Il Villa Gemma, Gianni Masciarelli e la terra d'Abruzzo

Un lungo filo conduttore lega il 5 ottobre 2008 con il 17 maggio 2010: l’amore verso Gianni Masciarelli, un uomo di Abruzzo, un vignaiolo di terra e di sole che nella sua vita ha dato tanto al mondo del vino e, forse, ha raccolto troppo poco.
Marina Cvetic, sua figlia Miriam e Rocco Cipollone poco tempo fa a Roma hanno tenuto una piccola ma significativa verticale di Villa Gemma, una delle massime espressioni del Montepulciano d’Abruzzo assieme ad Emidio Pepe ed Edoardo Valentini.
Marina parla di suo marito
con tanto amore e rispetto, ci parla di Villa Gemma, una vigna unica, generosa, dove Gianni amava portare i figli raccontando loro dell’uva, della potatura, della vendemmia, un amore incondizionato verso una territorio che Marina non ha paura ha definirlo simile ad un giardino zen, dalle proprietà magiche e spesso terapeutiche per il corpo e per l’anima. Oggi il vigneto ha circa 16 anni, presenta una densità media di 9000 ceppi per ettaro e una produzione di circa 56/58 q/ha. Il risultato? Un Montepulciano concentrato come amava Masciarelli, impetuoso e profondo come la terra da cui nasce.

Il 1994 è frutto della vecchia vigna ormai espiantata ed è figlio di una bella annata. Al naso intenso, viscerale, gioca su note di frutta rossa matura, cioccolato al latte, fiori rossi macerati, dattero, fico, possiamo perderci tra le spezie dolci che vengono avvolte da una fresca balsamicità. In bocca è vivace, la frizzante acidità e un tannino maturo sostengono la struttura del vino che rimane di grande equilibrio. Nobile la scia sapida finale che diventa protagonista del nostro palato. Nella verticale proposta rimarrà un vino unico nel suo genere.

Il 1998 sembra un vino totalmente diverso rispetto al precedente, complice forse un’annata non al top noto all’olfattiva i caratteri della terziarizzazione, c’è poco frutto, gli aromi di cuoio e caffè sono netti, poi tutto è terra, spezie nere, radici, china, rabarbaro e una balsamicità meno netta ma più avvolgente della 1994. In bocca tornano le note olfattive, ci si accorge subito però la struttura è più esile del millesimo precedente, il vino ha meno amplificazione, meno progressione anche se rimane ampio ed emozionante. Finale meno sapido del precedente. Bella espressione di un’annata normale.


Il 1999 ci porta all’interno di un’altra dimensione aromatica, il vino sembra più crudo, diretto, nette in questo caso sono le sensazioni erbacee, minerali, percepisco anche un sottofondo selvatico e solo alla fine, sommessamente, esce la frutta rossa e un fresco floreale. Il palato ci conferma che l’uva non ha preso tantissimo sole, la sovramaturazione cara a Gianni Masciarelli ha dovuto per una volta cedere il passo a caratteri enologici meno gridati ma comunque eleganti. Un bicchiere per veri intenditori di Villa Gemma.

L’annata 2000, grandiosa, ha dato vita forse ad uno dei sogni reconditi di Gianni Masciarelli: produrre il Villa Gemma perfetto, l’archetipo del suo Montepulciano, potente, concentrato ma, al tempo stesso, di straordinaria eleganza gustativa. Nel mio bicchiere ho un vino grasso, imponente già alla visiva, che esprime tutta la sua complessità e la profondità al naso dove ritroviamo tutto ciò che abbiamo scoperto nei precedenti millesimi. Non avrei spazio per inserire tutti i descrittori aromatici. In bocca mi rendo conto ancora di più che sono davanti ad un monolite, nel vino tutto è perfettamente fuso, il tannino, di grandissima maturità, sembra diventare un elemento di morbidezza, l’equilibrio è supremo così come la progressione finale del vino, lenta ed inesorabile. Se amate il Montepulciano è vino da avere a qualunque costo.


Il
2001 sarebbe il miglior vino della serata se non fosse stato offuscato dalla precedente versione. Ha un naso che parte da nette sensazioni floreali, di violetta appassita, per poi aprirsi in tutta la gamma aromatica vista per il 2000 senza però avere la sua esplosività. Una sorta di vino scia che rappresenta un altro tassello verso una perfezione che, col passare del tempo nel vigneto e con la maggiore esperienza in cantina, si sta raggiungendo anno dopo anno. Bocca che rispetto al Villa Gemma 2000 è leggermente più morbida e con un tannino più levigato. Per il resto stessa progressione e persistenza.

Aprire il Villa Gemma 2005 rappresenta il consueto infanticidio che i degustatori perpetrano normalmente durante le verticali. Naso caldo ed avvolgente, ancora da interpretare nella sua chiusura giovanile che, comunque, lascia percepire una dolcezza di frutta e fiori rossi abbinata ad una bella scia balsamica. Al sorso è potente, esuberante ancora un po’ nell’alcol e nelle durezze anche se in bocca, alla fine, tutto magicamente prende il suo posto, un tetris che porta ad un profilo aromatico retrolfattivo che ci lascia intuire il grande futuro di questo vino. Da aspettare ma non troppo.

La domanda del fine settimana è....

Ma in guida ci si entra per merito oppure per marketing?

Non è una domanda polemica, lo giuro, nel corso della mia vita enologica ho sempre pensato che, nel bene o nel male, all'interno di una guida sul vino, che sia edita da Slow Food o Gambero Rosso o L'Espresso, le aziende e i relativi vini recensiti siano inseriti perchè ritenuti meritevoli da entità terze al produttore. In altre parole: se tu azienda sei in guida è perchè non me lo hai chiesto espressamente ma perchè qualcuno si è preso la responsabilità di metterti. Banale vero? La risposta è: per molti ma non per tutti.
Già perchè girovagando nella rete mi sono imbattuto in un sito internet all'interno del quale campeggiava la seguente scritta: "
Come introdurre la propria azienda nell'annuario dei migliori vini italiani 2011". La curiosità aumenta insieme al mio stupore. Clicco sul banner e leggo quanto segue:

MODALITA’ PER L’INSERIMENTO NELL’ANNUARIO DEI MIGLIORI VINI ITALIANI 2011

L’inserimento nell’Annuario è garantito a tutte le Aziende che invieranno i vini in degustazione, senza discriminazione di punteggio.

