Il Gruppo Pellegrini S.p.A. e il ruolo della distribuzione nell'era del Covid-19 - Delivery IGP

di Lorenzo Colombo

Dopo aver intervistato – per il Delivery IGP- produttori di vino, ristoratori, direttori di consorzi e uffici stampa, diamo ora la parola a coloro che si collocano a metà strada tra quelli che il vino lo producono e coloro che lo vendono al consumatore finale, ovvero ai distributori. Abbiamo quindi fatto una lunga chiacchierata con Pietro Pellegrini, presidente e direttore commerciale della Pellegrini SpA di Cisano Bergamasco, azienda distributrice su tutto il territorio nazionale ed importatrice di vini e distillati da tutto il mondo. 

Pietro Pellegrini

Ciao Pietro, iniziamo subito con una domanda un poco provocatoria, ormai il 2020 s’è concluso, com’è andato rispetto agli anni precedenti? 

Venivamo da un periodo di diversi anni consecutivi d’incremento e l’obbiettivo, che sarebbe poi stato non così difficile da raggiungere, era di proseguire la crescita anche quest'anno. Comunque, tirando le somme e vista l’annata a dir poco particolare, posso dire che ci possiamo ritenere abbastanza soddisfatti, avendo contenuto le perdite ad un 18,8%. Che significa però essere tornati indietro di tre anni! In qualsiasi caso possiamo dire che l'anno l'abbiamo "salvato".
Bisogna considerare che la nostra clientela è unicamente quella del canale Ho.Re.Ca. e che vendiamo esclusivamente in Italia. Certamente ci saranno altre realtà che avranno ottenuto risultati migliori, parlo ad esempio di coloro che trattano con la GDO o che vendono anche all’estero, ma non possiamo davvero lamentarci. 

Quante aziende hai in catalogo? 

Poco più di un centinaio tra Italia ed estero, per circa 1.800 referenze tra vini e distillati. 

Com’è composta la tua clientela? 

Per oltre il 65% si tratta, come detto prima, del canale Ho.Re.Ca., mentre la parte rimanente è data dagli specialisti delle vendite on-line e dal retail, in particolare enoteche che mediamente sono andate piuttosto bene. 

Durante questo periodo c’è stato un notevole incremento delle vendite on-line, che sino all’anno prima rappresentavano una parte minima del mercato, in Italia. Quale è stata la Vostra esperienza in merito? 

Sino allo scorso anno le vendite di vino on line s’attestavano attorno al 3% del totale ed il loro incremento era quindi abbastanza scontato. Quello che è successo quest'anno ha poi più che amplificato la cosa. 
Per quanto ci riguarda, le enoteche virtuali rappresentano una categoria a se stante di clienti, le cui richieste sono cresciute molto durante questo periodo, con un incremento rispetto all’anno precedente di circa il 200%. Riteniamo sia doveroso dedicare maggior attenzione a questo settore, la cui notevole crescita ha contribuito in parte a salvare l’annata. 

Raccontami in breve come hai vissuto questo periodo così particolare, dovuto all’emergenza Coronavirus. 

All’inizio del primo lockdown c’è stata molta preoccupazione, con bar e ristoranti -che come già detto costituiscono la maggioranza dei nostri clienti- chiusi. 

Come vi siete quindi comportati nel confronto dei Vostri dipendenti? 

Durante il primo lockdown abbiamo potuto mettere in ferie i dipendenti che avevano arretrati e successivamente ci siamo avvalsi della cassa integrazione, anticipando loro gli stipendi.
Dalla ripartenza estiva abbiamo mantenuto la piena occupazione e così anche in previsione del periodo natalizio. 

E per quanto riguarda i vostri agenti, come avete proceduto? 

Abbiamo cercato di stimolarli e mantenerli attivi, effettuando una serie di offerte di breve durata su alcuni nostri prodotti. Inoltre abbiamo concesso a tutti la possibilità di avere anticipi provvigionali su base mensile ( in pochi per la verità ne hanno usufruito) per tutto il periodo di fermo. Durante la seconda chiusura invece abbiamo cercato di focalizzare gli agenti sulla forza di un catalogo della distribuzione. Avvalendoci dei dati relativi alla prima parte dell'anno abbiamo dimostrato loro che quanti si sono concentrati sul nostro catalogo, senza disperdere le forze su mandati minori, hanno ottenuto ottimi risultati. 

E nel confronto dei clienti? 

Di comune accordo con tutti i soci della Società Excellence* (ex Club Excellence) abbiamo deciso di sospendere gli incassi delle fatture emesse nei primi due mesi del 2020 per un periodo della medesima durata del lockdown oltre la scadenza, per dar loro un poco di respiro e per condividere di conseguenza le problematiche finanziarie dovute al particolare momento. Abbiamo inoltre ridotto il porto franco a 250 euro in tutta Italia e dato la possibilità a tutti i clienti di acquistare ogni prodotto anche per una sola bottiglia. 

(*Nota: La Società Excellence raggruppa 18 tra i più importanti distributori di vini e distillati sul territorio nazionale, nel loro insieme distribuiscono oltre 2.000 aziende e con i loro 1.400 agenti hanno venduto nell’ultimo anno oltre 17 milioni di bottiglie.) 

Hai avuto richieste particolari da parte dei tuoi fornitori? 

La maggior parte dei nostri fornitori, circa il 90%, sono aziende con progetti agricoli, con mentalità abituata ad andare incontro a periodi non sempre favorevoli, di conseguenza non abbiamo avuto nessun problema in particolare, solamente qualcuno ci ha chiesto se potevamo effettuare qualche anticipo sulle future forniture. 

Cosa pensi del fatto che molti produttori si sono attrezzati con la vendita diretta on-line, tramite l’apertura di e-shop? 

Per quanto riguarda la vendita diretta al consumatore finale tramite e-shop aziendali penso che molti abbiano effettuato un auto-gol, non preoccupandosi di rispettare tanto i tradizionali canali di vendita quanto quello proprio specializzato nelle vendite on-line.
Non abbiamo nulla contro il fatto che possano vendere direttamente al consumatore finale, purché nel rispetto della filiera e delle regole del mercato. Durante il primo periodo di lockdown abbiamo scritto a tutti, rassicurandoli che avremmo trovato di comune accordo con ognuno di loro le modalità per uscirne nel miglior modo possibile. 

Avete usufruito di “ristori” forniti dallo stato? 

La nostra categoria non rientra tra quelle che potevano beneficiare di ristori. Le uniche cose hanno riguardato rinvii in merito a scadenze fiscali, di cui comunque abbiamo deciso di non approfittare. 

Com’è stata la ripartenza di inizio estate? 

Dopo la ripartenza di giugno abbiamo avuto un notevole recupero. L’estate è andata molto bene, addirittura meglio rispetto a quella del 2019 ed insieme ad un buon dicembre ha contribuito a ridurre le perdite. 

All’interno del tuo vasto catalogo c’è stata una categoria di prodotto che ha sofferto maggiormente? 

C’è stato un calo sulla vendita dei prodotti di prima fascia, quelli utilizzati principalmente nei bar, nei catering e per il banqueting, tutte attività che in questo periodo erano e sono ferme. 

Entrando più nello specifico?

