Il mito di Oliver Leflaive al Monza Wine Experience


di Lorenzo Colombo

Prima di scrivere in merito ai vini di Olivier Laflaive, degustati durante l’evento Monza Wine Experience volevamo spendere qualche parola in merito alla prima edizione di quest’evento, organizzato dall’Agenzia di Comunicazione Visionplus di Monza, con la collaborazione di Fisar e del giornalista Aldo Fiordelli.
Qui potete trovare l’ampio programma messo in atto. Per quanto ci riguarda siamo stati a Monza giovedì 19 settembre e abbiamo notato una grande affluenza nelle botteghe del centro storico che ospitavano i vini delle varie aziende, tantoché sovente c’era carenza di bicchieri puliti. E’ pur vero che in questo caso le degustazioni erano gratuite, incrementando quindi il numero di “assaggiatori” casuali. Se possiamo fare un piccolo appunto all’organizzazione, in modo che ne possa tener conto in una futura (speriamo) edizione, abbiamo notato la mancanza di sputavino nelle varie boutiques, cosa che, per chi come noi, voleva assaggiare un discreto numero di vini (ne abbiamo assaggiati una trentina, ovvero quasi tutti) poteva creare qualche problema.

Molto belli, scenografici e funzionali gli Ape Car della “Social Wine Truk”, collocati in Piazza San Pietro Martire.


Ci hanno inoltre riferito (non c’eravamo per poterlo affermare direttamente) che c’è stata una grande affluenza di pubblico venerdì 20 settembre in Via Bergamo, dove si teneva l’evento (a pagamento in questo caso) Calici Sotto le Stelle, con oltre 400 partecipanti.
L’altro momento che ci ha visti partecipare è stata la Masterclass sui vini di Olivier Laflaive, assai interessante, anche se il titolo dato alla degustazione “Olivier Leflaive e i Cru della Borgogna” poteva essere un poco fuorviante, non essendoci in effetti alcun Cru in degustazione.

Prima dei vini eccovi però alcune sintetiche informazioni su Olivier Laflaive: la storia di Olivier Leflaive è assai particolare; nipote di Joseph, imprenditore che, dopo il fallimento delle sue imprese siderurgiche, avvenuto alla fine della prima Guerra Mondiale, decide di dedicarsi alla tenuta di famiglia in Borgogna.

Oliver Leflaive

Dopo essersi laureato in economia decide di cambiare vita e di dedicarsi alla musica, d’apprima come artista, in seguito come impresario di diversi gruppi folk.
Nuovo cambio di vita nel 1981, quando Olivier ha trentasei anni e decide di tornare in Borgogna per dedicarsi all’azienda di famiglia, ovvero il Domaine Leflaive.
Ma dopo pochi anni il suo spirito irrequieto lo spinge ad inventarsi qualcosa di nuovo e così nel 1985, dopo aver constatato di non potere esaudire le richieste di un importante distributore americano, per mancanza di vigneti nelle AOC richieste, crea la Olivier Leflaive Frères, in collaborazione con il fratello Patrick e lo zio Vincent, con lo scopo di acquistare uva e mosti, vinificarli secondo la metodologia del Domaine  di famiglia per poi venderli direttamente. Diventa in pratica un “Negociant”.
Ora Olivier vinifica le uve coltivate in oltre 120 ettari provenienti da tre tra le più famose Aoc della Côte de Beaune: Puligny-Montrachet, Chassagne-Montrachet e Mersault, oltre che dello Chablis e della Côte Chalonnaise. Gli ettari in proprietà sono diciassette, ottenuti dalla spartizione dei vigneti avvenuta nel 2010, quando Olivier decide di lasciare il Domaine Leflaive.
Non sazio della Borgogna, Olivier si mette a produrre, in collaborazione con Erick de Sousa anche Champagne (in realtà li commercializza a suo nome, collaborando però nelle scelte produttive).
Dal 1 aprile dello scorso anno i vini di Olivier sono distribuiti in Italia dalla Allegrini, la famosa azienda della Valpolicella con diramazioni in diverse parti d’Italia, tra cui, in Toscana, Poggio al Tesoro a Bolgheri e San Polo a Montalcino ed è appunto grazie a Mattia Vesentini, area manager di Allegrini che abbiamo potuto degustare i sottostanti vini:

La degustazione, tenutasi sotto i portici dell’Arengario, a Monza, è stata guidata da Aldo Fiordelli, coadiuvato da Mattia Vesentini, cinque i vini in degustazione.