All’Azienda diamo l’opportunità di scegliere il tipo di visibilità che vorrà riservare alla promozione dei propri prodotti sull’Annuario, attraverso due opzioni:

OPZIONE 1
- PAGINA PERSONALIZZATA con riproduzione a colori del marchio e dell’etichetta del Miglior Vino.
• pagina aziendale dedicata contenente (vedi facsimile opzione 1) :
Logo-marchio, Storia
Indirizzi, Recapiti, Info su visita e vendita
Valutazione e pubblicazione di tutti i vini campionati
Evidenziazione del miglior vino
Etichetta miglior vino
Sensazioni di Luca Maroni sul miglior vino
Informazioni sul miglior vino
Impressioni del produttore sul miglior vino
Indici qualitativi medi
Commento conclusivo di Luca Maroni sul complesso della produzione

• 1 copia dell’Annuario dei Migliori Vini Italiani 2011
• 1 abbonamento annuale a The Taster of Wine, 4 numeri
• Inserimento dell’azienda e degli assaggi sul portale www.lucamaroni.com
• Inserimento dell’azienda e degli assaggi sulla versione in lingua inglese dell’Annuario
• Diritto all’offerta di partecipazione a tutti gli eventi nazionali ed internazionali organizzati da Lm (Sensofwine - Roma, Washington, New York e Monaco di Baviera).


Il costo per la prima opzione - PAGINA PERSONALIZZATA è di Euro 190,00 + IVA.

OPZIONE 2 - INSERIMENTO NELL’ELENCO REGIONALE (senza pagina personalizzata)
In questo caso l’azienda verrà inserita in un elenco regionale.
Verranno pubblicati il recapito e gli indirizzi, il nome e il punteggio di ogni vino degustato (vedi facsimile opzione 2).

L’opzione 2 prevede anche:
• Inserimento dell’azienda e degli assaggi sul portale www.lucamaroni.com
• Diritto all’offerta di partecipazione a tutti gli eventi nazionali ed internazionali organizzati da Lm
(Sensofwine - Roma, Washington, New York e Monaco di Baviera).
La seconda opzione è gratuita.
Tutto chiaro? Per entrare in guida basta mandare i campioni del vino. Poi se produci una ciofeca non fa nulla, sei comunque nell'annuario dei Migliori Vini Italiani 2011!! A voi giudicare l'autorevolezza della guida. Ah, l'annuario è quello curato dal seguente signore:

Lo spumante metodo classico di Sergio Mottura

Il tempo è di quelli infami, non ho ancora fatto il cambio di stagione e la mia macchina pompa calore a più non posso. E’ Maggio, siamo al 15 Maggio e in Italia non smette di piovere e far freddo, le campagne attorno a Civitella d’Agliano e la Valle del Tevere sono ancora strette ad un letargo invernale che non sembra finire mai.
Nonostante questo, nonostante la stagione viticola sia già in parte compromessa, Giuseppe Mottura ci accoglie con un sorriso grande come la Tana dell’Istrice, un’antica residenza del ‘500 che ora ospita il suo agriturismo e la sua bellissima cantina.
E’ la più bella che sin d’ora ho visto nel Lazio, sicuramente una delle più suggestive in Italia, un dedalo di cunicolo scavati nel tufo vivo dove tutto è storia, tradizione, lavoro, fatica e….vino.
Negli angoli semi bui della cantina si scorgono le barrique, nuove e usate, che Mottura utilizza per l’affinamento dei suoi vini, tra le tante scorgo anche quelle “mitiche” acquistate da Luis Latour, negociant della Borgogna a cui deve il nome uno dei vini di punta dell’azienda: il Latour a Civitella.
Sergio Mottura non è solo grechetto ma, ve lo anticipo, anche grande spumante metodo classico i cui segreti sono gelosamente contenuti nei meandri oscuri della sua cantina, tra pupitre piene zeppe di bottiglie in attesa della loro dose quotidiana di remuage manuale e bottiglie impolverate dal tempo che aspettano il momento giusto per essere golosamente bevute.
Lo ammetto, in quel momento, tra quei vicoli nel tufo, non ero a Civitella d’Agliano, a pochi passi da casa mia, ma ero proiettato virtualmente Francia., tra la muffa dei muri respiravo a pieni polmoni tocchi di Bordeaux, Borgogna e Champagne.
Saliamo i gradini con un po’ di nostalgia e ci introduciamo nella bella sala di degustazione dove ci aspettano i trepidanti bicchieri. Hanno sete anche loro.
In controtendenza con la maggior parte degli articoli apparsi su internet e carta stampata, sul mio blog, per questa volta, non parlerò del loro splendido grechetto, tanto lo sappiamo tutti quanto è buono il Poggio alla Costa o il Latour a Civitella.
Le seguenti righe le vorrei dedicare ad un altro pezzo di storia dei Mottura, quello spumante metodo classico che ho visto produrre con i miei occhi, la cui idea in azienda ha preso forma nei primi anni ’80 contro la volontà di tutto e tutti, anni difficili, anni in cui era più facile fare il “frascatello” color carta da dare in pasto agli osti di tutta Roma.
Lo spumante Mottura è 100% chardonnay proveniente dal vigneto “S.Martino”, un impianto datato 1979 la cui coltivazione, come tutte le altre del resto, segue le regole biologiche: solo concimi organici e prevenzione delle malattie crittogamiche con rame e zolfo. Nessun insetticida. Cinque anni sui lieviti e, dopo la sboccatura, due mesi di bottiglia danno vita ad un prodotto davvero unico nel Lazio, un metodo classico che nulla deve invidiare alle bollicine trentine e della Franciacorta.

Il millesimo 2005, l’ultimo nato, ha un perlage finissimo, persistente, l’olfatto ricorda la scorza di agrume, la mela cotogna, la pesca, il pane della Tuscia Viterbese. Stessa rispondenza al sorso, ampio, profondo e per nulla banale.
Giuseppe sparisce un attimo e torna con un’altra bottiglia di spumante, non mi fa vedere l’annata, è una sorpresa e, comunque, potrei scoprirla da solo (dice lui). Il tappo all’apertura tradisce i suoi anni, non pare più un fungo ma un proiettile conficcato nel collo della bottiglia. Il perlage è ancora fine, di buona persistenza.
Metto il naso, sono consapevole che sto odorando un pezzo di storia, riconosco facilmente l’agrume candito, la cotognata, il sapido minerale, poi escono le arachidi, tocchi di camomilla. Non ha grandissima complessità olfattiva, non lo paragonerei ad uno champagne di pari annata ma è ugualmente emozionante.
In bocca non tradisce, direi che migliora decisamente con una spina acida davvero importante che tiene su tutta la struttura del vino che al palato sa tanto di sassi e frutta gialla matura. Bella progressione finale.
E’ un 1992. Una delle poche perle laziali nascoste. Chapeau!

