Tra Piemonte e Liguria: il Moro a Capriata d’Orba è il regno del piacere gastronomico

di Carlo Macchi

Sarà un caso, ma tutte le volte che arrivo a Capriata d’Orba mi accoglie un silenzio che, per dirla con Paolo Conte “Descrivervi non saprei”. In questo silenzio si cela la tranquillità di un paese del Piemonte ligure, cioè di quella terra di confine che ingloba una bella fetta delle tradizioni gastronomiche di entrambe le regioni. Siamo nel Monferrato e dal centro di Capriata d’Orba con gli occhi da una parte tocchi le colline del Gavi e dall’altra i vigneti dell’Ovadese.


Ma i miei occhi, quando arrivo nella silente piazza centrale di Capriata, sono tutti per l’insegna e l’ingresso di un ristorante che conosco bene e che frequento con gioia da tanti anni, il Moro.


In un paese così tranquillo un nome come “Il Moro” potrebbe riportare a guerre e invasioni, ma come entri nel locale e ti accoglie la tranquillità e la sobrietà fatta persona, cioè Claudio, l’unica invasione a cui puoi pensare e quella dei profumi che già ti solleticano le narici.
In cucina c’è Simona, moglie di Claudio, mano sicura e esperta che non sbaglia un colpo (e se ve lo dico io, che ci ho mangiato decine di volte, credeteci!) e che riesce sempre a sorprenderti con piatti che poggiano i piedi nella tradizione per spiccare poi il volo verso la semplicità e la concretezza di grandi sapori. Come scordarsi le semplicissime ma monumentali acciughe fritte che, quando è stagione, Claudia “mi obbliga” ad ordinare e potrei andare avanti con altri piatti e sapori ma prima voglio farvi sedere comodamente, nelle linde e accoglienti sale e salette (d’estate c’è anche un grande spazio esterno) dove ti senti come un bambino nella pancia della mamma. Apparecchiatura perfetta ma non ricercata e piglio distinto degli altri ragazzi in sala vi faranno scordare anche la mamma, ma non la pancia che avrà già iniziato a borbottare.

Agnolotti - Foto: http://ristoranti.travelitalia.com

E per far fermare il borbottio niente di meglio che una piemontesissima carne cruda di fassona battuta al coltello o uno sformato di peperoni con salsa di acciughe sotto sale, che punta più verso i lidi liguri, mentre di estremamente locale c’è la testa in cassetta di Gavi.
Naturalmente vi sto parlando del menù autunno-inverno, perché Claudio e Simona lo variano spesso, anche se alcuni piatti (per fortuna!!) ci sono sempre, come gli agnolotti nei tre modi della tradizione, cioè “a culo nudo” “nel vino e “al tocco”. Questi non ve li potete perdere perché mettono assieme leggerezza, sostanza e storia.
Naturalmente in questa stagione autunnale non mancano i funghi per un gustoso risotto e i tartufi bianchi. L’ultima volta sono stato al Moro a fine settembre e vicino a me, sotto la cupola di vetro, c’era un tartufo bianco che (nonostante non fosse ancora stagione piena) aveva un profumo che faceva resuscitare i morti. Ma ci sono altri modi con cui Simona e Claudio vi faranno resuscitare, tipo lo Stoccafisso in insalata con patate e olive taggiasche o la Lingua bollita con bagnetto verde. Naturalmente c’è sempre qualche fuori carta: l’ultimo era una trippa con i fagioli da applauso a scena aperta.
Se vi resta ancora spazio vi consiglio di provare la loro scelta di formaggi e magari un Bunet con zabaione al moscato.

Formaggi - Foto: Marcel Egger

Sui vini brilla il Piemonte con tante etichette locali molto interessanti (Gavi e Monferrato in primis) ma naturalmente la carta spazia sull’Astigiano e sulla Langa, puntando anche a mirate etichette fuori regione, tutte con ricarichi assolutamente onesti.
Un pranzo luculliano dall’antipasto al dolce vi costerà meno di 50 euro (vini esclusi) e soprattutto vi farà gustare piatti che non scorderete facilmente. Se ve li scordaste niente paura, Simona e Claudio sono sempre lì, nel centro del silenzio di Capriata d’Orba, pronti a accogliervi.