Le contrazioni maggiori si sono avute sui prodotti nazionali. Vini anche molto conosciuti, come ad esempio Prosecco e Chianti, sono tra quelli che hanno avuto il calo maggiore, anche superiore al 40%. I vini di fascia più alta sono invece rimasti in genere stabili, mentre su alcuni prodotti esteri di zone meno conosciute, zone minori francesi e nuovo mondo ad esempio, ci sono stati anche degli incrementi, direi dovuti esclusivamente agli acquisti sui portali di vendita on-line da parte di consumatori molto appassionati. Sono anche leggermente aumentate le richieste di formati più piccoli, come le mezze bottiglie. 

Quale pensi sia il ruolo di un distributore? 

Penso innanzitutto che il futuro del mercato del vino, anche in Italia, sia la distribuzione. Il produttore deve potersi concentrare sui lavori di vigna e cantina e il distributore sulla vendita, comportandosi come vero e proprio partner commerciale e figura di marketing. Deve essere inoltre un garante nei confronti dei produttori e questo significa che una volta preso un impegno relativo alla commercializzazione di un certo quantitativo di prodotto, quel vino deve poi venderlo davvero. L'unica alternativa non può che essere un atto di onestà, non iniziando nemmeno il rapporto di distribuzione, ammettendo chiaramente di non essere in grado in grado di far fronte ad un simile progetto. 

Progetti particolari e strategie per il futuro?

Avevamo in programma un ampliamento ed un ammodernamento della sede storica che ormai comincia a diventare stretta per le nostre esigenze, questo progetto è stato ovviamente rimandato a tempi migliori ma rimane comunque una priorità. C’erano e sono tuttora in progetto anche inserimenti a catalogo di nuove aziende, ma fino a che la situazione non si sarà un poco normalizzata teniamo tutto in sospeso. Inoltre, questo brutto periodo ci ha fatto capire l'importanza di allargare la fascia di clientela dedicandoci maggiormente a quelle strutture di libero servizio sinora un poco trascurate dai nostri agenti e che crediamo possano in futuro, se ben assistite e consigliate, diventare interessanti per la vendita di specifiche tipologie di prodotto. Pensiamo ad esempio alle gastronomie, pasticcerie e tutti quei negozi di alimentari che pur non facendo singolarmente grandi numeri, nel loro insieme possano costituire un interessante canale di vendita.
Comunque, ottimisticamente ti dico che, se è andata bene in un anno come questo, in futuro non potrà che andar meglio.  Il futuro è solo rosa!

ʻA VITA – Cirò Doc Rosso Classico Superiore 2014


di Lorenzo Colombo

Gaglioppo in purezza proveniente da vigneti di quasi cinquant’anni d’età, situati su suoli argillosi-marnosi a 50-100 metri d’altitudine.


Il vino si presenta con note terrose e di sottobosco, un poco timido all’inizio, con tannini ben presenti ma ben fusi nell’insieme, che al palato si presenta con sentori di radici, rabarbaro e bastoncino di liquirizia.

André Simon e il Montello-Colli Asolani Venegazzù “Della Casa” 2016 di Loredan Gasparini

di Lorenzo Colombo

Venegazzù è una frazione del comune di Volpago del Montello dal quale dista poco meno di un paio di chilometri. E’ inoltre una sottozona ed una tipologia di vino della Doc Montello-Colli Asolani (che sarà in futuro ridenominata Montello Asolo - Asolo Montello) che, rispetto alla suddetta denominazione s’avvale di un disciplinare nel disciplinare".


Cerchiamo di spiegarci meglio: il disciplinare di produzione del Montello – Colli Asolani permette la produzione di 17 tipologie di vino, bianchi e rossi, anche monovitigno ed anche spumanti sia da Pinot bianco che da Chardonnay. 
Nel caso del Venegazzù, che può avvalersi anche della menzione Superiore, il vino può essere unicamente rosso ed il vitigno principale è il Cabernet Sauvignon che dev’essere presente per almeno il 50%, con un massimo del 70%. Gli altri vitigni utilizzati sono: Cabernet Franc, Carmenère e Merlot per un minimo del 30% ed un massimo del 50%, questo sia singolarmente che congiuntamente, è inoltre permesso utilizzare sino al 15% di altri vitigni a bacca rossa. In pratica siamo di fronte ad un tipico “taglio bordolese”. Inoltre c’è una maggior rigidità rispetto al disciplinare del Montello-Colli Asolani, questo vale sia per quanto riguarda il numero minimo di ceppi per ettaro, come pure per la resa massima per ettaro e per la gradazione alcolica minima, inoltre, per la chiusura delle bottiglie è permesso unicamente il tappo in sughero. 


Nel 1967 André Louis Simon, alla tenera età di novant’anni, pubblicò Wines of the World. Simon, definito da Hugh Johnson "il leader carismatico del commercio del vino inglese per quasi tutta la prima metà del 20° secolo”, aveva passato in pratica tutta la sua vita nel mondo del vino, sin da quando nel 1902 era diventato agente della Maison di champagne Pommery in Inghilterra. Pochi anni dopo, nel 1906, si scoprì pure scrittore di vino, pubblicando a puntate “La storia dello Champagne commerciale in Inghilterra”, da allora non s’è più fermato e, nel corso della sua lunga vita ha pubblicato qualcosa come 104 libri. Nel 1908 fondò con alcuni amici il Club del Vino, organizzando degustazioni e lezioni, da cui nacque, 45 anni dopo l’Istituto di Master of Wine, nel 1934 fondò a New York una filiale di quella che sarebbe diventata l’International Wine & Food Society.


André Simon amava dire che "un uomo muore troppo giovane se lascia del vino nella sua cantina", cosa verissima visto che alla sua morte nella sua cantina personale erano rimaste unicamente due Magnum, una delle quali Chateau Latour 1945 era stata lasciata per festeggiare il suo 100° compleanno, che non ebbe occasione di festeggiare essendo morto a 93 anni. Wines of the World ebbe altre due edizioni, rivedute ed aggiornate nel 1972 e nel 1981, quest’ultima è stata tradotta in italiano e pubblicata nell’aprile 1985 dalla Vallardi. Vi si trova una corposa parte dedicata ai vini italiani -curata da Philip Dallas - ed alle sue denominazioni, che allora erano poco più di 200, dedicando loro oltre 70 pagine s’un totale di 576. Cosa ben rara a quei tempi, soprattutto in libri scritti da stranieri. 

Ma veniamo all’argomento dell’articolo. 

Nella parte dedicata ai vini veneti, nello specifico a quelli della provincia di Treviso, oltre ai Prosecco vengono menzionati solamente due altri vini con queste parole: “In questa zona è stato prodotto per decenni uno dei più fini vini d’Italia, il Venegazzù, del Conte Piero Loredan, fatto con Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Merlot, Malbec e Petit Verdot che viene invecchiato per tre anni in fusti”.

André Louis Simon

Un’altra citazione dei vini di Venegazzù la troviamo nella Guida ai Vini d’Italia, edita nel 1980 da Mondadori a cura di Lamberto Paronetto, il vino si trova nella categoria Vini da tavola con Indicazione Geografica così descritto: Venegazzù Rosso - Cabernet sauvignon, Cabernet Franc, Malbec e Merlot. 