Arriva l'etichetta del vino per i non vedenti

Proprio ora è uscito questo articolo dell'Espresso Food& Wine a cura di Eleonora Cozzella. Lo vorrei condividere con voi perchè mi sembra un primo passo importante.

Un'etichetta scritta in braille per gli amanti di Bacco che non possono leggere. Ora, grazie all'iniziativa dell'azienda Italo Cescon Storia e Vini di Roncadelle di Ormelle, in provincia di Treviso, anche i non vedenti avranno accesso alle indicazioni sulle caratteristiche del vino che stanno assaggiando. Nel Veneto è il primo esempio di produttori che danno ai non vedenti la possibilità di "leggere una bottiglia di vino".

L'idea è stata messa in pratica in collaborazione con l'Unione italiana Ciechi (il cui commissario straordinario UIC Treviso, Mario Girardi, ha seguito passo passo il progetto durante lo studio e la Realizzazione) e le cantine di Italo Cescon saranno aperte il 22 maggio per una degustazione dimostrativa.

"Adesso anche i ciechi potranno leggere le informazioni di una bottiglia di vino" ha detto Cescon. Un progetto molto importante e sentito, tanto che, come spiega il produttore, hanno scelto di iniziare questo percorso dalla linea di vini più prestigiosa dell'azienda vitivinicola: "I Cru". Proprio per enfatizzare l'importanza del progetto. La visita guidata dell'azienda inizierà con una passeggiata in mezzo al vigneto per poi continuare con un giro della cantina per spiegare tutto il processo di vinificazione e affinamento. Poi la visita alla barricaia e la zona di imbottigliamento e stoccaggio. Per concludersi, naturalmente, con una degustazione guidata dall'enologo di Svejo (Veneto igt Manzoni Bianco), Mejo (Veneto igt Sauvignon), Chieto (Veneto igt Merlot - Cabernet Sauvignon) e Rabià (Piave doc Raboso Riserva), che presenterà, per l'occasione, in anteprima, il nuovo packaging.

Le colline del Prosecco e la tutela Unesco

Leggendo questo articolo sul Corriere della Sera di ieri mi è venuto in mente una cosa: se le colline del Prosecco mirano a diventare patrimonio Unesco, con tutto il rispetto, perchè allora non estendere la proposta alle colline di Montalcino oppure alla Valpolicella? Potrei andare avanti con un milioni di bellissimi posti in Italia che nessuno si caga a livello politico. Si vede, in questo caso, che Giancarlo Galan aspira a prendere il posto di Zaia. Che ne pensate? Intanto date una letta qua sotto!

Le colline del Prosecco si presentano con l’abito delle feste per la candidatura a patrimonio dell’umanità dell’Unesco: oltre seimila ettari di vigneti iscritti all’albo di denominazione Docg, che hanno prodotto nel 2009 più di 60 milioni di bottiglie, per un valore di 380 milioni di euro. A proporre la candidatura è stato ieri il ministro dell’agricoltura Giancarlo Galan, presidente della Regione Veneto per 15 anni, che ben conosce le colline della Marca, e del Coneglianese in particolare. «È uno dei paesaggi rurali più significativi d’Europa - ha dichiarato il ministro -. Si tratta di un’ulteriore occasione per far conoscere al mondo la bellezza di un territorio che già conta cinque siti patrimonio dell’umanità». È passato meno di un anno dall’ingresso delle Dolomiti, perla del Veneto, fra i siti dell’Unesco. E ieri le colline del prosecco di Conegliano e Valdobbiadene hanno brindato alla futura nomination.

La notizia della candidatura infatti, girata all’Unesco dal ministro Galan, è giunta nel bel mezzo del festival del Prosecco superiore di Valdobbiadene e Conegl
iano «Vino in Villa», ospitato nel castello di San salvatore a Susegana: non poteva esserci momento più adatto. E non ha sorpreso per niente gli addetti ai lavori: «Da tre anni abbiamo avviato un percorso rivolto a questo obiettivo - ha commentato il direttore del consorzio di tutela del prosecco Giancarlo Vettorello -. Ci imbarchiamo in un percorso lungo e impegnativo che dovrebbe portare questo territorio, terra di vino vitale e spumeggiante, in un’area vitivinicola protetta dall’Unesco, al pari di altri grandi territori del vino come la valle del Porto in Francia». Le pregiate bollicine Docg continuano ad essere uno dei prodotti trevigiani più ricercati sul mercato, sia nazionale che internazionale. Neanche la crisi ha messo in dubbio il loro valore, e la produzione nel 2009 ha registrato addirittura un segno più, con ben 8 punti percentuali di aumento rispetto all’anno precedente, un terzo della quale volato al di là dei confini.

Nel corso della mattinata in Villa, il presidente del consorzio Franco Adami aveva peraltro rimarcato come la Docg assegnata poco più di un anno fa avesse cementato l’identità del Prosecco con il territorio, portando valore aggiunto ad entrambi, aumentando la considerazione del prosecco delle colline trevigiane sui 40 mercati esteri di esportazione. «Il 2010 - ha detto Adami - si apre all’insegna della ripresa e con le scorte in diminuzione». Aggiunge Etile Carpenè, presidente della storica azienda: «Questa proposta di riconoscimento è per noi una grande festa».


Fonte: Corriere della Sera

Qualche sorso di Spumante TRENTODOC, il metodo classico che sa di montagna


Pisoni Trento Doc Riserva 2005: da una famiglia di grandi distillatori non ci si aspetta un prodotto di questa qualità. Ottenuto dalle uve Chardonnay e Pinot nero, lo spumante ha un naso molto pulito, giovanile, si apre su note fresche di mela e agrumi per terminare la sua parabola olfattiva su cenni di tostato e frutta secca. Bocca di grande tensione, il pinot nero offre struttura mentre lo chardonnay dona la giusta morbidezza gustativa. Ottima la persistenza finale.

Cantina d’Isera Trento Doc Riserva 200
5: piccola grande realtà cooperativa trentina che ha compiuto nel 2007 i suoi “primi” cento anni. 100% chardonnay maturato sui lieviti per oltre 38 mesi, questo spumante ha un naso maturo, di mela cotogna, frutta tropicale appassita, lievito di birra. In bocca è pulito, nitido, con buona corrispondenza al naso anche se la persistenza finale non fa impazzire.

