Il Roero, un territorio da scoprire. Seconda parte: il nebbiolo e il Roero DOCG

Dopo aver parlato di Roero "in bianco" con la degustazione di due ottimi Arneis, la nostra seconda tappa alla scoperta del territorio vinicolo avrà il compito di svelare tutti i segreti del vitigno principe del Roero: il Nebbiolo.
Coltivato da secoli nel territorio, la presenza di Nebbiolo nel Roero è ampiamente testimoniata da documentazioni commerciali e notarili delle casate nobili che attribuivano sempre ad uve e vigneti di Nebbiolo un valore almeno doppio rispetto alle altre.
Fin dal '700, nelle cantina dei conti di Guarene, se ne produceva di tipo dolce e amabile, oltre a quello secco, ma soprattutto all'inizio del '900, in piena Belle Epoque, il Nebbiolo del Roero veniva utilizzato come base per produrre gli spumanti rossi dolci allora di gran moda. E ancora negli anni '50 se ne poteva trovare di frizzante amabile.
A differenza dell'Arneis, il Roero a base Nebbiolo non ha mai avuto "cali di tensione" e, come il celebre vino bianco piemontese, ha ricevuto la DOCG nel 2004.
Scorrendo il disciplinare di produzione è possibile notare che il Roero, anche nella versione Riserva, è costituito da nebbiolo per almeno il 95% con un possibile 5% di  uve provenienti da vitigni a bacca rossa non aromatici idonei alla coltivazione nella Regione Piemonte.


Nebbiolo - Foto: Agraria.com

La zona di produzione coincide ovviamente con quanto scritto per il Roero Arneis per cui interessa per intero il territorio amministrativo dei comuni di: Canale, Corneliano d'Alba, Piobesi d'Alba, Vezza d'Alba ed in parte quello dei comuni di: Baldissero d'Alba, Castagnito, Castellinaldo, Govone, Guarene, Magliano Alfieri, Monta', Montaldo Roero, Monteu Roero, Monticello d'Alba, Pocapaglia, Priocca, S. Vittoria d'Alba, S. Stefano Roero, Sommariva Perno.

Il disciplinare stabilisce un titolo alcolometrico volumico naturale minimo di 12.5 % Vol. e che tutte le operazioni di vinificazione, invecchiamento e imbottigliamento, debbono essere effettuate nella zona DOCG, con autorizzazione ad estenderla nei comuni di Alba, Bra, Barbaresco, Barolo, Castiglione Falletto, Cherasco, Diano d'Alba, Grinzane Cavour, La Morra, Monchiero, Monforte d'Alba, Montelupo Albese, Neive, Novello, Roddi, Roddino, Serralunga d'Alba, Sinio, Treiso e Verduno.


Zona di produzione

A differenza del Roero Arneis per il quale non era previsto un periodo di invecchiamento minimo, il legislatore ha disciplinato che il Roero debba effettuare almeno 20 mesi di invecchiamento (di cui almeno 6 in legno) mentre il Roero Riserva deve affinare almeno 32 mesi (di cui almeno 6 in legno).

E' consentita a scopo migliorativo l'aggiunta, nella misura massima del 15%, di vino rosso «Roero» piu' giovane a vino rosso «Roero» piu' vecchio o viceversa, anche se non ha ancora ultimato il periodo di invecchiamento obbligatorio. 

Grazie ad Armando Castagno, come sempre ottima guida nel campo del vino (e non solo), abbiamo degustato sei Roero, comprese tre tipologia Riserva, di produttori più o meno conosciuti, ognuno col suo stile, ognuno col suo passato, presente e futuro.

Fabrizio Battaglino - Roero "Sergentin" 2011: questi produttore semi sconosciuto, con vigne nella sabbiosa Vezza d'Alba, si presenta con un profilo olfattivo leggermente boisé a cui seguono intriganti sensazioni di pesca nettarina, fragola, sale. La sapidità è abbastanza importante in bocca dove quasi nasconde il frutto del nebbiolo. Finale leggermente amaro che spero il tempo possa levigare. Affinamento in botti di allier sia nuove che di secondo passaggio.



Giovanni Almondo - Roero Bric Valdiana 2010: altro piccolo produttore, questa volta con vigne a Montà, che produce un Roero molto territoriale e varietale grazie alla splendide sensazioni floreali di violetta che, col tempo, virano verso il catrame, il rabarbaro, il balsamico e l'humus. Tannino molto evidente, tignoso, appena rinfrescato dalla vena acida. Contratto a centro bocca è ancora troppo segnato dal legno. Affinamento: 12 mesi in barrique di rovere francese e 8 mesi in botte grande.



Filippo Gallino - Roero 2009: con le sue vigne piantate nel terroir di Canale, Gallino produce un Roero quasi spiazzante visto che il suo corredo aromatico è composto essenzialmente da odori lagunari, frutta sotto spirito, pomodori secchi e origano. L'annata torrida probabilmente non lo ha aiutato anche se, in bocca, il nebbiolo gioca un'altra partita essendo molto meno evoluto di quanti ci si aspetterebbe. Forse qualche ruvidità in più ma l'allungo è ottimo ed austero. Affinamento: 12 mesi in barrique di rovere francese e 4/5 mesi acciaio.