Bourgogne “Les Sétilles” 2016

Le uve provengono da trentacinque ettari di vigneti, con età media di 45 anni, suddivisi in una sessantina d’appezzamenti dislocati tra Puligny-Montrachet e Mersault, tra i 230 ed i 250 metri d’altitudine, su suoli argillosi-calcarei e limosi, con abbondante presenta di ciottoli. Si tratta quindi di una denominazione regionale. Il 90% fermenta e s’affina per sette-nove mesi in barriques, il 10% delle quali nuove. Il nome del Vino “Les Sétilles” è quello del luogo dove è ubicata la cantina.
Il colore è paglierino-verdolino. Di buona intensità ed ampiezza olfattiva, presenta sentori d’erbe officinali, sfumature minerali, note di frutti bianchi e d’agrumi e leggeri accenni vanigliati che ricordano il confetto. Fresco e sapido al palato, con spiccata vena acida che gli dona una nota citrina, si colgono leggeri sentori di pietra focaia e tenui note tostate, lunga la sua persistenza.


Chablis “Les deux rives” 2015

Ci si sposta in una zona completamente diversa, ovvero nella parte più a nord della Borgogna, qui cambiano completamente i suoli, argilloso-calcarei, che prendono il nome di “Kimméridgien”, molto simili a quelli della Champagne. Anche in questo caso le uve provengono da numerosi diversi vigneti, situati sulle due sponde del fiume Serein, da qui il nome del vino. La fermentazione avviene in acciaio, come pure l’affinamento (sette mesi), solo una piccola parte (5%) matura in barriques.
Colore paglierino di buona intensità, con riflessi dorati: Intenso al naso dove si colgono sentori d’agrumi maturi (arancio) e leggeri accenni idrocarburici. Di buona struttura, minerale, con sentori di roccia e note tropicali, torna quindi alla bocca il sentore d’arancio, buona la sua persistenza.


Puligny-Montrachet 2015

Anche questo vino è frutto di uve provenienti da ben ventidue diverse parcelle, ovviamente tutte situate nel comune di Puligny-Montrachet, si tratta quindi di una Aoc Village. I suoli sono di natura argillosa-calcarea, con notevole presenza di ciottoli, l’altitudine dei vigneti varia dai 230 ai 250 metri slm. La vinificazione avviene in barriques - il 20% delle quali nuove -, dove il vino rimane per dodici mesi ad affinarsi.
Il colore è giallo paglierino con riflessi verdolini.fresco al naso, di media intensità, un poco chiuso all’inizio, s’apre quindi su accenni boisée, nocciole tostate, note d’agrumi e leggere sfumature sulfuree. Deciso alla bocca, dotato di buona struttura, con note leggermente brucianti, buona la sua persistenza.


Mersault 2015

Siamo nuovamente di fronte ad un vino frutto dell’assemblaggio di uve provenienti da più appezzamenti (una quindicina), tutti ovviamente localizzati nel villaggio di Mersault, il più vasto della Côte de Beaune. I vigneti si trovano su suoli argillo-calcarei, collocati tra 1 250 ed i 300 metri d’altitudine. Vinificazione in barriques, ed affinamento per dodici mesi negli stessi contenitori, il 20% dei quali nuovi.
Color giallo paglierino di buona intensità. Bel naso, elegante e complesso, netta la nota tostata, si colgono inoltre sentori di nocciole e note balsamiche. Strutturato, l’uso del legno piccolo è ancora piuttosto percepibile e trasmette al vino decise note tostate-affumicate, buona la sua persistenza.


Champagne Valentin Laflaive Blanc de Blancs Extra Brut “GR|14|45”

Chardonnay in purezza, le uve provengono da Grauves, village Premier Cru della Côte de Blancs. Le uve sono dell’annata 2014, con la presenza del 30% di “Vin de réserve”, l’affinamento “sur lattes” è di 42 mesi. 4,5 gr/litro il residuo zuccherino.
Il colore è giallo dorato. Nette le note tostate al naso, dove si colgono sentori di nocciole, frutto tropicale, miele e note floreali che rimandano al caprifoglio. Cremoso al palato, dotato di buona effervescenza, fresco e con buona vena acida, ritroviamo le note tostate, buona la struttura e lunga la persistenza.


Pietro Beconcini - Fresco di Nero Toscana Rosè IGT 2018

di Stefano Tesi

Un rosè “arrossato” o un rosso pallido brillante? Fate vobis, ma questo Tempranillo bio i San Miniato, vendemmiato in agosto e tenuto appena sulle bucce, fruttato e suadente, è il vino giusto per togliere la sete a chi ci dà dentro con caci e affettati. 


Che ci fa il vitigno in Toscana chiedetelo invece al produttore: è una bella storia.

pietrobeconcini.com

La Stecciaia ovvero la buona birra artigianale toscana con licenza d'inzuppo!