Vetrari Trento Doc Riserva 2005
: Frutto del terroir della Vallagarina, questo spumante è ottenuto Pinot Nero (in prevalenza) e Chardonnay con una permanenza sui lieviti di almeno 36 mesi. Al naso è di bella complessità, odora di biscotto, lievito, frutta gialla, crema pasticcera, nocciola, erbe alpine. Al palato è pieno, rotondo, tornano le note cremose e la vena fruttata. Ottima persistenza.

Zeni Roberto Trento Doc Riserva Maso Nero 2004: Roberto Zeni produce questo spumante con la passione di un artigiano, nella sua azienda i numeri si fanno col teroldego e il metodo classico per il vignaiolo rappresenta solo uno sfizio, un prodotto che anzittutto deve piacere a lui, il miglior cliente di se stesso. Fresco, elegante, armonico, questo spumante ha un naso dolce, di croissant, crema alla vaniglia, frutta dolce, spezie orientali. In bocca non si siede, c’è tanta freschezza e progressione. Ottima persistenza. Sboccato nel 2009.

Maso Martis Trento Doc Riserva 2004
: chardonnay e pinot nero opportunamente spumantizzati danno vita ad un prodotto di grande personalità ed intensità che offre sentori di fiori gialli, vaniglia e agrumi canditi. Al palato colpisce la grande vena acida del vino derivante da un terreno prettamente calcareo. Di grande futuro.

Abate Nero Trento Doc Riserva 2004
: Chardonnay, pinot nero e pinot bianco sono gli ingredienti principali di questo spumante che, anno dopo anno, mi piace sempre di più. Perlage sottile e persistnte, al naso è ricco, pulito, intenso, con le sue note di mela, confettura di albicocche, miele millefiori, pane sfornato. Bocca di grande freschezza e fragranza, ha un finale morbido, equilibrato e di fine persistenza.

Metius Trento Doc Riserva 2004
: Perlage fine e persistente per questo spumante dalla componente aromatica matura e di grande classe. Si percepiscono le note di mela golden, frutta tropicale, caffè, erbe aromatiche alpine. Al sorso ha nerbo e struttura, tornano le note tostate, quasi cremose, che preludono ad una persistenza molto lunga e di grande finezza. Il Metius è 60% chardonnay e 40% pinot nero.

Balter Trento Doc Riserva 2003
: un finissimo perlage dorato e di grande vivacità prelude ad un quadro aromatico di grande complessità: aromi di agrumi canditi, cioccolato bianco, vaniglia, miele, fiori alpini. In bocca è cremoso, di grande polpa, nonostante sia un 2003 non si sente alcuna nota sovramatura. Chiusura elegante dai toni di mela golden e di soffusa mineralità. Da bere e ribere.


Lazio Vs Sauternes et Barsac: in fatto di vini puntiamo alla sconfitta con onore?

E’ un po’ come se il Brasile giocasse con San Marino, organizzare una degustazione dove si mettono a confronto i vini di Sauternes e Barsac con quelli del Lazio è un po’ come farsi male da soli (tranne rare eccezioni).
Insieme a Marco Sabellico, allenatore della nazionale del Lazio per un giorno, e a Bérénice Lurton, C.T. del Syndacat des Vins de Sauternes et Barsac e titolare del celebre Chateau Climens, abbiamo assistito ad una partita con ben otto vini, sia secchi che dolci.
Lazio schierato con un roccioso 5-4-1 mentre la Francia punta dritto con un 4-3-3 di scuola zemaniana. Fischio di inizio.

Tra i vini secchi entra in scena il Moss 2009 de “La Rasenna”, azienda di S.Severa (vicino Cerveteri) che schiera un vino da Moscato d’Alessandria e Sauvignon che paragonerei a Renato Portaluppi, ex giocatore della Roma. Molto fumo e niente arrosto. Profumi abbastanza scontati e grassi di frutta tropicale, albicocca, pesca sciroppata. Bocca calda, intensa, abbastanza fresca che, a me personalmente, non invita ad una beva compulsiva. Un vino che mi stanca dopo due bicchieri.
Il Moscato di Terracina Oppidum secco della Cantina Sant’Andrea rappresenta un grande classico dell’enologia laziale, un vino che mette d’accordo tutti ma che stenta a decollare verso vette eccelse, una sorta di promettente under 21 che cerca da tempo di entrare in nazionale nonostante sia tecnicamente valido. Profumi sempre affascinanti, sento il petalo di rosa, le spezie orientali, la frutta calda. Stesso discorso al sorso, è un moscato che rimane incollato al palato con il suo equilibrio e la sua grande progressione gustativa. Una sorta di Alberto Aquilani enologico.
La Francia contrattacca con il “G” de Guiraud 2008, vino secco da Sauvignon e Semillon dello storico Chateau francese che in bocca mette le ali grazie alla spinta progressiva del Sauvignon (circa il 70%) che dona ricchezza, struttura e grande persistenza aromatica. E’ un vino elegante, maturo, che dribbla alla Ribery i due vini laziali e se ne va tranquillamente in porta da solo. Mi dicono ottimo come aperitivo. Alla faccia dello Spritz!

Per i vini dolci entra Casale Mattia col suo Frascati Cannellino. Sia al naso che in bocca mi ricorda il formaggio marcio. Devo dire altro? Sì, il classico giocatore che viene tenuto in Serie A ma che, invece, sarebbe opportuno giocasse nelle serie minori. Mi ricorda tanto Bonacina della Roma.
Primi vino dolce francese, entra in campo il Cyprès de Climens 2007, fisico atletico che ricorda più Juan che Materazzi. Sia al naso che in bocca è comunque un piccolo fuoriclasse, sa di primavera, è caldo come il sole nei campi e fresco come rugiada del mattino. Bérénice dice che è il loro vino base, io mi offro come suo procuratore.
Arriva l’oriundo viterbese, quel Sergio Mottura detto il Muffo 2007 che tanto ha fatto bene negli anni precedenti e che tanti premi ha vinto. E’ la stella di diamante della squadra laziale, una sorta di incrocio tra Totti e Pirlo, elegante come le loro giocate con le sue note di miele, legno nuovo, scorza di arancia, frutta secca e iodio. In bocca è rapido, ampio, esplosivo come una punizione del Riise ed irriverente come la parabola del pallone che si infila all’incrocio. L’unico che sappia davvero giocarsela con i cuginetti d’oltralpe.
Chateau Guiraud 2007 rappresenta un piccolo grande Michel Platini, ha classe da vendere, stile, portamento, è il Sauternes come te lo immagini con le sue nuance di iodio, smalto, spezie dolci tra cui spicca lo zafferano, legno di cedro. Bocca densa, esplosiva di frutto, ha un finale lunghissimo come l’applauso della Curva Sud.
Chateau Climens 2004 è il capocannoniere della squadro, quello che fa saltare gli schemi e che fa impazzire tutta la difesa. Mi ricorda il Thierry Henry dei bei tempi, quello che parte in progressione e lo fermi solo con la Colt caricata pesante. E’ un vino morbido ed intenso, di grande impatto aromatico, carezzevole con le note di mela cotogna e agrumi canditi e distruttivo con le note smaltate tipiche di un grande vino attaccato da botrytis cinerea. Alla gustativa non ce ne è per nessuno, almeno questa volta, per intensità, complessità, equilibrio e persistenza. Numero nove sulla spalle.