Cascina Ca' Rossa - Roero "Mompissano" Riserva 2010: l'azienda della famiglia Ferrio, situata a Canale d'Alba, produce un  Roero Riserva di grande attrazione grazie alla presenza di odori di fiori blu, pesca, ciliegia,  sottobosco. Sorso austero, lungo, sapido, con tannino presente ma non sgranato che dona la giusta ruvidità a questo nebbiolo del Roero. Finale teso e minerale. Affinamento: 30 mesi in botti di rovere di Slavonia, assemblaggio in acciaio inox e 4 mesi in bottiglia.

Matteo Correggia - Rochè D'Ampsèj Riserva 2009: Matteo Correggia è un vignaiolo che ha creduto moltissimo nel suo territorio e, nonostante non ami molto lo stile dei suoi vini, il Rochè D'Ampsèj può essere annoverato tranquillamente come uno dei vini simbolo del Roero. Ha un naso segnato ancora dalla presenza di legno con rimandi aromatici alla scatola di sigari e alla frutta rossa. Compresso anche al sorso dove la succosità del vino arriva fino a centro bocca per poi dileguarsi rapidamente. L'annata non aiuta certamente visto che in giro si trovano versioni decisamente migliori. Affinamento: 18 mesi barrique nuove, assemblaggi in inox e 24 mesi di bottiglia.


Azienda Agricola Malvirà - Trinità Roero Riserva 2008: i fratelli Damonte, la cui azienda ha sede a Canale d'Alba, producono tre Cru di Roero Riserva: Mombeltramo, Renesio e, appunto, il Trinità il cui terreno è formato da sabbie ed argilla, con esposizione sud - sud/ovest, e prende il nome dalla piccola cappella dedicata alla SS. Trinità.  Naso di grande complessità e respiro, ha influssi floreali, di carcadè, di terra, liquirizia, menta e metallo fuso. Bocca nebbiolesca, granitica, austera, decisamente lunga e sapida. Un grande vino, il migliore della batteria. Affinamento: in fusti di legno per 24 mesi e in bottiglia in per 12 mesi.


Il Roero, un territorio da scoprire. Prima parte: l'Arneis e il Roero Arneis DOCG

Il Roero è un territorio ancora troppo sottovalutato da noi appassionati di vino che molto probabilmente siamo distratti dalle Langhe, suo vicino di casa ingombrante. 
Geograficamente, infatti, il Roero fiancheggia la sponda sinistra del Tanaro,  fiume che separa dalle Langhe i ventitré comuni del Roero, fino a lambire le province di Torino e di Asti. 
Il nome del territorio deriva dalla nobile famiglia astigiana dei Roero che, durante il Medioevo, possedevano gran parte dei terreni e dei castelli in zona.



Il territorio, una volta coperto dal mare che lambiva le Alpi, è caratterizzato da un panorama costituito da morbide colline e ambienti selvaggi grazie alla presenza delle splendide Rocche del Roero, una frattura lunga 32 km, che la leggenda vuole essere originate da Belzebù, nata geologicamente dalla c.d. "cattura del Tanaro". Di che si tratta? Beh, circa 250.000 anni fa il fiume scorreva verso nord-ovest e confluiva nel Po all'altezza di Carignano. Tuttavia, durante il Quaternario Superiore, una serie di eventi tettonici portarono ad un profondo mutamento di tutto il territorio: in particolare un corso d’acqua estraneo che scorreva in direzione est nei terreni dell’Albese (dove oggi scorre il Tanaro) cominciò ad erodere sempre più il terreno fino a catturare e deviare il Paleo-Tanaro che si mise a scorrere verso l'Alessandrino prosciugando completamente la sua vecchia sede. La nuova confluenza del Tanaro, trovandosi circa 100 metri più in basso rispetto la precedente, generò un intenso ciclo di erosione che creò forre profonde e calanchi pittoreschi che oggi chiamiamo Le Rocche.
Tanaro e Stura confluiscono verso Nord in direzione di Carmagnola
Parte delle acque del Tanaro imbocca la nuova via coinvolgendo la Stura. 

I due fiumi scorrono ormai definitivamente verso Est

Le Rocche del Roero oggi - Foto:www.arsvivendiclub.it

Questo significa che il sottosuolo è formato prevalentemente di sabbie anche se non mancano importanti eccezioni che rendono eterogeneo il territorio dal punto di vista geologico. 

Schematizzando abbiamo quattro tipologie di terreno, precisamente:

Astiano: con prevalenza di sabbia. Domina incontrastato in molti comuni del Roero, praticamente tutti quelli con le cosiddette “Rocche”. E’ caratterizzato dalla presenza di numerosi fossili marini, quali pettini e ostriche, talora disposti in banchi, si trovano pure echinodermi e crostacei;

Piacentino: con tufo e argille bluastre – comuni di Piobesi, Vezza, Priocca;

Messiniano: con sabbie e marne calcaree – comuni di Santa Vittoria e Govone;

Tortoniano: con marne argillose – calcaree grigio – bluastre ben stratificate.

Fossili trovati nei vigneti di Giacosa

Il territorio del Roero si estende per circa 420 kmq e contiene 23 comuni e frazioni. Le uve principalmente coltivate in zona sono l'Arneis (bacca bianca) ed il Nebbiolo (bacca rossa) seguite da altre varietà tradizionali come Barbera, Favorita e Brachetto. Chardonnay, Cabernet Sauvignon e Merlot sono presenti in piccole percentuali.

