Vino naturale e vino biologico. La FederBio tira l'acqua al suo mulino?


Il vino biologico è sottoposto a una normativa di riferimento e viene certificato da organismi di controllo espressamente autorizzati dal ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali. Quali sono i criteri oggettivi e le caratteristiche produttive e di qualità per definire un vino come “naturale”, “libero”?
“La differenza sostanziale tra “vino naturale” e “vino biologico” sta nel fatto che il “vino biologico” è codificato secondo una normativa di riferimento, il vino naturale no. Cosa significa vino naturale? Al momento “vino naturale” è un semplice claim, che non identifica le caratteristiche produttive e la qualità del prodotto. Attenzione, quindi, perché ciascuno può avere il proprio concetto di “naturale”, che differisce da quello di altri. E’ come doversi basare sulla dichiarazione di ciascuna cantina, è come chiedere all’oste se ha il vino buono. Nel biologico, invece, tale dichiarazione è confermata dalla certificazione di un organismo di controllo terzo, espressamente autorizzato dal ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, che ispeziona vigneto e cantina, anche prelevando campioni da sottoporre ad analisi”. Interviene Paolo Carnemolla, presidente di FederBio per fare in modo che la polemica attuale non crei confusione soprattutto nel consumatore.

E per tutelare il consumatore è bene ricordare che è certo un bene la scelta di non utilizzare diserbanti e fertilizzanti chimici di sintesi, ma sarebbe necessario non tacere che nel “vino libero” – si ricorre a insetticidi e anticrittogamici, la cui entità, per frequenza di trattamenti, impatto ambientale e residui sul vino è di gran lunga più significativa di diserbanti e fertilizzanti.L’agricoltura biologica non usa OGM, non usa fertilizzanti e diserbanti chimici di sintesi e nemmeno gli insetticidi e gli anticrittogamici. E’ dettagliatamente codificata da norme europee e nazionali, sottoposta a un sistema di controllo europeo, con regolari ispezioni nelle aziende e prelievo di campioni per escludere contaminazioni anche accidentali da sostanze non ammesse.
Oltre alle regole citate ricordiamo che l’agricoltura biologica prevede la rotazione delle colture e la piantumazione di siepi, la salvaguardia di boschetti e stagni per dare ospitalità alla fauna utile che naturalmente contrasta quella nociva. Ma non solo: è un’agricoltura che ha massima cura del benessere degli animali, la cui alimentazione si basa sul pascolo e su foraggi biologici senza l’uso preventivo di farmaci e antibiotici; che nelle fasi di trasformazione ripudia coloranti, conservanti, esaltatori di sapidità e ogni altro inutile additivo, insieme alle tecniche che snaturano la qualità degli ingredienti.
E i solfiti? Il progetto di ricerca OrWine (2006 – 2009), finanziato dalla Commissione europea, ha rilevato – già prima dell’entrata in vigore del regolamento sul vino bio – che quasi il 20% delle cantine biologiche europee conteneva i solfiti sotto i 30 mg/l, un altro 30% stava sotto i 60 mg/l, altrettanti non superavano i 90 mg/l. In Italia, poi, il 98% delle cantine non superava i 90 mg/l e il 77% lavorava sotto i 60 mg/l. Da alcuni anni molte cantine italiane produttrici di vini bio lavorano in assenza di solfiti, con risultati qualitativi interessanti e riscontri commerciali significativi. Questo a dimostrazione della capacità imprenditoriale del comparto del biologico, che grazie alle elevate competenze tecniche dei suoi operatori, alla riconosciuta tutela dell’ambiente, alla particolare attenzione al benessere dell’uomo e a una esperienza di decenni è apprezzato e riconosciuto dai consumatori.


Fonte: FederBio

Wine Blogger...quando vi pare...

Non farò nomi e cognomi perchè, più che fare facile polemica, vorrei capire se sono io strano/permaloso oppure se davvero c'è qualcosa che non quadra nella vicenda.

Di che si tratta? Dell'annosa diatriba tra blogger e giornalisti istituzionali e, in particolare, su come il mondo del vino, o parte di esso, qualifica le due "categorie".


Tutto nasce da una semplice mail che invio ad una manifestazione enologica che si terrà a Roma dove, con garbo, chiedo se sono previsti accrediti per il mio wine blog. Chiedo, non pretendo, ci mancherebbe altro.

La risposta, che tra l'altro è pervenuta anche da una persona che conosco bene (ma sarà lui davvero che hai risposto?), mi arriva abbastanza rapidamente e, sintetizzando, mi si dice che per i blog non sono previsti accrediti. Gli accrediti stampa sono previsti solo per un certo giorno e solo per le TESTATE GIORNALISTICHE.
Giustamente, mi viene fatto notare, il prezzo di ingresso di 10,00 è abbastanza popolare da permettere a chiunque di partecipare.

Per l'amor di Dio, ci mancherebbe altro, no problem per me che parteciperò con immutato entusiasmo alla manifestazione.

Subito dopo aver pensato queste parole, il miei occhi scorrono ancora la mail e, stupito, leggo il seguente post scriptum: "Vi saremmo grati se il vostro blog segnalasse la manifestazione".

MMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMM!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Cioè? Non mi riconosci assolutamente titolo di comunicatore del vino, perchè quello ce l'hanno  solo i giornalisti col tesserino, ma dovrei usare il mio blog per farti pubblicità?

Di istinto avrei voluto rispondere che la pubblicità all'evento, a questo punto, la dovrebbero pretendere dalle varie, e per loro importanti, testate giornalistiche. Poi, pensandoci bene, ho rinunciato all'intento, ci mancherebbe pure che passo per quello che si impunta per un accredito negato....

La sostanza, comunque, rimane: ci sono persone competenti, che organizzano interessanti manifestazioni sul vino, le quali non capiscono ancora l'importanza del web o, peggio, che fanno finta di non saperlo. In questo il Vinitaly è maestro. Diciamolo!


In tutto questo, della manifestazione e dei suoi vini scriverò lo stesso con piacere vigilando su quanti articoli giornalistici usciranno in proposito. Vediamo il web è così scroccone e scarsamente significativo come pensano...

P.s: la pubblicità non te la faccio!

Vini dal mondo: il Vietnam e il suo Ruou Ran

Bisogna allargare i nostri orizzonti enologici, non si possono sempre bere sempre i soliti vini francesi ed italiani. 
Dobbiamo guardare oltre, le nostre papille gustative sono stufe di esaminare sempre sangiovese o chardonnay.
Io, da oggi, voglio, pretendo, di bere diversamente, magari organizzando una bella verticale di Ruou Ran, il famoso vino di riso del Vietnam al serpente....


Farlo sembrerebbe molto semplice: prendi un serpente VIVO e VELENOSO, mettilo in bottiglia e ricopri tutto con vino di riso. Il veleno del serpente, dicono, non sarà un problema perchè le proteine di cui è composto saranno dissolte dall'etanolo. 
Il particolare colore del vino è dato dal sangue e dal veleno dell'animale che si discioglie col passare del tempo...


A questa tradizionale bevanda esistono due alternative: la prima consiste nell'inserire nella bottiglia anche un simpatico scorpione, mentre la seconda prevede la c.d. preparazione del vino di sangue di serpente. Quest'ultimo, dicono, è preparato sventrando un serpente e versando il sangue fresco direttamente nel vino di riso e bevendo il tutto rapidamente. Un pò come l'ovetto fresco che ci faceva mamma....


Se per un regalo ad un amico volete ordinare questa....prelibatezze, non esitate ad andare su questo sito che spedisce la merce in tutto il mondo. Un esempio: due grandi bottiglie di vino di serpente a soli 199 euro più spese di spedizione. 

La metà di un Masseto, che volete di più??!!!

Il vino del Lazio tra passato, presente e futuro. Seconda parte

Se vi siete persi la prima parte cliccate qua!

Non ci spostiamo di molto, sia temporalmente che geograficamente dal Torre Ercolana, quando davanti a tutti gli invitati viene versato un altro vino storico del territorio, il Cesanese del Piglio di Manfredi Berucci (Azienda Vitivinicola Emme) che durante l’incontro viene declinato in tre millesimi: 1987, 2001 e 2010. Il primo vino è un vero e proprio gesto di amore della famiglia Berucci nei confronti del cesanese, un vitigno e un vino che all’epoca era ampiamente sottovalutato e che solo pochi pionieri potevano guardare con ottimismo. Nel mio bicchiere ho un cesanese che, nonostante tutti i limiti tecnologici e strutturali che si porta dietro, è dotato di ottima materia e progressione. Con l’annata 2010, tralasciando il millesimo 2001 che attualmente pare interlocutorio, la famiglia Berucci sembra cambiare strada offrendo un cesanese molto pronto, fresco e beverino con evidenti note di frutta dolce in evidenza. Sarà cambiato lo stile ma la stoffa è sempre quella.


 

La carrellata sulla zona del Cesanese del Piglio termina con l’azienda Coletti Conti che propone in degustazione due millesimi del Romanico, l’annata 2007 e la 2010. La prima, oggi, sembra avere una marcia in più perché il vino è dotato di grande complessità e profondità con chiare e nitide note di marasca scura, china, noce di cola, liquirizia ed incenso. Al sorso offre grande personalità e poderosità, due marchi di fabbrica che ritrovo anche nel giovanissimo Romanico 2010 che, sicuramente, ha più materia del fratello maggiore anche se, come un puzzle in movimento, attendo che tutti gli elementi strutturali si incastrino per bene al fine di poterlo apprezzare al 100%.

I due Romanico

E’ ora dell’azienda Falesco che in degustazione ha offerto l’annata 2001 2009 del suo Montiano. I due vini, pur rispettando le differenze dell’annata, sono risultati come mi aspettavo: puliti, stilisticamente perfetti e con un equilibrio da giocoliere ma, e lo sottolineo, non mi hanno emozionato come il Torre Ercolana, il Cabernet di Atina o il Cesanese di Berucci che reputo vini fatti più con la pancia che con la testa.