Su una cosa non c'è piovuto fin da subito: sull'etichetta della Gentilrossa, la birra da grano antico varietà Gentil Rosso prodotta dal biobirrificio agricolo La Stecciaia di Rapolano Terme (SI), a nessuno verrà mai l'idea di apporre quel simbolo di "divieto di inzuppo" che alcuni mesi fa ha portato alla ribalta delle cronache l'idea di un famoso produttore chiantigiano di vinsanto, Marco Ricasoli di Rocca di Montegrossi, il quale ha messo un bollino sulle sue preziose bottiglie proprio per raccomandare di non inzuppare, come si usa in trattoria, il celebre biscotto pratese nel classico vino da meditazione toscano.
La ragione per la quale alla Stecciaia il bollino non lo metteranno mai è oltremodo semplice: l'abbinamento di questa non molto spumosa rossa col cantuccio è infatti non solo consentito, ma espressamente consigliato.


Finchè il produttore in persona non me l'ha suggerito, ammetto che non ci avevo nemmeno pensato.
Per questa Dubbel (è lo stile belga della birre di abbazia) dalle sfumate note dolciastre avevo prima immaginato e poi ho praticato abbinamenti con costine alla griglia (così nel resto del mondo chiamano, un po' stucchevolmente, la rosticciana fiorentina e il costoleccio in senese), salsicce sulla brace, bistecchine di maiale per poi avventurami, con risultati pure soddisfacenti, perfino in piatti di faraona, fagiano e perfino cinghiale.
Ma coi cantucci, no. Neppure col tiramisù, a dire il vero, come invece pure suggeriscono.
E invece funziona. Questione di aroma, di mandorle, di consistenze.


Quel che è certo è che questa Gentilrossa è una birra dai riflessi ramati, con una spuma scarsa e compatta, che al naso rammenta, oltre al malto, il caffè e la cioccolata, perfino la caramella mou e i toffees tipo Quality Street, in un insieme ricco e cangiante, soprattutto se si ha l'accortezza di non berla a temperature troppo basse.
In bocca è pastosa ma scorrevole, lunga, con un intreccio di dolce e di amaro che la rendono intrigante e rivelano, a ondate, la frutta secca, una nota agrumata e una complessa coda retronasale.
Tornando ai cantucci, riconosco di aver avuto qualche esitazione a compiere l'atto estremo, quello dell'intuffo vero e proprio. Poi ho preso il coraggio a due mani e l'ho fatto.
Capperi, adesso so cosa fare dopo cena davanti al camino, durante le lunghe serate d'inverno!

Cantine del Mare - Campi Flegrei Falanghina 2017

di Luciano Pignataro

Questo bianco che ama il caldo nasce da viti piantate nella sabbia vulcanica lì dove mare, terra e fuoco si intrecciano con passione magica. 


Basta un po’ di attesa e la Falanghina a nord di Napoli diventa ricca, sapida, con note fumé, allegra e da spendere sulla cucina marinara dura e pura.

Biondi Santi: visitiamo Tenuta Greppo ora gestita da EPI della famiglia francese Descours


di Luciano Pignataro

Biondi Santi e la scommessa del tempo. Noi italiani non siamo particolarmente legati alle tradizioni familiare, fatta eccezione per la nostra ovviamente, e anche nel commercio pensiamo su tempi piuttosto brevi. Il mondo del vino è vocato a questa prospettiva, ma anche qui se ne vedono di cotte e di crude quando si tratta di imboccare scorciatoie e di inseguire le mode, un atteggiamento che vede soprattutto protagonisti gli imprenditori che investono da altri settori.

Entrata Villa Greppo

Entrare nella Biondi Santi, soprattutto adesso che ha chiuso le visite al pubblico, significa capire l’inestimabile valore del tempo in questo settore. Siamo alla storica Tenuta il Greppo, dove nacque il Brunello e, lo confessiamo, abbiamo anche un po’ di emozione perché l’ultima volta fummo accolti dal grande Franco Biondi-Santi in una visita speciale, tanto da farci entrare in casa dopo il giro in vigna e la visita al caveau dove si conservano ancora le prime due bottiglie di questo rosso prodotte nel 1888 dal nonno Ferruccio Biondi-Santi.
Nel 2016 la Tenuta è stata acquistata dalla EPI, il marchio francese del lusso e la gestione è affidata ad una visione lungimirante, poco bocconiana: Giampiero Bertolini, ex Frescobaldi, è l’amministratore delegato dal 2018, tutti i settori chiave dell’azienda sono gestiti da toscani, lo stesso Tancredi, nipote di Franco e il padre Jacopo restano come testimoni del marchio in Italia e nel mondo. E i tempi sono rimasti gli stessi, la decisione strategica è quella di dare valore alle bottiglie che già si producono, poco più di 80mila, al massimo arrivare a 110 mila dopo la riorganizzazione dei vigneti: il Rosso avrà una sua identità precisa, poi il Brunello di Montalcino e le Riserve, commercializzate come tali sono in annate straordinarie.

