Gasthaus Torgglhof: a Penon c'è tanto gusto!


E’ stato amore al primo canederlo. Anche perché contornato da un ragù di agnello da leccarsi i baffi. Non credendo al mio palato ho cercato la conferma in una finissima e saporita crema di asparagi e ancora incredulo e sicuramente non sazio ho rilanciato gustandomi un brasato di manzo morbido e succoso con una polenta veramente eccellente. Naturalmente non mi sono perso l’insalata di cavolo cappuccio con speck, perfetta nel dosaggio tra senape e olio extravergine.

Foto: www.suedtirol.info

Il bello è che tutto questo l’ho gustato senza avere la minima idea di chi l’avesse preparato!
Ma andiamo con calma: ero a Penon, un piccolo borgo sopra a Cortaccia, per Sauvignon Experience, la manifestazione altoatesina che oltre ad organizzare il primo Concorso nazionale per il Sauvignon, prevedeva anche altre incontri incentrati su questo vitigno.
Avevamo terminato la sessione mattutina di degustazione per il concorso e ci viene annunciato che dalle 12 (orario altoatesino) il catering servirà il pranzo. Avendo terminato un po’ prima sono uscito in tempo per veder arrivare “il catering”, cioè una macchina piuttosto piccola dalla cui bauliera sono uscite fuori quattro pentole di formato quasi casalingo.
Registro mentalmente la cosa senza dargli troppa importanza e aspetto le 12. Dalle 12.01 è successo quello che ho scritto all’inizio. Quattro preparazioni perfette e buonissime in un “catering” non le avevo mangiate da quando Annibale valicò le Alpi e quindi mi avvicino al tavolo di servizio per chiedere ad una signora che presumo essere la cuoca dove si trovi il suo ristorante. Lei mi guarda un po’ stupita e mi dice “Guardi che il cuoco è lui!”
Il lui è un giovanissimo ragazzo biondo che, un po’ imbarazzato, mi dice che il suo locale si trova in paese.
Gli faccio i complimenti e gli chiedo un biglietto da visita. Lui mi guarda e confessa di non averne nemmeno uno. Ci viene in aiuto il suo grembiule azzurro con il nome del locale, che io fotografo e la cosa finisce lì.
In realtà non finisce per niente lì! Nei due giorni seguenti sono andato ben due volte a mangiare al Torgglhof e così ho avuto modo di testare con attenzione la cucina del giovanissimo (25 anni!) Alex Kaspareth, che per ben otto anni si è fatto le ossa in un ristorante a Cortaccia e da poco tempo è tornato nella Gasthaus di famiglia.

Alex Kaspareth

Un luogo e un locale come siamo abituati a vedere in Alto Adige: uno spazio esterno con tavoloni e panche in legno e con un panorama notevole sul mondo, all’interno tre piccole sale in stile spartano ma efficace e una cucina forse ancor più piccola.
Qui Alex riesce comunque a gestire un menù che parte dai tipici piatti altoatesini, non cucinati però con la vena rustica che spesso contraddistingue questi luoghi ma figli di una mano attenta non solo alle ottime materie prime e ad una attenta presentazione. Vi faccio un esempio: pranzo per 15 persone e nel menù troviamo un semplicissimo Filetto di manzo con burro alle erbe, patate al forno e verdure”.  La carne era buonissima ma la cosa più buona era il sughetto che la carne aveva fatto. Questo vuol dire grande materia prima e mano sicura e precisa per una perfetta cottura, considerando che tutti e 15 i commensali sono stati serviti contemporaneamente

Cannellone ripieno

Mano precisa e voglia di fare qualcosa di nuovo anche nel cannellone ripieno d’asparagi verdi con pesto di crescione o nei canerderli al dente di leone su insalata con asparagi e speck croccante. Anche col pesce, in particolare col filetto di salmerino su insalata con erbe selvatiche e condimento al sesamo si nota la voglia di proporsi ad un livello più alto.
Alex, aiutato dalla mamma che gestisce la sala e dal padre che aiuta in cucina e al bar, affianca un menù stagionale al classico altoatesino, inserendo anche altri piatti concreti, come quelli citati all’inizio o come l’arrosto di manzo alla cipolla.
Sui dolci, oltre al classico strudel di mele chi era con me (io sono allergico alle fragole) mi ha garantito che i canederli di ricotta con fragole, rabarbaro e salsa alla vaniglia erano veramente buoni.

