La baguette? Una francesina a Roma - Garantito IGP


Lasciate ogni speranza o voi che, avvezzi a certe sedicenti baguette da autogrill, entrate a Le Carré Français di Vittoria Colonna a Roma, fra il Tevere e piazza Cavour, quartiere Prati. Perché è solo qui che in Italia si trova, almeno a modesta conoscenza di chi scrive, la baguette come la fanno le migliori boulangerie di Parigi. E cioè con la stessa tecnica, gli stessi protocolli, la stessa farina, gli stessi segreti e la stessa durata di uno dei prodotti-simbolo della panetteria d’Oltralpe.
Eh sì perché – lo ammetto, non lo sapevo! – la vera baguette è così fragrante che deve, anzi può necessariamente durare poco: quattro ore al massimo. Ed ecco quindi anche il reale motivo per il quale i nostri cugini la mangiano subito, già per strada, e se la fanno consegnare sporgente dal cartoccio o addirittura avvolta in un semplice fazzoletto. Prêt-à-manger insomma, se ci passate la parafrasi.


“E’ una cultura, volendo, diametralmente opposta alla nostra, in cui il pane si compra la mattina per tutto il giorno e deve mantenersi a lungo. Da loro, che in un certo senso sono più frivoli e più esteti, è invece il contrario: la baguette è un’arte, una cosa preziosa”, mi spiega agitando le mani infarinate il capo-fornaio Raffaele, che ha passato mesi nella capitale francese ad apprendere i segreti della materia prima di cimentarsi nei sotterranei del locale romano, dove dalle 4 di notte alle 13 del giorno sforna almeno quattro “generazioni” di baguette (praticamente 700 al giorno) per rifornire il bistrot soprastante. Mentre nel sotterraneo di fianco i pasticceri venuti direttamente dalla Francia producono a ciclo continuo e in modo strettamente artigianale dolci e pasticcini.

“I trucchi per produrre una baguette degna di questo nome sono infiniti – aggiunge – e vanno dalla materia prima ai tempi e ai modi della lavorazione, dalla lentezza e dai ritmi dell’autolisi a quelli di riposo dell’impasto. Anche se, alla fine, la vera differenza la fa l’abilità del fornaio, che deve imporre un taglio fatto con il rasoio a mano libera sul pane prima di infornarlo: lunghezza standard, profondità standard, intervallo standard. Senza sbagliare di un millimetro. Un colpo di bisturi che richiede anni di esperienza: da esso dipende l’uscita e la durata della giusta quantità di azoto dall’impasto e, quindi, la qualità finale del prodotto”, spiega. “La mia baguette? E’ quasi uguale a quella del mio maestro. Le uniche differenze sono un calibro ancora non corrispondente al centesimo con il protocollo stabilito per i concorsi e una lucentezza della crosta appena inferiore al dovuto. Ma questo dipende dalla composizione molto calcarea dell’acqua romana, non da me”, conclude.

Lievito fresco per baguette

Dalla prova d’assaggio, che alla fine almeno per noi italiani è quella che conta, il prodotto esce a testa altissima: gran profumo, croccantezza perfetta senza dispersione alcuna di crosta, fragranza oronasale che in bocca si riverbera in una sapidità, una consistenza e una alveolatura cedevole a cui è oggettivamente difficile resistere. Se poi ci si spalma il burro sopra (francese, ça va sans dire), il peccato mortale di gola è compiuto.
Per guadagnarsi definitivamente l’inferno morale, ma il godimento terreno, basta poi salire le scale ed esplorare per intero Le Carré Français.

Le Carré Français, baguette in attesa di taglio
Le Carré Français, taglio della baguette
Le Carré Français, baguette con taglio

Che non è certo una semplice panetteria né una pasticceria specializzata in prodotti transalpini, ma un interessante format commerciale costruito intorno alla gastronomia francese e ideato da Jill Mahè, ex editore bretone messosi a capo di una cordata di artigiani del cibo suoi connazionali: i panettieri Michel Galloyer (fondatore de Le Grenier à Pain, con 29 boulangerie in tutta la Francia) e Jean-Noël Julien (per tre volte primo classificato, guarda caso, al concorso per la migliore baguette di Parigi), l’allevatore e macellaio Alexandre Polmard (fornitore di ristoranti stellati e titolare di un processo d’ibernazione delle carni che le rende quasi prive di data di scadenza), l’esperto di vini e champagne Axel Rondouin e il mugnaio Alexandre Viron del Moulin Lecomte (un mulino ad acqua nell’Eure), creatore della farina senza additivi Rétrodor, pensata ad hoc per la baguette). Formaggi (fromagerie Beillevaire) a cura di Michel Fouchereau, salsamenteria affidata ad Anne-Marie Guillard. Insomma una squadra agguerrita.

Michel Galloyer
Il locale è suddiviso in negozio, laboratorio, cucina e salone d’esposizione: “Un concept totalmente inedito”, sottolinea Mahé, parlantina facile e sahariana da esploratore, “con personale francese chiamato in ogni reparto per addestrare i colleghi italiani, in modo tale da creare coppie di pasticceri, di panettieri e chef di entrambe le nazionalità».


Dettaglio importantissimo che forse ho dimenticato di sottolineare sopra: Le Carré Français è anche bistrot, quindi un locale dove si mangia (interessante il brunch domenicale). Ovviamente propone solo specialità della cucina francese. E il menu è solo in italiano e in francese. “L’inglese da qui è rigorosamente bandito”, sorride Jill. “Ma solo in senso di lingua, è ovvio naturalmente.