Ci spostiamo nei pressi di Latina dove Antonio Santarelliproprietario di Casale del Giglio, ci ha presentato due annate del Mater Matuta, la 2006 e la 2009. Purtroppo la poca differenza di età tra i due non ci ha permesso di giudicare completamente l’evoluzione di questo vino che, per certi versi, ricalca sensorialmente le caratteristiche del Montiano, ovvero di un vino fatto per piacere e per piacersi. Il Mater Matura rimane comunque un vino mito per il territorio con il quale molti di noi sono cresciuti. Santarelli ci ha promesso per la prossima volta qualche annata storica del vino. Le sorprese potrebbero essere dietro l'angolo...


Il finale, dolce, prende la forma dello Stillato, la splendida malvasia passita di Principe Pallavicini che da anni rappresenta uno dei vini di punta del Lazio. Due annate in degustazione: 2006 2011. Il primo vino ha tutta la complessità di un grande vino dolce invecchiato, sa di miele, dattero, albicocca disidratata e fiori gialli appassiti. Il sorso è splendido, di grande equilibrio e persistenza. L’annata 2011, giovanissima, gioca le sue carte sulla vena fresca del vino che rimane al palato leggero come una piuma. Attenzione: beva compulsiva e appagante.


Chiudo questo lungo post esortando Ciminelli, che ringrazio ancora per l’invito, a riproporre l’evento anche in futuro perché la voglia di scoprire certe perle della nostra Regione è sempre alta e, come la nostra passione per il vino, non passerà mai. 



Il Brunello di Montalcino 2012 è a cinque stelle ma non vota Beppe Grillo

Senza offesa per il Consorzio che, giustamente, deve salvaguardare gli interessi di tutte le aziende appartenenti ma, dal mio punto di vista, dare CINQUE STELLE all'annata 2012 è davvero grottesco.

Il millesimo, ce lo ricordiamo tutti, è stato caldo, troppo caldo, per cui non si capisce perchè se alla 2003 dai quattro stelle, alla 2012 ne dai ben cinque. Per me, ripeto, assurdo.
Ovviamente i risultati non saranno tutti uniformi, ci sarà chi avrà lavorato bene nonostante tutto e chi, magari avendo vigne a sud, avrà limitato il disastro.

Vi ricordo, intanto, le valutazioni stellate degli ultimi venti anni, è interessante per capire e paragonare i giudizi....

5 stelle
1995, 1997, 2004, 2006, 2007, 2010, 2012
4 stelle
1993, 1994, 1998, 1999, 2001, 2003, 2005, 2008, 2009, 2011
3 stelle
1996, 2000
2 stelle
1992, 2002

In questi giorni, pur non potendo andare a Montalcino, cercherò di avere delle dichiarazioni da alcuni produttori per capire se anche loro votano le Cinque Stelle. 

Oh, Beppe Grillo non c'entra nulla però!!

La piastrella Cruciani a suggello dell'annata

Il vino del Lazio tra passato, presente e futuro. Prima parte


Il vino del Lazio tra passato, presente e futuro. Così possiamo chiamare la bella iniziativa messa in piedi da Antonio Ciminelli, patron dell’Osteria FontanaCandida, che attorno ad un tavolo ha riunito alcuni produttori, da lui stesso selezionati, per cercare di capire se e come si sta evolvendo il vino della nostra Regione.

Parte della tavola riunita

L’incredibile macchina del tempo si è messa in funzione attorno ai bianchi dell’azienda Fontana Candida che per l’occasione ha voluto proporre due annate del suo Santa Teresa: 2001 e 2011. Dieci anni sono tanti e le differenze, ovviamente, notevoli. Il primo sa di frutta gialla matura e miele ed è dotato di un sorso rotondo anche se manca quella spina acida che potrebbe conferire maggiore persistenza e freschezza di beva. La 2011 è un po’ il contrario, il vino è fresco, dinamico, citrino, con una bocca snella alla quale però manca un po’ di “ciccia” per essere completa. Nonostante queste piccole “imperfezioni”, il Santa Teresa ci dimostra che il vino di Frascati c’è e vale la pena puntare su di esso.

"vecchi" Santa Teresa

Santa Teresa 2011

Il primo rosso che ci viene presentato è un tuffo al cuore, parliamo dell’Atina Cabernet delle Cantine Palombo, un vino importantissimo perché in tempi non sospetti, quasi inconsapevolmente, ha dato nuova luce ad un territorio che fino ad allora stava cercando la sua identità. L’annata 1997, presentata da Matteo Rugghia e dallo stesso Ciminelli, è un piccolo grande regalo per tutti noi, è un vino talmente virtuale ed introvabile che averlo davanti è un regalo commovente. Dal punto di vista organolettico appena versato il vino sembra contorcersi, vibrare come la corda di un violino, cerca di offrire tutto se stesso in pochi minuti, come un fuoco di artificio che, sparato in aria, crea immediatamente giochi di luce per poi esplodere e svanire subito dopo. Riesco a percepire note di peperone, pomodoro secco, frutta rossa appassita, finocchio, anice stellato, poi tutto muore in un lento ed inesorabile odore di dado da brodo. La bocca racconta la sua storia,  la sua passata grandezza. Peccato averlo bevuto con qualche anno di ritardo. L’annata 2001 è meno emozionante anche se di maggiore gioventù, soprattutto in bocca dove acidità e tannini ancora graffiano.