Claudio e Simona - Foto: Tripadvisor

Premio Qualità “Vino Ducale” per il Cabernet Atina DOC


di Antonio Di Spirito

Il ristorante “Le Cannardizie” organizza il premio-qualità dedicato alla figura di Giovanni Palombo, promotore della denominazione “Cabernet Atina DOC”.
L’evento è promosso dal Comune di Atina e dal Consorzio di tutela dell’Atina DOC, in collaborazione con associazione IRIS, Centro Studi S.S. Atina, Istituto Agrario di Alvito, Pro Loco di Atina e Pro Loco di Alvito.
Gli obiettivi del progetto sono molteplici ed identitari della cultura agricola e sociale locale:
Far conoscere la DOC ad assaggiatori professionisti che sappiano apprezzare i vini dell’areale e promuoverli ai tanti appassionati coinvolti nei vari settori enologici;
Ricordare un produttore speciale che ha fatto di tutto per costituire il comitato promotore dell’Atina DOC
Mettere a confronto, dopo vent’anni di produzione, gli stessi prodotti e le radici comuni derivanti dalla storia del Cabernet MONUMENTALE costruito sulla storia di Pasquale Visocchi (l’agronomo dell’Ottocento che ha definito le sorti della viticoltura locale e che ha studiato e sperimentato i vari vitigni francesi).
La giornata dedicata all’evento, Domenica 27 ottobre 2019, avrà il seguente programma: nella mattinata si effettueranno visite in cantina; tutti i partecipanti all’evento saranno informati dal personale delle due pro loco (Atina e Alvito) e saranno consegnate loro delle mappe geografiche con indicazione dei punti di degustazione. Durante la pausa pranzo ognuno potrà scegliere liberamente i ristoranti convenzionati. Alle ore 16:00 inizierà il segmento dedicato al premio/concorso Vino Ducale presso la Sala di Rappresentanza del Comune di Atina.


Il giudizio sui vini sarà prodotto da una commissione formata da nove giudici, strutturata come segue:

Tre giornalisti:
Antonio Di Spirito – presidente della commissione (giornalista enogastronomico per: Guida ai Vini d’Italia de L’Espresso – Luciano Pignataro Wine blog – Cucina e Vini),
Francesco D’Agostino (Direttore Responsabile di Cucina e Vini),
Andrea Petrini (Percorsi di Vino Wine Blog);

Tre stimati enologi NON impegnati in attività professionali nell’ambito della Atina DOC: Chiara Fabietti, Maurizio De Simone, Vincenzo Mercurio;

Tre sommelier provenienti dalle tre maggiori associazioni AIS, FIS, FISAR, rispettivamente: Emanuela Di Palma, Antonio Abbate e Alice Lupi.


La sistemazione della sala sarà similare a quella predisposta per un concorso ministeriale, allestita per una degustazione alla cieca di quattro tipologie di vini: Bianchi, Rosati, Rossi DOC di ultima annata e Rossi Riserva; la scelta dei vini portati in gara sarà a discrezione delle aziende partecipanti.
Il confronto darà la possibilità a tutti i produttori della DOC, anche ai non associati al Consorzio di Tutela; questa scelta ha lo scopo di mettere a confronto tutti i vini e cogliere tutte le loro particolarità che, grazie alla geografia della DOC, sono ricchi di sfumature floreali e frutti naturali.
Verso le ore 18,30 la giuria comunicherà i vincitori delle varie categorie (Bianchi, Rosati, Rossi e Riserva) e, a seguire, ci sarà una mini convention con consegna dei premi.
Alle ore 20,00 sarà organizzata una degustazione dei vini in collaborazione con IRIS, associazione per la ricerca di cure ed assistenza al malato oncologico.

Bonavita - Faro DOC 2012


di Roberto Giuliani

Ripescato dalla cantina, il Faro 2012 ottenuto da nocera, nerello mascalese e cappuccio, era ancora frutto della mano esperta di Carmelo Scarfone, accompagnato dal figlio Giovanni. 


Emozione doppia nel ricordare la sua scomparsa e nell’apprezzare un vino che sussurra con garbo il canto della terra.

Terre di Vite 2019: vino, arte e cultura il 26 e 27 ottobre al Castello di Levizzano


Non nascondo che provo sempre una certa emozione all’avvicinarsi di Terre di Vite. Nato nel 2009, quasi come un gioco, dalla fantasia di Barbara Brandoli di Divino Scrivere ed Elena Conti, nota produttrice di Boca, è diventato subito un evento del tutto particolare, dove il vino rappresenta l’aspetto principale, ma affiancato anche da mostre d’arte e seminari, nelle sale del Castello di Levizzano, a due passi da Modena.
Quando Barbara mi ha proposto di collaborare, ho accolto con gioia l’invito, perché ho sentito che era il modo di comunicare il vino che piace a me.