Le Carré Français
Via vittoria Colonna 30, Roma
Tel 06/64760625
Aperto dalle 8 alle 24

Ricetta e processo di lavorazione della baguette francese

10 kg. Farina tradition
6,8 lt. Acqua a 3° (68% Acqua)
100 gr. Lievito fresco (1% Lievito fresco)
190 gr. Sale (1,9% Sale)

Autolisi (processo biologico) gira per 6 minuti a velocità 1. Riposa da un minimo di 30 minuti a 10 ore; ma dipende dalla stagione: in estate minimo 30 minuti; in inverno 10 ore. Impasto gira 10 minuti alla velocità 1. Riposa per 20 minuti in macchina, poi fa un giro alla velocità 1. Riposa altri 20 minuti, poi fa un giro alla velocità 1. Riposa altri 20 minuti, poi fa un giro alla velocità 1. In totale riposa 1 ora e ogni 20 minuti fa un giro alla velocità 1: in totale quindi 3 giri alla velocità 1. Mastelli da 8 kg. Rimangono in frigo coperti per un giorno. Toglierli dal frigo e portarli alla temperatura ambiente, spezzatrice e riposo per 30 minuti, filonatrice. Le baguette riposano altri 20 minuti. Incidere le baguette con il famoso taglio del rasoio (con una lametta). La cottura a 260° costante, valvole chiuse, vapore, poi start per circa 19 minuti.


Il Sabrage ovvero come sciabolare uno Champagne cercando di evitare figure di merda!

La tradizione di aprire una bottiglia di Champagne o di Spumante con un colpo di sciabola (in francese sabre) è molto antica, risale a quando gli ufficiali della Guardia Reale francese festeggiavano le vittorie o la loro promozione aprendo le bottiglie di champagne con un colpo netto. La sciabola sfilata dal fodero, scivolava dolcemente sul collo della bottiglia (dalla parte della costa, non della lama) e liberava il tappo con il vetro che lo attornia.

Questo tipo di apertura è spettacolare e molto gradevole da vedere e può essere eseguita solo con bottiglie contenente spumanti, perchè é grazie alla pressione che questi vini esercitano all'interno della bottiglia che il vetro del collo si allontana facilmente dal tappo.
Per perpetuare questa tradizione è stata creata da Jean Claude Jalloux, un ristoratore francese, la confraternita detta du sabre d'or .

Cercando sul web ho trovato questo tre video che fanno capire come sciabolare o meno una bottiglia di Metodo Classico. Da vedere il terzo video per...l'epic fail!




Fonte: D'Araprì e Youtube

Trentodoc Abate Nero Brut - Il VINerdì di Garantito IGP

Di Luciano Pignataro

Ci sono vini che ti porti dietro da decenni, cambia il gusto, cambiano le mode, ma loro restano importanti. Come questo semplice ma efficace Brut Abate Nero, fresco e sapido come da oltre trent’anni a questa parte, ricordo di affetti, di amicizie, di viaggi lontani. Per ricordare i sogni non realizzati e festeggiare quelli divenuti realtà.




Cà del Re a Verduno: un classico della cucina di Langa - Garantito IGP

di Luciano Pignataro

Il successo turistico delle Langhe ha rilanciato questo piccolo paese che ha poco più di 500 residenti, che noi amiamo non solo per il Barolo, ma anche per il Verduno Pelaverga, un rosso fresco e bevibile.


Cà del Re è un’altra alternativa che offre il Castello di Verduno: piccolo agriturismo con cinque camere con una accogliente trattoria affrescata da Berruti. I Giovani Igp sono finiti qui la prima sera del loro mitico tour langhetto ed è stato davvero un buon inizio.
Il bello di questa locanda è l’atmosfera che si respira, ai tavoli non ci sono solo turisti ma anche frequentatori abituali, ed è questo sempre un segnale positivo quando per capire come gira un locale.


Bella carta dei vini con la quale ci si può divertire a prezzi giusti. E via con gli antipasti classici di Langa.
A parte i tomini, i piatti sono tutti decisamente centrati e in equilibrio. Buonissima, ad esempio, la lingua.

Si procede secondo uno schema collaudato e goloso: antipasti, un primo di pasta fresca con ottimo sugo. Ottima anche la carne, noi abbiamo optato per la quaglia e la chiusura con i formaggi.


Il conto alla fine è di circa 35 euro, vini esclusi ed è un ottimo rapporto tra qualità e prezzo.
I Giovani IGP non amano molto il dolce:-)

Cà del Re
Via Umberto I 14, 12060 Verduno (CN)
Tel. +39 0172 470 281
www.castellodiverduno.com 


I venti anni di Luce della Vite festeggiati al Pagliaccio di Roma

La storia di Luce inizia con un incontro, quello tra Vittorio Frescobaldi e Robert Mondavi che agli inizi degli anni '90, complice la loro amicizia, decisero di dare vita ad una collaborazione inedita tra due grandi famiglie del vino mondiali. Lo scopo? Semplice, quella di produrre a Montalcino un vino unico, espressione di due mondi e di due culture, a base di sangiovese e merlot (il cui rapporto all'interno del vino cambia in base all'annata e alla qualità delle uve) a cui venne dato il nome di Luce: fu proprio Margareth Mondavi a ideare questo nome, in omaggio ad una giornata in cui un raggio di luce illuminava Montalcino dopo un forte temporale, ma soprattutto in omaggio al fiorire di una nuova vita.