L'Arneis, da cui deriva il Roero Arneis DOCG, è un vitigno le cui origini sono avvolte nel mistero: molti fanno risalire il nome al termine dialettale piemontese "arnais/arneis" che significa appunto scontroso, irascibile, mentre altre fonti lo riconducono al termine "renexij" con cui nel XV secolo si indicava il vitigno Arneis, dal nome del bric Renesio posto alle spalle del paese di Canale.

Molto in voga tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900 dove veniva chiamato anche Nebbiolo bianco, vinificato spesso dolce, ha subito una crisi di identità subito dopo la seconda guerra mondiale tanto che alla fine degli degli anni '60 era piantato in pochi ettari di vigneto vicino ai filari di Nebbiolo la cui uva era "protetta" dall'Arneis che grazie alla precoce maturazione e agli acini molto dolci attirava verso di sé tutti gli uccelli solitamente predatori di uva a bacca nera.
E' grazie alla crisi del Gavi e alla lungimiranza di alcuni produttori che l'Arneis ha ripreso grande visibilità tanto che negli ultimi anni il vigneto nel Roero è coltivato per circa 750 ettari con oltre 5 milioni di bottiglie vendute.


Grappolo di Arneis - Foto: Deltetto.com

Analizzando il disciplinare di produzione si nota che il Roero Arneis, DOCG nel 2004, viene prodotto nei comuni di Canale, Corneliano d'Alba, Piobesi d'Alba, Vezza d'Alba ed in parte quello dei comuni di Baldissero d'Alba, Castagnito, Castellinaldo, Govone, Guarene, Magliano Alfieri, Montà, Montaldo Roero, Monteu Roero, Monticello d'Alba, Pocapaglia, Priocca, S. Vittoria d'Alba, S. Stefano Roero e Sommariva Perno con un 95% minimo di uva Arneis con un restante 5% legato all'uso uve a bacca bianca autorizzate e non aromatiche piemontesi.
Prodotto anche in versione spumante, deve avere un titolo alcolometrico volumico naturale minimo di 10.5 % Vol. e, a scopo migliorativo, è consentita l'aggiunta massima del 15%, di vino bianco "Roero" Arneis più giovane a vino bianco "Roero" Arneis più vecchio o viceversa. Tutte le operazioni di vinificazione, invecchiamento e imbottigliamento, debbono essere effettuate nella zona DOCG, con autorizzazione ad estenderla nei comuni di Alba, Bra, Barbaresco, Barolo, Castiglione Falletto, Cherasco, Diano d'Alba, Grinzane Cavour, La Morra, Monchiero, Monforte d'Alba, Montelupo Albese, Neive, Novello, Roddi, Roddino, Serralunga d'Alba, Sinio, Treiso e Verduno.
Al contrario del Roero e del Roero Riserva, il disciplinare del Roero Arneis nulla stabilisce in termini di invecchiamento minimo del vino.

Con Armando Castagno abbiamo degustato due rappresentazioni abbastanza significative di Roero Arneis 2012

Bruno Giacosa Roero Arneis 2012:  vino molto lineare e ben definito nelle sue fragranze agrumate e fruttate di pera e mela seguite da tocchi di anice e citronella. Ha un grande respiro gessoso e territoriale e al sorso si conferma vibrante, più sapido che acido. Finale con importanti ritorni di pera Williams.


Foto: www.englewoodwinemerchants.com

Deltetto Roero Arneis "San Michele" 2012: di questo produttore, lo ammetto, non sapevo moltissimo per cui, dopo essermi informato, ho scoperto che l'azienda, fondata nel 1953 a Canale, capitale storica del Roero, può vantare oggi 20 ettari di vigneto di cui il San Michele, vecchie viti di Arneis, rappresenta il principale Cru per i bianchi. Rispetto al Giacosa il vino ha più estrazione, ha un tessuto a maglia più stretta che tiene ben imprigionata la vigorosa materia caratterizzata stavolta da un maggior apporto di frutta a pasta gialla (pesca) e da una materia agrumata meno intensa. I profumi netti, ben incorniciati da soffi di pietra pomice, li ritrovo anche al sorso, strutturato, e ben equilibrato da una acidità sferzante che stavolta surclassa una sapidità abbastanza latente. Buona spinta finale.


Foto: deltetto.com

Del vino rosso e del suo invecchiamento

Che il vino si conservasse meglio in cantina piuttosto che in appartamento già si sapeva. Ma ora dalla Fondazione Edmund Macharriva un’importante conferma scientifica che spiega perché e quanto l’età chimica cambia nei diversi ambienti facendo scoprire inaspettate reazioni e nuovi composti. Stando alla ricerca, intitolata “L’influenza della conservazione sull’età chimica dei vini rossi” e pubblicata in questi giorni sulla rivista Metabolomics, nella tipica conservazione domestica l’età chimica del vino accelera di ben quattro volte: molte decine di composti cambiano concentrazione partecipando a reazioni indotte dalla temperatura. In particolare la conservazione domestica induce la formazione di composti, mai osservati prima, che nascono dall’unione tra i tannini e l’anidride solforosa, e una classe di pigmenti del vino, denominata “pinotine”, che fa evolvere il colore del vino verso toni più aranciati. Aumentandone, appunto, l’età chimica.