I vignaioli sono protagonisti, ma anche l’ambiente fa la sua parte, si crea un’atmosfera del tutto particolare, la gente non si limita a curiosare e assaggiare, ma ha bisogno di capire, di percepire cosa c’è dietro a questo prezioso liquido, qual è la ragione del suo fascino. Gli spazi del castello sembrano favorire il dialogo fra produttore e visitatore, si crea intimità nonostante i numerosi partecipanti, nascono racconti, scambi di idee, punti di vista, emozioni che trovano il giusto compimento nell’assaggio di vini mai banali.

Per tutti coloro che non sono ancora stati a Terre di Vite mi sembra giusto riportare qui il suo manifesto:
Il vino è il punto esatto in cui la terra incontra la poesia: Terre di vite nasce per raccontare questo incontro attraverso volti, suoni, immagini e parole. Abbiamo deciso di dedicare le nostre energie e la nostra passione a questo progetto perché siamo persuasi che attorno al vino vi sia la necessità di momenti di aggregazione, promozione e convivialità che sappiano essere anche occasioni di crescita.
Terre di vite si propone di essere una sorta di “zona franca” all’interno della quale sia possibile restituire al vino e alla terra una dimensione più profonda e autentica, al fine di rendere loro quella dignità spesso sacrificata per assecondare le indicazioni del marketing e delle mode.
Abbiamo pensato e realizzato questo progetto innanzitutto nella consapevolezza che l’arte e la cultura hanno sempre la forza di avvicinare le persone. E che il vino alla fine è soprattutto questo: un pretesto per stare insieme”.
Quest’anno Terre di Vite è alla sua nona edizione, sabato 26 e domenica 27 ottobre, a proporre i loro vini ai banchi d’assaggio (con possibilità di acquisto) ci saranno 73 aziende provenienti da tutta Italia e non solo, accomunate dal legame con la terra e i rispettivi territori, ma anche da un’idea del vino che ha molto a che fare con la capacità di confronto e con l’accettazione delle differenze.
Gli appassionati potranno assaggiare in degustazione libera, tra gli altri, un vino leggendario come il Barbacarlo di Lino Maga – passione irrinunciabile di Gianni Brera e Luigi Veronelli – i tesori della tradizione valtellinese di Ar.Pe.Pe (ma anche quelli di alcuni vignaioli emergenti della zona come Terrazzi Alti, Sasso Vivo e Franzina), i bianchi inaspettati del Piemonte di Carlo Daniele Ricci e quel Brunello Vigna Soccorso di Tiezzi, che è una delle rappresentazioni più classiche e celebrate di Montalcino. L’Emilia si vedrà rappresentata per intero, con i frizzanti della tradizione come con delle perle sconosciute ai più ma capaci di confermare una potenzialità e una vocazione fuori dal comune.

Apertura banchi d'assaggio: sabato 15:00 - 21:00 - domenica 11:00 - 20:00

Contributo d’ingresso 15 Euro + 5 Euro cauzione calice

Contributo ridotto (10 Euro) per i soci Ais, Onav, Fisar, Slow Food, Aies

Per Informazioni: info@divinoscrivere.it

Uno spazio è poi riservato alla parte gastronomica, con l’immancabile Nunzio de Lo Stallo del Pomodoro di Modena, che proporrà i suoi panini con formaggi e affettati da urlo (straordinaria la ventresca!). Ci saranno anche proposte dolciarie, miele, biscotti, composte e succhi di frutta.
Come a ogni edizione, Terre di Vite propone un tema centrale sul quale vertono i seminari condotti da Sandro Sangiorgi, direttore di Porthos, giornalista fra i più apprezzati di settore; per la nona edizione è stato scelto il tema dell’accoglienza, argomento mai tanto attuale.

Eccoli nel dettaglio:

Sabato 26 Ottobre dalle ore 13.00 - “Il tema dell’accoglienza” conversazione pubblica tra il direttore di Porthos Sandro Sangiorgi e Valeria Bochi, antropologa ed esperta di cooperazione allo sviluppo - Ingresso libero fino a esaurimento posti.