A fianco di Vittorio e Robert, furono coinvolti anche i rispettivi figli Lamberto e Tim, allora giovani enologi, entusiasti di far parte di questo progetto condiviso (dal vigneto fino alle pratiche di cantina) che portò alla produzione della prima annata di Luce nel 1993 suscitando, ovviamente, grande interesse e curiosità tra addetti ai lavori e semplici wine lovers.

Tim Mondavi e Lamberto Frescobaldi. Fodo: Decanter.com

Dalla vendemmia 2004, con la fine della partnership con Mondavi, è Lamberto Frescobaldi a seguire personalmente il progetto e oggi la Tenuta Luce della Vite è una realtà più che consolidata a Montalcino estendendosi per 192 ettari di terreno di cui 77 vitati. I vigneti sono stati piantati tra il 1977 e il 2007 con una densità media di 6.150 ceppi per ettaro. 

Le vigne. Foto:www.vinitalyclub.com
La cantina. Foto:http://www.wine.com/

Il sangiovese, in particolare, è stato piantato nella fascia superiore della collina in quanto i terreni, ricchi di galestro, ben drenati e poveri di sostanze organiche, sono particolarmente favorevoli a questa tipologia di uva mentre il merlot è piantato nelle zone più basse che presentano un substrato più adatto essendo ricco di argilla.

Luce è il vino top della Tenuta che produce altri prodotti come Lucente, il secondo vino frutto sempre di una selezione di sangiovese e merlot, e Luce Brunello di Montalcino, il vino della tradizione, il cui sangiovese proviene da 5 ettari di vigneto.


Pochi giorni fa l'azienda ha voluto festeggiare le venti vendemmie di Luce con un evento presso Il Pagliaccio di Roma (due stelle Michelin) dove ha presentato l'etichetta del ventennale firmata sia da Lamberto Frescobaldi che da Tim Mondavi a suggello di un rapporto di stima e amicizia che dura incondizionatamente da due decenni.


Durante il pranzo, i cui piatti sono stati abilmente descritti da Giulia in Scatti di Gusto, Tiziana Frescobaldi e Sergio Di Loreto (Responsabile vendite Italia Alta Gamma presso Marchesi de Frescobaldi) hanno proposto anche una mini verticale del Luce iniziando, ovviamente, dalla 2012 che rappresenta l'ultima annata in commercio.


L'annata, dopo le abbondanti piogge primaverili, si è caratterizzata per un clima estivo particolarmente favorevole anche grazie alle escursione termiche tra giorno e notte che hanno favorito lo sviluppo armonioso degli aromi e la concentrazione delle uve, 
Il Luce 2012 è ricco e profondo ed esprime tutta la sua gioventù attraverso forti richiami di frutta di bosco, amarena, mirto e spezie nere. Al sorso è di compatta struttura con una morbidezza già evidente grazie ad un vellutato tannino. Finale persistente su soffi di spezie orientali e bacche.


Il Luce 2006, da jeroboam, proviene da una bellissima annata dove il clima temperato primaverile, le leggere piogge estive e le giornate fresche ed asciutte di ottobre hanno dato vita durante la vendemmia ad uve sane e di grande livello qualitativo.
Rispetto alla precedente annata, questo Luce si caratterizza per una maggiore complessità olfattiva: accanto alle sensazioni di prugna, amarena in confettura e gelso cominciano a delinearsi coinvolgenti profumi di pepe nero, macis, tabacco, cioccolato, mallo di noce, rabarbaro e erbe aromatiche. Al sorso è corposo ma al tempo stesso carezzevole e sensuale e la bella spalla acida e il patrimonio tannico di qualità  ne assicurano una longevità da primo della classe.




Il Luce 2001, sempre in formato jeroboam, deriva da un millesimo iniziato non benissimo grazie ad una gelata primaverile che danneggiando i germogli ha ridotto notevolmente il raccolto il quale, grazie ad una estate particolarmente assolata, alla fine non ha subito ulteriori problemi generando poca uva ma di ottima qualità.
Rispetto alla 2006 ritrovo nel Luce 2001 una maggiore carica minerale e floreale che mette in secondo piano la vena fruttata e speziata del vino. Al gusto è  il solito archetipo di eleganza e morbidezza a tutto tondo. Finale succoso e durevole su note di incenso.


In ultimo, col dolce, abbiamo degustato il Vinsanto 2007 di Castello di Pomino, una chiusura tradizionale e raffinata degna di un grande pranzo orchestrato magistralmente da Anthony Genovese che in sala può vantare uno staff di assoluto livello composto da Matteo Zappile (chef sommelier), Valentina Dellepiane (assistente sommelier), Gianni Trani (chef de rang) e Gennaro Buono (restaurant manager).


Alla prossima e...grazie Tiziana Frescobaldi e Sergio Di Loreto per il graditissimo invito!

Recioto della Valpolicella Classico Recioto del Rosario 2008 - Contràmalini

Di Carlo Macchi

Sera tardi, termine visita in cantina: "Ora vi faccio assaggiare il Recioto".

La stanchezza e un po' la fretta mi fanno dire "Non importa, non sono appassionato di vini dolci".