Foto: monsieurzebre.com

Ricerca finanziata dal ministero, 400 bottiglie di vino monitorate
La ricerca, svolta all’interno del progetto Qualità alimentare e funzionale “Qualifu” finanziato dal ministero per le Politiche agricole, alimentari e forestali, ha permesso di seguire per due anni l’evoluzione di 400 bottiglie di Sangiovese, vino tipicamente da invecchiamento, conservato in vetro scuro con tappo di sughero naturale. Duecento bottiglie sono state collocate nella cantina aziendale della Fondazione Mach, ad una temperatura costante tra i 15 e i 17 gradi e con umidità del70 per cento; le altre duecento sono state collocate in condizioni simulanti la conservazione domestica, al buio, con una temperatura oscillante, secondo le stagioni, tra 20 e 27 gradi. I vini sono stati campionati ogni sei mesi.
La ricerca si è svolta nei laboratori di metabolomica dotati di strumenti che consentono di misurare contemporaneamente l’evoluzione di circa un migliaio di composti presenti nel vino, e si è avvalsa della collaborazione delle cantine (sia sperimentale che aziendale) della Fondazione Mach. E’ stata condotta dai ricercatori Panagiotis Arapitsas, Daniele Perenzoni e Andrea Angeli, e da Giuseppe Speri, nell’ambito della sua tesi sperimentale in viticoltura ed enologia.

“Sei mesi in appartamento fanno raggiungere al vino un'età chimica che corrisponde a un affinamento di due anni nelle condizioni ideali di cantina” spiega Fulvio Mattivi, coordinatore del Dipartimento qualità alimentare e nutrizione, e autore della pubblicazione. "Produttori, ristoratori, enoteche e distributori dovrebbero verificare se i loro localisiano idonei alla conservazione ottimale dei vini, specie nei mesi caldi, e in caso contrario valutare quale sia la conservazione massima da non superare, se queste condizioni ideali non possono essere assicurate. Bastano pochi gradi in più per rendere un locale non idoneo a una conservazione prolungata".

La conservazione induce reazioni e crea nuove classi di composti
Durante la conservazione si verificano numerose reazioni chimiche la cui velocità è indotta dalla temperatura. Nel vino conservato in ambiente domestico la colorazione diventa più aranciata e l’anidride solforosa, conservante presente in tracce nei vini, si combina con il tanninoformando una classe di composti, mai osservata prima, di derivati solfonati di catechine e procianidine, favorendo un precoce invecchiamento del vino. Un altro dato interessante emerso dalla ricerca è che, per quanto riguarda i composti di valenza salutistica, in due anni gli antociani (ossia i pigmenti rossi estratti dall’uva) sono diminuitinell’ordine del 30 per cento in cantina e dell’80 per cento in ambientedomestico. La temperatura induce l’idrolisi dei flavonoli glicosidi, in particolare dei derivati della quercetina, e porta alla diminuzione di svariati composti, tra cui l’acido pantotenico (vitamina B5).

Fonte articolo: AgroNotizie

Yahoo Answers e il vino: altro giro, altre stronzate...

Ogni tanto, per rendere la giornata meno pesante, leggo Yahoo Answers e torna presto il sorriso per le risposte che leggo le quali, in maniera inequivocabile, danno idea dell'ignoranza che giro ancora in materia.

Volete un esempio? Eccolo!!!

Qual è il vino che vi piace di più?

-Klepto - ha risposto a

Dipende... 

Come apertivo spesso amo sorrseggiare del Barbera Bariccato (per chi non l'ha mai provato lo consiglio vivamente) 

Con gli antipasti nulla è meglio di un Prosecco 

Con il pesce amo i vini bianchi freschi 
Falanghina 
Vermentino di Sardegna 
Passerina 
Gustav Traminer 
EST EST EST 
Muller Thurgau 
Con la carne: 
Amarone a parte (che adoro ma non è per ogni carne ma ci vuole qualcosa di "degno") 
-Re Fosco 
-Toreldego 
-Cannonau 
-Brunello 
-Morellino di Scansano 
-Lacrima di Moro 
-Nero D'avola 
-Negromaro 

Non vi basta? E allora eccovene un'altra!!
Vino in polvere...come riconoscerlo?
ciao a tutti,se sui lati di una bottiglia vuota(e anche nel bicchiere) ci sono evidenti tracce di una polverina(tipo zucchero),può essere che ci abbiano rifilato del vino in polvere?(questa polverina aveva un gusto salato...tipo aulin..) premetto che ci trovavamo in un ristorante a livigno e che sul vino(della casa) c'era solamente scritto "terrazze retiche di sondrio-indicazione geografica tipica".nel caso,dovrebbero dirlo o possono spacciartelo per vino locale senza dirti niente?..grazie...
Gli ho risposto io: Flatrix se chiamano tartratiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii


Com'è possibile che sia la birra da 33 che quella da 66cl?

dobbiamo ha posto la domanda 14 ore fa - 
3 giorni rimanenti per rispondere
abbiano la stessa gradazione alcolica quando in una c'è il doppio della birra dell'altra?


La Borgogna e le annate 2009 e 2010

Borgogna 2009 o 2010? Giancarlo Marino, una grande guida per tutti gli appassionati, tempo fa all'interno dell'Accademia degli Alterati analizzava le annate e i possibili scenari futuri scrivendo le seguenti righe.