L'Atina Cabernet Palombo
L'Atina Cabernet Palombo..di dietro

E’ l’ora di Armando di Mauro e del Vigna del Vassallo di Colle Picchioni, uno degli storici tagli bordolesi del Lazio di cui ricordo un 1985 da brividi. La prima annata che ci presenta è la 2000 che, inizialmente, gioca a chiudersi nel bicchiere per poi aprirsi su note scure, quasi terrose. Bocca dosata, di grande equilibrio, forse manca un filo di grip ma è comunque un sorso piacevole. La 2010 è l’ultima annata in commercio e il vino ovviamente è ancora in fase di evoluzione, ora è tutto un intreccio di frutta a bacca nera e spezie. La gioventù si sente maggiormente in bocca dove il tannino ruggisce prepotentemente. Da aspettare. 
Piccolo appunto: mi sarebbe piaciuto degustare il Vigna del Vassallo dell'era Giorgio Grai, ex enologo dell'azienda che ha passato la mano a Riccardo Cotarella. Forse tra i due vini ci sarebbe stato maggiore stacco stilistico.



Con Damiano Ciolli, giovane e bravo vignaiolo di Olevano Romano, entriamo in zona Cesanese. Due le annate di Cirsum presentate: 2005 e 2009. La prima ci offre un vino fantastico, la giusta evoluzione del cesanese di Olevano Romano crea un profilo olfattivo magnetico con un ventaglio di aromi che vanno dalla mineralità rossa al floreale viola fino ad arrivare alle erbe aromatiche. Bocca di grande espressione, sapida, intensa, persistente. Grande prova. L’annata 2009, invece, è forse più scontrosa nei profumi che si fanno leggermente più austeri visto che percepisco nettamente le note di rabarbaro, terra ed erbe selvatiche amare. Sorso elegante, irrompe al gusto la mineralità vulcanica del terreno. Finale iodato. Damiano, se continua così, avrà un grande futuro.



Paolo e Francesco Trimani ci presentano un reale ed autentico pezzo di storia dell’enologia del Lazio, il Torre Ercolana, mix di cesanese, cabernet e merlot, che ci viene proposto in due annate epiche: 1980 e 1990 (da magnum). 
Il primo millesimo, dove ancora il vino era prodotto da Colacicchi, è un colpo al cuore e all’anima di ogni appassionato. Il colore, come vedete dalla foto in basso (bicchiere sinistro), è baroleggiante, un granato affatto ossidato che dice molto sulla sensibilità di chi ha prodotto quel vino. Appena metto il naso nel bicchiere arriva la scossa, intensa e viscerale, davanti ai miei sensi ho un vino pazzesco, commovente, penso che no, non può essere vero, non nel Lazio. Eppure era là, davanti a me, un taglio bordolese "made in Anagni" di assoluta integrità che trasuda mineralità, che cresce nel bicchiere con avvincente progressione liberando sensazioni di viola, scorza di arancia, torrefazione, timo, terra. La bocca risponde in maniera armonica, è ancora proporzionato al sorso, ha un tannino fittissimo e una superba sapidità nel finale. Il Torre Ercolana 1980 è un vino che ti fa ripartire da capo, ti convince che forse nel Lazio si può giocare un’altra partita, magari erano altri tempi, un altro clima, ma si può tentare. 

Torre Ercolana. 1980 a sx e 1990 a dx

Con l’annata 1990 siamo già in un’altra epoca, Marco Trimani ha preso le redini dell’azienda e anche il vino, forse, è mutato. Il colore si fa notevolmente più scuro, intenso, anche il naso gioca in profondità con le sue note di caffè, cioccolato, prugna secca, castagnaccio. La bocca è equilibrata, di personalità, ma a mio avviso manca quel quid in più che trasformerebbe questo vino in un capolavoro senza tempo.


Torre Ercolana 1990 Magnum

Tra due giorni la seconda parte di questa fantastica degustazione

Vignaioli Naturali a Roma e gli Oscar di Percorsi di Vino

Cambia la location, quest'anno traslocata nelle sale dell'NH Hotel, cambia il nome dell'evento, da Vini Naturali a Vignaioli Naturali,  ma il succo rimane sempre quello: grande successo e grande selezione di vini e produttori.
All'interno delle affollate e calde sale dell'albergo sono riuscito a valutare con calma solo una parte dei vini che erano proposti in degustazione, troppa gente, spesso maleducata che ti spintona, e troppo il caldo che dopo due ore ha trasformato le sale in una sorta di sauna per rettili.
Questa premessa andava fatta perchè sicuramente avrò tralasciato nei miei appunti qualche "chicca" che altri avranno bevuto facendomelo notare..

Molti i vini interessanti bevuti ma relativamente pochi quelli che mi hanno conquistato il cuore per cui, ladies and gentleman, ecco a voi gli Oscar "Naturali" di Percorsi di Vino!!!