Filetto di manzo

La carta dei vini è purtroppo ristretta all’Alto Adige ma tutti i vini in carta (non sono moltissimi) sono proposti anche al calice con ricarichi veramente bassi.
Chi mi conosce sa che difficilmente mi sbilancio  ma per Alex voglio fare un eccezione: se avrà la forza e la volontà di andare avanti, senza però perdere le radici gastronomiche altoatesine, credo che tra qualche anno questo ragazzo sarà veramente molto conosciuto e apprezzato. Nel frattempo, consiglio a Slow Food di prenderlo in considerazione  per la Guida Osterie d’Italia.


A questo punto la parola tocca a voi: in auto, moto o (se ve la sentite) bici salite a Penon: un pranzo o una cena alla Gasthaus Torgglhof  sarà sicuramente una bella esperienza a prezzi molto corretti, perché dall’antipasto al dolce spenderete sui 40 euro, vini esclusi.

Gasthaus Torgglhof 
Via Kauderle, 6, Penon, Bolzano
Telefono: 0471 880021

Giuseppe Rinaldi - Dolcetto d’Alba 2017


di Roberto Giuliani

Beppe non c’è più, ma per fortuna i suoi vini, grazie alla figlia Marta, ci sono ancora. 


E questo è semplicemente buonissimo, un esempio di quanto questa tipologia sia ancora troppo sottovalutata e meriterebbe più attenzione: profuma di ciliegia e lampone, succoso e avvolgente, profondo, puro piacere.

Cascina Castlet - Monferrato Rosso Uceline 2012


di Roberto Giuliani

Che l’Italia sia un Paese con una ricca quantità di vitigni autoctoni è cosa risaputa, meno facile è conoscere quelle varietà che appartengono ad aree molto ristrette, la cui esigua produzione non consente a tutti di poterne apprezzare i vini ottenuti. Mariuccia Borio di Cascina Castlet, rappresentativa azienda di Costigliole d’Asti, ha da sempre un amore profondo per la ricerca di uve rare e dimenticate del suo territorio come l’Uvalino; un lavoro iniziato più di 30 anni fa, con passione e tenacia, frutto anche delle sue esperienze di vita. Infatti, come racconta lei stessa “Questo vitigno ha sempre fatto parte della mia vita. Per noi bambini, la vendemmia di quest’uva, che avveniva nell’estate di San Martino, era una festa”.
In passato l’Uvalino veniva appassito e utilizzato per dare maggiore carattere ad altri vini, oppure, vinificato in purezza, veniva regalato alle principali personalità del paese, come il medico, il farmacista o il parroco, ma anche proposto per le grandi occasioni come matrimoni e battesimi.


Nel 1992 Mariuccia piantò il suo primo filare, oggi dispone di un ettaro e mezzo di questa particolare varietà. Dalla vendemmia 1995 si è avvalsa della collaborazione dell’Istituto Sperimentale per l’Enologia di Asti, con cui ha portato avanti un progetto presentato nel giugno 2003, in occasione del VII International Symposium of Oenology di Arcachon, organizzato dall’Università di Bordeaux, dove vennero presentate le più importanti ricerche europee in campo vitivinicolo.


Dopo alcuni anni di inevitabile iter burocratico per ottenere il riconoscimento del vitigno, il 16 luglio 2002 viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Decreto n.32011 del 6 dicembre 2000 che sancisce l’ingresso dell’Uvalino fra le varietà di vite riconosciute e inserite nel Registro Nazionale, con codice n. 370.
Grazie a questo, l’Uvalino è entrato a pieno diritto fra le uve consentite per la produzione del vino DOC Monferrato Rosso.
Nel 2009 esce finalmente in commercio la prima annata di Uvalino, 2006, oggi Mariuccia Borio ha raggiunto quota 5.000 esemplari annui.