Gianpiero Bertolini

Dicevamo del tempo. Questa azienda ha fatto di questo fattore un dato caratterizzante non solo aspettando i tempi giusti di maturazione del vino nelle botti grandi e belle vasche di cemento uscendo sempre dopo gli altri, ma avendo anche l’intelligenza di stoccare centinaia e centinaia di bottiglie delle riserve per rivenderle dopo qualche anno. Di recente per esempio sono uscite di nuovo la 2006 e la spettacolare 1995 che resta una delle migliori di sempre.
Tenuta Greppo, 47 ettari di cui meno della metà vitati a 370 metri, è la sede storia della Biondi Santi, qui ci sono ancora le viti ad alberello piantate da Ferruccio nel 1936, ancora oggi si alternano con gli olivi (si produce anche un grande olio d’oliva). Gli altri siti vitati sono I Pieri a 370 metri, Scarnacuoia a 450 metri, Pievecchia a 200 metri.
L’intuizione di Ferruccio Biondi Santi fu di fare un vino da monovitigno, all’epoca una pratica agronomica molto rara e scelse il sangiovese, uva difficile ma molto diffusa in Toscana. La famiglia ha poi proceduto con una selezione clonale che si conclude con la registrazione del clone BBS11 nel 1978.

Vigna Scarnacuoia

Il successo della Biondi Santi è appunto nella gestione del tempo, andare piano alla fine è stato il segreto per correre meglio e più di tanti altri nel territorio perché, come sempre avviene in Italia, il boom del Brunello iniziato alla fine degli anni ‘80 e dilagato poi nel decennio successivo, ha portato a nuovi investitori, ad un allargamento della superficie ed ad una rottura dell’equilibrio di parte del territorio come è già accaduto nelle Langhe. Non sono mancate pratiche scorrette proprio per rispondere alla domanda crescente, come quando alcuni produttori furono scoperti a ”correggere” il Sangiovese con vitigni internazionali che lo rendevano più pronto e più morbido, pratica non prevista dal disciplinare della DOCG.

Cantina Alta

La Biondi Santi in questo fermento commerciale ha continuato invece a tener e il proprio passo e il passaggio di testimone di questi anni, può tranquillizzare il mondo degli appassionati.

Faccoli - Franciacorta DOCG Extra Brut 2005 Riserva

di Carlo Macchi

Basta una sniffata e un sorso di questo clamoroso Extra Brut Riserva 2005 di Faccoli per dimenticare ogni preconcetto sui Franciacorta. 


Complesso e profondo al naso, succoso e fresco in bocca. Chardonnay, pinot bianco e pinot nero per una bollicina memorabile, da una famiglia che spumantizza dagli anni Ottanta.

Wine Summit 2019: una nuova enologia per l'Alto Adige è obbligatoria!


di Carlo Macchi

Un tempo di diceva di un partito politico, di cui oramai sono rimaste solo le ceneri, che poteva essere “di lotta e di governo”. Dopo i tre giorni di Wine Summit, che ha presentato la realtà enoica altoatesina ad un nutrito numero di giornalisti italiani e internazionali mi sento di parafrasare quanto si diceva sul PCI affermando che i vini altoatesini possono essere da “Baita Daniel e da Sheraton”.

Abbiate pazienza che mi spiego.

Nei tre fittissimi giorni cadenzati da convegni, pranzi, cene, presentazioni, degustazioni con e senza i produttori sia in pianura che in alta montagna, visite in vigna con il sole o sotto la pioggia, quello che ti rimane, se scremi dalla enorme massa di cose che ti sono state messe sotto gli occhi e sotto il naso, è che l’Alto Adige vive un grande momento enologico, che nel prossimo futuro ne cambierà il profilo agronomico, enologico, commerciale mantenendo però per buona parte la sua immagine verso i consumatori. Il bello ( o il brutto) è che potrà cambiarlo in meglio come in peggio.

Baita Daniel

I vini altoatesini oramai hanno un mercato stabile in loco, nel resto dell’Italia e, per la stragrande maggioranza delle cantine, anche all’estero. Questa è una certezza confermata dai numeri e il successo ha portato tanti produttori, coadiuvati spesso da una Provincia Autonoma che i soldi sa spenderli bene, ad investire in vigna ed in cantina. In vigna il riscaldamento globale, che alcuni tecnici ipotizzano in un +5° entro il 2100, sta portando a piantare sempre più in alto, scoprendo però come la viticoltura al di sopra degli  800 metri abbia regole e dinamiche abbastanza diverse (tempi di maturazione, fioriture molto tardive e vendemmie conseguenti) nonché rischi dovuti al fatto che a quelle altezze (maggio di quest’anno lo dimostra) le gelate o addirittura le nevicate a maggio ( o magari a fine settembre)  sono abbastanza probabili.