L’azienda e il vino 

L’azienda Loredan Gasparini dal 1973 è di proprietà di Giancarlo Palla. Il vino più famoso che vi si produce è il “Capo di Stato” Doc Montello-Colli Asolani Venegazzù Superiore. Il singolare nome parrebbe derivare dal fatto che il vino sia stato molto apprezzato da De Gaulle –credendolo un vino di Bordeaux- che lo aveva assaggiato all’Hotel Gritti, a Venezia. L’allora produttore, Piero Loredan, fece quindi appositamente realizzare due etichette dal pittore Tono Zancarano riportanti le frasi “des roses pour madame” e “…et pour Monsieur la Bombe” ed inviò le due bottiglie a De Gaulle e signora. Così nacque il Capo di Stato.Ora però stiamo parlando di un altro vino, meno famoso del Capo di Stato, ma non per questo meno interessante, si tratta del “Della Casa”. Solitamente s’intende per Vino della Casa quel vino che viene solitamente proposto sfuso in alcune trattorie, dalla qualità a volte improbabile e del quale ben poco si sa. 


Non è certo il caso di questo Montello-Colli Asolani Venegazzù “Della Casa” 2016, vino storico dell’azienda Loredan Gasparini, prodotto sin dagli anni ‘50 da una selezione delle migliori uve di Cabernet sauvignon, Merlot, Cabernet Franc e Malbec dei vigneti aziendali. 
La sua attuale composizione prevede 70% Cabernet Sauvignon, 15% Merlot, 10% Cabernet Franc e 5% Malbec, la fermentazione si svolge in vasche d’acciaio e l’affinamento in botti di grandi dimensioni per 36 mesi ai quali ne seguono ulteriori 10 di sosta in bottiglia. 


Il colore è granato compatto, di buona intensità. Intenso al naso, balsamico ed elegante, dove un bel frutto rosso che rimanda alla ciliegia ed ai mirtilli è venato da note vegetali di sedano e peperone. Molto fresco alla bocca, succoso, con spiccata vena acida, il frutto rosso è nuovamente pervaso da piacevoli note vegetali, con trama tannica che ricorda a tratti la pellicina di castagne, lungo ed elegante il suo fin di bocca. 


Un vino che esprime appieno l’assoluta particolarità e specificità dei cosiddetti “bordolesi veneti”, sempre caratterizzati da quella vena vegetale che se ben gestita li rende complessi ed eleganti.

Montenero - Montecucco Sangiovese DOCG 2016

Ho conosciuto Stefano Brunetto, di origine venete, a Montalcino quando con alcuni soci aveva preso in gestione una delle aziende più importanti di Montalcino: Le Macioche. Per vari motivi, terminata quella esperienza, Stefano non ha lasciato la sua amata Toscana, la sua seconda casa, e ha cercato di portare avanti il suo sogno di poter gestire una sua azienda agricola rispettando i canoni della tradizione e della sostenibilità ambientale. 


Per perseguire i suoi obiettivi Stefano si è spostato solo di qualche chilometro a sud di Montalcino e ha trovato la sua seconda casa a Montenero d'Orciadove ha acquistato un bellissimo podere chiamato Montenero Winery. Come scrive lui stesso sul sito web aziendale, l'azienda 
è la realizzazione di un sogno: quello di fare vino secondo il suo sentire ovvero lavorare esclusivamente in regime biologico, seguendo le fasi lunari e facendo tesoro di tecniche antiche come il sovescio. 


I vigneti di Montenero crescono nella denominazione
Montecucco, ai piedi dell’Amiata, un vulcano inattivo, che grazie a questa sua natura concede un terreno calcareo, galestroso e ricco di scheletro. All'interno di questo areale, spesso sottovalutato anche dalle stessa stampa di settore, Stefano coltiva sangiovese, il vitigno principe della denominazione, ciliegiolo e merlot con l'intento, grazie alla produzione di soli vini monovarietali, di riportare all'interno della bottiglia le caratteristiche uniche di ciascun vitigno in relazione al territorio di origine.


Ultimamente ho avuto la fortuna di degustare il 
Montecucco Sangiovese DOCG 2016, prodotto in circa 10 mila bottiglie, proveniente da viti coltivate a circa 400 metri s.l.m. su terreni di prevalentemente calcarei. 
Il vino, per alcuni aspetti, è piacevolmente spiazzante già dal colore, un rosso rubino scarico, di grande eleganza, caratteristica questa che viene ribadita prepotentemente anche all'olfattiva dove il vino, affatto gridato nell'intensità, sviluppa aromi di violetta, muschio, felce ed una letterale macedonia di piccoli frutti rossi di bosco. Il tutto incorniciato da una sensazione di cenere che richiama l'Amiata e le sue terre vulcaniche. 


Una vera delizia, così come lo è la bocca, elegante, setosa, coinvolgente e perfettamente in equilibrio. Coerente e succosissima la persistenza sapida del vino con ritorni di viola mammola e ribes. 
Un vino davvero che sento di consigliarvi se lo trovate!

Nota tecnica: il vino fa 18 mesi di affinamento in botte grande e altri 6 mesi di bottiglia prima della commercializzazione.

Come le cooperative vinicole italiane affrontano la crisi Covid-19: il caso di Cantina Sociale Frentana in Abruzzo

Per Delivery IGP, Stefano Tesi intervista Carlo Romanelli, Presidente di Cantina Sociale Frentana.

Carlo Romanelli

A nove mesi dall’esplosione del covid in Frentana cosa è cambiato sotto il profilo commerciale?

La pandemia ha impresso un’accelerazione ad alcuni processi che erano già in corso, in particolare la vendita online. Siamo ancora alle prime armi in questo campo ma stiamo crescendo. Per ora la scelta è stata quella di un e-shop proprietario, concepito come prolungamento e integrazione dell’attività del punto vendita e strumento di fidelizzazione dei clienti. La vendita diretta per noi è molto importante, malgrado il lockdown nel 2020 abbiamo aumentato gli incassi sul 2019, superando il mezzo milione di euro, e questo grazie anche alla vendita online. Siamo però convinti che si possa ancora crescere molto, soprattutto grazie a due fattori: lo sviluppo del turismo, e di un turismo meno limitato al “balneare” di quello attuale, per il quale abbiamo progetti specifici come cantina, e la crescita della vendita online, anche attraverso piattaforme specializzate, oltre che tramite i nostro e-shop. A giorni sarà online anche il nuovo sito internet, quello attuale è superato. Su questo siamo un po’ in ritardo, ma arriviamo. 

Cantina Frentana è in prima linea nello “sdoganamento qualitativo” delle cantine sociali: la crisi rallenta il processo o lo favorisce?