Importava eccome! Un recioto sontuoso: naso esplosivo, bocca dolce ma equilibrata, lunghissima e concentrata: veramente grande.

Non amo i vini dolci e quindi ne ho comprate solo 6 bottiglie.


www.contramalini.it

Trattoria Caprini: vale il viaggio, nebbia e tornanti compresi - Garantito IGP

Di Carlo Macchi

Mangiare bene di lunedì in Valpolicella non è facile: quasi tutti i locali buoni (anche quelli meno buoni) sono chiusi per turno.
Ma ho scritto "quasi" e nel quasi si trova per fortuna l'eccezione, la Trattoria Caprini a Torbe.
C'ero già stato un anno fa e mi ricordo che mentre salivo a Torbe mi chiedevo se tutti quei tornanti sarebbero stati ripagati da una bella cena: venni ripagato abbondantemente e pensai che, quando fossi tornato in zona, anche tutti i tornanti dello Stelvio non sarebbero riusciti a tenermi lontano da questa Trattoria Storica con la T e S maiuscola.
Infatti non solo di trattoria, quindi di cucina familiare veneta si parla, ma di una tradizione di quasi un secolo, passata attraverso quattro generazioni di Bonaldi.


Oggi il ristorante è gestito dai figli della mitica signora Pierina: Davide in cucina, Nicola specializzato nel fare la sfoglia e Sergio che cura sala e cantina.
Ma anche se mitizzata, la signora Pierina è viva e vegeta, sopraintende alla cucina e soprattutto alla sfoglia, perché dovete sapere che uno dei piatti forti del locale è la "cofana" di lasagnette della Pierina, tagliatelle un po' più larghe del normale, finissime, di solito accompagnate con ragù di carne o, in stagione autunnale, sugo ai funghi. 

Ma torniamo a me che sto salendo i tornanti che portano a Torbe assieme alla nebbia che si infittisce di fronte alla porta del locale. Entro pensando che non solo tutti i tornanti dello Stelvio ma anche tutta la nebbia della Val Padana non sarebbe riuscita a tenermi lontano da qui.
Il locale è una vera trattoria: sale ampie e spaziose con sedie robuste e apparecchiatura corretta ma essenziale. C'è anche una saletta con caminetto, ma forse Caprini va vissuto solo e soltanto nella grande sala principale, che nel tempo ha visto passare migliaia di avventori soddisfatti.
Per iniziare ad essere soddisfatto anch'io ordino la carne cruda di puledro, scandalizzando chi è con me, anche se una volta assaggiata non può non dire che è morbidissima e saporitissima. C'è chi ordina invece la Polenta Brustolà (abbrustolita) con salumi locali e giardiniera e anche qui siamo nella concretezza estremamente saporita. 


Dopo qualche altro calice ( sì, che c'è di male????) mi metto a girare un po' per il locale a fare delle foto, in particolare a quello che io definisco “il polittico della pasta”, cioè una grandissima cornice appesa al muro, al cui interno ci sono i vari attrezzi usati per fare, tirare, tagliare la sfoglia.
Da vedere anche la cantina, una vera e propria fucina di bottiglia locali, dalle più semplici alle più importanti, da quelle recenti alle vecchissime. Li dentro si corre veramente il rischio di farsi del bene!


Naturalmente la carte dei vini è incentrata sui vini della Valpolicella e del Veneto in generale, con prezzi veramente molto interessanti. A proposito di prezzi: per la cena, vino escluso, abbiamo speso circa 30 euro a testa.
Sarà perché la tiriamo in lungo ma quando usciamo la nebbia si è rotta le tasche di aspettarci e la discesa a valle è tranquilla e beata. Caprini aspettami, nebbia o non nebbia tornerò sicuramente!

Trattoria Caprini
Via Zanotti 9, loc. Torbe, Negrar di Valpolicella, (VR)
Tel: 045 7500511
mail: info@trattoriacaprini.it
sito web: www.trattoriacaprini.it
Giorno di chiusura: mercoledì



Nasce il progetto Wines Hotel

Relax. La parola chiave che anima il progetto del Wines Hotel di Livorno ruota attorno a questo concetto ed al mondo del vino, da godersi in modo diverso dal solito. Un’esperienza sensoriale avvolgente e totalizzante: da un lato la passione per il vino, dall’altro il fascino di un luogo un po’ magico posto sulle colline livornesi che dominano il mar Tirreno. L’idea nasce da Fabio Spadoni, titolare dell’Hotel La Vedetta a Montenero - collina nota per il famosissimo santuario mariano - immerso in un bosco tipicamente mediterraneo come una terrazza sul mare, i quali hanno voluto coniugare enogastronomia e benessere in modo nuovo. Un piccolo hotel di charme, in una villa settecentesca, che si apre al mondo del vino offrendo ai clienti un’esperienza all’insegna della scoperta di tutte le sfaccettature di questo prodotto.

«Siamo a Livorno, porto della Toscana, in una regione che ha mille bellezze legate al Made in Italy, tra cui una produzione riconosciuta a livello mondale di grandi vini – spiega Spadoni, architetto d’Oltreappennino di origini, ma ormai toscano d’azione -. Da appassionato ho pensato che questo legame si potesse sviluppare offrendo ai nostri clienti un’idea per godere della produzione dei vini».