Da considerare attentamente che questo innalzamento futuro verrà sicuramente preceduto dalla nuova divisione in Unità Geografiche Aggiuntive, con ben 86 territori vitati selezionati da un punto di vista qualitativo e che potranno essere riportati in etichetta. Ma cosa potrebbe succedere se questa suddivisione risultasse troppo “a bassa quota” per gli sviluppi viticoli futuri?   
Risposte difficili anche da dare in futuro: in definitiva la viticoltura altoatesina cambierà la sua fisionomia ma una parte di questa nuova strada dovrà essere percorsa con i piedi di piombo per tutto quello che ho detto prima.


In cantina non cambieranno tanto i vasi vinari o le barrique ma le mura esterne: in altre parole molte cantine hanno fatto o faranno investimenti per avere grandi e nuove cantine, più funzionali ma soprattutto di notevole valenza architettonica. Ne abbiamo visti degli esempi in questi giorni, ma tutti questi investimenti portano inevitabilmente un costo aggiuntivo ad ogni singola bottiglia. Da qui il non dover essere solo o principalmente vino dal grandissimo rapporto qualità/prezzo (come molti lo conoscono) per puntare ad una riconoscibilità certa anche tra i vini di alta o altissima qualità (naturalmente con prezzo adeguato). In questi giorni abbiamo degustato vini che andavano dai 10 euro agli oltre 150 e francamente questa enorme ampiezza della forbice è una recente novità.
Ma tutti questi cambiamenti non possono e non devono intaccare la base della comunicazione altoatesina, che parla di vini di montagna, freschi, bevibili, puliti. Non voglio arrivare a dire naturali perché il termine potrebbe essere equivocato, ma quando uno compra un vino dell’Alto Adige si immagina un po’ l’aria fresca di montagna (anche perché il 93% del territorio è di montagna).


Fino a qui una serie di commenti che credo logici e quasi consequenziali, però è probabile che per capire la vera essenza del vino altoatesino occorra lasciarsi un po’ andare e farsi cullare tra vigneti e aria di montagna.
E di queste due cose ne abbiamo avuta a volontà l’ultimo giorno, con un tour che ci ha portato prima tra vigneti a strapiombo su altri vigneti  e poi ai 2500 metri del Pian di Seceda, dove prima abbiamo degustato “en plain air” e poi cenato (per fortuna tra quattro mura).
Una cena che dire meravigliosa è riduttivo in un locale che definire tipico non è assolutamente restrittivo. Si chiama Baita Daniel e si può raggiungere solo a piedi d’estate o d’inverno con gli sci (si trova nel mezzo alle piste della Valgardena). Quattro piatti meravigliosi, tra cui spiccavano un tris di canederli al burro fuso e formaggio che in 50 anni di frequentazioni montane mai avevo mangiato così buoni e uno strudel di mele assolutamente perfetto.


Ma il succo di questa giornata per me sarà sempre  il contrasto vissuto tra il trovarmi alla Baita Daniel a 2500, con fuori 2 gradi e le nuvole che ti circondano minacciose e dopo poco, con un passaggio repentino, “sbucare” allo Sheraton di Bolzano, luogo con tutte le comodità e le patinate attenzioni di questo tipo di alberghi.
C’è chi preferisce la ruvida, saporita, viva accoglienza della Baita Daniel anche se scomoda da raggiungere, chi invece adora le colazioni “internazionali ma adattate al luogo” dello Sheraton.


Così ho pensato che il vino altoatesino si ritrova tra questi due estremi: può essere immerso nella verticale natura di queste montagne o patinato come un albergo a 5 Stelle. Per adesso può essere tutte e due le cose, in futuro si vedrà.

Palcoscenico Frascati IV Edizione / 14 - 15 Settembre 2019!