Nell’immediato sicuramente non lo favorisce perché la crisi del settore horeca colpisce tutti i vini di qualità più alta, e questo rende più difficile giustificare retribuzioni alte ai viticoltori che fanno le uve migliori. Che poi è l’unico sistema per orientare i modelli produttivi in una cooperativa. Perche posso dire tranquillamente che se le uve non sono eccellenti i miracoli in cantina non li fa nessuno. Sarebbe però un grave errore fare passi indietro e noi non li faremo, anzi andiamo avanti. Quando la crisi sarà superata, chi non si è limitato a tappare le falle vivendo alla giornata ma ha saputo insistere sui programmi di medio e lungo periodo, anche se nell’immediato pareva antieconomico, sarà premiato. Almeno questo è quello che speriamo. Il ruolo della comunicazione a questo riguardo è fondamentale. Purtroppo il pregiudizio sui vini della cooperazione è duro a morire. E’ acquisito ormai il concetto che la cooperazione fa i vini con il miglior rapporto qualità prezzo, ed è già un passo avanti rispetto al tempo in cui per qualcuno faceva solo vini mediocri o peggio. Ma non basta: se la cooperazione fa un vino di qualità straordinaria difficilmente questa viene riconosciuta e difficilmente si accetta di pagare una bottiglia quello che vale. In Italia come in Francia. Dobbiamo essere grati alle cooperative dell’Alto Adige per aver cominciato a sgretolare questo pregiudizio, offrendo sul mercato selezioni particolari a prezzi adeguati. Anche se non sono quelle poche bottiglie a “fare bilancio”, sono una bandiera di fondamentale importanza per l’immagine dell’azienda. Noi ancora non siamo arrivati a quei livelli, ma non dobbiamo porre limiti alle nostre ambizioni, pur restando con i piedi per terra. E pensiamo di avere già vini che possono puntare molto in alto.
In questa ambizione di qualità si collocano anche i programmi per migliorare la qualità ambientale di tutti i processi. Come insegnano gli esperti di marketing, ma in fondo basta anche il buon senso, esiste una qualità percepita che va al di là dell’esame organolettico di quello che c’è nel bicchiere, e investe l’immagine dell’azienda, la sua credibilità. 

E questi programmi in cosa consistono? 

A parte lo sviluppo della vendita diretta di cui già ho detto, in un periodo di grande “green washing” stiamo cercando di attuare una transizione ecologica vera e seria, sperando che se ne percepisca il valore reale. Ad esempio abbiamo ora la certificazione che tutta l’energia elettrica che consumiamo (e non è poca, tra i due impianti circa un milione di KWh all’anno) proviene da fonti rinnovabili. Abbiamo abolito il diserbo nei vigneti e sviluppato una linea di vini biologici. Ancora piccola, ma cresceremo. Abbiamo un servizio tecnico viticolo, supportato da una rete di stazioni meteo e di software di ultima generazione, per il monitoraggio del rischio di malattie, che ci consente di limitare il numero dei trattamenti,non solo per le aziende in bio ma per tutti. Cercheremo nel giro di due anni di approntare il bilancio di sostenibilità. Per fare alcuni esempi.


In tempi di covid cosa si attende la base sociale: tutela del reddito, nuovi sbocchi commerciali, nuove strategie? 

La governance di una cooperativa ha il dovere di ascoltare la base, ma anche quello di prendere decisioni che guardano avanti, e che talvolta non sono facili da spiegare ai soci, soprattutto in anni di “vacche magre”. Ad esempio nuovi investimenti, e aumenti di capitale sociale, perché la solidità patrimoniale è fondamentale. Quando facciamo l’assemblea di bilancio forniamo a tutti un quaderno ricco di testo e di dati, a partire da un’analisi del contesto nazionale e internazionale fino a tutti i principali elementi di analisi dell’andamento dell’azienda. Ma quasi tutti i soci, almeno in prima battuta, leggono solo l’ultima pagina, quella delle retribuzioni. Ed è comprensibile, vivono di quello, e fanno confronti. Ma spiegando bene le cose, e se c’è la fiducia verso la dirigenza, i soci capiscono il valore di certi sacrifici. L’agricoltore è per natura un risparmiatore, l’importante è fargli capire che la stessa mentalità deve trasferirla alla cooperativa. Senza esagerare, ma con un corretto bilanciamento tra la cicala e la formica. In Italia ci sono stati esempi di cooperative che hanno scelto la cicala, hanno pagato molto bene i soci, tutti contenti, ma poi i nodi sono venuti al pettine e sono cominciati i guai. 

Ritiene che gli impulsi ricevuti a causa del lockdown avranno effetti duraturi sul vostro mercato?

A parte lo sviluppo della vendita online, per una grande cantina è ineludibile il rapporto con la GDO. Il lockdown ci ha obbligato a riconsiderare certe strategie, anche perché con la fusione con la Cantina Sangro abbiamo più vino da vendere. Noi come molte cantine abbiamo marchi specifici e diversi per i diversi canali. Il problema con la GDO è sempre quello della battaglia dei prezzi. Questo problema non riguarda solo il rapporto cliente-fornitore, ma investe la valorizzazione dei nostri vini, in particolare quelli a DOP, a livello istituzionale e consortile. Ad esempio il Montepulciano d’Abruzzo è un vino che vende molto nei supermercati, ma il prezzo medio è ancora basso, e si avvale poco di “brand” forti, anche perché l’azienda che ha un “brand” relativamente forte se vende alla GDO usa un altro marchio. Far crescere il valore della denominazione dovrebbe essere un obiettivo del Consorzio di Tutela. Che di campagne promozionali ne fa, ma forse campagne più mirate sulla GDO potrebbero essere utili per un prodotto che vende soprattutto lì. 

Come si concilia l’identità territoriale dei vostri vini con sbocchi su piazze molto lontane, spesso slegate dal traino del turismo?

Facciamo un esempio. Col Cerasuolo avevamo problemi in America. Anche se lo facciamo meno carico di un tempo come colore, gli importatori volevano un vino più chiaro, leggero e beverino, più “da piscina” insomma. La Provenza detta la moda. La nostra scelta è stata quella di non snaturare il Cerasuolo, come forse hanno fatto altri, ma di produrre un IGT usando altre uve oltre al Montepulciano, un vino che rispondesse a quelle richieste. Imbottigliamo meno Cerasuolo, ma abbiamo decuplicato le vendite di rosato in USA. Il Cerasuolo “ce lo beviamo noi”, intendendo come tale anche la ristorazione locale, mangiando un brodetto di pesce, e pure d’inverno: poco male se si vende poco in Cina o in USA. Magari tornerà di moda. Ma un vino a DOP non può correre dietro a mode effimere, non dico che debba restare uguale nei secoli, ma almeno mantenere una certa identità. Tanto più che su un vino di questa categoria la denominazione di origine, soprattutto all’estero, conta abbastanza poco. 

La vostra struttura di vendita e distribuzione come si è adattata e si adatterà ai nuovi scenari? 

La nostra struttura di vendita è leggera, non abbiamo mai voluto una rete troppo strutturata, per mantenere una certa flessibilità. Questo comporta un grande impegno di lavoro e di viaggi per il direttore commerciale e per i suoi collaboratori. Dobbiamo dire che nel 2020 abbiamo raccolto qualche frutto di tutto questo lavoro, perché pur essendo molto limitati negli spostamenti, malgrado le fiere che sono saltate, gli eventi già prenotati e annullati, non abbiamo perso clienti, e anche il calo del fatturato, inevitabile soprattutto per la linea horeca, è stato relativamente contenuto. Gli adattamenti sono continui, ce li impongono i continui cambiamenti del mondo. Per questo è importante essere flessibili, sempre pronti a fare e disfare valigie e rapidi nelle decisioni. 

Si diceva del turismo come traino del vino per il post lockdown: c’è già qualche idea? 

Sì, è un progetto di cicloturismo chiamato Frentanabike, da noi ideato e promosso. Abbiamo individuato e collaudato alcuni percorsi su strada e su sterrato, tra boschi, valli, vigneti, oliveti, antichi tratturi. Percorsi ad anello che sfruttano in parte la Ciclovia Adriatica, la ciclabile litoranea ricavata sul tracciato della vecchia ferrovia. Piazzeremo sul territorio colonnine per la ricarica delle e-bike, ad esempio presso ristoranti e alberghi nostri clienti, e realizzeremo guide ed app per promuovere il progetto e accompagnare gli utenti. Puntiamo sul ciclismo turistico ma anche su quello sportivo. Per tutti quelli che passeranno in cantina ci sarà la possibilità di acquistare vini e prodotti tipici a condizioni speciali, facendoseli. Per noi non è solo un modo per vendere più vino, ma anche un regalo di Frentana al suo territorio. Se cresce il territorio, cresciamo di sicuro anche noi!