Partita terminata tanto a poco ma mi godo il gol della bandiera!

Il Direttore Commerciale che tutti vorremmo!!!

Roma Wine Festival 2010. Sala di degustazione colma di persone. Presenza importante di giornalisti del Gambero Rosso. Uno di questi chiede al rappresentante di un'azienda che aveva il vino in degustazione di descrivere il prodotto che abbiamo nel bicchiere.

Il tizio si alza, si mette a posto la giacca, prende in mano il bicchiere e scandendo bene la voce dice:"Questo vino è stato costruito per andare incontro al consumatore, lo abbiamo concepito come vino ruffiano, deve essere piacione.......".


Troppo onesto oppure troppo sicuro di sè? Sicuramente il produttore, suo datore di lavoro, sarà contento di lui...

Flora e Fauna del Roma Wine Festival 2010

Passando tra i banchi del Roma Wine Festival puoi scoprire davvero un mondo, un universo fatto di persone eterogenee che prendono questo genere di manifestazioni in maniera molto seria perché proprio qui possono soddisfare il proprio ego. Di cosa sto parlando? Ma di loro!!!

Quello che…..la sa lunga: è il classico capogruppo, il presunto esperto di vino che porta in gita l’allegra truppa inebetita di amici che a mala pena sanno la differenza tra un Barolo ed un Prosecco. Frasi del tipo:”Senti che ti faccio assaggiare” oppure “Vieni qua che ti faccio bere una chicca indimenticabile” sono il suo cavallo di battaglia, il suo ultimo escamotage per far colpo sulla bellona del gruppo che pende dalla sue labbra. Il problema si porrà, magari, quando un giorno qualcuno dirà loro che gli ha fatto bere vini indecenti….


Quello che…c’ho la guida che mi guida
: è il classico appassionato che, in qualunque manifestazione vada, ha la sua guida protettrice, una sorta di angelo custode che consiglia lui cosa bere o non bere. Sei un produttore premiato con tre bicchieri o cinque grappoli? Allora verrai tartassato dalle mille domande che potranno spaziare su tutto lo scibile dell’enologia mettendo a dura prova la controparte che deve anche resistere a circa otto ore di fiera senza avere una sedia a disposizione. Sei un produttore non premiato da nessuna guida, nemmeno quelle contenute su Cioè o Gente Motori? Allora fai schifo, nemmeno ti guardo visto che il tuo è vinaccio da quattro soldi. Ad avercene di gente così, magari qualche grande vino a piccolo prezzo ancora lo trovo.


La ghepardona enogastronomica
: è un classico, possiamo andare alla sagra della cipolla di Tropea oppure all’inaugurazione del più burino dei ristoranti, e lei c’è. Parlo di loro, delle donne imbellettate, un misto tra Liz Taylor ed Eva Grimaldi che, cariche di profumi e innalzate da metri di tacchi, si aggirano per i banchi senza una meta precisa. Si vogliono far vedere, il Roma Wine Festival per loro è come un ricevimento al Quirinale, in abiti da sera e succinti cercano l’uomo della loro vita oppure cercano il prossimo amante da spennare. Non gliene frega nulla del vino, loro sono là per dare una svolta alla loro vita….


Er magnone compulsivo: trattasi di esemplare onnivoro a digiuno da tempo immemore che attende questo genere di eventi enogastronomici per rifarsi dall’astinenza con gli interessi da usuraio. Solitamente sono persone distinte, ben vestite, che si attaccano come sanguisughe ai banconi dove vengono serviti salami, prosciutti e ogni tipo di formaggio. Non ti fanno passare, si riempiono il piatto fino a formare una sorta di Torre Eiffel alla norcina, fanno la fila n volte finchè il tavolo non è sgombro da ogni mollica di pane o resto di pecorino. Non gli piace bere, lo fanno solo per ingurgitare il cibo e per non strozzarsi, venti euro di ingresso le pagano solo se ottengono alimenti per un valore più che proporzionale. Da evitare durante la fase di masticazione per possibili lapilli non meglio identificati..


Il sommelier disintegrato
: sono stanchi, sudati, versano vino come se fossero all’interno di una catena di montaggio. E’ il sommelier da evento enogastronomico, una vittima del sistema che è tenuto d’occhio per ore dal vigilante produttore che ha insegnato loro la storiella da raccontare e che non aspetta altro che una loro dimenticanza per redarguirli davanti alla platea. Traditi da un infame destino qualora debbano servire vini di serie B, il loro bancone in tal caso avrà come avventori solo quelli che…la sanno lunga. Se, invece, servono grandi vini il loro successo durerà una sera, forse due, un po’ come i protagonisti del Grande Fratello si sveglieranno il giorno dopo da un sogno che non è divenuto realtà.



Freschello, la nuova frontiera della pubblicità del vino

L'agenzia di pubblicità Cayenne ha creato per il Freschello una campagna pubblicitaria per far capire al potenziale target che questo vino sta bene con tutto.
Mi chiedo: sono dei geni oppure la campagna pubblicitaria è una delle peggiori in assoluto? Io propendo per la seconda risposta anche se il mio dubbio più rilevante riguarda il nome del vino: come si fa a chiamarlo Freschello!!!!

I "Patriarchi" di Feudi di San Gregorio

Ripenso a circa venti anni fa quando entro in sala, assistere ad una degustazione di Feudi di San Gregorio significa riportarmi a quando ero minorenne e per fare il figo con gli amici ordinavo al ristorante il Greco di Tufo di Feudi, un vino bianco che ha fatto la storia del vino italiano a prescindere dalla sua bontà che, a quel tempo, mi sembrava immensa.