Domenica 27 Ottobre dalle ore 13.00 - "Accoglienza mediterranea", degustazione/seminario ideata e condotta da Sandro Sangiorgi. In degustazione sei vini tra i più interessanti del Meditteraneo.
Prenotazione obbligatoria all'email: info@divinoscrivere.it oppure tel: 338-5474185.
Quota di partecipazione 35 € (sconti da applicare ai soci Ais, Fisar, Onav, Slow Food, Aies) - per info qui


Ma come vi avevo già accennato, Terre di Vite dà spazio anche all’arte, infatti in alcune sale del castello per tutte e due le giornate saranno esposte le opere dell’associazione Aerografisti Italiani Riuniti (AIR); l’aerografia è una delle arti visive che si sta imponendo con maggiore forza, anche grazie al fascino che esercita sul pubblico giovane in virtù di una nitidezza e di un’immediatezza espressiva che trovano pochi riscontri. L’associazione che è riuscita a raccogliere al suo interno il meglio della produzione italiana di settore, si adopera per promuovere attraverso esposizioni e partecipazioni a eventi culturali. Tra i fondatori dell’associazione ci sono artisti come Renato Casaro (illustratore molto ricercato nell’ambiente cinematografico americano), quell’Alberto Ponno che è probabilmente l’illustratore iperrealista più conosciuto al mondo, l’artista della Casa reale britannica Claudio Mazzi, poi ancora illustratori del calibro di Giorgio Guazzi, Salvatore Cosentino, Mario Romani, Arianna Fugazza, Frank FK e Alex Lorenzi.
Il fascino della pittura ad aerografo sta anche nell’esecuzione diretta: per questo gli artisti di AIR si esibiscono in performance live itineranti, come  accadrà nelle sale del castello di Levizzano durante le due giornate di manifestazione. Un’occasione per avvicinarsi a una forma di arte visiva che avrà molto da raccontare negli anni a venire.

Per informazioni e materiali illustrativi: ariannafugazza@gmail.com

Il museo Rosso Graspa
Per la prima volta il pubblico di Terre di Vite avrà la possibilità di accedere al Museo del vino e della società rurale Rosso Graspa (www.castellolevizzano.it), inaugurato nell’aprile scorso dall’Amministrazione comunale di Castelvetro. All’interno del museo si collocano numerose testimonianze della vita dei campi: attrezzi agricoli, strumenti per la lavorazione del legno, utensili per la lavorazione dell'uva, oltre a una mostra fotografica che illustra in modo piacevole e accattivante le dinamiche sociali e le buone pratiche agricole della società contadina.

La lista produttori la trovate al seguente link Terre di Vite

Tenuta Olim Bauda – Nizza DOCG 2015

di Andrea Petrini

Nizza e Barbera, un binomio vincente soprattutto se a gestire le danze è Gianni Bertolino


Questo Nizza DOCG interpreta al massimo il territorio di appartenenza, è una barbera profonda, strutturata, carica di sentori di frutta ma al tempo stesso fresca ed elegante come un vestito di Audrey Hepburn. Chapeau!

Castello Bonomi presenta l'Erbamat, il nuovo autoctono franciacortino – Garantito IGP


di Andrea Petrini

Castello Bonomi, con sede a Coccaglio, ai piedi del Monte Orfano, con la sua estensione pari a 24 ettari di splendidi vigneti sviluppati a gradoni,  affonda le sue radici nel XIX secolo.  La tenuta, infatti, deve il suo nome all'edificio liberty di fine Ottocento commissionato dalla famiglia del rivoluzionario Andrea Tonelli, noto carbonaro e precursore del Risorgimento, ad uno degli architetti più importanti dell'epoca, Antonio Tagliaferri. La tenuta fu successivamente acquistata dall’ingegner Bonomi, ancora oggi proprietario del Castello, che, negli anni Novanta, diede avvio al recupero dei vigneti terrazzati esistenti, gestiti invece dal 2008 con grandissimo successo e passione dalla famiglia Paladin, attraverso un contratto di affitto a lungo termine.

L'azienda e i vigneti visti dall'alto

L’azienda, qualche giorno fa, in assoluta anteprima, ha presentato a  Roma, presso la suggestiva “Divinity Terrace” dell'Hotel The Pantheon, una piccola, ma significativa verticale di Erbamat, dal 2011 al 2014!