Beconcini - Vigna le Nicchie Tempranillo Toscana IGT 2013


di Stefano Tesi

Ho aspettato Natale per stappare questo vino il cui fascino pareva tutto già scritto in retroetichetta: da vigna ultracentenaria prefilossera, vinificato dopo leggero appassimento e 45 giorni di macerazione, due anni di legno e poi quattro di vetro. 



Sbagliavo: col panforte, davanti al caminetto, è anche meglio.


Assaggi Anarchici di fine 2020 - Garantito IGP


di Stefano Tesi

Lo ammetto, sono un po' anarchico. Tanti anni fa me lo disse anche Veronelli e la cosa mi lusingò. Sono anarchico anche quando assaggio il vino, perchè non sempre mi piace farlo quando devo o si dovrebbe, bensì quando mi va o me ne salta lo sghiribizzoCosì mi capita di accantonare bottiglie che dovrei stappare subito, oppure di berle con abbinamenti poco ortodossi, oppure di fregarmene delle scadenze e fare di testa mia. E' un modo per mettere alla prova non solo il vino, ma soprattutto me stesso. E per tenere viva la voglia di assaggiare godendo di ciò che si beve, anzichè intristirsi nella serialità, come talvolta fatalmente accade a chi fa questo mestiere.


Ecco quindi tre assaggi che mi hanno intrigato, sebbene fossero fuori passo.



Bocale - Sagrantino di Montefalco DOCG "Ennio" 2015


Nella scorsa primavera il Rosso (70% Sangiovese, 15% Sagrantino, 10% Merlot e 5% Colorino) mi era piaciuto assai, ma per questo Ennio, vino di punta dell'azienda umbra, avevo preferito attendere. Un po' perchè volevo aprirlo nella stagione migliore, un po' perchè ero prevenuto verso una tipologia di vino che - cosa peraltro risaputa - non è troppo nelle mie corde. E invece questo 100% Sagrantino, affinato per due anni in botti di legno e per altrettanti in vetro, mi ha piacevolmente sorpreso, complice senza dubbio un azzeccato abbinamento gastronomico (capretto arrosto) e forse anche una temperatura di servizio volutamente inferiore alla norma. Ne è uscita una bevuta godibile e meno prevedibile di quanto pensassimo: un bel colore rubino, carico ma non troppo, un naso avvolgente con spiccato sentore di liquirizia, screziatura di fiori appassiti, una presenza del legno smorzata quanto basta a non risultare fastidiosa e tale da renderlo vivo, quasi agile all'olfatto. Allo stesso modo, in bocca si è rivelato un vino di elegante vigore, piacevole ed equilibrato, con una bella lunghezza e una solidità non troppo muscolare. Prodotto vegan. In azienda costa 50 euro.


Il Calamaio - Poiana Sangiovese 2019 Toscana IGT 


Non per vezzo ma per abitudine ho disatteso quasi tutte le raccomandazioni del produttore Samuele Bianchi, che conduce questa piccola azienda alle porte di Lucca e che nel maggio scorso, mandandomi i campioni, ambedue bio, mi aveva suggerito di stappare il già pronto 2017 ma ancor prima il campione del 2019, privo di solforosa e preso direttamente dalla botte da 10 quintali, dove aveva appena cominciato a maturare.

Io invece ho lasciato ambedue al fresco della mia cantina per sei mesi e giorni fa ho messo mano al più giovane. Sorpresona. Un colore da Sangiovese come ci si aspetta, ma soprattutto un naso vivacissimo, inebriante, croccante quasi, con i classici sentori di viola e ciliegia, tutti freschissimi, direi spumeggianti, con effetti di gradevolezza assoluta. Non da meno al palato, dove le note olfattive si rispecchiano appieno: agilissimo, pieno di vigore ed eppure senza spigoli nè stonature, che si lascia cullare in bocca e non delude nemmeno per sapidità e lunghezza. In un sol colpo fatte secche la bottiglia e la bistecca.


Fornacelle - Zizzolo 2018, Bolgheri Rosso DOC


Sulle prime il nome mi ha spiazzato. Dalle mie parti, cioè nel senese, esiste solo al femminile e sta a indicare certe brezze gelide che d'inverno spirano tra i vicoli. Lo Zizzolo, che apprendo a Bogheri significare giuggiolo, è invece l'opposto: caldo, morbido, gentile, avvolgente come una sciarpa di cachemire avvolta attorno al collo.

Dal rubino pieno del bicchiere salgono infatti note di macchia mediterranea, di resina e di un piacevole tepore, con accenni speziati e vagamente dolciastri, frutti maturi compattati dal legno. In bocca è altrettanto morbido, armonico e vellutato, ma non ruffiano. D'istinto l'ho immaginato con zuppe di animali bassa corte o di selvaggina, o magari con un agnello parimenti sdolcinato. Alla fine, però, l'ho brutalmente sfidato su un zimino di seppie e non ne è uscito affatto male. Costa sui 15 euro.

Ristorante Pinocchio a Borgomanero: Paola Bertinotti racconta l’esperienza vissuta durante questa pandemia - Delivery IGP

di Roberto Giuliani

Questa volta, invece di fare la classica intervista, ho preferito lasciare spazio totale al bellissimo e toccante racconto di Paola Bertinotti, figlia del grande Piero, pietra miliare della cucina piemontese. Ho scritto più volte del ristorante Pinocchio a Borgomanero, uno dei miei locali del cuore, non solo per la qualità della cucina, ma anche per la straordinaria umanità di padre e figlia, due personalità diverse che si integrano e completano perfettamente: lui apparentemente austero, fortemente radicato alle sue origini, ma la cui corteccia è in realtà sottilissima e non in grado di celare davvero quel cuore immenso che lo tiene legato anima e corpo, finché ne avrà le forze, al suo Pinocchio. Lei più aperta, scherzosa, ma anche volitiva, dinamica, con spirito imprenditoriale, in grado di tenere botta anche nei momenti più difficili. Ed è proprio Paola che ci racconta come hanno affrontato questo periodo di pandemia, visto davvero dall’interno, senza giri di parole. 

Buona lettura!

A Primavera lo shock è stato il sentimento forte che ci ha accompagnati durante il lockdown, a novembre la delusione. Ricordo l’ultimo servizio prima della chiusura di marzo. Sabato sera, locale pieno, baci e abbracci, misure preventive giusto la mascherina (i ristoranti hanno comunque un piano hccp molto rigoroso). Un cliente che è anche un caro amico è professore specializzato in virologia a Milano. Passa come sempre molto tempo al telefono ma quella volta non riusciva a stare nemmeno a tavola. Alle 9 si siede, faccia tesissima e mi dice “Paola, chiudono la Lombardia”. L’effetto per me è stato come vedere scendere un UFO in giardino. Non scherzo. Ho finito non so come il servizio. L’indomani ho chiuso il ristorante con qualche giorno di anticipo sulle disposizioni. Per quindici giorni mi sono tenuta lontana dai miei genitori per il timore di infettarli, visto il mio lavoro in sala. Per mio padre è stato ancora peggio. Gli è stato tolto tutto quello che aveva importanza, la famiglia, il lavoro, il rapporto umano, e la sua vita aveva perso completamente sostanza. Ma da uomo grandissimo quale è, anche quella volta è stato lui a sostenerci e a insegnarci a non avere “mai paura”, il suo motto.