2009
Alcuni la considerano, generalizzando eccessivamente, una annata “calda”. In realtà le temperature furono solo di poco superiori alla media (nulla a che vedere con la 2003, per intendersi), mentre furono nettamente superiori alla media le ore di luce. Le uve, caratterizzate da diffuso millerandage, hanno raggiunto una perfetta maturità fenolica. Decisiva è stata la scelta della data di vendemmia: chi ha optato per una raccolta leggermente anticipata ha mantenuto un buon grado di acidità e di equilibrio, chi ha atteso troppo ha raccolto uva ai limiti, a volte oltre, della surmaturità, perdendo in primo luogo in freschezza e purezza. Il raccolto è stato abbondante, con il conseguente rischio di diluizione per chi non aveva lavorato con buon senso in vigna. Inferiore alla media il contenuto di acido malico, abbondante invece l’acido tartarico. La fermentazione malolattica è stata relativamente precoce e veloce, ma alla fine dell’affinamento il pH si è comunque mantenuto entro limiti più che sufficienti (3.4/3.6). Il buon grado zuccherino ha consentito di evitare, o di contenere al massimo, la pratica dello zuccheraggio. I risultati, come era facile prevedere, sono stati piuttosto eterogenei.
Al meglio, i vini sono pieni di fascino, eleganti, raffinati, aperti, grandi seduttori, connotati da un centro bocca “pieno e voluttuoso”:  Al peggio, i vini sono diluiti o fin troppo maturi (nei miei appunti leggo più spesso del solito richiami alla confettura di frutta), mancanti di freschezza, con tannini non perfettamente levigati, in precario equilibrio. 

2010
Ad un inverno freddissimo, durante il quale alcune violente gelate hanno addirittura distrutto alcuni vigneti, si sono succedute una primavera e una estate con temperature nettamente inferiori alla media: in particolare, ad un agosto fresco, asciutto e luminoso è seguito un settembre più dolce ma anche più umido. Il tempo inclemente all’epoca della fioritura ha accentuato il fenomeno, già notato nel 2009, del millerandage. Alla vendemmia, particolarmente tardiva, è stata così raccolta poca uva, con tannini abbondanti ma finissimi, e alta acidità malica. La fermentazione malo-lattica è stata tardiva e molto lenta e ha consentito di riequilibrare e bilanciare l’acidità (pH finale compreso tra 3.5 e 3.6). Il buon grado zuccherino ha consentito di evitare, o di contenere al massimo, la comune pratica dello zuccheraggio. Al termine dell’affinamento, i risultati hanno superato le più rosee previsioni, confermando il detto che nelle annate ad alta acidità malica è indispensabile attendere la conclusione della malo-lattica per emettere un giudizio minimamente affidabile.
Nel complesso, la produzione è stata più omogenea di quella delle annate precedenti, 2009 compresa. Non ricordo di aver assaggiato vini del 2010 davvero deludenti. In compenso ne ho assaggiati moltissimi di qualità eccelsa.
Al meglio i vini sono trasparenti, territoriali, equilibrati, di grande freschezza, energia e tensione, vibranti, con trama tannica di finezza superba. Al peggio si avverte una certa durezza e una maturità fenolica non perfetta (la imponente presenza tannica e l’abbondante acido malico richiedevano in vinificazione grande sensibilità e accuratezza)
La longevità è assicurata e molto probabilmente si avrà una fase di chiusura più o meno drastica, anche se il senso di grazia che traspare da molti vini fa pensare ad una bevibilità permanente nel tempo. Al contrario del 2009, nel 2010 la gerarchia è assolutamente rispettata, con questo confermando che trattasi di annata dove il terroir ha prevalso sulla componente varietale.
Dopo questa breve ma intensa lezione era abbastanza scontata la riprova nel bicchiere di quanto scritto da Marino. C'è sempre una buona scusa per bere Borgogna e, con alcuni amici, abbiamo aperto le seguenti bottiglie.
Bourgogne 2009 Mugneret-Gibourg: anche se fa parte della base della piramide qualitativa dell'AOC vins de Bourgogne, questo vino, distribuito in Italia in pochissimi esemplari, ha un naso di frutta leggermente più scura di quanto mi aspettassi e questi tratti, solari e profondi, li ritrovo anche al gusto che è leggermente inficiato da una nota alcolica non ben integrata. Finale lievemente austero.

Bourgogne 2010 Mugneret-Gibourg: già dal colore, rubino limpidissimo, si nota come cambia il tempo ed, infatti, odorare questo vino significa spalancare le finestre di casa e inebriarsi della primavera. Pinot Nero dalla frutta rossa croccante, balsamico, minerale con una bocca più classica, fresca, magari non complessa ma diretta e ficcante come una lama calda nel burro. 



Gevrey Chambertin 1er cru "Les Goulots" 2009 Fourrier: rispetto al precedente si respira (giustamente) una maggiore complessità formata stavolta da un cesto di frutta di rovo, succosa e croccante, mineralità scura e una sventagliata di fiori "cimiteriali" che rendono l'olfattiva molto sobria e solenne. Al sorso dominano struttura ed equilibrio che sfuma verso una rotondità che ben tipizza l'annata. Se vogliamo proprio trovare un difetto direi che manca il guizzo fresco finale ma il vino è comunque molto molto buono lo stesso.