Il vino è stato battezzato con il nome “Uceline”, la scritta serigrafata sulla bottiglia è stata ideata per rappresentare simbolicamente un volo di uccelli, il colore vuole richiamare la terra sabbiosa dove cresce questa varietà. Il nome ha origini antiche, infatti nell’Astesana già nel Seicento venivano chiamate così le uve rosse di quello che probabilmente era l’antenato dell’attuale Uvalino; essendo le uve raccolte più tardi di tutte le altre, diventavano una ghiotta attrazione per gli uccelli.
Le uve dell’Uceline sono state raccolte a fine ottobre, a piena maturazione, trasferite in fruttaio ventilato e a temperatura controllata, dove sono rimaste per più di un mese a subire un leggero appassimento.
Dopo la pigiatura e una parziale diraspatura, si è avviata la fermentazione, durata circa 3 settimane a 22-25 °C con frequenti rimontaggi. La fermentazione malolattica e la successiva maturazione si sono svolte in tonneaux di rovere da 5 hl.
Dopo un anno di affinamento in bottiglia eccolo nel calice, con un colore rubino intenso e profondo venato di riflessi porpora; al naso si coglie facilmente l’effetto dell’appassimento in un frutto ampio che richiama la confettura, ma solo a tratti, nulla di eccessivo bensì aspetti di maggiore complessità, privi di stucchevolezze. La mora, la visciola, l’amarena, sono affiancate da sfumature vegetali mature e delicati rintocchi speziati, dalla cannella al ginepro, dal cacao alla liquirizia.
La bocca si offre avvolgente, succosa, con un tannino molto levigato, la freschezza compensa molto bene il frutto in confettura e confina in buona parte gli effetti dati dalla forza alcolica (15,5 gradi).
Un vino che, nonostante la significativa gradazione e le note di appassimento, si distingue per una materia equilibrata e non pesante, sebbene richieda inevitabilmente piatti di carattere, ideali quelli di carne, con sughi lungamente cotti e speziati.

Cantina Emanuele Ranchella – Roma DOC Bianco “AD DECIMUM” 2018


Emanuele Ranchella, senza troppo clamori, ha dato vita a questo bianco (malvasia puntinata, trebbiano verde e trebbiano toscano) di affascinante aderenza territoriale grazie ad una prorompente sapidità gustativa che richiama il territorio vulcanico dei Castelli Romani che finalmente vengono valorizzati e non svenduti con prodotti commercialmente infimi. 



SanVitis: nuova linfa nel vino del Lazio


Il Lazio, fortunatamente, negli ultimi tempi sta cercando di reagire ad una certa “staticità enologica” che lo ha caratterizzato per anni grazie ad un forte passaggio generazionale che ha portato tanti giovani alla guida delle aziende vitivinicole di famiglia gestite un tempo dai loro padri. Non solo. Questo nuova dinamicità del comparto vitivinicolo del Lazio è causata anche dalla nascita di nuove cantine, come ad esempio Sanvitis, il cui progetto nasce dalla grandissima passione per il vino di tre amici ovvero Sergio Tolomei, Massimo Orlandi e Riccardo Bani, che pur provenienti da settori completamente diversi (il primo è imprenditore nel mondo dell’ottica mentre gli altri due provengono dal settore dell’energia) hanno voluto unire le proprie forze per contribuire alla valorizzazione del vino del Lazio ponendo la loro base operativa a San Vito Romano. Il motivo? Semplice, la famiglia di Massimo Orlandi è originaria di San Vito e in questa zona, soprattutto nell’areale di Olevano Romano, ha vigne di proprietà dalle quali ha sempre prodotto vino solo ed esclusivamente per esigenze famigliari.

Sergio Tolomei, Riccardo Bani e Massimo Orlandi

Investire in questo territorio, pertanto, è stato assolutamente naturale anche se il progetto Sanvitis, attivo dal 2015, ha previsto la gestione di piccole parcelle anche nella zona dei Castelli Romani, lungo le colline di Ariccia, dove in 5 ettari di vigneto (45 anni di età media) troviamo la presenza di quelle uve che rappresentano il classico taglio del Frascati: Bellone, Malvasia e Trebbiano.


L’altro settore produttivo, come già detto, si trova ad Olevano Romano dove si coltiva un ettaro di cesanese di Affile impiantato più di cinquant’anni su un terreno di argilla rossa, molto tenace, un po’ come le persone che vivono quei territori. Sullo stesso appezzamento si trovano anche piante più giovani, oltre che di cesanese di affile, anche di bellone e passerina insieme ad una piccola parcella di cabernet sauvignon e petit verdot.