Paola Bertinotti

Così la paura si è trasformata in un nuovo modo di sentire amore, verso tutto. Per un momento ho persino creduto possibile che questo nuovo sentimento sopito sotto le regole dell’interesse personale, del dio danaro, dell’ottuso sfruttamento/inquinamento globale si fosse risvegliato nei cuori della gente perbene e che ci fosse data la possibilità di resettare il mondo, la possibilità di un nuovo vero inizio. E invece no, il gregge non immune alla stupidità torna inesorabile a maltrattare la vita, pensando che quel modo di agire sia vera libertà. La seconda chiusura totale per noi è stata la delusione di aver fallito. La gente continua a morire, siamo in balia di un virus intelligente, subdolo e malefico. Il mondo non cambierà ma noi siamo cambiati. Ancora più sicuri dei veri valori ci stiamo dedicando a deconcettualizzare il nostro lavoro. Un po’ come quando andava di moda la cucina destrutturata, vedere un piatto completamente nuovo usando gli ingredienti originali. Così il mio giovanissimo papà con la sua prudente cuoca Janna e il serio nipote cuoco Francesco hanno studiato come rendere trasportabili i nostri piatti, cioè come farli arrivare sia caldi che belli a destinazione. Questa missione è stata completata con successo e non sarà mai più abbandonata. Ci sono persone che per diversi motivi non possono andare al ristorante, è una gioia vedere la loro felicità quando ci aprono la porta di casa. Poi abbiamo fatto nuovi lavori nel ristorante, abbiamo aperto una graziosa enoteca. A lavori ultimati il commento di papà è stato “mia figlia è bravissima a realizzare i miei sogni”. Impagabile! Un’altra cosa importante è che acquistiamo 100% italiano, possibilmente biologico e da piccole realtà. Mio papà vorrebbe proiettare il tricolore sul ristorante, ci sentiamo orgogliosamente Italiani, la nostra Italia non teme nessuno. Per ora non ci sono ancora riuscita ma non è detto...Ecco, questo è il nostro contributo al mondo. 


Il contributo dello stato è stato molto importante, per noi abbastanza puntuale ci ha dato la possibilità di chiudere senza problemi tutte le fatture aperte e di poter affrontare le spese di approvvigionamento senza preoccupazioni. Di guadagno non se ne parla, invece di perdite si potrebbe scrivere un trattato. Però un po’ con il nostro fieno, un po’ con il fieno dello stato è stato ed è possibile pensare che ci sarà ancora un domani. Mi dispiace moltissimo per i miei figli e per tutta la gioventù, ripenso alla mia e mi rendo conto di essere stata fortunatissima. Almeno ne usciranno temprati, e come dopo una guerra con una voglia di fare incredibile. 


Aggiungo solo che il governo non è stato consigliato benissimo. Al Bar e al ristorante è possibile mantenere le distanze, la gente passa il 95% del tempo seduta. Ci siamo organizzati con menu digitali, abolito tutto quanto potesse essere toccato da più persone, sanifichiamo che manco in una sala operatoria! Pensa che questa estate abbiamo tolto anche le porte. Per il nostro settore più apertura e tanti controlli. Saremmo stati tutti contenti. Invece di piazzare l’autovelox sul rettilineo limite 50 all’ora, come ieri a Borgomanero, che i vigili vadano a controllare tutto il territorio. Mi stupisce che la moglie del presidente Conte sia albergatrice. 
Ho scritto io ma sono portavoce della famiglia, parliamo e condividiamo molto, viviamo insieme e la vita ce la costruiamo noi ogni giorno. Bon, basta”. 

Cataldo Calabretta e la Cirò Revolution contro gli effetti della pandemia! - Delivery IGP


Di Andrea Petrini 

Per la rubrica Delivery IGP ho intervista Cataldo Calabretta, vignaiolo di Cirò Marina (KR) e appena eletto delegato della FIVI Calabria.


Buongiorno Cataldo, anzitutto una domanda personale: come stai affrontando questa emergenza? 

Buongiorno Andrea, fino a l’altro ieri ero abbastanza tranquillo, ripetendomi il mantra “abbiamo superato il primo supereremo anche questo”; mi preoccupava di più la situazione climatica, a causa di una siccità che perdurava dalla primavera, poi all’improvviso il tempo è cambiato e adesso contiamo i danni dell’alluvione!! Questo ci porta di nuovo a dover ammettere che la pandemia non genera nuovi problemi, semplicemente ti mette davanti a tutte le storiche carenze dell’Italia, e purtroppo quelle più marcate della Calabria!! 

Veniamo ora al tuo mestiere di vignaiolo. Mi puoi dire come hai affrontato aziendalmente la situazione e quali sono state le ripercussioni sia da un punto di vista produttivo, interno, sia da un punto di vista commerciale (Italia ed estero)? Mi interesserebbe capire se ci sono, come penso, grandi differenze operative e burocratiche tra Italia ed estero.

Abbiamo affrontato i problemi su diversi livelli, il lockdown è riuscito a fermare quasi completamente le vendite da marzo a maggio, ma le aziende agricole (i contadini) sono mentalmente e strutturalmente pronti ad affrontare periodi di fermo economico e stringere i denti; abbiamo risparmiato sul volume di lavoro soprattutto in vigneto, abbiamo fatto lo stretto necessario.  Sul fronte commerciale, in realtà non ho ritenuto necessario attivare uno shop on line aziendale, convinto che l’e-commerce sarà sempre più importante, ma credo altresì che sia compito dei professionisti del settore di occuparsene semmai, io credo molto nel valore dei rapporti lavorativi con i miei agenti, distributori e importatori. Io preferisco fare il vignaiolo che di beghe burocratiche ne ho pure troppe!! 
Anche sull’argomento estero, il vero problema aldilà del fermo causato dal lockdown, sono le paure legate ai Dazi Usa, alle nuove regole causa Brexit. Ci hanno comunicato in questi giorni il nuovo regolamento sulla certificazione Bio nel Regno Unito, una sfilza di documenti ed autorizzazioni da cui sono venuto fuori comunicando al mio importatore che rinunciavo alla certificazione Bio in etichetta. 

Pensi che rinunciare alla certificazione BIO porti ulteriori problemi nelle vendite? 

Allora, risposta complessa l’importatore con cui lavoro nel Regno Unito, riesce a veicolare il messaggio di “naturalità” e sostenibilità dei vini che vende, e la fetta di mercato a cui si rivolge è un pubblico “maturo” e che crede più nella sua valutazione e percezione del prodotto piuttosto che sui loghi affissi sulle bottiglie. Ciò non toglie che dobbiamo sempre tenere presente che ad oggi l’unica certificazione riconosciuta che controlla la filiera è quella del BIO, e nonostante tutte le sue carenze la preferisco a quella che potrebbe diventare una semplice azione di marketing (storytelling del vino naturale) 

Con gli altri colleghi di Cirò state facendo un grande lavoro per i mercati esteri. Come viene visto il vostro vino nei mercati europei e nel mercato statunitense? Siete riusciti a farlo apprezzare?