Miglior Vino Rosso

AR.PE.PE Sassella Rocce Rosse Riserva 2001: no, dico, cosa volete dirgli ad un vino del genere? Splendido esempio di nebbiolo della Valtellina, è un concentrato di eleganza e profondità dove mineralità, senzazioni iodate e agrumate trovano la massima ispirazione. Al sorso è lungo, intenso, setoso. Un esempio per molti.

Miglior Vino Bianco Estero

In questo caso devo dividere la categoria perchè non posso tralasciare i grandi Riesling della Mosella di un produttore che, devo ammettere, non conoscevo: Karl Erbes. Notevole tutta la gamma di vini portati a Roma ma il suo Urziger Wurzgarten Riesling Spatlese 2004 ha messo d'accordo davvero tutti. C'è anche chi ha chiesto a Erbes asilo etilico presso le sue cantine...


Miglior Vino Bianco Italiano

In questo ambito il discorso si fa più difficile, non c'è un vero campione ma tanti grandi talenti. Il Fiano di Avellino 2011 di Picariello promette un grande bene anche se troppo giovane per poterlo definire correttamente, I Clivi con il Brazan Riserva 2001 hanno la meglio su qualunque altro Tocai degustato durante l'evento, Nino Barraco con il Catarratto 2011 ti regala un pezzo della sua Sicilia più vera mentre La Visciola, unica azienda del Lazio presente, col Donna Rosa 2011 (100% passerina) ricorda al mondo che questo vitigno non è nato solo per fare battute da caserma. In tutto questo bailamme, secondo me, entrano a gamba tesa due verdicchi di grande personalità. Il primo è il Verdicchio di Jesi "Gli Eremi" Riserva 2010 La Distesa, il vino della maturità di Corrado Dottori che in altre annate non mi aveva convinto al 100%. L'altro verdicchio che vorrei segnalare è il San Paolo Riserva 2009 Pievalta, un Castelli di Jesi leggiadro e profondo al tempo stesso che premia il lavoro di Alessandro Fenino.

Miglior Vino Rosato

Senza nessun dubbio è il Rosato 2011 di Bonavita, un compendio di mediterraneità e freschezza che, anno dopo anno, dà ragione a Giovanni Scarfone che crede molto in questa tipologia di vino e, proprio per questo, si danna l'anima per farlo sempre più buono.


Miglior Vino Spumante

Ce ne erano tanti di vini mossi in giro per le sale, molti blasonati, qualcuno incomprensibile, uno assolutamente schietto e sincero come il "Ripa di Sopravento" di Vittorio Graziano, vino bianco a rifermentazione spontanea composto da un mix di cinque uve autoctone il cui nome, per alcune, è ignoto per la maggior parte dei comuni mortali. Il Ripa di Sopravento non è un vino memorabile, lo ammetto, ma è talmente territoriale e lineare che per un attimo di tira via dalla bolgia dantesca dell'NH Hotel per portarti sull'uscio della cantina di Vittorio. Meritato elogio alla semplicità.



Miglior Vino Non Protagonista

Tanti contendenti ma la palma del vincitore va alla Malvasia 2007 Čotar per la seguente motivazione: vino di grande eleganza e personalità, il produttore riesce ha creare un vino macerato senza alcun tipo di pesantezza. Un fabbro dalle mani di fata.



Miglior Vino Dolce

Paola Lantieri con la sua straordinaria Malvasia delle Lipari Passito vince per manifesta superiorità. Ti porta il profilo dolce dell'Isola di Vulcano e non vuoi ringraziarla pubblicamente?

Miglior Produttore

Senza offesa per nessuno ma, a prescindere dalla bontà del loro Brunello di Montalcino 2005, Florio Guerrini e sua moglie sono talmente gentili ed eleganti verso tutti, dall'enotecario famoso al semplice passante, che rappresentano un esempio per tutti. Signori si nasce!

Miglior Nome per un vino

Il DOMMINKIO dell'azienda siciliana Bonaccorsi vince a mani basse. Il vino, la cui etichetta fa riferimento al soprannome dato ad un sacerdote, è anche molto buono. Un sorso dissacrante in tutti i sensi.

Miglior vino in crescita

Il Nero d'Avola di Nino Barraco lo ricordo buono ma questa 2011 è incantevole, ha una struttura e un'acidità che si mangiano i 15° di alcol e ti restituiscono un sorso piacevole e leggero. A tavola finito in un amen.

Vino dall'ottimo rapporto q/p

Il Grifalco 2004 di Cecilia Naldoni Piccin è un piccolo grande Aglianico del Vulture. Oggi penso sia al massimo della sua espressione e della sua eleganza. A un prezzo piccolo piccolo bevete alla grande grande.



Il vino che non ho capito

Il Tardive di Marco Sara, da uve tocai friulano vendemmiate tardivamente, mi ha fatto capire che, forse, il tocai è meglio lasciarlo secco. Viene meglio e ha più personalità. Peccato che non ho fatto in tempo a degustare il suo Picolit che mi dicono essere fenomenale.

Vino col rapporto q/p da rivedere

I vini di Casa Caterina sono molti buoni, per carità, ma come ogni spumante della Franciacorta ha un prezzo che mi trattiene dal comprarlo. A quasi trenta euro viro le mie scelte verso altri lidi.

