 (procanico 30%, grechetto 30%, malvasia 20%, verdello 15%, drupeggio (5%): senza pretese ma dotato di una beva di sorprendente freschezza e godibilità. E' il vino della convivialità a tavola!



Tenuta Le Velette - Orvieto Classico Superiore "Lunato" 2013 (trebbiano 20%, grechetto 40%, malvasia 20%, verdello 15%, drupeggio 5%: è uno dei migliori Orvieto Classico del territorio e lo si capisce subito grazie ad un naso complesso e variegatamente minerale ed ad un sorso ricco, sapido, di struttura e di grande personalità. Bella persistenza finale.



Tenuta Le Velette - IGT Umbria Grechetto 2012 (grechetto 100%): Corrado viste le potenzialità del vitigno ha voluto dar vita ad un vino ancora in via sperimentale ma che già oggi mantiene delle promesse importanti fatte di un corredo aromatico che sa di sale e frutta gialla al sole e di un sorso molto "slow" che progredisce però col tempo in  maniera inesorabile. Finale di buon equilibrio e sapidità.



Tenuta Le Velette - IGT Umbria Sauvignon 2013 (sauvignon  blanc 100%): il mio pregiudizio per un vitigno che in Italia non trovo espressioni di eccellenza è in parte rivisto per un vino fortunatamente non aromatico (non puzza di pipì di gatto per intenderci) e caratterizzato da un buon bilanciamento tra compomenti di frutta esotica e vegetale. Bocca molto regolare, senza sbavature.



Tenuta Le Velette - Rosso Orvietano "Rosso di Spicca" 2012 (sangiovese 85% e canaiolo 15%): la versione rossa del Berganorio, grande bevibilità e schiettezza. A tutto pasto!



Tenuta Le Velette - IGT Umbria Sangiovese "Accordo" 2009 (sangiovese 100%): naso disposto su sensazioni di frutta matura, vaniglia, carrube. Giusta morbidezza, dolce il tannino e lungo e avvolgente il finale sapido.

Tenuta Le Velette - IGT Umbria Rosso "Gaudio" 2009 (merlot 100%): ha profumi di chiodi di garofano, cannelle, marasca e cuoio mentre in bocca si fa valere per la grande pienezza e la potenza mediata. Lungo e minerale il finale.



Tenuta Le Velette - IGT Umbria Rosso "Calanco" 2009 (sangiovese 65% e cabernet sauvignon 35%): ha un naso notevole costruito su una lieve base di vaniglia sulla quale svettano sensazioni di viola mammola, frutti di bosco, tabacco da pipa, erbe aromatiche, cioccolato alla frutta. In bocca è aristocratico, con tannini decisi ed una lunghissima chiusura su note di spezie dolci ed frutta nera. 



Ringrazio Corrado Bottai, quella appena passata è stata una bellissima esperienza e, senz'altro, ci sarebbe ancora tanto da parlare, da bere e da scoprire a Le Velette: Mi attende, però, Enzo Barbi e sono terribilmente in ritardo. Accendo velocemente la macchina. La scoperta dei vini di Orvieto è ancora all'inizio!!!


Vigneti estremi o, semplicemente, alternativi

Su Drink Business poco tempo fa è uscito un articolo relativo ai vigneti più estremi del mondo tra i quali sono stati inseriti:


La foto di sopra mostra i vigneti tailandesi della Siam Winery posti sul delta del fiume Chao Phraya. Piante galleggianti situate su isole separate da canali d'acqua che refrigerano le uve evitando l'essiccazione dovuta al grande calore.


Bellissimi i vigneti dell'isola di Fogo (Capo Verde) situati alla base di un vulcano attivo all'interno di un territorio molto simile a quello lunare. Due le cantine che vinificano in questo luogo: Sodade e Cha das Caldeiras.



Chi pensava che la Champagne fosse la regione vitivinicola più a nord del mondo si sbaglia. E è in errore chi pensa che il Regno Unito sia l'ultima frontiera. Già perchè in Svezia, a pochi chilometri da Stoccolma, esiste il vigneto Blaxta, circa 3 ettari coltivati a vidal, chardonnay, merlot e cabernet franc. 


Vicino a Il Cairo Karim Hwaidak, proprietario del Sahara Vineyards, gestissce un vigneto di circa 600 ettari che comprende oltre trenta varietà di uva. La sfida col deserto, le enormi escursioni termiche tra giorno e notte, la quasi totale mancanza di pioggia e il terreno sabbioso che non contiene sostanze nutritive è davvero impervia ma, con la passione, tutto si vince.