Gevrey Chambertin 1er cru "Les Goulots" 2010 Fourrier: il vino sembra un quadro astratto dove prevalgono i colori rossi della frutta e blu dei fiori. C'è luce in questo vino e quando lo bevo sembra vibrare per la sferzante acidità che rappresenta la vera colonna vertebrale di questo Borgogna. Anche in questo caso, se bisogna trovare un difetto, ritengo il vino troppo verticale, dritto, manca di quella dose di panza che, come si dice, dà molta sostanza!



Vosne Romanée 1er Cru "Rouges du Dessus" 2009 Cecile Tremblay: odoro, bevo, e penso che sia un peccato. Già, il vino se scavi in profondità ha le classiche note femminile ed eteree di Tremblay ma ad oggi è un un pò troppo coperto dal legno che sembra usato in maniera poco coerente. 

Vosne Romanée 1er Cru "Rouges du Dessus" 2010 Cecile Tremblay: stessa questione precedente ovvero un cielo offuscato da smog che copre il sole e l'azzurro. 


Volnay 1er Cru Champans 2009 Voillot: Giancarlo Marino, che ci fornisce queste chicche, ama alla follia questo produttore e non possiamo non dargli torto visto che le bottiglie di Voillot rappresentano sempre una grande emozione. Questo Borgogna sembra uscire da una accademia di belle arti dove, per disegnare, è stata usato un pastello dal tratto scuro ma raffinato. Profondo, tridimensionale, complesso, conserva in sè tutto il terroir di Volnay. Andrà avanti per tanti anni.

Volnay 1er Cru Champans 2010 Voillot: stile e raffinatezza, questo è quello che mi viene in mente dove aver odorato e bevuto questo vino che sembra prendere le sembianze di Mata Hari che, avvolta in un candido vestito bianco, danza suadente risvegliando tutti i sensi umani. Ancora giovanissimo può vantare un tannino ben calibrato ed una succosità davvero imponente. Difficile dice quanto potrà diventare grande ma, a mio giudizio, il miglior vino della serata assieme al suo fratellone 2009.


Entrata della cantina di Voillot. Foto: Andrea Federici

Vini di Vignaioli: a Roma l'8 e 9 marzo la fiera dei vini naturali

Alla scoperta del vino naturale, quello che proviene da uve coltivate senza l'ausilio della chimica, sia in vigneto che in cantina: Vini di Vignaioli, la fiera del vino naturale, si terrà a Roma, l'8 e 9 marzo 2014.



Gli artigiani del vino si sono dati appuntamento nel cuore della capitale, nel rione Testaccio, in Largo Dino Frisullo, presso la Città dell’Altra Economia.
Nel manifesto dell'evento, dieci aggettivi per definire il vino proposto all'assaggio: naturale, vero, sincero, biologico, biodinamico, appassionato, autentico, semplice, ricco, umano.
Saranno presenti 50 produttori provenienti da tutte le regioni italiane.
Due giorni intensi nei quali i visitatori potranno degustare ed acquistare vini unici e evocativi, prodotti nel rispetto della terra e dell’uva, lontano da logiche industriali ed omologazioni del gusto ma con la cura, l'attenzione e il tempo richiesti dal lavoro artigiano.
L'evento è stato organizzato direttamente dai vignaioli che saranno dietro i banchi di assaggio, a diretto contatto con il pubblico, per raccontare attraverso i loro prodotti la scelta di assecondare la natura, sia in vigna che in cantina.
Scopo della fiera è quello di favorire il contatto diretto tra produttore e consumatore, nel rigoroso rispetto di una agricoltura biologica e biodinamica, fatta di lieviti naturali e fermentazioni spontanee.

Le degustazioni saranno libere e il prezzo di ingresso è stato volutamente contenuto in 10 euro.

La lista dei produttori presenti la trovate a questo LINK

La Città dell’Altra Economia mette a disposizione dei visitatori 3.500 metri quadrati dedicati a esposizioni e altri servizi ed è uno dei primi spazi in Europa interamente dedicato alle pratiche economiche che si caratterizzano per l’utilizzo di processi a basso impatto ambientale.


INFORMAZIONI

Orari di apertura: sabato 8 marzo dalle ore 11 alle ore 20; domenica 9 marzo dalle ore 11 alle ore 19.

Incontri: domenica 9 marzo, ore 9.30 - 11.00, incontro/dibattito con e tra i vignaioli su "l'etichettatura dei vini naturali".

Indirizzo: Largo Dino Frisullo, Città dell’Altra Economia, nel Rione Testaccio, all'interno del Campo Boario dell'ex-Mattatoio.

Come arrivare: la Città dell'Altra Economia è raggiungibile in bicicletta (rastrelliere all'interno) e in macchina. Parcheggio da Largo Frisullo o dal Lungotevere Testaccio. Dalla stazione Termini: Metro, linea B, fino alla fermata Piramide. Autobus: linea 719 fino alla fermata Macro oppure linea 170 fino alla fermata Ponte Testaccio.



Il Sorì e il Barolo Fossati di Dosio

A Il Sorì si sta sempre bene, non solo perchè questa bottega eno-gastronomica dà luce ad un quartiere come San Lorenzo ma, soprattutto, perchè Pasquale "Paki" Livieri è un appassionato come noi e quando organizza una degustazione, stavolta in collaborazione con EnoRoma, è sempre un successo.