Strana la vita, oggi davanti a me ci sono invece solo vini rossi, sei per l’esattezza, che l’azienda chiama “I Patriarchi” perché provenienti da vigne ultracentenarie sia di Sirica che di Aglianico.
Il Sirica 2007, in anteprima assoluta, nasce dall’omonimo vitigno le cui prime testimonianze si fanno risalire a Plinio che cita il vitigno “Siriana” o “Syricus” tra le uve coltivate nella Campania romana e ne attribuisce il nome da syricum, un colorante rosso allora molto diffuso.
Descritta come un’aminea nera, uva tra le più pregiate dell’epoca, per Catone la Sirica era stata introdotta sei secoli prima della fondazione di Roma da una regione abitata dai Seri.
Più recentemente è stata formulata l’ipotesi che il suo nome derivi dall’antica città ionica di Siri, vicina a Metaponto, divenuta Eraclea dopo la seconda guerra punica.
La storia contemporanea vede gli agronomi di Feudi di San Gregorio ritrovare tre viti prefillosseriche di Sirica che, con l’aiuto dell’Università di Napoli e Milano, sono state studiate e propagate fino a raggiungere l’estensione di circa 10 ettari.
Il vino che ho nel bicchiere si presenta di grande concentrazione cromatica, quasi impenetrabile, che si apre su toni aromatici di sciroppo di mirtillo, mora di rovo, amarena, spezie dolce ed un leggero balsamico finale. Naso apparentemente semplice che si scontra, invece, con una bocca più complessa che si caratterizza per un ingresso morbido, fruttato, a cui si contrappone da subito una sferzante acidità ed un tannino vellutato di grande eleganza. Buona la progressione finale del vino.. Il Sirica è affinato in barrique di secondo passaggio anche se si sta sperimentando l’evoluzione in acciaio.

Gli altri due patriarchi hanno il nome di
Taurasi, presentato nel millesimo 2007 (ancora in affinamento in bottiglia) e 2008 (ancora in affinamento in botte).
Il primo presenta un quadro olfattivo dai richiami minerali intervallati da piacevoli sensazione speziate, ci sento la cannella, la noce moscata, l’anice stellato e un tocco di erbe aromatiche. La componente fruttata, di amarena e marasca, si avverte solo dopo un po’e non è preminente. In bocca il vino entra con moderata potenza, la sua struttura gli dona carnalità, masticabilità, una mordidezza di fondo che solo nel lungo finale, giocato su rimandi di humus e minerale, vira verso un’austerità ed una essenzialità più tipica e patriarcale.
Il 2008 è un campione da botte per cui va valutato così come e cioè con un naso ancora troppo dolce per il legno non assorbito e dove, scavando scavando, si possono notare sentori floreali e fruttati. Non c’è (ancora) la spezia del 2007. In bocca è inaspettatamente equilibrato, appetitoso, di grande polpa e persistenza. Da aspettare sicuramente anche se, in prospettiva, lo metto sotto alla precedente annata.

Passiamo ora all’
Aglianico del Vulture, proposto anch’esso sia nel millesimo 2007 (in commercio) che 2008 (da botte).
Nel Vulture, Feudi di San Gregorio è approdata ormai da circa dieci anni per attuare uno specifico progetto: approfondire la conoscenza dell'Aglianico - che sembrerebbe aver visto la luce proprio in questa splendida terra - e diffonderla nel mondo. I vigneti ubicati nel comune di Barile - cuore della recentissima DOCG Aglianico del Vulture - sorgono su una pendice lavica, baciati dal sole dall'alba al tramonto. Un vecchio impianto a "piede franco", tra ulivi secolari, conserva ancora la tradizionale forma di allevamento, ormai scomparsa, del capanno.
Il
2007 è puro terroir vulcanico, grafite, pietra lavica inizialmente picchiano forte, poi la gentilezza della viola, dell’eucalipto e della visciola esce fuori e dona al vino un carattere meno prepotente. Al sorso cattura il palato con un’esplosione di sapori che ben richiama il naso, soprattutto il finale è da ricordare per la sua sapida persistenza finale.
Nel
2008, campione di botte, le sensazioni minerali passano in secondo piano, dominanti in questo bicchiere sono i caratteri floreali e balsamici del vino che rimangono comunque in formazione.
In bocca si palesa tutta la gioventù dell’Aglianico che, nonostante i nostri sforzi di vederlo in futuro, rimane abbastanza interlocutorio. Si farà. Spero.

La Rolls Royce dei miei sogni è targata Krug!


Se abitate in Francia dalle parti della regione delle Ardenne-Champagne, e ordinate alla famosa casa vinicola "Champagne Krug" qualche bottiglia dei loro vini o champagne più pregiati, potreste vedervela consegnare direttamente alla porta di casa da un compunto autista alla guida di una Rolls Royce opportunamente adattata.


E' l'ultima trovata della Krug, originariamente tedesca ma attualmente di proprietà del brand di lusso globale Louis Vuitton Moët Hennessy (LVMH).
Questa Rolls Royce, originariamente una Rolls-Royce Silver Shadow II Sedan, è stata modificata eliminando le porte posteriori e lasciando solo le due anteriori e uno sportellone posteriore, all'interno sono stati realizzati su misura due enormi frigoriferi che mantengono la preziosa bevanda alla giusta temperatura, e l'opera realizzata rappresenta uno splendido, lussuoso e costosissimo modo di trasportare vini pregiati.

La vettura originariamente era stata acquistata dalla casa Krug come pezzo da museo destinato a troneggiare in qualche salone, ma la più dinamica direzione rappresentata dalla Hennessy ha pensato di farne un utilizzo migliore. Come promemoria per la destinazione d'uso, il portachiavi della vettura è rappresentato da un tappo di sughero, firmato ovviamente!

Fonte: http://www.webluxe.it

Strafalcione Ansa sul Roma Wine Festival 2010


Come detto più volte, se si scrive di vino, si dovrebbe almeno avere un minimo di conoscenza base su questo mondo. Io, ad esempio, non scriverei mai di arte antica visto che non ci capisco un tubo. Non tutto, però, la pensano così perchè da una notizia Ansa sul Roma Wine Festival 2010 apprendo che.....

(ANSA) - ROMA - E' un ritorno ''convinto'' quello del mondo del vino a Roma, dove alla terza edizione del Roma Wine Festival (Rwf), in programma sabato e domenica alla Citta' del Gusto, si presenta con 190 aziende, il 50% in piu' rispetto allo scorso anno. Negli spazi del Gambero Rosso enoappassionati e operatori - 5 mila presenze nel 2009 - potranno degustare, nella due giorni a tema Bacco, oltre 700 etichette per un totale di 13 mila bottiglie. Il 25% di esse sono il top del Vigneto Lazio, ma le adesioni delineano la geografia d'eccellenza del Made in Italy di 12 Regioni, e dei blasonati vini del Rodano: gli Chateau Guirad e gli Chateau Climens presentati dal Syndacat Cru Classe' Sauternes et Barsac.