Sabato 14 e domenica 15 settembre 2019 torna Palcoscenico Frascati, l’evento annuale promosso dal Consorzio Tutela Denominazioni Vini Frascati.
La IV Edizione si svolgerà a Frascati, in contemporanea con la vendemmia 2019 per la produzione del Frascati Doc (anche in versione Spumante), del Frascati Superiore Docg (anche in versione Riserva) e del Cannellino di Frascati Docg.
Durante questa IV Edizione i produttori aderenti al Consorzio presenteranno i loro vini in Banchi di assaggio, con un focus particolare sull’annata 2018.
L’annata 2018* è stata particolarmente impegnativa nella zona dei Castelli Romani ma produttori e tecnici locali di esperienza hanno arginato le ripercussioni sulla vendemmia dovute alle altalenanti condizioni climatiche, contribuendo ad una raccolta di uve di qualità buona e in molti casi ottima, anche se in quantità sensibilmente inferiori rispetto alla produzione media.
Per degustare i vini l’appuntamento è in Piazza San Pietro a Frascati, sabato 14 e domenica 15 settembre, dalle ore 14 alle ore 20.
Il programma** della manifestazione è arricchito da incontri e attività legate alla cultura gastronomica tradizionale dei Castelli Romani.
Andranno in scena lo chef Stefano Bartolucci del Ristorante Rossodivino di Frascati (e Valmontone) per un cooking show a base di materie prime locali, e Oreste Molinari, vignaiolo e proprietario del Forno Molinari di Frascati, per la preparazione di dolci tradizionali a base di vino, e il mastro gelataio Roberto Troiani di Gelato di Vino di Frascati con una produzione artigianale a base di vino Frascati.
PROGRAMMA PALCOSCENICO FRASCATI 2019
Sabato 14 e domenica 15 settembre 2019
dalle ore 14,00 alle ore 20,00
Frascati – Piazza San Pietro
Ingresso libero
Banchi d’assaggio alla presenza dei produttori in cui si degusteranno i Frascati Doc (anche in versione Spumante), i Frascati Superiore Docg (anche in versione Riserva) e i Cannellino di Frascati Docg delle annate attualmente in commercio.
Elenco delle aziende presenti:
Azienda Agricola Valle Vermiglia
Azienda Agricola Villa Simone di Costantini Piero
Cantina Villafranca
Cantine San Marco
Cantine Volpetti
Casale Vallechiesa
Casata Mergé – Alma Vini
Società Agricola Gabriele Magno
Tenuta di Pietra Porzia
Vitus Vignaioli Tuscolani
Cooking Show – Ingresso libero
Sabato 14 e domenica 15 settembre 2019 – Piazza San Pietro, Frascati
Vanno in scena:
Stefano Bartolucci -del Ristorante Rosso DiVino di Frascati e di Valmontone- illustrerà la preparazione e farà degustare:
– Rocher di porchetta e stracciata (tra gli ingredienti i grissini del Forno Molinari)
– Tartare di manzo agli agrumi in salsa di fichi e sale di prosciutto
Con Stefano Bartolucci l’appuntamento è per sabato 14 settembre alle ore 16,00
***
Oreste Molinari -del Forno Molinari di Frascati- illustrerà la preparazione e farà degustare le gelatine al vino Frascati, un prodotto delicato e originale che tradizionalmente è abbinato ai formaggi vaccini locali.
Con Oreste Molinari l’appuntamento è per sabato 14 settembre alle ore 17,30
***
Roberto Troiani -della Gelateria Gelato di Vino di Frascati- proporrà una degustazione di gelati artigianali preparati utilizzando come ingrediente base il vino Frascati.
Con Roberto Troiani l’appuntamento è per domenica 15 settembre dalle ore 16,00 alle ore 18,00.

La Visciola: andata e ritorno nel cuore del Cesanese da agricoltura biodinamica

Sarà che Piero e Rosa Macciocca li incontro spesso alle fiere dei vini naturali ma, ridendo e scherzando, tra i loro vigneti e in cantina erano quasi otto anni che mancavo. 
Già, il tempo passa, mi rende i capelli più bianchi e il viso più rugoso  ma, fortunatamente, ha reso i Macciocca sempre più bravi e consapevoli della loro eccellente materia prima, il cesanese, grazie al quale da anni stanno dando vita a vini di memorabile bellezza soprattutto se confrontati all'interno del panorama enologico del Lazio.

Cosa è cambiato rispetto ad otto anni fa? Iniziando dal vigneto, i Macciocca sempre alla ricerca del qualità distintiva oltre ai tre storici vigneti (Ju Quartu, Vignali e Mozzatta) hanno aggiunto un quarto Cru, Jù Lattaro, il cui nome si ispira al precedente proprietario, un vero e proprio personaggio folcloristico della vita pigliese, che oltre a produrre vino a livello amatoriale era anche, e soprattutto, un produttore di latte della zona. 

Con Piero, ospite speciali Valerio Noro, iniziamo come di consueto il tour dei vigneti che parte proprio da Jù Lattaro che è una vigna di recente acquisizione, circa 0,3 ha, con viti di fine anni '50 molte della quali risistemate visto le pessime condizioni in cui erano state lasciate. Il terreno, come vedete, è di argilla rossa.