Il Progetto è stato cercato e voluto dal Consorzio Tutela Franciacorta per valorizzare una viticoltura di territorio, che ha radici antiche, con la coltivazione di un'uva dalla peculiare maturazione tardiva, che a sua volta permette di compensare gli effetti dei cambiamenti climatici e di allungare di conseguenza il momento vendemmiale. Questo Progetto nasce da lontano, quando cinque coraggiose aziende hanno accolto per prime la sfida, scegliendo di recuperare e valorizzare l'antico vitigno, citato per la prima volta nel 1564 dall'agronomo italiano Agostino Gallo, nell'opera “Le venti giornate dell'agricoltura e dei piaceri della villa”. Il vero primato di Castello Bonomi è tuttavia quello di aver scelto di vinificare separatamente queste uve, sin dal 2011.

La cantina di Castello Bonomi

Dal 2012 sono stati effettuati monitoraggi delle fasi fenologiche su Erbamat, studiandone le uve per verificarne le curve di maturazione, sono state allestite delle prove di potatura allo scopo di valutare la fertilità del grappolo ed il vigore. Inoltre, sono stati fatti diversi studi sulla vinificazione dell’Erbamat e sulla sua espressione come base spumante allinterno dei Franciacorta.

Ne risultò un profilo interessante: l'Erbamat è un vitigno a maturazione relativamente tardiva, circa un mese dopo rispetto allo Chardonnay, con un buon corredo acidico, in particolare malico, capace di compensare almeno in parte il rischio di riduzione dell’acidità nei vini base. Proprio l’acidità spumante è un elemento fondamentale per conferire freschezza e longevità e va quindi preservata il più possibile. Questo vitigno contribuisce perciò alla freschezza delle basi senza però stravolgerne il profilo, così come è conosciuto dal pubblico del Franciacorta, grazie alla sua sostanziale neutralità aromatica. A distanza di alcuni anni dalla sperimentazione, in base alla bontà dei risultati, oggi l’Erbamat è previsto da disciplinare del Franciacorta nella misura massima del 10%.

Grappolo di Erbamat - Foto: Federvini

La Cuvée 1564, presentata a Roma con una verticale quattro annate, è un Metodo Classico VSQ: ha un uvaggio composto da Erbamat in un quantitativo compreso tra il 30% e il 40%, il restante suddiviso in parti uguali tra Chardonnay e Pinot Nero, ed è il risultato dell'importante lavoro svolto dal team di Ricerca & Sviluppo, guidato dal professore Leonardo Valenti e dagli enologi Luigi Bersini e Alessandro Perletti.


La degustazione verticale inizia subito con una chicca, una sperimentazione assoluta, ovvero uno spumante 100% Erbamat portato in degustazione come pietra di paragone con gli altri vini in successione. In effetti lo spumante è come mi aspettavo: deciso, sapido, con una acidità spinta che indubbiamente non so in quanti potrebbero apprezzare. Da qui la volontà di tagliare l’Erbamat con altri vitigni in grado di dare complessità e maggiore morbidezza.

La Cuvée 1564 2011, chiamiamola versione ufficiale anche se in realtà non uscirà mai in commercio, ha una percentule di erbamat del 32% e si presenta, nonostante otto anni di affinamento, assolutamente integra grazie ad una vendemmia che in Franciacorta giudicano eccellente. Naso molto intenso, quasi aromatico, dove ritrovo gli agrumi e il melone bianco con cenni di leggera tostatura. Sorso dinamico, tagliente nella sua sinergia acido-sapida che poggia su un corpo decisamente all’altezza.


La Cuvée 1564 2012, che vanta una percentuale di Erbamat pari al 38%, ha ricordi di erba limoncella, glicine, agrumi e soffi minerali. Al sorso è brioso per freschezza e sapidità e foriero di coerenti ritorni aromatici anche se il vino cede un po’ troppo nel finale la cui persistenza non è indimenticabile.


La Cuvée 1564 2013, che vanta sempre una percentuale di Erbamat pari al 38%, è la bottiglia che mi ha convinto di più di questa verticale anche se l’annata in Franciacorta non è considerata tra le migliori. Naso ricco, complesso, aromatico, dove ritrovo sensazioni di uvaspina, agrumi, fiori di campo, glicine e nuance minerali. Alla beva è uno spumante cremoso per effervescenza, fresco e dalla sapidità saettante. Retrolfatto fruttato e lungo.