Nemmeno le basi di geografia.......

I vini delle annate sfigate: Brunello di Montalcino Caprili 2003

Eccone un altro, un altro di quei vini che nessuno degli enosnob comprerebbe perché figlio di un’altra annata considerata “sfigata”: la 2003.
Vini cotti
, vini “colazione” da spalmare sul pane come marmellate, troppo caldo in tutta Italia per cui le uve si sono maturate troppo e subito non raggiungendo una buona maturazione tecnologica. Ah sì? Balle! Di nuovo.

Prendete questo
Brunello di Montalcino 2003 prodotto da Caprili, vicino di campo di Soldera, stagnolatelo e stappatelo di fronte ai vostri amici sommelier con la puzza sotto il naso. Shhhhhhh, non fatevi scoprire, non cascate nei tranelli che vi tenderanno con astuzia, fategli fare la degustazione tecnica del vino e poi, tà tàààààààààààààà, lasciateli di stucco.
Anche io, degustando questo splendido Sangiovese, sono rimasto tale, ve lo confesso, perché di fronte ad un’integrità e ad una freschezza di beva così si stenta a credere che sia un vino di un’annata considerata calda.
Il naso è tutt’altro che maturo, concentrato, parte inizialmente sussurrato con note fruttate di ciliegia croccante, poi escono le note più dure e maschie del vino, un leggero boisè, ruggine, tabacco, cardamomo, pepe nero e pietra bagnata. Altro che martellatone americano.
E’ al sorso che il vino, come avevo anticipato, sorprende tutti, è fresco, vivo, con una soffice trama tannica ed una vena acida che ben equilibrano la componente morbida che, forse, ha nell’alcol un po’ troppo esuberante, l’unica nota leggermente stonata.

Ora togliete la stagnola e, come faceva il mago Silvan, sorprendente tutti con un vinoso “Sim Sala Bim”.

P.S.: il Brunello Biondi Santi 2003 mi dicono sia un esempio ancora migliore.

Anche al Concorso Mondiale del vino e degli alcolici di Bruxelles....un premio non si nega a nessuno

Leggevo tempo fa su qualche wine blog che ormai al Vinitaly un riconoscimento non lo si nega a nessuno. Ebbene, leggendo questo articolo de "Il Giornale possono tranquillamente affermare che questo malcostume, perchè di questo si tratta, non è solo italiano. Anzi.

A Bruxelles erano quasi settemila le etichette in gara, bottiglie prodotte ai quattro angoli del pianeta ed è ovvio che se si è generosi le nazioni tornano. Ecco così trovare spazio nel medagliere Paesi che noi italiani nemmeno immaginiamo possiamo un giorno ritrovarci nei bicchiari di casa o al ristorante: Barbados, Belgio, Bolivia, Brasile, Canada, Croazia... fino a Turchia, Uruguay e Venezuela.
Poi è chiaro che al top brillano le solite bandiere, quella francese accanto a Spagna e Italia con la Francia che ha ottenuto 606 medaglie, quindi la Spagna con 378 e noi con 228 ma non scherza nemmeno il Cile con 158.
La Francia anche quest'anno si conferma primatista assoluta del Concours con 606 medaglie (401 Argento, 191 Oro e 14 Gran Medaglia d'Oro) ottenute da 2277 campioni presentati. Al secondo posto la Spagna con 378 medaglie (225 A, 136 O, 17 G) su 1394 etichette presentate. Ed è spagnola anche la più abbondante collezione di Gran Medaglie d'Oro, ben 17, superando di una medaglia il primato, sempre spagnolo, dell'anno scorso.
Per l'Italia 228 medaglie (134 A, 89 O, 5 G) aggiudicate su 949 etichette inviate per le degustazioni. Ben 45 medaglie in più rispetto al 2009. Quarto il Portogallo a quota 177 (107 A, 65 O, 5 G), quindi il Cile con 158 (80 A, 68 O e 10 G, furono la metà nel 2009). Altro paese emergente è il Sudafrica che con le sue 80 medaglie (45 A, 33 O, 2 G) si scopre al sesto posto.
Ma fa ancora più impressione chi che proprio non ci si immagina: il Lussemburgo, paese ospitante l'edizione 2011 del Concours, con ben 31 medaglie totali (24 A, 6 O, 1 G): dieci in più rispetto all'anno precedente, comprensive anche di una Gran Medaglia, di buon auspicio per la prossima edizione, sicuramente ancor più ricca di impegni e di soddisfazioni per questo piccolo paese produttore concentrato nelle valli della Mosella.

In assoluto il miglior spumante è lo Champagne Baron-Fuenté Grand Cru Brut (Francia), il miglior bianco il Viu Manent Chardonnay Reserva 2009 (Cile), il rosè il Casal da Coelheira Rosé 2009 (Portogallo), il rosso il Michel Torino Don David Tannat 2008 (Argentina), il miglior vino dolce il Lustau Solera Reserva Pedro Ximénez San Emilio (Spagna) e l'alcolico top la Tequila Espolón Reposado messicana. In pratica solo le bollicine non parlano spagnolo (ma scontatamente francese).

E l'Italia
? Prima produttrice mondiale di vino, si è classificata terza grazie, nell'ordine, alla Sicilia con 77 medaglie, il Veneto con 41 e la Toscana con 28. Identiche le posizioni risperto al 2009, ma 24 le medaglie in più. Sorprende l'Abruzzo che scala di una posizione la classifica delle regioni più medagliate con 23 riconoscimenti complessivi. Altrettanto bene la Puglia, con poche medaglie in meno, ma con il vanto di una Gran Medaglia d'Oro, attribuita al Terragnolo Primitivo Salento IGT Rosso dell'azienda Apollonio Casa Vinicola, che segna il record assoluto in punteggio ottenuto tra le etichette italiane premiate.
Con le sue medaglie totali la Sicilia conferma il primato di prima regione vinicola d'Italia
.
La Gran Medaglia d'Oro siciliana è stata vinta da Antonello Cassarà Kilim Rosso 2007 (Sicilia IGT).