Ecco quindi che nasce il progetto Wines Hotel. Nello specifico, ad oggi, quattro camere dell’hotel sono state chiamate con il nome di altrettante aziende (Pietro Beconcini, Pagani de Marchi, Poggio Argentiera, San Gervasio) ed allestite con immagini delle stesse, materiale di presentazione ed il vino principe ad accogliere il cliente, che entrerà nella stanza come se entrasse direttamente in azienda.

Ma l’esperienza sensoriale non si ferma qui.  L’ospite del Wines Hotel, infatti, fin dalla sua prenotazione sul sito dedicato (www.wineshotel.it o .com per la versione in inglese) potrà selezionare in quale camera pernottare, che vini degustare nel soggiorno scegliendo da una carta selezionata di livello internazionale, le aziende del Wines Hotel da visitare, i menù con i quali cenare e i vini da abbinare.

«Abbiamo pensato – continua Spadoni – che fosse interessante per il nostro ospite avere molteplici possibilità di vivere l’esperienza enogastronomica costruendosi direttamente il proprio percorso di relax legato al cibo ed al vino attraverso l’applicazione interna al sito».

L’ospite del Wines Club ha poi la possibilità di scegliere e prenotare degustazioni esclusive, o decidere anche di degustare in camera propria grazie al servizio diretto ed anche con un professionista che possa guidare la sessione degustativa.

«Il nostro obiettivo – conclude Spadoni – rimane quello di donare ai nostri ospiti giorni di relax più assoluto tra buon cibo e buon vino, in un contesto particolare come quello dell’Hotel La Vedetta, immerso nel verde e con il mare a farle da “vicino di casa”. Vorrei ringraziare le aziende che hanno creduto fin da subito nel progetto del Wines Hotel dandoci la possibilità di chiamare le stanze con i loro nomi ed allestirle come se entrassimo nelle loro aziende».

  
Per informazioni stampa
Riccardo Gabriele Pr Comunicare il vino rg@pr-vino.it p.ph +39 338 731 763 7
Marco Gemelli marcogemelli78@gmail.com p.ph + 39 338 56 24 777 

Ca’ del Baio, il futuro al femminile chiude Garantito Igp in Langa

di Lorenzo Colombo

Tocca a me chiudere la settimana degli IGP in Langa, ed ho pensato di farlo parlando dei vini dell’ultima azienda che abbiamo visitato, anche se ormai eravamo rimasti in pochi dopo questo lungo tour de force langarolo, precisamente in due, Carlo Macchi ed il sottoscritto.
Si tratta di un’azienda con un futuro al femminile.

Le giovani Paola, Valentina e Federica, figlie di Luciana e Giulio, sono infatti la quarta generazione della famiglia Grasso ed a loro, che già affiancano il padre in azienda, spetta il compito di portare avanti CA’ DEL BAIO, un’azienda tipicamente familiare.
Circa venticinque gli ettari a vigneto, tutti di proprietà, principalmente con uve a bacca nera.
Oltre la metà (14 ha) sono a Nebbiolo, quattro a Dolcetto e tre a Barbera, mentre le uve a bacca bianca s’avvalgono di due ettari e mezzo a Moscato, uno e mezzo a Chardonnay e poco più di mezzo ettaro a Riesling.
Una dozzina i vini prodotti; durante la nostra visita abbiamo scelto di assaggiare unicamente quelli a base nebbiolo, provenienti dai vigneti siti in Treiso e Barbaresco.
Iniziamo dai due Langhe Nebbiolo, uno affinato in acciaio, l’altro in legno.
Due vini molto diversi tra loro, a noi è piaciuta maggiormente la freschezza del primo.


Langhe Nebbiolo 2014
Vinificato in acciaio, dove il vino riposa per quattro medi prima dell’imbottigliamento.
Il colore è granato intenso e luminoso con unghia aranciata. Fresco e pulito al naso, con profumi che spaziano da un bel frutto rosso a note floreali ed accenni aromatici.
Fresco, sapido e pulito anche al palato, fruttato (ciliegia) e dotato di buona persistenza.

Langhe Nebbiolo “Bric del Baio” 2013
Fermentazione in acciaio e successivo affinamento in legno grande per dodici mesi.
Granato il colore, limpido e luminoso.
Naso pulito e con un bel frutto rosso.
Sapido alla bocca dove si coglie una ciliegia matura, tannino leggermente amarognolo.
Ed ora i quattro cru (MGA è il termine corretto) di Barbaresco.
I primi due sono cru (scusate se ci ricaschiamo ma ci piace di più questo termine) del comune di Treiso, i secondi (che abbiamo preferito) del comune di Barbaresco.

Barbaresco Vallegrande 2012
Vinificato in acciaio, matura per trenta mesi in botti grandi.
Balsamico al naso, pulito, con sentori aromatici e di ciliegia.
Dotato di discreta struttura, con tannini un poco asciutti e legno ancora un poco in evidenza, note vegetali.

Barbaresco Marcarini 2012
La differenza rispetto al precedente (oltre ovviamente alla provenienza delle uve) è data dall’affinamento che avviene, sempre per trenta mesi, parte in legno grande e parte in tonneaux.
Più contenuto come intensità olfattiva rispetto al precedente, ma più elegante, anche qui troviamo accenni balsamici.
I tannini sono fitti ed importanti, ma vellutati, lunga la persistenza.