La Cuvée 1564 2014, che vanta una percentuale di Erbamat del 32%, sarà la prima a comparire sul mercato nel 2020, nel quantitativo limitato, e solo per amatori, di 800 bottiglie. Figlia di una annata apparentemente negativa, si fa apprezzare per eleganza nei sentori agrumati e floreali e per un corpo esile ma assolutamente vibrante che non cede nulla in termini tensione acido-sapida che rappresenta un bonus per chi, come me, ama la verticalità e la versatilità di certi spumanti adatti ad accompagnare dall’inizio alla fine un pasto decisamente importante. Piccola chicca da comprare assolutamente quando uscirà tra pochi mesi.

Azienda Agricola Tosca: Incrocio Manzoni 2017

Di Lorenzo Colombo

Vite Natural Durante è il nome dato alla linea di vini biologici dell’Azienda Agricola Tosca, di Pontida. Noi abbiamo assaggiato l’Incrocio Manzoni 2017, vino nel quale si coglie la classe dei suoi genitori: la struttura e la finezza del Pinot bianco e le note idrocarburiche del Riesling.


Da provare assolutamente.


Il mito di Oliver Leflaive al Monza Wine Experience


di Lorenzo Colombo

Prima di scrivere in merito ai vini di Olivier Laflaive, degustati durante l’evento Monza Wine Experience volevamo spendere qualche parola in merito alla prima edizione di quest’evento, organizzato dall’Agenzia di Comunicazione Visionplus di Monza, con la collaborazione di Fisar e del giornalista Aldo Fiordelli.
Qui potete trovare l’ampio programma messo in atto. Per quanto ci riguarda siamo stati a Monza giovedì 19 settembre e abbiamo notato una grande affluenza nelle botteghe del centro storico che ospitavano i vini delle varie aziende, tantoché sovente c’era carenza di bicchieri puliti. E’ pur vero che in questo caso le degustazioni erano gratuite, incrementando quindi il numero di “assaggiatori” casuali. Se possiamo fare un piccolo appunto all’organizzazione, in modo che ne possa tener conto in una futura (speriamo) edizione, abbiamo notato la mancanza di sputavino nelle varie boutiques, cosa che, per chi come noi, voleva assaggiare un discreto numero di vini (ne abbiamo assaggiati una trentina, ovvero quasi tutti) poteva creare qualche problema.

Molto belli, scenografici e funzionali gli Ape Car della “Social Wine Truk”, collocati in Piazza San Pietro Martire.


Ci hanno inoltre riferito (non c’eravamo per poterlo affermare direttamente) che c’è stata una grande affluenza di pubblico venerdì 20 settembre in Via Bergamo, dove si teneva l’evento (a pagamento in questo caso) Calici Sotto le Stelle, con oltre 400 partecipanti.
L’altro momento che ci ha visti partecipare è stata la Masterclass sui vini di Olivier Laflaive, assai interessante, anche se il titolo dato alla degustazione “Olivier Leflaive e i Cru della Borgogna” poteva essere un poco fuorviante, non essendoci in effetti alcun Cru in degustazione.

Prima dei vini eccovi però alcune sintetiche informazioni su Olivier Laflaive: la storia di Olivier Leflaive è assai particolare; nipote di Joseph, imprenditore che, dopo il fallimento delle sue imprese siderurgiche, avvenuto alla fine della prima Guerra Mondiale, decide di dedicarsi alla tenuta di famiglia in Borgogna.

Oliver Leflaive

Dopo essersi laureato in economia decide di cambiare vita e di dedicarsi alla musica, d’apprima come artista, in seguito come impresario di diversi gruppi folk.
Nuovo cambio di vita nel 1981, quando Olivier ha trentasei anni e decide di tornare in Borgogna per dedicarsi all’azienda di famiglia, ovvero il Domaine Leflaive.
Ma dopo pochi anni il suo spirito irrequieto lo spinge ad inventarsi qualcosa di nuovo e così nel 1985, dopo aver constatato di non potere esaudire le richieste di un importante distributore americano, per mancanza di vigneti nelle AOC richieste, crea la Olivier Leflaive Frères, in collaborazione con il fratello Patrick e lo zio Vincent, con lo scopo di acquistare uva e mosti, vinificarli secondo la metodologia del Domaine  di famiglia per poi venderli direttamente. Diventa in pratica un “Negociant”.
Ora Olivier vinifica le uve coltivate in oltre 120 ettari provenienti da tre tra le più famose Aoc della Côte de Beaune: Puligny-Montrachet, Chassagne-Montrachet e Mersault, oltre che dello Chablis e della Côte Chalonnaise. Gli ettari in proprietà sono diciassette, ottenuti dalla spartizione dei vigneti avvenuta nel 2010, quando Olivier decide di lasciare il Domaine Leflaive.
Non sazio della Borgogna, Olivier si mette a produrre, in collaborazione con Erick de Sousa anche Champagne (in realtà li commercializza a suo nome, collaborando però nelle scelte produttive).
Dal 1 aprile dello scorso anno i vini di Olivier sono distribuiti in Italia dalla Allegrini, la famosa azienda della Valpolicella con diramazioni in diverse parti d’Italia, tra cui, in Toscana, Poggio al Tesoro a Bolgheri e San Polo a Montalcino ed è appunto grazie a Mattia Vesentini, area manager di Allegrini che abbiamo potuto degustare i sottostanti vini:

La degustazione, tenutasi sotto i portici dell’Arengario, a Monza, è stata guidata da Aldo Fiordelli, coadiuvato da Mattia Vesentini, cinque i vini in degustazione.

Bourgogne “Les Sétilles” 2016

Le uve provengono da trentacinque ettari di vigneti, con età media di 45 anni, suddivisi in una sessantina d’appezzamenti dislocati tra Puligny-Montrachet e Mersault, tra i 230 ed i 250 metri d’altitudine, su suoli argillosi-calcarei e limosi, con abbondante presenta di ciottoli. Si tratta quindi di una denominazione regionale. Il 90% fermenta e s’affina per sette-nove mesi in barriques, il 10% delle quali nuove. Il nome del Vino “Les Sétilles” è quello del luogo dove è ubicata la cantina.
Il colore è paglierino-verdolino. Di buona intensità ed ampiezza olfattiva, presenta sentori d’erbe officinali, sfumature minerali, note di frutti bianchi e d’agrumi e leggeri accenni vanigliati che ricordano il confetto. Fresco e sapido al palato, con spiccata vena acida che gli dona una nota citrina, si colgono leggeri sentori di pietra focaia e tenui note tostate, lunga la sua persistenza.


Chablis “Les deux rives” 2015

Ci si sposta in una zona completamente diversa, ovvero nella parte più a nord della Borgogna, qui cambiano completamente i suoli, argilloso-calcarei, che prendono il nome di “Kimméridgien”, molto simili a quelli della Champagne. Anche in questo caso le uve provengono da numerosi diversi vigneti, situati sulle due sponde del fiume Serein, da qui il nome del vino. La fermentazione avviene in acciaio, come pure l’affinamento (sette mesi), solo una piccola parte (5%) matura in barriques.
Colore paglierino di buona intensità, con riflessi dorati: Intenso al naso dove si colgono sentori d’agrumi maturi (arancio) e leggeri accenni idrocarburici. Di buona struttura, minerale, con sentori di roccia e note tropicali, torna quindi alla bocca il sentore d’arancio, buona la sua persistenza.


Puligny-Montrachet 2015

Anche questo vino è frutto di uve provenienti da ben ventidue diverse parcelle, ovviamente tutte situate nel comune di Puligny-Montrachet, si tratta quindi di una Aoc Village. I suoli sono di natura argillosa-calcarea, con notevole presenza di ciottoli, l’altitudine dei vigneti varia dai 230 ai 250 metri slm. La vinificazione avviene in barriques - il 20% delle quali nuove -, dove il vino rimane per dodici mesi ad affinarsi.
Il colore è giallo paglierino con riflessi verdolini.fresco al naso, di media intensità, un poco chiuso all’inizio, s’apre quindi su accenni boisée, nocciole tostate, note d’agrumi e leggere sfumature sulfuree. Deciso alla bocca, dotato di buona struttura, con note leggermente brucianti, buona la sua persistenza.


Mersault 2015

Siamo nuovamente di fronte ad un vino frutto dell’assemblaggio di uve provenienti da più appezzamenti (una quindicina), tutti ovviamente localizzati nel villaggio di Mersault, il più vasto della Côte de Beaune. I vigneti si trovano su suoli argillo-calcarei, collocati tra 1 250 ed i 300 metri d’altitudine. Vinificazione in barriques, ed affinamento per dodici mesi negli stessi contenitori, il 20% dei quali nuovi.
Color giallo paglierino di buona intensità. Bel naso, elegante e complesso, netta la nota tostata, si colgono inoltre sentori di nocciole e note balsamiche. Strutturato, l’uso del legno piccolo è ancora piuttosto percepibile e trasmette al vino decise note tostate-affumicate, buona la sua persistenza.