Il progetto Sanvitis lo trovo molto interessante perché, allo scorso Vinitaly, parlando sia con Luigi Ramazzotti, agronomo, che con Daniele Proietti, enologo, si cerca di perseguire al massimo una filosofia “naturale” sia in vigna, dove non vengono usati prodotti di sintesi e l’uso di coadiuvanti è limitato allo stretto necessario, sia in cantina dove il lavoro, mi conferma lo stesso Proietti, si concentra solo nel preservare i caratteri specifici dell’uva a seconda delle annate. In questo ambito assistiamo a fermentazioni spontanee, solo ed esclusivamente con l’uso di lieviti indigeni e, una volta ottenuto il vino, si aggiungono solfiti solo in fase di imbottigliamento (circa 1g/hl) per aumentare la stabilità al vino. Sia i rossi che i bianchi effettuano malolattica.


Come scrivevo, pochi giorni fa a Verona ho avuto l’occasione di degustare tutta la gamma dei vini prodotti da Sanvitis che sono stati proposti, per i bianchi, nell’annata 2016 mentre la 2015 per il Cesanese.


Bellone 2016 (bellone 100%): naso definito da frutta come melone bianco e pesca, soffio minerale e floreale di ginestra, sambuco ed erbe aromatiche di campo. Rispetto dell’annata 2017, “maschia” e potente, questa 2016 si fa apprezzare per la sua leggiadria gustativa, per l’equilibrio quasi raggiunto e per una rinfrescante acidità che rinvita continuamente alla beva. Finale persistente caratterizzato da stuzzicante mineralità. Se dovessi abbinare il vino ad un piatto tipico romano non avrei dubbi: minestra di broccoli e arzilla. Matrimonio perfetto.
Vinificazione: leggera macerazione a grappolo intero, pressatura e fermentazione a basse temperature. Malolattica svolta naturalmente. 8 mesi di affinamento in vasche d’acciaio.


Malvasia 2016 (malvasia 100%): registro olfattivo incentrato su sensazioni di tiglio, agrumi, pesca e mandorla che ben si contraddistinguono all’interno di uno sfondo aromatico giocato sulla mineralità vulcanica. Sorso pieno e vivace costituito da freschezza e aromaticità che si fondono armoniose lasciando poi il campo ad una gradevolissima sapidità che avvolge il palato tenendolo in tensione per tanti minuti. Vino dalla beva assolutamente irresistibile che abbinerei a piatti di pesce anche di una certa struttura. Il filetto di baccalà potrebbe essere il compagno perfetto per questo vino.
Vinificazione: leggera macerazione a grappolo intero, pressatura e fermentazione a basse temperature. Malolattica svolta naturalmente. 8 mesi di affinamento in vasche d’acciaio


Trebbiano 2016 (trebbiano 100%): Olfatto ben definito e perfettamente calibrato grazie a nitidi riconoscimenti di mela golden, pera, insieme a salvia, timo, fiori di campo e un tocco minerale che richiama il territorio. Trama gustativa assolutamente coerente col naso, di buon equilibrio, succosa freschezza e vibrante persistenza sapida in coda. Questo trebbiano, assolutamente polivalente a tavola, potrebbe sposarsi perfettamente con un bel piatto di coratella con i carciofi o, se volete un primo piatto, con un tradizionale piatto di gnocchi alla romana.
Vinificazione: leggera macerazione a grappolo intero, pressatura e fermentazione a basse temperature. Malolattica svolta naturalmente. 8 mesi di affinamento in vasche d’acciaio


Flaminio 2017: l’unico blend dell’azienda, una sorta di Frascati fuori dagli schemi, è composto da uve a bacca bianca dei vitigni storici del Lazio e dell’Italia centrale in genere. Il profilo olfattivo è intenso, ricco di richiami alla frutta esotica, alla ginestra, al timo, alla salvia cui seguono sentori minerali, quasi fumé. Alla gustativa è generoso, fragrante di frutta a polpa gialla, di spiccata sapidità che trascina anche nel finale. Da provare su un buon piatto di pasta alla carbonara!
Vinificazione: pressatura a grappolo intero e fermentazione a basse temperature. Malolattica svolta naturalmente. Affinamento sulle fecce fini per tre mesi e ulteriori tre mesi in vasche di acciaio. Va in commercio solitamente a marzo successivo la vendemmia.