Vino peggiore della giornata

Mi spiace Maule ma il tuo Sassaia 2011 aveva un'acetica fuori controllo. Non è la prima volta che mi capita per cui....



Gambero Rosso Vs Vino Naturali. Sarà la resa dei conti?


LETTERA APERTA AL GAMBERO ROSSO, 1 febbraio 2013

Gentili signori,
vi scriviamo a nome delle diverse centinaia di aziende che producono vino naturale in Italia, sia affiliate ad Associazioni e Consorzi che indipendenti. Siamo rimasti molto perplessi leggendo l’editoriale di Eleonora Guerini (“Il tormentone naturale”) e le considerazioni di Bettane e Desseauve (“Te lo do io il vino… naturale”) sul numero di gennaio della vostra rivista.
Detto molto francamente, abbiamo la decisa sensazione che non siate molto al corrente di quanto sta succedendo, ormai da anni, nel mondo del vino. Accusare i produttori di vino “naturale”, tout court, di produrre solo bottiglie difettose, ossidate, puzzolenti è un controsenso. Perfino la vostra rivista giudica regolarmente, e spesso premia, vini prodotti da cantine che orbitano a pieno titolo nell’ambito del vino naturale.
La parte tecnica della polemica è davvero indifendibile: quali sarebbero i metodi “nuovi, ‘naturali’ e innovativi” utilizzati per stabilizzare i vini naturali? La lunga permanenza in botte sulle fecce (una pratica usata da secoli, dall’Etna alla Loira)? Nello scritto di Bettane e Desseauve si dice addirittura che con la vinificazione naturale “tutti i vitigni e i territori finiscono per somigliarsi perché i cattivi lieviti indigeni con i quali sono realizzati, così avidi di cannibalizzare quelli buoni se il vinificatore li lascia fare, sono gli stessi in tutto il pianeta”! La tesi implicita in questa singolare affermazione sarebbe che una “selezione” di lieviti, ovvero una piccola parte dell’intera popolazione dei lieviti stessi, generi una “varietà” di effetti maggiore. Perdonateci l’ironia, ma sarebbe come dire che bisogna eliminare tutti i tasti neri del pianoforte (quelli “alterati”) se si vogliono comporre opere più complesse…
E non parliamo neanche della vigna, dove – lo scrivete voi stessi – il fatto di limitare al massimo o di escludere del tutto diserbanti, pesticidi, fertilizzanti è un semplice atto di buonsenso.
Siamo i primi a sapere che non può esistere un vino completamente, esclusivamente “naturale”, che il vino è un prodotto culturale, frutto dell’interazione tra l’uomo e la natura. Probabilmente il termine “artigianale” si adatta meglio alle nostre idee: il vino deve essere il frutto delle scelte di chi lavora il vigneto e ne trasforma le uve. Ma crediamo che sia comunque sensato, addirittura fondamentale parlare della maggiore o minore “naturalità” di un vino, visto che la legge permette di aggiungere al mosto una quantità impressionante di sostanze, diverse decine. Se fosse possibile indicare in etichetta le sostanze aggiunte all’uva (o anche solo le sostanze che il produttore decide di non utilizzare), ognuno avrebbe gli strumenti per giudicare quanto un vino sia effettivamente naturale.
Invece, guarda caso, è proibito. E nessuno ne parla.
Eppure più sono le sostanze aggiunte, meno il vino è spontaneo e digeribile.
Questo è ciò che sta accadendo oggi: molti bevitori ed appassionati – forse, chissà, stanchi del “tormentone del vino più buono di tutti”, o del “tormentone dell’annata del secolo” – si allontanano dai vini più artefatti per avvicinarsi a prodotti più spontanei, che non danno mal di testa, sono più digeribili, si accompagnano meglio al cibo. Troviamo davvero surreale accusare ottimi chef francesi di “ingenuità” visto che scelgono di servire, con i loro piatti, prodotti non invadenti, non grassi, non dolciastri e legnosi, che dialogano con il cibo invece di sovrastarlo. I più seri tra i produttori naturali cercano espressamente nei loro vini la freschezza, la sapidità, la digeribilità. E’ ovvio che l’incontro tra questi vini e una sana cucina di sapori e di sostanza avvenga sempre più di frequente. E se qualcuno non è contento può semplicemente scegliere un altro ristorante, tutto qui. O eventualmente ordinare un’altra bottiglia. L’importante è rispettare le scelte del ristoratore, e non accusarlo a priori di ingenuità o di incompetenza.
Probabilmente è proprio questo l’aspetto che sfugge in modo più vistoso a tanta critica di oggi. Citare il Domaine de la Romanée-Conti, che produce le bottiglie più costose del pianeta, come esempio di vini naturali “buoni”: ecco, questa è un’ingenuità che fa quasi tenerezza. Evidentemente non si è proprio compreso che il movimento del vino naturale intende recuperare un rapporto quotidiano con il vino, affermarne il valore gastronomico e alimentare che negli ultimi decenni è stato negato nel nome dei premi e dei punteggi. Un atteggiamento che ha portato al crollo verticale dei consumi al quale stiamo assistendo ormai da molti anni.
E non crediamo sia un caso il fatto che la crisi, per il settore del vino naturale (settore minuscolo, sia chiaro), si avverta in modo molto meno evidente. Sarà questo il motivo per cui questo piccolo mondo artigiano sta subendo tanti attacchi, e per cui si cerca sempre più insistentemente, violentemente di screditarlo?
Noi siamo convinti che un atteggiamento critico sano ed aperto debba essere quello del confronto, della volontà di capire un fenomeno in espansione esaminandone pregi e difetti (non pensiamo affatto di non averne) e informando il pubblico in modo obiettivo, invece di gridare a ogni piè sospinto le parole “difettoso”, “volatile”, “ossidazione”. Appassionati e curiosi saranno poi liberi di scegliere: non vogliamo che vengano condotti per mano, ma semplicemente che gli si forniscano nel modo più chiaro e onesto gli strumenti adeguati per poi lasciarli liberi. Invece il tono dei pezzi sul numero di gennaio, lasciatecelo dire, è davvero aggressivo, come se il vino naturale e artigianale fosse una sorta di nemico da abbattere ad ogni costo, non un’alternativa da conoscere e soprattutto da rispettare.
Noi crediamo, al contrario, che ci sia spazio per tutti, piccoli e grandi, naturali, biologici, biodinamici e convenzionali, a patto che il produttore lavori in modo etico e responsabile. Non pensiamo di avere la verità in tasca, ma abbiamo le nostre idee e ci piace difenderle e sostenerle visto che sono il frutto del nostro lavoro quotidiano.
Nel periodo del prossimo Vinitaly si svolgeranno ben tre diverse manifestazioni di viticoltori naturali: ViniVeri a Cerea, VinNatur a Villa Favorita (Sarego), Vivit in un padiglione dello stesso Vinitaly. Invitiamo ogni giornalista aperto – e ogni bevitore, naturalmente – a venirci a trovare, ad assaggiare, a discutere e confrontarsi con noi.
Cordiali saluti,
ASSOCIAZIONE RENAISSANCE ITALIA
ASSOCIAZIONE VINNATUR
ASSOCIAZIONE VI.TE
CONSORZIO VINI VERI