Dopo un rapido passaggio alla vigna sita in zona Colle del Grano, adiacente a Vignali, arriviamo nei pressi dello storico Cru Jù Quartu che, rispetto a nove anni fa, ha una maggiore estensione (siamo ora a 0,7 ha) visto che Piero ha preso in gestione anche la parte che un tempo era seguita dal cognato. Anche in questo caso siamo di fronte a viti di cesanese, sia comune che di affile, piantate negli anni '60 su un terreno di argilla rossa anche se non mancano zone dove si intravede una maggiore presenza di calcare.


Altri cinque minuti di traversata nella campagne del Piglio ed eccoci arrivati a Vignali, secondo Cru acquistato dai Macciocca dove oltre a viti di cesanese incontriamo anche buona parte della passerina che andrà nel Donna Rosa. Il vigneto è di circa un ettaro di cui più della metà a cesanese da vecchie viti. Terreno argilloso.


Come da tradizione il tour si ferma presso il Cru Mozzatta, circa 0,28 ha, da sempre di proprietà della famiglia e, fortunatamente, condotto in maniera naturale fin dalle sue origini (anni '60). 



La prossima tappa è la cantina che, rispetto al 2011, è rimasta sempre di dimensioni più che artigianali anche se dentro qualcosina è cambiato visto che sono state tolte le tre vasche di cemento per aumentare le presenza dei tini in acciaio che vanno ad affiancarsi alle botti di legno usate per il solo affinamento.




L'occasione di trovarmi con i 2018 ancora in affinamento era troppo ghiotta per non essere sfruttata e così ho chiesto a Piero di farmi degustare, in anteprima, tutti e quattro i Cru di Cesanese complice anche l'annata che, a detta dello stesso Macciocca, si è rivelata davvero promettente in quanto fresca e ben equilibrata.

Cesanese del Piglio "Jù Quartu" 2018: naso con impatto aromatico già ben definito dove si ritrovano le caratteristiche del Cru ovvero la frutta rossa croccante e la solarità. Al gusto sorprende per una piacevolezza e succosità nonostante la gioventù. Il tannino, spesso rude del cesanese, è assolutamente integrato.


Piero Macciocca

Cesanese del Piglio "Vignali" 2018
: non so ancora se è il Cru de La Visciola che preferisco ma, dopo l'esperienza della 2009, è sicuramente il più sorprendente. Anche in questa annata è un esplosione aromatica di fiori rossi e mineralità e al gusto, se chiudiamo gli occhi, questo cesanese in purezza potrebbe essere scambiato benissimo per un grande pinot nero francese. Eleganza assoluta.




Cesanese del Piglio "Jù Lattaro" 2018: ero curioso di degustare per la prima volta questo vino da questo Cru che Macciocca ha vinificato per la prima volta nel 2016 cercando di prendere fin da subito le misure. Da questo vigneto, almeno in questa annata, nasce un cesanese più strutturato dei precedenti, forse un filo più rustico, ma di grande impatto balsamico ed aromatico. Il sorso sembra ad oggi ricco ma al tempo stesso misurato e ben definito. Forse il più giovane dei vini bevuti oggi. Da aspettare.

Cesanese del Piglio "Mozzatta" 2018: da sempre è il vigneto dal quale Piero e Rosa producono il Cesanese del Piglio più complesso e sfaccettato della loro gamma. Anche in questo caso, seppur in affinamento, il Mozzata riesce magicamente a prendere tutto il bello dei Cru precedenti ovvero riesce ad essere polposo, fruttato, floreale e balsamico allo stesso tempo. Una meraviglia già adesso soprattutto al sorso dove la tensione gustativa sembra quella di un vino già in commercio. Top!

Passerina del Frusinate "Donna Rosa" 2018: non so se dipende dall'annata fresca, non so se dipende dalla maggior esperienza in vigna e in cantina con questo vitigno abbastanza ostico, ma a mio modesto parere Piero e Rosa attualmente hanno trovato la quadratura del cerchio con la loro passerina che, seppur campione di vasca, promette di diventare uno dei migliori bianchi del Lazio in circolazione da anni.


Fuori Concorso

La pasta all'Amatriciana "Macciocca Style"


La Stoppa - Ageno 2013


di Roberto Giuliani

Malvasia di Candia aromatica e uno sbuffo di ortrugo e trebbiano, macerato sulle bucce, lieviti indigeni, da un’azienda secolare, punto di riferimento del Piacentino: intenso di cedro, pesca, melagrana, ricordi floreali di fresia. 


Bocca travolgente, succosa, emozionante e dalla persistenza infinita!