Cesanese 2015 (cesanese di Affile 100%): nonostante sia la prima annata prodotta questo cesanese in purezza non delude aprendosi con note profonde ed intense di terra rossa, spezie scure come cardamomo e cumino, frutta rossa selvatica e tocchi di fiori rossi appassiti. Tutto da bere, è piacevole e bilanciato, con tannino fitto, di ottima trama, vivacizzato da netta sapidità che insiste sul palato regalando una persistenza piacevole ed appagante.  Questo cesanese in purezza si abbina divinamente ad un casalingo piatto di pollo ai peperoni o, se volete, ad un piatto di bucatini all’amatriciana!
Vinificazione: macerazione e rimontaggio per un periodo di 10-12 giorni, malolattica svolta naturalmente in acciaio. Affinamento di 18 mesi in acciaio e altri tre mesi in acciaio. Va in bottiglia due primavere successive la vendemmia. Segue ulteriore affinamento in bottiglia per sei mesi.



Taste Alto Piemonte 2019: focus sul Bramaterra DOC in degustazione


Il vino Bramaterra è prodotto nel territorio di sette comuni (Masserano, Brusnengo, Curino, Roasio, Villa del Bosco, Sostegno e Lozzolo)della zona collinare limitrofa al parco naturale delle Baragge, protetta dal Monte Rosa. Pare che la sua origine sia dovuta ai servi della gleba che, divenuti liberi, si stabilirono in quel territorio e coltivarono la vite, ottenendo un vino di grande pregio. Riconosciuto D.O.C. nel 1979, era anche chiamato "Vino dei Canonici" in quanto particolarmente gradito alla curia vercellese.


L’areale di produzione è composto da colline originate milioni di anni fa, con terreni acidi porfirici e una copertura superficiale di terreno fertile. Sul lato occidentale i suoli hanno una maggiore ricchezza di sabbie con depositi marini, ad est si trovano zone maggiormente argillose, a sud i terreni si fanno più profondi, con maggiore ricchezza in limo ed argilla. La vicinanza con il Monte Rosa offre una barriera naturale dai venti montani e garantisce un microclima favorevole per la coltivazione della vite.


I vini DOC Bramaterra e Bramaterra Riserva devono essere ottenuti dalle uve dei vitigni Nebbiolo (Spanna) dal 50 al 80 %; Croatina, fino ad un massimo del 30 %; Uva rara (Bonarda novarese) e Vespolina da sole o congiuntamente fino ad un massimo del 20%.

Il vino Bramaterra DOC deve essere sottoposto ad un periodo di invecchiamento minimo di 22 mesi di cui 18 il legno, mentre la versione “riserva” di 34 mesi di cui almeno 24 in legno. I vini Bramaterra e Bramaterra Riserva possono essere accompagnati dalla menzione aggiuntiva “vigna” seguita dal relativo toponimo o nome tradizionale purché il vigneto abbia un’età di impianto di almeno 7 anni.

Le Pianelle – Bramaterra 2015 (80% nebbiolo, 10% vespolina e 10% croatina): decisamente austero, tenebroso, si apre alla distanza su tenui profumi floreali e vegetali che si completano appena arriva una strabordante ferrosità con ricordi di frutta croccante. Sorso secco, deciso, graffiante con decisi ritorni minerali.


La Tur – Bramaterra Riserva 2015 (80% nebbiolo, 10% vespolina e 10% croatina): completamente diverso dal precedente per il suo essere avvolgente, intensamente fruttato, rotondo e con un finale piacevole e intensamente sapido.


Colombera & Garella – Bramaterra 2014 (80% nebbiolo, 10% vespolina e 10% croatina): l’annata rende il vino essenziale, le sfumature minerali fanno risaltare l’aristocratica componente olfattiva che ricorda le spezie e le erbe balsamiche. Bocca tesa, diretta, senza fronzoli, con tannino in progressione e finale decisamente salato.


Noah – Bramaterra 2013 (80% nebbiolo, 10% vespolina e 5% croatina, 5% uva rara): profilo leggermente evoluto dove emergono sensazioni di sottobosco, prugna secca, noce moscata, fiori rossi secchi. Elegante anche al sorso per un equilibrio già abbastanza centrato anche se il vino cede un po’ nel finale che non progredisce abbastanza.