Albani, Alberto Anguissola, Aldo di Giacomi, Alessandro Torti, Alla Costiera Altura, Ampeleia, Andrea Scovero, Andrea Tirelli, Antiche Cantine de Quarto, Arianna Occhipinti, Aurora, ‘A Vita, Bonavita, Borgatta, Bressan, Ca’ del Vent, Ca’ de Noci, Camerlengo, Camillo Donati, Campi di Fonterenza, Campinuovi, Cantina Giardino, Cantina Margò, Cantine Valpane, Cappellano, Carla Simonetti, Carlo Tanganelli, Carussin, Casa Belfi, Casa Caterina, Casa Coste Piane, Casale, Casa Raia, Casa Wallace, Cascina degli Ulivi, Cascina delle Rose, Cascina la Pertica, Cascina Roccalini, Cascina Roera, Cascina Tavijn, Cascina Zerbetta, Casebianche, Castello di Lispida, Castello di Stefanago, Cinque Campi, Clara Marcelli, Colombaia, Corte Sant’Alda, COS, Cosimo Maria Masini, CostadiLà, Crealto, Cristiano Guttarolo, Crocizia, Daniele Piccinin, Daniele Portinari, Dario Prinčič, Davide Spillare, Denavolo, Denis Montanar, Denny Bini-Podere Cipolla, Elisabetta Foradori, Elvira, Emidio Pepe, Eugenio Rosi, Ezio Cerruti, Fabbrica di San Martino, Farnea, Fattoria Castellina, Fattoria Cerreto Libri, Fattoria Mondo Antico, Fattorie Romeo del Castello, Ferdinando Principiano, Ferrandes, Filippi, Fiorano, Fontemorsi, Franco Masiero, Franco Terpin, Frank Cornelissen, Gatti, Gianni Massone, Gino Pedrotti, Giovanni Montisci, Giuseppe Rinaldi, Gonella, Gradizzolo, Guccione, Haderburg, Il Cancelliere, Il Cavallino, Il Maiolo, Il Paradiso di Manfredi, Il Tufiello, Irene Cameli, Iuli, La Biancara, L’Agricola del Farneto, La Castellada, La Distesa, Laiolo, La Marca di San Michele, La Moresca, La Pievuccia, La Stoppa, La Visciola, Le Barbaterre, Le Calle, Le Chiuse, Le Cinciole, Le Coste sul Lago, Loacker, Lo Zerbone, Lusenti, Macchion dei Lupi, Marabino, Marco de Bartoli, Marco Sambin, Marco Sara, Maria Letizia Allevi, Maria Pia Castelli, Mario Macciocca, Martilde, Massa Vecchia, Massimiliano Croci, Mlečnik, Monastero Trappiste di Vitorchiano, Monte dall’Ora, Monteforche, Montesecondo, Monte Versa, Musto Carmelitano, Natalino del Prete, Nino Barraco, Oasi degli Angeli, Odilio Antoniotti, Pacina Panevino, Paolo Bea, Paolo Francesconi, Pialli, Pian dell’Orino, Pian del Pino Piccolo, Bacco dei Quaroni, Pierini e Brugi, Pierluigi Zampaglione, Podere Concori, Podere della Bruciata, Podere Gualandi, Podere Il Santo, Podere La Cerreta, Podere Le Boncie, Podere Luciano, Podere Luisa, Podere Pradarolo, Podere Santa Felicita, Podere Veneri Vecchio, Poderi San Lazzaro, Poggio Trevvalle, Porta del Vento, Praesidium, Punta dell’Ufala, Quarticello, Radikon, Radoar, Remo Hohler, Roagna, Ronco Severo, Rugrà, San Fereolo, San Giovenale, San Polino, Santa Caterina, Santa Maria, Serafino Rivella, Skerlj, Stefano Amerighi, Stefano Legnani, Stella di Campalto, Taverna Pane e Vino, Tenuta di Valgiano, Tenuta Grillo, Tenuta l’Armonia, Tenuta Montiani, Tenuta Selvadolce, Tenute Dettori, Terre a Mano, Tenuta Migliavacca, Tenuta Terraviva, Tenuta Vitereta, Trinchero, Tunia, Valdibella, Valli Unite, Vercesi del Castellazzo, Vignale di Cecilia, Vigneto San Vito, Villa Bellini, Vino di Anna, Vittorio Bera e figli, Vodopivec, Walter Mattoni, Weingut Ebnerhof, Zidarich.