Lido di Gozzano: mangiare bene presso il lago d'Orta

di Roberto Giuliani

Agosto 2019. Mese bizzarro, meno rovente di luglio, ma più imprevedibile dal punto di vista meteorologico, chi ha preso ferie in questo mese ha corso bei rischi. Certo, ultimamente, il clima sembra voler creare degli spartiacque tra nord, centro e sud, a volte tra est e ovest, in pratica diventa sempre più importante avere una gran fortuna nel luogo che si sceglie per le vacanze, non ci sono riferimenti né garanzie, bisogna armarsi di speranza e partire già con la consapevolezza che dovremo adattarci a eventuali stravolgimenti.
Così è stato per me e mia moglie, quando abbiamo deciso di passare una settimana di vacanza dal 17 al 24 agosto, periodo praticamente obbligato; l'idea era di andare nei pressi del lago d'Orta, tra Novara e Verbania, abbiamo trovato il B&B Casamariuccia a Massino Visconti, una dimora storica davvero suggestiva con vista sul lago Maggiore, perfetta per muoversi a cavallo dei due laghi. Il tempo non è stato dei migliori, tutta la zona ha visto piogge, a volte anche violente, che ci hanno accompagnato in più di un'occasione.

Lido di Gozzano - Spiaggia

Questo, però, non ci ha impedito di goderci comunque la visita a numerosi luoghi situati a distanze davvero brevi. Fra le mete "mangerecce" che avevamo scritto sul taccuino, c'era il Lido di Gozzano, un ristorante, pizzeria, lounge bar con spiaggia situato in località Buccione nel comune di Gozzano (NO), gestito nientemeno che da Paola Bertinotti e Paolo Moja, coppia nella vita, lei figlia del mitico Piero Bertinotti, chef del Pinocchio a Borgomanero, lui fornitore di attrezzature per la spiaggia e da esterno.

Esterno

Bene, ci siamo andati due volte, una per saggiare gli aperitivi godendoci il bel panorama del lago d'Orta e dell'isola di San Giulio (da non perdere l'Orta Rosa, con menta e lime, davvero rinfrescante e dissetante), l'altro a pranzo, in compagnia nientemeno che di Alfonso Rinaldi con la figlia Antonella. Alfonso, lo dico per coloro che ancora non lo conoscono, a fine anni '90 ha lasciato i negozi di abbigliamento al figlio Riccardo e si è letteralmente buttato anima e corpo alla coltivazione di una piccola vigna situata a Suno, il cui toponimo è "Costa di sera dei Tabacchei". Da quella vigna, nasce l'omonimo vino ottenuto da uva erbaluce in purezza, un bianco delle Colline Novaresi di straordinario fascino divenuto ormai oggetto di culto ben oltre la zona dove nasce.

interno

Ma torniamo al Lido di Gozzano, qui si possono gustare ottimi aperitivi accompagnati da numerose leccornie, pizze farcite, salumi e formaggi di qualità, verdure in pastella, patatine fritte e molto altro, in compagnia di qualche buona birra, di cocktails opportunamente preparati, succhi e bevande, o ancora di un ragguardevole numero di vini del territorio e non solo, da bere anche al calice.
A pranzo ho avuto modo di apprezzare varie portate: spaghetti aglio, olio e peperoncino con bottarga di lavarello del lago, tonno rosso in catalana di verdure e salmoriglio, polpo in salsa "aioli" al lime e guacamole, fino a una goduriosa coscia d'oca, saporitissima e cotta a puntino. Si sente che lo staff in cucina è stato "educato" dal grande Piero, l'esaltazione dei sapori e le cotture perfette ne sono la prova... Ma la cosa che più mi è piaciuta è l'atmosfera che ho respirato, musica di sottofondo in un ambiente sobrio e perfetto per godersi la vista sul lago, servizio preciso e cortese, ragazzi e ragazze giovani, sorridenti e capaci.
tonno rosso in catalana di verdure e salmoriglio

polpo in salsa "aioli" al lime e guacamole

coscia d'oca

Paola ha pensato a tutto, infatti dopo il pranzo c'è una breve chiusura del locale, fino alle 17, ma rimane aperto un chiosco sulla spiaggia che consente di prendersi da bere magari godendosi il sole del primo pomeriggio.
Passare una giornata o perché no, un'intera settimana al Lido, con la possibilità di visitare le tante meraviglie che circondano il lago (l'isola di San Giulio, il bellissimo borgo di Orta, Pella con il suggestivo Santuario della Madonna del Sasso, Omegna, il Sacro Monte di Orta, La Riserva Speciale del Monte Mesma (perfetta per chi ama fare escursioni nei boschi), Pettenasco e molto altro, rappresenta uno splendido modo per godersi una vacanza piacevole e spensierata.

Ristorante Lido di Gozzano

Via alla Colonia, 17 Fraz. Buccione, 28014 - Gozzano (NO)
Tel. +39 0322 913150