Roccia Rossa - Bramaterra 2013 (80% nebbiolo, 15% vespolina e 5% croatina): sia per colore, granato trasparente, sia per sensazioni aromatiche questo vino regala un profilo assolutamente rarefatto nelle sensazioni di fiori rossi e spezie sottili, frutta rossa disidratata e bacche. Al gusto è armonico, con tannini sciolti e persistenza sapida nel finale.


Antoniotti - Bramaterra 2013 (70% nebbiolo, 20% croatina, vespolina 7%, uva rara 3%): una maggiore percentuale di croatina regala un Bramaterra assolutamente brioso, giovane, dotato di tanta frutta rossa, richiami minerali e vegetali. Sorso coerente, ricco, segnato da intensa freschezza e tannini ancora vispi. Finale sapido e fruttato. Vino assolutamente gastronomico.


La Palazzina – Bramaterra Riserva 2011 (80% nebbiolo, 10% croatina, 5% vespolina, 5% uva rara): una leggerissima nota eterea veicola sensazioni evolute di viola essiccata, tabacco, humus, muschio e terra rossa. Sorso sapido e gustoso, non potentissimo ma già abbastanza equilibrato. Da bere ora.


Tenute Sella – Bramaterra “I Porfidi” 2010 (70% nebbiolo, 20% croatina, vespolina 10%): a bicchiere già fermo propone un ricco ventaglio olfattivo, invitante e complesso, che richiama la terra rossa vulcanica, la frutta scura, il cardamomo, il the nero, l’anice, le erbe aromatiche, le spezie orientali. Gusto intenso, ricco di freschezza e delizioso tannino anche se il tutto sembra ancora in fase di integrazione. Finale sapidissimo che richiama la beva.


Marco de Bartoli – “Pietranera” 2016


di Lorenzo Colombo

Provengono da vigneti allevati ad alberello pantesco, sull’Isola di Pantelleria, le uve Zibibbo con le quali si produce questo vino lascito dell’indimenticato Marco De Bartoli.


Aromatico, con sentori mentolati, di salvia e d’agrumi, secco e decisamente sapido, l’abbiamo abbinato a spaghetti con ficazza di tonno.

Il Vinitaly 2019 nel segno dello Schioppettino di Prepotto - Garantito IGP

di Lorenzo Colombo

Era dall’ottobre 2013 che non assaggiavamo un simile numero di Schioppettino di Prepotto.
Quella volta era stato in occasione dell’evento “SCHIOPPETTINO DI PREPOTTO – Unico per natura”, che s’era tenuto nel comune di Prepotto, in provincia di Udine.
In quella circostanza avevamo visitato anche il Vigneto Catalogo”, un appezzamento formato da diciassette filari, i primi otto dei quali composti da vecchie viti (anche centenarie) di Schioppettino, tutte innestate sul medesimo portinnesti.

Questo vigneto, creato nel 2005, e curato da tutti i produttori aderenti all’Associazione Produttori Schioppettino di Prepotto (Associazione nata nel 2002), ha tuttora lo scopo, oltre che salvaguardare la biodiversità genetica del vitigno, di valutare la potenzialità produttiva e qualitativa delle singole piante.
Allora scrivemmo che avevamo notato un notevole miglioramento sia nella qualità che nell’identità dei vini rispetto al passato. Oggi possiamo dire che il miglioramento è proseguito, e, osservando le valutazioni che allora avevamo dato ai vini (vedi) notiamo un ulteriore e generalizzato salto qualitativo.

Credit: Eco della Stampa

Lo Schioppettino di Prepotto in realtà non è una specifica denominazione, ma una sottozona della più ampia Friuli Colli Orientali Doc. All’interno di quest’ultima possiamo poi trovare anche la specificazione del vitigno, ovvero Friuli Colli Orientali Doc Schioppettino.
Il territorio della sottozona è limitato ad una parte del singolo comune di Prepotto, dove si trovano una trentina dei circa ottanta ettari totali che costituiscono l’estensione vitata del vitigno nella Friuli Colli Orientali Doc.

Vigne 

Il disciplinare di produzione prevede un affinamento minimo del vino in botti di legno per almeno dodici mesi, mentre la messa in commercio non può avvenire prime del mese di settembre del secondo anno successivo alla vendemmia (quarto anno per quanto riguarda le “Riserva”). Il quantitativo di Schioppettino di Prepotto prodotto attualmente è di circa 80mila bottiglie.