Barbaresco Asili 2012
Questo vino s’affina per ventiquattro mesi, parte in legno grande e parte in tonneaux.
Bel naso, elegante, fruttato (frutto rosso maturo).
Balsamico, con un bel frutto, accenni vanigliati, bella trama tannica.
Un vino elegante.

Barbaresco Pora 2011
Trentasei i mesi d’affinamento, in tonneaux di terzo passaggio. Il vino viene commercializzato un anno dopo rispetto agli altri.
La nota granata, comune a tutti i quattro vini, ci pare in quest’ultimo più intensa.
Pulito al naso, balsamico ed elegante, presenta un bel frutto rosso maturo.
Morbido, con bella trama tannica, note vanigliate, lunga la persistenza.


Ciuchinoi: il bosco, il vino, Carussin - Il VINerdì di Garantito IGP

di Roberto Giuliani


Prende il nome dal bosco di Roccaverano, Bruna Ferro ha stipulato un accordo di gemellaggio con la foresta di Otonga in Ecuador e il ricavato della vendita del vino andrà alla Fundacion Otonga per la tutela e salvaguardia dei boschi.


Ma non è la sola ragione per comprarlo, è anche maledettamente buono!



Gabriele Ronzoni di Casalpriore: una vita per il Lambrusco - Garantito IGP


Potevo, trovandomi a Terre di Vite, non approfittare per ritagliarmi un paio d’ore prima dell’inizio dell’evento e fare una visita a Gabriele Ronzoni? Direi che era un’occasione ghiotta, visto che Casalpriore è fra le aziende che hanno partecipato con i suoi eccellenti Lambruschi.
Terre di Vite, nato nel 2009 dalla fervida mente di Barbara Brandoli dell’associazione Divino Scrivere, si è svolto il 7 e 8 novembre 2015 al Castello di Levizzano Rangone, a due passi da Modena. Qui ho incontrato Gabriele con sua moglie e ho sentito subito il desiderio di andare a vedere dove nascono i suoi vini. Così la mattina di domenica, approfittando dell’inizio della kermesse alle ore 11, ci siamo dati appuntamento alle 9 alla prima uscita della Verona-Brennero, per Campogalliano.
Da lì abbiamo fatto un percorso per strade secondarie fino a raggiungere il podere circondato dai vigneti, nel comune di Stiolo di San Martino in Rio (RE). La prima cosa che ho notato era che molti filari avevano al loro interno varietà di vite differenti, tanto che si vedevano chiaramente le diverse colorazioni e forme delle foglie (di grappoli ormai non ce n’erano quasi più).

Casalpriore, Gabriele Ronzoni

E infatti Gabriele mi ha spiegato che nelle sue vigne dimorano piante di età differenti di lambrusco salamino, lambrusco maestri, lambrusco di Sorbara, lambrusco oliva e ancellotta, alcune di queste superano i 100 anni. Circa due ettari e mezzo, che si possono ammirare intorno al casale ottocentesco che Gabriele sta mano a mano ristrutturando.

Gabriele ha rilevato l’azienda nel 1987 e lavora in regime biologico, mentre mi racconta delle sue viti e della storia del lambrusco in queste zone, sprigiona l’entusiasmo di un ragazzo, i suoi vini sono una bella espressione di questo entusiasmo e mi sembra giusto raccontarveli.


Lambrusco Biologico Frizzante

Se c’è una cosa che non manca a questo Lambrusco è la capacità di produrre eccitazione in chi lo osserva, merito indubbio della bellissima spuma rossa che manifesta una volta versato nel calice e del coloro rubino violaceo brillante che ha pochi eguali nel mondo del vino.
Accostato al naso rimanda piacevoli note floreali di viola, ciclamino, rosa e magnolia, per poi lasciare spazio ad un fruttato fresco che ricorda il succo di mirtillo, l’amarena, il lampone e sprazzi di melagrana.
Ma è il sorso a intonare il la, puro piacere, meno male che siamo attorno agli 11 gradi alcolici perché un vino così è pericoloso già gustato da solo, figuriamoci a tavola, magari di fronte a un panino con la coppa aromatizzata o ad un piatto di mezze maniche condite con cubetti di mortadella scottata in padella, pinoli, ceci e semi di sesamo.
Il vino è ottenuto da uve lambrusco salamino, maestri, sorbara e ancellotta, allevate con metodo biologico, subisce una breve macerazione a contatto con le bucce e svolge la fermentazione in autoclave.


Stiolo Rosso Frizzante
Questo è il nome che avrà a partire dalla prossima primavera questo Lambrusco che, per ora, non ha ancora la propria etichetta. Si tratta, quindi, di un’anteprima, si differenzia dall’altro vino perché qui la fermentazione avviene in bottiglia a contatto con le bucce e le uve sono in maggioranza lambrusco di Sorbara, con una quota di lambrusco oliva e ancellotta. Teoricamente potrebbe essere considerato uno spumante, ma la pressione atmosferica rimane di 2,5, quindi è da annoverarsi fra i vini frizzanti.
Il colore nel calice è piuttosto simile, accostato al naso sembra ancora più marcato dalle note floreali, mentre il frutto ricorda più il lampone, la fragolina di bosco e la ciliegia di Vignola.
Al palato spicca la vena acida, l’impressione è di un Lambrusco con capacità evolutive, che avrà una crescita ulteriore nei prossimi 6-12 mesi, diverso dagli altri per una maggiore austerità espressiva, zero residuo zuccherino, un impatto progressivo e a tratti affascinante, una leggera speziatura accompagna il piacevolissimo finale. Quasi contemplativo, di una profondità che si affaccia timidamente, come se temesse di essere frainteso, in fondo è “solo” un Lambrusco…