    Madò...esclamazioni vinose di questo week end!

    Ci sono vini che ti conquistano per la loro complessità, altri che ti affascinano per la loro bella semplicità. Un pò come le donne, ci sono quelle belle ed impossibili che ti fanno dannare e altre che sposeresti perchè hanno la seducente ingenuità della ragazza della porta accanto.
    Il Madò di Mario Pastorello mi ha ricordato molto il secondo esempio, è un vino sincero, diretto e senza fronzoli che, se non si è troppo enosnob, può diventare tranquillamente un sincero compagno di tavola.
    Il vino, un Monferrato DOC Rosso, è un blend di barbera, nebbiolo e cabernet sauvignon provenienti dai vigneti aziendali di circa 10 anni.

    Vigneti aziendali

    Le uve vengono vinificate separatamente ed il vino viene unito e prende la forma e il corpo del Madò solo a malolattica completata. Fa sempre e solo acciaio rimanendo sulle fecce fini fino al termine dell'affinamento che dura circa un anno.
    Aperto una domenica a pranzo davanti ad un piatto di cannelloni di carne fumanti, il Madò 2010 si caratterizza per profumi caldi di mora matura, ciliegia sotto spirito, lampone, pepe nero. profumi diretti, a tratti rustici, che ben inquadrano un vino del Monferrato che non chiede altro che di essere bevuto senza angoscia
    Al sorso, infatti, esprime le sue maggiori potenzialità in quanto è ricco, carnoso, l'acidità della barbera ben sorregge un alcol di 14,5° che mai crea problemi di beva. Anzi, il Madò va giù che è un piacere e, adeguatamente abbinato, è molto meglio di tanti altri vini più blasonati che, a volte, tendono a "ballare da soli".

    Con un costo inferiore a dieci euro è sicuramente un vino da tavola dall'ottimo rapporto q/p. 

    L'unico problema, essendo prodotto in poche bottiglie, è che è difficile trovarlo in giro. Se volete, andate sul sito dell'azienda Pastorello e mandate una mail a Mario.

    Alla prossima!




    Vino e Amore: piccoli aforismi in onore di San Valentino


    Cenai con un piccolo pezzo di focaccia,
    ma bevvi avidamente un’anfora di vino;
    ora l’amata cetra tocco con dolcezza
    e canto amore alla mia tenera fanciulla.

    Anacreonte (circa 570 a.C. – circa 485 a.C.)


    Il vino prepara i cuori
    e li rende più pronti
    alla passione.

    Ovidio (43 a.C. – 17 d.C)

    E dove non è vino non è amore;
    né alcun altro diletto hanno i mortali.

    Euripide (480 a.C.- 406 ca. a.C.)


    L’amore inespresso è come il vino tenuto
    nella bottiglia: non placa la sete

    George Herbert (1593-1633)

    Una donna e un bicchiere di vino soddisfano ogni bisogno,
    chi non beve e non bacia è peggio che morto.

    Johann Wolfgang von Goethe (1749 – 1832)

    L’amore tuo diffonde il suo vigore in tutto il mio essere, come un vino.

    Paul Verlaine (1844 – 1896)

    Il vino aggiunge un sorriso all’amicizia
    ed una scintilla all’amore.

    Edmondo de Amicis (1846 – 1908)

    Un po' d'amore è come un po' di buon vino. Troppo dell'uno o troppo dell'altro rendono un uomo malato.

    John SteinbeckPian della Tortilla, 1935  

    Amor mio,  il tuo fianco è la curva colma della coppa, il tuo petto è il grappolo, la luce dell’alcool la tua chioma, le uve i tuoi capezzoli, il tuo ombelico sigillo puro impresso sul tuo ventre di anfora, e il tuo amore una cascata di vino inestinguibile

    (Neruda)