Ma veniamo alla degustazione odierna, effettuata durante i giorni del Vinitaly, dove, seppure con i ridottissimi tempi che, causa il sovraffollamento d’impegni che la fiera impone, abbiamo potuto assaggiare tredici vini, otto dell’annata 2016 e cinque della 2015, proposti dai produttori appartenenti all’Associazione Produttori Schioppettino di Prepotto.


Si tratta di descrizioni di massima e piuttosto sintetiche, che richiederebbero una degustazione più accurata, cosa non possibile in un ambito come il Vinitaly.

Annata 2016

Vini nel complesso di buona uniformità, caratterizzati da color rubino luminoso e da una nota speziata, freschi, fruttati e dalla piacevole beva.

Pizzulin
Color rubino luminoso. Intenso e pulito al naso, fresco, fruttato, speziato. Fresco anche al palato, succoso e sapido, con un bel frutto rosso ed accenni aromatici, note vanigliate, buona la persistenza.

Vie d’Alt
Rubino luminoso. Discretamente intenso al naso, presenta accenni affumicati. Mediamente strutturato, fresco, succoso, con un bel frutto ed una buona persistenza.

Vigna Lenuzza
Color rubino luminoso. Fresco ed intenso al naso, fruttato, con note balsamiche. Fresco, sapido, fruttato, mediamente strutturato, buona la sua persistenza.

Stanig
Rubino il colore. Balsamico, con accenni di cuoio e di legno dolce. Stessi sentori percepiamo alla bocca dove i tannini ci paiono leggermente asciutti, buona la persistenza.

Grillo Iole
Color rubino luminoso. Buona l’intensità olfattiva, presenta note balsamiche, frutto rosso e spezie dolci. Di buona struttura, fresco, sapido, fruttato, succoso, asciutto, con buona persistenza.

Valerio Marinig
Color rubino luminoso di buona intensità. Intenso al naso, balsamico, legno dolce, leggere note mentolate. Buona la struttura, succoso, legno dolce, accenni spezie piccanti (note pepate), asciutto, tannini importanti, buona la persistenza.

Ronco dei Pini
Color rubino di buona intensità. Balsamico al naso, legno dolce, spezie, leggera nota piccante. Di discreta struttura, succoso, con accenni piccanti e buona persistenza.

Antico Broilo
Color rubino-granato. Intenso al naso, accenni di cuoio e di legno dolce. Buona la struttura, come pure la trama tannica, sapido, asciutto, succoso, speziato, buona la persistenza.

Annata 2015
Annata climaticamente assai diversa rispetto alla 2016, inoltre i vini hanno potuto godere di un maggior affinamento, caratterizzandoli diversamente dal punto di vista organolettico.

Vigna Petrussa
Color granato. Buona l’intensità olfattiva, note balsamiche e vanigliate, frutto rosso macerato. Succoso, morbido, di discreta struttura, con bella trama tannica e lunga persistenza.

Vigna Traverso
Color rubino di buona profondità. Intenso al naso, fruttato, balsamico, con note floreali. Di buona struttura, intenso, frutto rosso, spezie (pepe), ritroviamo la nota floreale, buona la persistenza.

Colli di Poianis
Granato il colore. Balsamico al naso, spezie dolci, vaniglia. Succoso e fresco, di media struttura, presenta leggere note aromatiche, buona la persistenza.

Ronc Soreli
Profondo ed intenso il color granato. Buona l’intensità olfattiva come pure l’eleganza, balsamico, mentolato, con sentori di legno dolce. Fresco, strutturato, con bella trama tannica, note mentolate e legno percepibile, buona la persistenza.

La Buse del Lôf
Color rubino luminoso di discreta intensità. Fresco e fruttato al naso (ciliegia), accenni balsamici. Buona la struttura, note piccanti (pepe), succoso, legno percepibile, buona la persistenza.