Casalpriore è in via Bellini, 8 – Campogalliano (Mo) – Tel. 059.526915 www.casalpriore.it –info@casalpriore.it


Vietti, quando il Barolo sa di tradizione - Garantito IGP

di Angelo Peretti

Erano gli anni Novanta. Una sera tornava amareggiato da una degustazione. Era stata un disastro. Aveva portato il suo Barolo. Tradizionale, colore scarico, botte grande, macerazione lunga. Gli avevano detto che con quel vino non sarebbe andato da nessuna parte, che il mondo voleva altre cose, più immediate, più scure. Pensava di dover cambiare tutto. Lo confidò alla nonna, che aveva più di ottant'anni, e lei gli disse di stare attento, perché la moda dura cinque secondi, e al sesto sei già vecchio.


A raccontarmelo è stato Luca Currado. Ha casa e cantina a Castiglione Falletto, Piemonte. La casa sta in paese, a due passi dalle mura vetuste della fortezza quadrangolare voluta dai marchesi di Saluzzo. La cantina si chiama Vietti, ed è un nome famoso. Ha vigne disseminate qui e là in terra di Langa. In tutto 35 ettari, forse qualcosa di più. Le bottiglie, in tutto, sono intorno alle 250 mila, le etichette un bel po'. Metà dell'uva è nebbiolo.
Non gli ho chiesto il nome della nonna, ma che sia benedetta la sua saggezza. Perché lui ha capito. Intendo dire che ha capito che se ti metti a rincorrere sarai sempre in ritardo. Meglio essere se stessi. "Per questo sono andato avanti secondo la tradizione, coi miei colori chiari, anche se negli anni Novanta all'estero il colore chiaro proprio non lo volevano", mi fa. Oggi i rossi dal colore più chiaro stanno tornando d'attualità. La storia è una ruota che gira. Bisogna farsi trovare pronti. 


L'azienda si chiama Vietti perché a fondarla, sul finire dell'Ottocento, fu Carlo Vietti. Poi venne il turno di Mario, il figlio, che nel 1919 iniziò a produrre vino col nome di famiglia. Nel '57 Alfredo Currado, enologo, sposa la figlia di Mario, Luciana. Si mette in testa di vinificare separatamente le uve di singoli vigneti, secondo l'idea, poco di casa in Piemonte, dei cru, e così nel '61 ecco che escono il Barolo Rocche e il Barbaresco Masseria. Nell'83 entra in azienda Mario Cordero, che ha sposato una delle figlie di Alfredo e Luciana. Si concentra sulla promozione e sull'ampliamento dei vigneti. Luca Currado comincia a vinificare nel '92. Ha fatto esperienza in giro per il mondo, è il tempo di sostituire il padre. Grosso modo la storia aziendale è questa.
Ne ho assaggiati un bel po' dei vini di Vietti una sera che sono andato a fargli visita insieme con gli IGP, acronimo de I Giovani Promettenti, che saremmo poi un gruppo di gente che scrive di vino e che di giovane e di promettente ha - ahinoi - poco (leggasi Macchi, Pignataro, Colombo, Giuliani, Tesi, Petrini e il sottoscritto).
La sala nella quale vengono accolti gli ospiti è carina e mica tanto grande, ed è una fortuna, visto che Luca doveva fare il funambolo a versar vini e dare spiegazioni non solo per noi, ma anche per un gruppo di ristoratori e buyer esteri, e doveva in contemporanea esprimersi in italiano e in inglese. Complimenti per la flessibilità.


Poi, sia chiaro, questi qui son barolisti, ed è del Barolo, soprattutto, che Luca parla con l'affetto d'un figlio verso il padre amato. "Non abbiamo mai cercato di fare vini che abbiano una piacevolezza immediata. Abbiamo sempre fatto dei Barolo longevi. L'idea è di farli come è il loro terroir. Se vuoi vini di piacevolezza immediata beviti un Dolcetto, non un Barolo", dice, prima in inglese e poi in italiano.
Poi aggiunge che "una grande annata del Barolo è quando c'è una grande differenza tra i singoli cru". Giusto per rimarcare la scelta di famiglia.
Ancora: "Col nebbiolo ci vuole il coraggio di fare macerazioni o molto corte o molto lunghe, e noi siamo per le macerazioni lunghe". Il che fa capire lo stile dei vini.

Ah, già, i vini. Ora dico qualcosa di quelli assaggiati, e solo in poche parole ciascuno, sennò ne esce un pistolotto che non finisce più, e si perde la visione d'assieme.

Barbera d'Asti La Crena 2011
Che bel naso! Frutti e fiori. Ha una freschezza che rende il vino gastronomico, chiama una merenda o una cucina campagnola.

Barbera d'Alba Vigna Vecchia Scarrone 2012
La vigna è vecchia davvero, del 1918, tra le poche di barbera rimaste nella zona ora votata al Barolo. Potente, tannica, rustica, fruttatissima.

Langhe Nebbiolo Perbacco 2012
Se mi avessero detto che è Barolo ci avrei creduto. Però in casa Vietti un Barolo "base" non si fa, e dunque questo rosso si vende come Langhe.