Sembrano vigne strappate al cielo queste della piccola denominazione svizzera di Beudon. Il vigneto è accessibile solo attraverso un sentiero di montagna molto ripido o  attraverso l'ausilio di una funivia privata di proprietà del Domaine de Beudon, che viene utilizzato per il trasporto dell'uva dalla scogliera durante la vendemmia.



I vigneti di Lanzarote, posti su terreni vulcanici, sono unici anche per la forma di allevamento. Le vigne, infatti, sono inserite all'interno di buche scavate dall'uomo all'interno delle quali crescono le piante al riparo dal vento. Spesso l'agricolotore stende una fine cappa di cenere vulcanica che, assorbendo la rugiada notturna, garantisce alle viti il giusto grado di umidità.

Foto: drinks.seriouseats.com

La Mosella non sarà un nome esotico ma il vigneto Ürziger Würzgarten con le sue pendenze è davvero impressionante. Pensate solo alla vendemmia e alle difficoltà di raccogliere il riesling. 




Barberani e quel terroir unico chiamato Orvieto

L'Italia, nonostante i mille problemi, è un territorio paesaggisticamente unico con tratti di rara bellezza spesso sconosciuti al grande turismo di massa.
Il Lago di Corbara, con la sua diga e, in generale, il Parco Fluviale del Tevere, a pochi chilometri dalla più affollata Orvieto, rappresentano uno scenario davvero incantevole sopratutto quando le insenature formano gole talmente spettacolari da convincere molti registi a girare alcuni western all'italiana.


Vigneti vista lago

Barberani si trova su una collina che domina questa Grande Bellezza umbra.

Niccolò e Bernardo mi aspettano di buon'ora all'entrata della loro azienda famigliare che oggi vanta una superficie complessiva di oltre 100 ettari di cui 58 a vigneto. Dopo l'Orvieto Tasting organizzato a Roma tempo fa da Roscioli, durante il quale ero rimasto piacevolmente stupito dal loro "Luigi e Giovanna", gli avevo promesso che sarei passato a trovarli presto e così, complice una mattina assolata di Maggio, sono partito per l'Umbria per un tour che prevederà anche altre tappe.

Niccolò, agronomo ed enologo coadiuvato da Maurizio Castelli, e Bernardo, responsabile marketing, rappresentano la terza generazione di una famiglia da oltre cinquanta anni legata al vino di questo territorio visto che già nel 1961 il nonno Vittorio coltivava i vigneti per ottenere vino da vendere ai ristoranti e ai bar della zona. 
Vini piacevoli che subiscono una svolta qualitativa solo verso la fine degli anni '70 quando le redini dell'azienda passano a Luigi e Giovanna Barberani i quali modernizzano la loro azienda, anche con la costruzione della nuova cantina, fornendo nel contempo anche una spinta internazionale alla loro visione produttiva.


Niccolò e Bernardo Barberani
I fratelli Barberani, oggi, si trovano a gestire una eredità importante composta, come scritto in precedenza, da oltre 58 ettari di vigneto inserito in un microclima unico caratterizzato dall'influenza del Lago di Corbara che, grazie alla sua umidità relativa, crea sia in inverno che in estate condizioni ideali per i vari vigneti che circondano la proprietà.
I terreni, così come accade per tutta la zona dell'orvietano, sono di origine vulcanica, sedimentaria e calcareo-argillosa e, da sempre, sono coltivati in maniera naturale grazie, ad esempio, alla tecnica dell'interramento dei tralci, all'uso del sovescio, alla concimazione organica senza assoluto uso di prodotti chimici.

La cantina, posta al centro dei vigneti e di dimensioni non troppo modeste vista l'attuale produzione annua di 350.000 bottiglie, è composta prevalentemente da vasche in acciaio inox mentre solo una limitata porzione è dedicata alla botte di varie dimensioni visto che solo tre vini, "Foresco", "Polvento" e "Luigi e Giovanna" prevedono una affinamento in legno (i primi due barrique mentre l'Orvieto Classico solo tonneau da 28 Hl). 





Piccola nota tecnica per i patiti di enologia: tutte le uve a bacca bianca sono sottoposte a macerazione a freddo prima della vinificazione.

Usciamo dalla cantina, è tempo di percorrere un piccolo sentiero che ci porta davanti l'uscio del bellissimo cottage dove i Barberani organizzano i loro wine tasting.

Col panorama del Lago di Corbara alle nostre spalle andiamo a degustare il meglio della produzione aziendale iniziando, ovviamente, dal loro vino bandiera, l'Orvieto Classico.