Fonte: Il Giornale.it

I vini delle annate sfigate: il millesimo 2002 e il Brunello di Montalcino Riserva di Gianfranco Soldera

Quante volte avete sentito dire che l’annata 2002 è stata piovosa e che i vini di quell’anno sono indecenti? Quante volte avete sentito i vari guru del vino dire che nel 2003, annata molto calda, sono usciti solo vini cotti?
Spesso, prima di dire stupidaggini, bisogna capire che il nostro paese, l’Italia, non è tutto uguale: l’influenza del mare, dei laghi, delle montagne, la reale difformità paesaggistica determina inevitabilmente la creazione di molteplici microclimi, anche a distanza di pochissimi chilometri, che rendono l’attività agricola del tutto disomogenea. Mai sentito parlare di macchia di leopardo? Il clima in Italia è tutto fuorché globalizzato.
Questa premessa, per molti inutile, serve a farci capire la futilità di certe affermazioni generalizzate, soprattutto di un 2002 piovoso dappertutto con un’uva che non è giunta a giusta maturazione. Chiacchere da bar anche perché, a tutto questo, dovete aggiungerci anche il cosiddetto “manico” del produttore.
Non pensate male, non è un termine osceno, sto parlando in questo caso dell’abilità del vignaiolo di interpretare al meglio qualsiasi annata attraverso la perfetta comprensione del suo ambiente pedoclimatico.
Intervenire in vigna tempestivamente è fondamentale per la sanità dell’uva.
Gianfranco Soldera
da Case Basse è uno di quelli col “manico”, capisce la terra, la sua terra, come pochi altri in Toscana e forse in Italia.
Il suo Brunello di Montalcino Riserva 2002 è fumo negli occhi per i detrattori del millesimo incriminato, è il Sangiovese che sconfessa la loro fede, imparata a memoria tra giornali di settore e presunte stelle date da sedicenti Consorzi di Tutela.
Rigorosa selezione delle uve, vinificazione naturale e 65 mesi di botte di rovere di Slavonia hanno dato vita a 6.650 bottiglie il cui contenuto lascia cappottare olfatto e papille gustative.
Non c’è esplosione aromatica, tutto è sussurrato, lieve come la brezza di primavera, il sottobosco lo sento da subito, poi esce la dolcezza fruttata della ciliegia, della mora di rovo, della viola appassita. Tocchi di erbaceo. In bocca l’attacco è ampio, il vino si allarga sul palato donando finezza e piacevolezza infinita. Colpisce al sorso soprattutto l’equilibrio del Brunello, davvero da Accademia del Circo, con un tannino perfetto che asciuga la bocca come fosse un velluto. Persistenza da Oscar del Vino.
Che altro aggiungere? Ah sì, è un 2002, un’annata da vini diluiti….

Slow Food Roma e Casa del Jazz presentano: Osterie Moderne


Casa del Jazz - Via di Porta Ardeatina 55

Venerdì 7 Maggio ore 20:30


Tre osterie tra le più interessanti, dialogano, giocano e si confrontano con latradizione: Dino De Bellis dell’Antica Osteria L’Incannucciata, gli chef del Quinto Quarto e Francesco Lucidi di Alchemilla, propongono piatti delterritorio in compagnia di olio, birra artigianale e vino esclusivamente del Lazio, cercando di trovare, per ogni piatto, l’incontro migliore per il massimo piacere del palato. Ronci di Nepi porta il vino, Atlas Coelestis la birra artigianale, Colle San Lorenzo e TenutaLa Cesarina l'olio.


Menù

Erbe selvatiche di Roma - circa 25 tipi di erbette diverse

Snack di coratella ai carciofi


La Carbonara


Risotto alla matriciana su fonduta di pecorino


Coniglio viterbese di razza leprina con erbe aromatiche e purea di patate


Coda alla vaccinara con vellutata di sedano su fondo ristretto di cioccolato fondente


Dolcezze dell’oste


Costo della cena: 35€ soci Slow Food (40€ non soci)

PRENOTAZIONI ED INFORMAZIONI 377 1615140 oppure info@percorsidivino.com

Dieci anni di Brunello di Montalcino Biondi Santi Riserva


Bere Biondi Santi significa entrare nell'anima del Sangiovese, quello vero, quello emozionale, lontano mille anni luce dalla moda del momento perchè questo vino è fatto per durare nel tempo e non per essere declassato. Tre annate di Riserva Biondi Santi possono rimettere al mondo chiunque, anche Parker.



Brunello Biondi Santi Riserva 1995: bere questo Sangiovese, farlo entrare nelle nostre viscere è come mettere un piede all’interno della Cattedrale di Notre Dame de Paris, il senso di maestosità, solennità ed imponenza strutturale che mi ha pervaso l’anima quando ci sono entrato per la prima volta è dello stesso tipo. Questo Brunello è un’opera d’arte firmata Franco Biondi Santi che ha creato in questa un vino duro, monastico, romantico, un Sangiovese per chi ha nel palato la cultura del bello ed essenziale. Da lasciare agli eredi.



Brunello Biondi Santi Riserva 1999: proveniente di un’ottima annata, questo sangiovese si apre da subito su note affumicate e minerali mentre, col tempo, si svelano note più gentile di frutta e fiori rossi alternate a sentori di tabacco da pipa, spezie e un eco mentovato in chiusura. Al palato, il vino, rispetto al precedente, è molto più equilibrato e diretto, le durezze del 1995 sono ben integrate nella struttura del vino. Finale profondo, nobile e di grande lunghezza. In questo Brunello, se pur perfettamente celato, si può notare un leggero cambio stilistico che dona all’opera d’arte linee più morbide, gentili, dirette, senza però entrare nella modernità di un’America lontana, lontanissima.


Brunello Biondi Santi Riserva 2004: non amo mettere voti ai vini, non ho le stesse sicurezze di Daniele Cernilli che gli ha attribuito 100/100, però so che stiamo di fronte all’ennesimo capolavoro dell’azienda. Pura essenza di Sangiovese, al primo assaggio mi viene in mente Robert Parker messo al tappeto da un jab del novantenne Franco Biondi Santi che ha saputo dar vita ad un vino di un’eleganza mostruosa nonostante la sua giovinezza. Tutto dentro al bicchiere è al suo posto, il vortice aromatico molla le briglie immediatamente, prende forma la frutta rossa, la frutta nera selvatica, ritrovo la violetta, la terra, la corteccia, i chiodi di garofani e una sfumatura balsamica di grande impatto e compostezza. Potrei stare ore ad incantarmi davanti a questo sangiovese. La bocca dimostra tutta la struttura di questo vino, c’è tanta roba qua dentro ma la potenza è dolcemente modulata per far durare questo vino nel tempo. Finito il vino mi sono sentito un po’ Michelangelo e, abbracciando la bottiglia, ho esclamato più volte:”Perché non parli”?. Dite che ero ciucco se ho poi visto accanto a me Biondi Santi che gridava, con lo scalpo di Parker in mano, Yes, We Can?