Paki all'azione!

Il nome del locale, che si ispira chiaramente al Piemonte, non poteva non richiamare una serata a base di Barolo, era tanto che gliela chiedevo e, così, eccomi accontentato con una piccola grande verticale di Barolo "Vigna Fossati" di Dosio Vigneti
Fondata nel 1974 da Beppe Dosio e situata sulle colline di La Morra, l'azienda oggi si estende per circa 15 ettari di vigneti (più cinque in affitto) situati nei comuni di La Morra e Barolo, in cru storici quali Fossati, Serradenari e Nassone coltivati sotto la supervisione dell'enologo Marco Dotta.

Il Cru Fossati, in particolare, è situato nel Comune di Barolo, ha un'altezza media di 350 metri s.l.m. con esposizione Sud-Est ed è caratterizzato da un terreno ricco di marne azzurre dove sono piantate viti con una media di 55 anni di età.

Gianpiero Morbello, attuale proprietario dell'azienda che ha rilevato nel 2010, ci ha portato in degustazione quattro annate di Barolo Vigna Fossati: 2007, 2003, 1999 e 1993.

Gianpiero Morbello

Barolo Vigna Fossati 2007 - Dosio Vigneti: il vino si presenta molto chiuso, trincerato in un mezzo mutismo che sa più di ripicca che di tratto caratteriale. Solo il tempo scalfisce il suo manto olfattivo che, gratta gratta, si rivela molto crudo e terroso. Al sorso la componente acida riesce a smorzare solo in parte un tannino ancora da smussare segno evidente che questo Barolo, a mio gusto, è ancora troppo giovane e, se proprio va bevuto, sarebbe importate abbinarci qualcosa di veramente sanguinolento. Bistecca di brontosauro andrebbe bene! Affinamento: 40 mesi in botti di rovere di Slavonia da 25 HL e successivi 12 mesi in bottiglia.


Barolo Vigna Fossati 2003 - Dosio Vigneti: dopo un 2002 dove quasi nessun produttore ha dato vita a nebbiolo di qualità, la 2003 si presenta come un'annata dove non era prevista la parola sbagliare visto che nessuno in zona poteva permettersi due millesimi senza Barolo. I risultati di questo lavoro "preventivo" si sono visti anche in questo vino che risulta solare senza appesantimenti con ventaglio aromatico che va dalla viola passita fino ad arrivare al balsamico e al tabacco trinciato. Bocca sicuramente maschile con un tannino graffiante che, a differenza del Barolo precedente, non è corroborato da una sferzante acidità. La mancanza di questa coesione non lo rende, a mio giudizio, di grande prospettiva per cui è meglio berselo oggi. Non ve ne pentirete! Affinamento: 40 mesi in botti di rovere di Slavonia da 25 HL e successivi 12 mesi in bottiglia.


Barolo Vigna Fossati 1999 - Dosio Vigneti: le cose ora cambiano, il nebbiolo ha avuto il giusto tempo per esprimersi e ora si rivela a noi in tutta la sua ampiezza e complessità dove, le appena accennate note terziare di sottobosco, appena si confondono con un secondario giocato su ciliegia, tabacco, ribes, viola, anice, soffi balsamici e tratti ematici. La bocca è di corpo pieno, sublime, fitta di tannino e di dilagante equilibrio e profondità. Non smetteresti mai di berlo. Piccola curiosità che potrebbe fornire un indizio importante: l'affinamento è stato effettuato in botti di rovere di Slavonia di 60 HL.


Barolo Vigna Fossati 1993 - Dosio Vigneti: la supremazia del nebbiolo, questo ho esclamato appena ho bevuto un sorso di questo grande Barolo che, rispetto al precedente, si ha in dote una luminosissima e vivida nota di arancia rossa sanguinella che dona freschezza e gioventù in tutte le fasi della degustazione. Un sorso di equilibrio sopraffino, corroborante, lungo, sapido con finale floreale di viola. Di terziario ha veramente poco questo '93, una bottiglia da bere a casse e da mantenere in cantina....a casse! Nota: anche in questo caso affinamento in grandi botti da 60 HL. 



Alcuni formaggi e salumi degustati in abbinamento:






Giovanna Morganti e il Chianti Classico "Le Trame"

Avere a cena Giovanna Morganti non è cosa da tutti i giorni, difficile farla allontanare da Castelnuovo Berardenga, la sua Terra, il suo piccolo grande mondo.
Soprattutto è molto difficile, e per questo ringrazio i TDC, Giampiero Pulcini in primis, avere contemporaneamente a tavola sia lei che la verticale storica di Le Trame, il suo Chianti Classico.
Giovanna, così come abbondantemente scritto da altri, è una donna straordinaria e nonostante la sua timidezza l'abbiamo "costretta" a parlare di lei e di Podere Le Boncie, la sua azienda, probabilmente la sua vita. Pochi minuti di video dove c'è tutta la personalità di questa vignaiola toscana.