Champagne Valentin Laflaive Blanc de Blancs Extra Brut “GR|14|45”

Chardonnay in purezza, le uve provengono da Grauves, village Premier Cru della Côte de Blancs. Le uve sono dell’annata 2014, con la presenza del 30% di “Vin de réserve”, l’affinamento “sur lattes” è di 42 mesi. 4,5 gr/litro il residuo zuccherino.
Il colore è giallo dorato. Nette le note tostate al naso, dove si colgono sentori di nocciole, frutto tropicale, miele e note floreali che rimandano al caprifoglio. Cremoso al palato, dotato di buona effervescenza, fresco e con buona vena acida, ritroviamo le note tostate, buona la struttura e lunga la persistenza.


Pietro Beconcini - Fresco di Nero Toscana Rosè IGT 2018

di Stefano Tesi

Un rosè “arrossato” o un rosso pallido brillante? Fate vobis, ma questo Tempranillo bio i San Miniato, vendemmiato in agosto e tenuto appena sulle bucce, fruttato e suadente, è il vino giusto per togliere la sete a chi ci dà dentro con caci e affettati. 


Che ci fa il vitigno in Toscana chiedetelo invece al produttore: è una bella storia.

pietrobeconcini.com

La Stecciaia ovvero la buona birra artigianale toscana con licenza d'inzuppo!

Su una cosa non c'è piovuto fin da subito: sull'etichetta della Gentilrossa, la birra da grano antico varietà Gentil Rosso prodotta dal biobirrificio agricolo La Stecciaia di Rapolano Terme (SI), a nessuno verrà mai l'idea di apporre quel simbolo di "divieto di inzuppo" che alcuni mesi fa ha portato alla ribalta delle cronache l'idea di un famoso produttore chiantigiano di vinsanto, Marco Ricasoli di Rocca di Montegrossi, il quale ha messo un bollino sulle sue preziose bottiglie proprio per raccomandare di non inzuppare, come si usa in trattoria, il celebre biscotto pratese nel classico vino da meditazione toscano.
La ragione per la quale alla Stecciaia il bollino non lo metteranno mai è oltremodo semplice: l'abbinamento di questa non molto spumosa rossa col cantuccio è infatti non solo consentito, ma espressamente consigliato.


Finchè il produttore in persona non me l'ha suggerito, ammetto che non ci avevo nemmeno pensato.
Per questa Dubbel (è lo stile belga della birre di abbazia) dalle sfumate note dolciastre avevo prima immaginato e poi ho praticato abbinamenti con costine alla griglia (così nel resto del mondo chiamano, un po' stucchevolmente, la rosticciana fiorentina e il costoleccio in senese), salsicce sulla brace, bistecchine di maiale per poi avventurami, con risultati pure soddisfacenti, perfino in piatti di faraona, fagiano e perfino cinghiale.
Ma coi cantucci, no. Neppure col tiramisù, a dire il vero, come invece pure suggeriscono.
E invece funziona. Questione di aroma, di mandorle, di consistenze.


Quel che è certo è che questa Gentilrossa è una birra dai riflessi ramati, con una spuma scarsa e compatta, che al naso rammenta, oltre al malto, il caffè e la cioccolata, perfino la caramella mou e i toffees tipo Quality Street, in un insieme ricco e cangiante, soprattutto se si ha l'accortezza di non berla a temperature troppo basse.
In bocca è pastosa ma scorrevole, lunga, con un intreccio di dolce e di amaro che la rendono intrigante e rivelano, a ondate, la frutta secca, una nota agrumata e una complessa coda retronasale.
Tornando ai cantucci, riconosco di aver avuto qualche esitazione a compiere l'atto estremo, quello dell'intuffo vero e proprio. Poi ho preso il coraggio a due mani e l'ho fatto.
Capperi, adesso so cosa fare dopo cena davanti al camino, durante le lunghe serate d'inverno!

Cantine del Mare - Campi Flegrei Falanghina 2017

di Luciano Pignataro

Questo bianco che ama il caldo nasce da viti piantate nella sabbia vulcanica lì dove mare, terra e fuoco si intrecciano con passione magica. 


Basta un po’ di attesa e la Falanghina a nord di Napoli diventa ricca, sapida, con note fumé, allegra e da spendere sulla cucina marinara dura e pura.