In questi anni la nostra azione si è concentrata per lo più sul territorio nazionale, perchè abbiamo pensato che il Cirò dovesse tornare nelle carte dei ristoranti ed enoteche italiane, anche se in effetti il mercato straniero e quello che risponde meglio ( in termini economici e di vendite) alla “novità” del vino territoriale e artigianale. Rispetto allo stile dei nostri vini il Cirò Rosso rimarrà un vino per pochi appassionati , ma noi abbiamo una grande occasione con il Cirò Rosato, che unisce il momento d’oro per la tipologia e tuttavia non è un vino banale, anzi esalta forse ancora di più il legame con questa terra. E proprio su questo concetto stiamo lavorando, appena sarà possibile porteremo a compimento un progetto iniziato nel 2019, la realizzazione di una sala didattica e di degustazione che insieme ad un progetto più ampio di ospitalità esperenziale porterà a Cirò gli operatori commerciali, la stampa straniera e tutti gli appassionati a conoscere quesa Terra, solo così il messaggio del Cirò arriverà chiaro e forte. 


Ti aspettavi questa seconda ondata di epidemia? Come la stai affrontando ora e se trovi minori o maggiori difficoltà lavorative rispetto alla prima..… 

Come detto prima, nell’immediato il problema è ricaduto sulla ristorazione, a seguire arriverà a noi, il calo delle vendite a fine anno si attesterà sul 40% (aziende come la mia lavorano solo nell’Horeca), se ci daranno respiro con le scadenze fiscali e bancarie ne usciremo, un po’ più poveri, ma ancora in piedi. 

Veniamo al tuo ruolo istituzionale all'interno della FIVI Calabria. Con gli altri colleghi e soci stai pensando a misure condivise? 

Riguardo alla pandemia in particolare no, come ti spiegavo sopra le aziende agricole hanno visioni a lungo termine e sostanzialmente abituate a restrizioni, quello che vogliamo ottenere come delegazione Fivi Calabria è l’accreditamento presso i tavoli regionali della programmazione futura per il comparto agricolo. 

Secondo te tutte le misure adottate sono state sufficienti o si poteva fare qualcosa di più anche alla luce di questa seconda ondata?

Di sicuro il comportamento nostro durante l’estate è lo specchio del Paese e di chi lo guida, le concessioni di questa Estate ci hanno fatto stare bene e ci hanno illusi, così devono averla pensata anche i governanti, la loro posizione forse avrebbe richiesto maggiore rigore? Certo ma ripeto questi Amministratori li abbiamo scelti noi sono la proiezione di un paese Anarchico e un po’ disorganizzato come l’Italia, io sono Calabrese e per quanto mi sforzi alla fine devo ammettere di essere ancora fatalista, è una tara culturale o forse e solo la nostra storia.

Che consigli daresti ai tuoi colleghi per affrontare al meglio il futuro?

Non sono in grado di dare consigli, perché non mi sembra di aver fatto molto. Ma ripeto, organizzarsi per resistere, fare scelte drastiche per eliminare il superfluo, in cuor mio spero che questa crisi , come altre in passato, ci insegni nuove prospettive, consumare meno, sprecare meno e forse quello che abbiamo sperimentato in questi anni a Cirò si la vera conquista: il lavoro di gruppo, il mutuo soccorso tra noi piccoli produttori come i contadini di una volta. 
Ah, a pensarci bene, solo un appunto sulla comunicazione: troverei opportuno calcare meno la mano, esercitare la trasparenza senza frasi d’effetto; darsi una misura, non puoi pubblicare un post strappa lacrime sul disastro economico o di rivolta, e dopo 5 minuti tutto passato grande euforia e brindisi a go go . Non sono un esperto ma credo siano interessanti queste teorie sullo “smarketing”.

Come vedi, ad oggi, il 2021? che speranze hai per il vino di Cirò e, in generale, per quello italiano? 

Spero solo per il meglio , e che le vaccinazioni ci liberino definitivamente dalla pandemia entro la primavera, così rimetteremo in moto turismo, viaggi all’estero per promuovere il vino, gli eventi pubblici , le visite in cantina, etc. Credo che dopo tutto questo la gente sentirà l’esigenza di godersi la libertà di una cena o di una festa tra amici e bersi un buon bicchiere di vino!! 

Cantina Giardino: il vino naturale sta affrontando meglio la crisi - Delivery IGP


di Luciano Pignataro

Per la rubrica Delivery IGP abbiamo intervistato Daniela e Antonio De Gruttola, punti di riferimento della viticoltura naturale in Campania.


Daniela e Antonio, con Cantina Giardino siete stati i precursori in Campania, e tra i primi in Italia, a imboccare la via dei vini naturali. Come state vivendo questa crisi? 

Sì, siamo stati i primi in Campania, abbiamo puntato ogni cosa sull’agricoltura pulita senza prodotti chimici di sintesi, sulla vinificazione naturale*, sulle vigne vecchie ed oggi dopo vent’anni e questa inaspettata pandemia possiamo testimoniare che questa crisi non ci ha toccati, anzi ci ha fatto crescere. In passato ci hanno giudicati per le nostre scelte, molti consideravano le nostre vinificazioni senza aggiunta di solforosa impossibili, una viticoltura senza l’utilizzo di prodotti sistemici addirittura veniva vista come la fine.Oggi la nostra piccola azienda irpina si ritrova un patrimonio unico al mondo. Nel nostro fascicolo abbiamo 10 ettari di vigne storiche, piante di 80/100 anni, dunque vitigni autoctoni, dove ci sono l’Aglianico, il Greco, il Fiano, la Coda di Volpe bianca e rossa e tantissime altre varietà di vite e di alberi da frutto che non espianteremmo per nessun motivo al mondo, perché la “multicolturalità” è una delle bellezze del terroir irpino! Produciamo più di 20 tipologie di vini, anche questa scelta è vista dal mercato tradizionale come un errore ma la domanda tipica di uno nostro distributore è “quale vino avete disponibile in questo momento?” e puntualmente l’ordine riguarderà le disponibilità. Ma chi sono i nostri distributori italiani e i nostri importatori esteri? Sono degli appassionati di vino naturale, sono dei bevitori, dei grandi conoscitori, sono giovani ma hanno un’esperienza di degustazione davvero ampia e continuano a crescere, sono dei curiosi e soprattutto sono molto dinamici, quando è arrivato il virus nei loro mercati si sono attrezzati al commercio online in pochissimo tempo. La nostra impostazione in questi tempi è vincente ma certo vogliamo come tutti ritornare alla normalità. 

*vinificazione naturale(secondo noi): le uve sane vengono portate in cantina, pigiate e fatte fermentare senza aggiunta di lieviti, in nessuna fase viene aggiunta la solforosa, non avviene alcuna filtrazione o chiarificazione o alcun intervento che prevede l’utilizzo di un prodotto chimico. Un solo ingrediente: l’uva.

C’è qualcosa che il governo e le istituzioni avrebbero potuto fare e che non è stata fatta? 