Giovanna ci hanno portato ben 11 millesimi del Chianti Classico "Le Trame" la cui prima annata, mitica, risale al 1990. Solo la 1991 è stata saltata.
Il vino, composto da un sapiente mix di sangiovese, colorino, mammolo e foglia tonda, viene fermentato con lieviti indigeni in botti aperte di rovere di Allier da 500 e 700 litri per circa 15/20 giorni (non esiste ricetta specifica) per poi affinare circa due anni in vecchie botti di legno di diversa capacità. Produzione media: 20.000 bottiglie all'anno.

Iniziamo la degustazione con queste parole:"Il Chianti di Giovanna è ormonale, mentale, è un vino con il quale devi entrare in empatia, o si instaura tra di voi un feeling emozionale oppure sarà un prodotto che quasi odierai....".

Giovanna Morganti. Foto: gustodivino.it

Podere Le Boncie - Chianti Classico Le Trame 1999: il vigneto ad alberello, piantato nel 1996, ancora non era entrato in produzione per cui Giovanna fa nascere questo vino da mezzo ettaro di Poggio Rosso (vino dell'azienda agricola San Felice di cui Enzo Morganti, suo padre, era stato direttore) più altre vigne in affitto. Al naso ha tutto del grande Chianti d'antan, si odono trame olfattive di viola macerata, torrefazione, frutta rossa secca, iodio, erbe aromatiche. Al sorso è un cavallo chiantigiano di razza, fresco, dritto e dall'equilibrio sopraffino. Commovente per integrità e personalità.

Foto: Andrea Federici

Podere Le Boncie - Chianti Classico Le Trame 2001: la seconda annata del vigneto ad alberello ci mostra un vino austero e composto, dall'anima terrosa, un perfetto quadro bucolico dove si snodano sensazioni di radici, erbe di campo, humus, fiori e frutta rossa di rovo. In bocca è sapido, ponderato, la frequenza gustativa è giocata su toni bassi ma decisi. Lunga la chiusura.

Podere Le Boncie - Chianti Classico Le Trame 2002: vino molto delicato e dal tratto sapido che denuncia il millesimo difficile solo alla gustativa dove non ritrovo il solito equilibrio. Ciò non pregiudica una beva assassina del vino che è da bere oggi o mai più!

Podere Le Boncie - Chianti Classico Le Trame 2003: l'annata non certo fresca regala un Chianti diverso dai precedenti per calore, rotondità e nota alcolica che, sopratutto in bocca, non è perfettamente supportata dalle altre componenti strutturali. Come per la 2002, queste divagazioni climatiche non infieriscono mortalmente sul vino che vicino ad una bella tagliata di manzo fa la sua sporca figura.

Podere Le Boncie - Chianti Classico Le Trame 2004: il Chianti di Giovanna in questa annata mette le ali e spicca il volo. Etereo, femminile, mettendo il naso nel bicchiere sembra di entrare in un campo di fiori rossi che solo col tempo lasciano spazio alla ciliegia croccante e alla gradevole balsamicità. Bocca suadente, misurata, di invidiabile equilibrio e dotata di un tannino fine e levigato. Lunga scia sapida in chiusura. Bono!!!

Podere Le Boncie - Chianti Classico Le Trame 2005: rispetto al precedente soffre un pò la maggiore evoluzione. Le note olfattive, infatti, sono più scure della 2004 con sensazioni minerali e di terra a farla da padrone. Al sorso rimane comunque gradevole soprattutto grazie alla vena minerale che diventa via via più evidente e va a fondersi con le note acido/sapide del vino.

Podere Le Boncie - Chianti Classico Le Trame 2006: questo Chianti sembra nascere con un'anima dal carattere vegetale in quanto si odono scie odorose dove le erbe aromatiche sono ben evidenti. A queste, col tempo, si aggiungono note fumè e sfumature di frutta nera di rovo. Bocca di buona struttura che fornisce rotondità al sorso caratterizzato da un tannino deciso che sostiene il finale fruttato e corroborante.

Foto: www.wineanorak.com

Podere Le Boncie - Chianti Classico Le Trame 2007: parte con un naso ritroso e finisce...con un naso ritroso che non esprime molto se non un tono foxy che, per molti, caratterizza i Chianti di Giovanna Morganti. Mah. Anche al sorso non convince al 100%, la freschezza e la gioventù del vino sono un pò minate da un centro bocca che sembra non avere la spinta per caratterizzare una adeguata persistenza gustativa. Da risentire.

Podere Le Boncie - Chianti Classico Le Trame 2008: tanta gioventù al naso dove i profumi intensi di viola mammola, more, ribes rosso e ciliegia sono caldi ed intensi. Al sorso appare un adolescente che ha trovato già la sua maturità, ha tannini ampi, decisi e fusi a persistenti note fruttate. Chiude sapido. Buona le beva.

Foto: www.vinoir.com 
Podere Le Boncie - Chianti Classico Le Trame 2009: rispetto al precedente l'irruenza giovanile è corroborata una spinta alcolica che mette la frutta sotto spirito e rende la beva più difficoltosa visto che l'equilibrio, questa volta, è ancora in divenire. Da aspettare (?).

Podere Le Boncie - Chianti Classico Le Trame 2010: avete presente un grande Chianti Classico rigoglioso, espressivo, vitale, euforico e generoso? Ecco, avete davanti Le Trame 2010. Grande futuro!

Postilla finale: sono entrato in sintonia con Giovanna e il suo Chianti. Finalmente, direbbe qualcuno!