Barberani - Orvieto Classico Superiore DOC "Castagnolo" 2012 (grechetto, trebbiano procanico, chardonnay e riesling): è il vino della tradizione per Barberani, un vero e proprio cavallo di Troia in grado di scardinare ogni pregiudizio. Fresco, decisamente minerale con tocchi fruttati ed erbacei, fa della sua immediatezza e della sua sapidità il punto di forza. Una bottiglia si beve in amen. What else?



Barberani - Orvieto Classico Superiore DOC "Luigi e Giovanna" 2011 (grechetto, trebbiano procanico e chardonnay): nato per festeggiare il cinquantesimo anniversario dell'azienda, il vino è un omaggio a Luigi e Giovanna Barberani, genitori di Niccolò e Bernardo, che da sempre hanno due passioni: il grechetto e la muffa nobile. Dall'unione di queste due passioni nasce questo bianco che definirei la via più voluttuosa all'Orvieto Classico grazie ad aromi di frutta gialla succosa associata a caratteri minerali e vegetali. Sorso di grande avvolgenza, setoso, di grande progressione e persistenza. Un vino che sa invecchiare benissimo e che non lascia indifferrenti.



Barberani - Umbria Rosso IGT "Polago" 2012 (sangiovese e montepulciano): è la versione in rosso del Castagnolo per via dell'immediatezza e la facilità di beva del vino che, con i suoi sapori di frutta croccante e la bella vena acida, va giù che è un piacere. Se avessi un wine bar lo metterei senza problemi alla mescita.



Barberani - Umbria Rosso IGT "Foresco" 2012 (sangiovese, cabernet sauvignon e merlot): rosso umbro dal tocco internazionale, sa essere morbido e speziato al tempo stesso. Gode di tattilità succosa e un tannino ben domato che ben accompagna una persistenza fruttata.



Barberani - Lago di Corbara Doc Rosso "Polvento" 2009 (sangiovese, cabernet sauvignon e merlot): è il vino rosso più importante dell'azienda e già al naso non ho dubbi vista la grande complessità olfattiva che spazia tra sensazioni di ciliegia, frutti di bosco, prugna secca, tabacco, liquirizia, cola, spezie orientali, eucalipto e viola appassita. Al sorso è potente, carnoso,  intessuto da nobile trama tannica e da persistente verve fresca e sapida. Ritornano le suggestioni di spezie e frutta. 



Barberani - Orvieto Classico Superiore DOC "Calcaia" 2010 (grechetto, trebbiano procanico e sauvignon blanc): iniziamo la carrellata dei vini dolci con uno dei muffati più buoni di Italia grazie anche ad una sperimentazione che va avanti dalla fine degli anni '70 grazie alla ricerca e alla passione di Luigi Barberani e dell'enologo Maurizio Castelli. Il vino è ancora giovanissimo ma, al tempo stesso, ha una suadenza già ben definita grazie ai suoi morbidi aromi di frutta gialla appassita, iodio, zafferano e miele. Berlo e come fare l'amore, non smetteresti più vista la grande goduria. Devo andare oltre?



Barberani - Umbria IGT Dolce "Moscato Passito" 2009 (moscato bianco): tutti ad esaltare il Calcaia precedente ma vogliamo parlare di quest'altra chicca? Questo passito le cui uve appassiscono per metà in pianta e per metà su stuoie al sole, rappresenta un'altra sfida vincente dell'azienda che, come vedremo anche col prossimo, punta moltissimo sui vini da meditazione. Il colore ambrato fa da preludio ad un corredo aromatico giocato su toni di agrumi canditi, albicocca  matura, dattero, malva e resina di pino. Sorso di grande equilibrio e cremosità. Interminabile.



Barberani - Umbria IGT Rosso Dolce "Aleatico Passito" 2007 (aleatico): il Lago di Corbara con le sue tradizioni vitivinicole ha ispirato sicuramente questo vino le cui uve appassiscono in pianta almeno fino a settembre. Con i suoi aromi di visciola, ciliegia sotto spirito ed erbe officinali, ha un sorso deciso e di grande equilibrio grazie ad una dolcezza ottimamente mitigata dalla sapidità e dal setoso tannino del vino. Gustosa la persistenza di frutta rossa che rimane dopo la deglutizione.



Il mio viaggio nel terroir di Orvieto non finisce qua. Stay tuned e, se vi va di fare una bella gita da Roma, che dista circa un'ora, passate a trovare i fratelli Barberani che, anche grazie al loro splendido agriturismo, saranno felici di accogliervi.