Noi riteniamo che sicuramente non è stato semplice gestire la pandemia e il governo ha aiutato inizialmente in maniera sufficiente le realtà commerciali. Nel settore agricolo tutte le misure messe in campo non sono state sufficienti e purtroppo è proprio quello il settore che doveva essere rivalutato in questa crisi pandemica. Sono molti gli Stati che si sono fatti un esame di coscienza sui sistemi di produzione alimentare ed aspettiamo che anche l’Italia faccia questa riflessione fino ad arrivare a bandire un’agricoltura che utilizza prodotti chimici di sintesi. 

Pensate che i mercati alternativi, tipo gdo e e-commerce, possano essere una soluzione nell’immediato e possono cambiare il modo di vendere il vino? 

Per noi il commercio online si è subito attivato durante il primo lockdown, lavorando in circa 30 Stati, ognuno di essi ha risposto in tempi differenti, ma hanno tutti puntato su questa forma di vendita che era l’unica possibile. Si è dunque superato il tabù dell’acquisto del vino online in stati dove non era mai avvenuto come ad esempio in Inghilterra, sono nati negozi virtuali con selezioni di vini naturali molto accurate dove alle spalle c’erano già degli esperti importatori o enotecari. Anche qualche ristoratore ha cominciato a contattare i propri clienti via mail pensando a delle formule di vendita alternative sia per il food che per il vino. In tutto questo però la gdo non c’entra nulla, chiaramente noi ci riferiamo al mercato di piccole aziende artigianali che non avrebbero i numeri per entrare nella gdo. Il commerciante di questa tipologia di vini online ci tiene ad avere una selezione specifica, ama dare la propria impronta a quella carta di vini, l’acquirente di questi tipi di vino non è uno che compra a caso, si affida ad un esperto oppure ha le idee chiare e cerca da solo le specifiche bottiglie. Ipotizzando un cliente che vuole uno nostro vino da acquistare online, inserendo su internet le informazioni principali oggi si ritrova molteplici possibilità che prima non esistevano. 

Qual è, a vostro giudizio, lo stato attuale dei vini naturali? Moda o tendenza definitiva? 

Crediamo che il pubblico di interesse di questi vini sia indubbiamente cresciuto e in questo pubblico ci sono dei consumatori più giovani che cercano vini semplici e freschi, i cosìddetti glou glou wine e poi c’è una parte che ha delineato uno stile di consumo permanente e senza tempo. Con questo vogliamo dire che secondo noi in questa fetta ci si è riappropriati del termine vino che finalmente può non essere affiancato all’aggettivo “naturale”, per loro questo è il vino, una fotografia di un’annata capace di attraversare il tempo. Come tanti vini del passato che sono stati fatti con una vinificazione che oggi definiamo per forza “naturale” ma che prima era la stilistica consolidata. E quando un consumatore acquisisce questo stile di consumo non lo lascia più. 

Quali sono le novità di Cantina Giardino? 

Ogni annata porta una novità nelle nostre produzioni. Quest’anno ad esempio durante il lockdown, avendo molto tempo a disposizione, abbiamo pensato di fare qualche cambiamento di immagine e di reintrodurre la forma della bottiglia renana per i vini bianchi ed un restyling del logo e delle etichette. Invece per la produzione a settembre abbiamo presentato la nostra prima falanghina in purezza ed introdotto dei contenitori di cemento.

A. Bergère - Champagne Selection Brut


di Luciano Pignataro per Garantito IGP

Una bollicina alla portata di tutti di questa storica maison di Epernay che ha iniziato a imbottigliare nell'immediato Dopoguerra. 


Metà 
Chardonnay e metà Pinor Noir, è un sorso fresco, agrumato, ricco di frutta bianca. Bel perlage e chiusura decisamente rinfrancante. Da ouverture!

Elena Fucci - Aglianico del Vulture DOC "Sceg" 2018


di Luciano Pignataro

Natale nell’Appennino Meridionale vuol dire Aglianico: è il momento di tirare fuori bottiglie lasciate riposare per anni e goderle grazie al lavoro del tempo che affusola i tannini, riequilibra l’acidità e mantiene vivo il vino senza limiti di tempo: dieci, venti, quaranta? Chissà, nessuno ancora lo può veramente dire. 


Tocca al più terrone del gruppo il Garantito IGP della Vigilia e allora scelgo un Aglianico del Vulture, un progetto molto bello di Elena Fucci, la prima produttrici a mettere il grande rosso della Basilicata in cura dimagrante dagli eccessi di legno della prima metà degli anni 2000. Subito i suoi vini si distinguono per eleganza, finezza, ottimo rapporto con il legno, estrazioni ponderate e non esagerate e non a caso piacciono un po’ a tutte le guide specializzati, a prescindere dall’orientamento.


Noi seguiamo questa azienda da quando fu fondata una ventina d’anni fa dal papà Salvatore, abbiamo visto Elena crescere, laurearsi in Enologia a Pisa, maturare una capacità di comunicazione anche grazie a suo marito Andrea, un toscano che conferma il primato di questa regione nel saper raccontare e saper vendere come nessuno in Italia. Insomma, la sostanza c’è, la parola anche. Ma stavolta non parliamo di Titolo, ma di
Sceg, una parola di derivazione albanese che indica il frutto del melograno, simbolo di fortuna e di speranza sin dall’antichità. Albanese? Si, perché il paese di Elena si chiama Barile e, come Ginestra e Maschito, ha la popolazione di origine albanese, quelli che circa 500 anni fa per fuggire dai turchi che avanzavano si insediarono nelle zone interne dell’Italia Meridionale. In questi secoli il sangue si è mischiato, ma alcune caratteristiche restano, soprattutto una intraprendenza lavorativa e commerciale che li distingue ancora oggi.


Elena ha avuto il nonno in vigna e quando gli amici del nonno si sono avvicinati a 90 anni, ha cominciato a riprendere i loro terreni che, altrimenti, come in tanti altri casi, rischiavano di essere abbandonati perché purtroppo la rivoluzione vitivinicola in Basilicata non ha ancora comportato una radicale inversione di tendenza nel coinvolgere le giovani generazioni a tornare. In questa piccola regione di poco più di 600mila abitanti è difficile ricavare reddito soddisfacente e la terra è lavorata ancora quasi esclusivamente dalle generazioni anziane.


L’idea nasce nel 2016 e coinvolge quattro distinte particelle su suolo vulcanico non lontano da vigna Titolo per un totale di un ettaro e mezzo con 5000 viti piantate alla fine degli anni 40. Brevi macerazioni, elevamento in botti da 500 ettolitri e, dopo due annate sperimentali, la 2016 e la 2017, ecco in commercio la 2018 con un prezzo al consumatore di poco meno di 30 euro sul web.


Le tecniche di allevamento sono biologiche, si usa il sovescio con la coltivazione dei fagioli, in totale poco più di 7mila bottiglie per questa prima annata. Insomma, un progetto per tenere in forma viti antiche, tramandare la fatica di una generazione, cosa che per noi, in quest’anno pandemico che ha colpito soprattutto le giovani generazioni, ha un altissimo valore simbolico.


Il vino, c’è bisogno di dirlo, è di grande stoffa, elegante, fine, una bella amarena croccante al naso che si ritrova al palato in una cornice fumè, una promessa di evoluzione che sicuramente potrò essere mantenuta ma che però non impedisce un bello stappo anche adesso in presenza di un piatto ben strutturato.

Ecco, questa è la nostra storia di Natale e capite perché non ci stancheremo di scrivere di vino: basta alzare lo sguardo dal bicchiere e si trova un mondo di persone, di comunità, di cose da raccontare.

Buon Natale!