Taste Alto Piemonte 2019: focus sul Gattinara in degustazione




Queste rocce che vedete, raccolte lungo la strada verso la Torre delle Castelle, che dall'alto della collina domina Gattinara, sono porfidi quarziferi del Biellese. Rappresentano, assieme al Monte Rosa e al suo influsso climatico, un tassello importante del terroir di Gattinara, Boca e parte di Bramaterra. La loro presenza si deve al Supervulcano che circa 300 milioni di anni fa, quando sulla Terra esisteva un solo continente chiamato Pangea, è esploso eruttando un'immensa quantità di materiale che 30 milioni di anni fa, a causa della collisione tra la placca africana e quella europea che ha poi formato le Alpi, è stata riportata in superficie formando l’attuale Geoparco Sesia Val Grande. La presenza di questi porfidi caratterizza i vini della zona conferendo loro grande acidità (ph4) e mineralità. 

Nervi – Gattinara 2015: impianto olfattivo fresco con importanti richiami balsamici che col passare del tempo lasciano spazio a note più territoriali dove ritrovo la mineralità rossa associata ad una bella sensazione agrumata di arancia amara. Al sorso è altezzoso, coerente, deciso, con un finale sapido la cui chiusura, leggermente amaricante, richiama le erbe aromatiche.


Franchino – Gattinara 2013: questo nebbiolo dell’Alto Piemonte lo riconoscerei tra mille per il suo vestito d’antan che non è altro che lo specchio di Mauro Franchino, storico vignaiolo di Gattinara, le cui vendemmie alla spalle sono commisurate alle rughe del suo viso. E’ un vino tradizionale, sincero, territoriale e senza fronzoli. Lo ami o lo odi.


Antoniolo – Gattinara “Osso San Grato” 2013: da questo importante Cru di Gattinara nasce sempre un nebbiolo austero ed aristocratico e, se non si ha il palato allenato per certe durezze, accentuate da una acidità decisamente elevata, può essere di difficile definizione. Degustato giovanissimo, come in questo caso, è ancora più enigmatico anche se è impossibile non percepire tutto il potenziale di questo Gattinara che, alla stregua di una supernova, è pronto ad esplodere in tutto il suo splendore. Bisogna solo dargli tempo, l'unico prezzo che dobbiamo pagare per goderci in futuro una bevuta indimenticabile.


Vegis – Gattinara 2013: venire dopo Antoniolo non è mai semplice soprattutto quando il vino, come in questo caso, non gode di grandissima complessità olfattiva rimanendo, anche quando lo bevi, molto schietto ma senza alcun guizzo che ti faccia strabuzzare gli occhi.


Caligaris Luca – Gattinara 2011: bizzarro l’impianto olfattivo dove arrivano forti sensazioni affumicate. Penso sia una bottiglia “problematica” ma poi le note di degustazione di Ernesto Gentili mi fanno capire che questo Gattinara, chissà perché, con l’evoluzione tira fuori queste note empireumatiche che, in maniera decisa, vanno ad oscurare gli altri odori di questo nebbiolo che riportano la mente al sottobosco, ai fiori rossi secchi e alla frutta macerata. Al sorso è decisamente più convincente grazie ad una buona tensione acida e ad un allungo sapido nel finale decisamente dinamico.


Torraccia del Piantavigna – Gattinara 2008: la terziarizzazione del nebbiolo di Gattinara si fa più evidente in questo vino dal fascino indiscutibile anche se con qualche capello bianco in più. L’impatto olfattivo, assolutamente cangiante, è un mix di sensazioni di legno di sandalo, tabacco dolce, rabarbaro, cola, mallo di noce, erbe aromatiche ed agrumi in confettura. Il palato è tutto giocato sul filo dell’ossidazione e su un profilo signorile, mai demodè, che rendono questo Gattinara una sorta di Sean Connery liquido dell’Alto Piemonte.


Cantina Delsignore – Gattinara Riserva “Borgofranco” 2013: dedicato alla città di Gattinara, simbolo di libertà ed autonomia sin dal 1242 quando ricevette la qualifica di Borgo Franco dalla Repubblica Vercellese, questo nebbiolo in purezza, fortunatamente, mantiene tutte le promesse di una Riserva seppure ancora in fasce. Impianto olfattivo estremamente variegato dove i toni di frutta rossa, tra cui spicca l’arancia sanguinella, le sensazioni di viola ammola e la mineralità rossa da porfido sono perfettamente integrate donando profondità ed ampiezza. Al sorso la struttura si delinea precisa anche grazie ad una trama tannica vibrante ben sorretta da una scia acido/sapida di grande impatto che fa preludere ad una vita media di questo vino che andrà oltre la mia. Finale succoso, sapido e lunghissimo.