Barolo Castiglione 2011
Il colore è quello scarico che mi aspetto dal nebbiolo. Giovanissimo, da aspettare, ha però una florealità che lo rende già gradevole.

Barbaresco Masseria 2011
Dice Luca che è un Barbaresco anomalo, perché da barolisti lo fanno un po' più ricco di corpo e tannino. Mi piace quel succoso sentore agrumato.

Barolo Ravera 2011
Lo mettono in botte grande e resta lì finché spontaneamente non mette fuori il frutto. Ecco, il fruttino c'è. Chiede lunga e paziente attesa.

Barolo Rocche di Castiglione 2010
Non aspettatevi il carrarmato che vorrebbe certuni da un 2010. Questo gioca sulla finezza, te ne accorgi già dalla complessità dei profumi.


Barbera d'Asti La Crena 1998
Notare l'anno,'98. Eppure è ancora molto, molto fruttata questa Barbera. Ha tuttora una freschezza e una beva invidiabili.

Barolo Castiglione 1996
Che caratterino che ha 'sto vino. Poi, le vene terziarie del cuoio e della terra e della liquirizia. Ma mano si apre verso i fiori essiccati.

Barolo Brunate 1998
Urca che buono! Tannino vivido e ruspante. Nette presenze officinali. Foglie secche. Asfalto. La liquirizia, certo. Cappero salato. Averne.

Vietti
piazza Vittorio Veneto, 5 - 12060 Castiglione Falletto (Cuneo)
tel. 0173.62825
info@vietti.com 

Fratelli Savigliano, il segreto sta nella semplicità


Se viaggi di notte e qualcuno guida al posto tuo, le Langhe rischiano di essere un labirinto dove, tra differenti zone di produzione, borghi vari e confini comunali, rischi di perdere la bussola. Finendo per farti, tra le brume, la stessa domanda di Bruce Chatwin: ma io che ci faccio qui?
E io stavo giusto per farmela quando, distratto e un po' rimbambito da troppe degustazioni, un paio di settimane fa con i baldi IGP sono entrato nel cancello dei Fratelli Savigliano a Valle Talloria, frazione di Diano d'Alba.
Ma, poi, subito è apparso tutto chiaro.
Dell'azienda non sapevo nulla, tranne del suo buon nome.
Ho trovato tuttavia un piazzale senza fronzoli, una cantina senza fronzoli, una famiglia Ho trovato tuttavia un piazzale senza fronzoli, una cantina senza fronzoli, una famiglia senza fronzoli intenta a lavorarci dentro dalla prima all'ultima generazione e, nel mezzo, loro, i titolari: i cugini Marino e Stefano Savigliano, ambedue enotecnici e ambedue vignaioli di antica tradizione. Orpelli nessuno e nessuna affettazione: ottimi sintomi.
Seguono tavolone con bicchieri per gli assaggi, vassoione di salame e formaggi su cui alcuni sfrontati IGP, quorum ego, si sono lanciati senza alcun ritegno e una sfilza di bottiglie pronte per noi. E qui viene il bello.


Ho detto sopra della nessuna affettazione dei due fratelli, ma forse non è abbastanza. Diciamo che si sono messi a disposizione rispondendo a ogni domanda con una sincerità a tratti quasi disarmante. Ho appreso così che l'azienda è antica, con radici a metà del XVIII secolo, e che adesso si dedica solo alla coltivazione di 18 ettari di vigneto, oltre ad alcuni di noccioleto. Uve (e vini) prodotte? Tante: Dolcetto, Barbera, Nebbiolo, Barolo, Chardonnay, Favorita, Moscato, Rosato e Grignolino, con svariate selezioni.



In prima fila metto i Dolcetto, almeno quattro dei quali molto convincenti: il Diano d'Alba Sorì Autin Grand 2014, con un bel naso vivo e varietale, ancora un po' ruvido ma sincero e una bocca fruttosa, corposa; meglio ancora il Diano d'Alba Sorì Autin Gross 2014, con un frutto penetrante all'olfatto e una bocca più dolce e rotonda; esce bene dalla prova del tempo il Diano d'Alba Sorì Autin Gross 2006, con un bouquet forse non perfetto e ricco di note terziarie, ma al palato robusto e lineare, senza cedimenti, bella acidità e buona struttura; la palma del mio preferito va però al Diano d'Alba 2014, il "base" insomma, 12,5°: un naso fragrante e nervoso, qualche nota floreale, sentori d'erbe spontanee, mentre in bocca è sapido, fresco, scorrevole, di una semplicità non banale. Venduto in cantina a 4,80 euro più iva, ne ho preso un cartone.

Buono anche il Nebbiolo d'Alba 2013: 24 mesi di botte grande gli hanno dato un colore brillante, un profumo fine ed elegante, fresco e preciso, mentre al gusto è gradevole, molto verace, senza fronzoli come i suoi produttori ma assolutamente godibile. Venduto in cantina a 6,80 più iva, anche di questo ne ho preso un cartone.
Resterebbe da dire della Barbera e dell'ottimo Barolo, in particolare il 2010, ma non voglio invadere il terreno altrui.
Nota finale: scelto il vino, Marino e Stefano ce lo hanno messo nei cartoni, hanno scritto a mano su ogni scatola il contenuto, hanno fatto i conti con la macchinetta, spiccato le bolle con carta e penna e battuto gli scontrini, mentre intorno la nipotina giocava e la nonna osservava.