Investire in vino? Mica male!


Un bicchiere di vino può aiutare a scacciare la tristezza per la crisi, ma può anche fare bene al portafogli. L'indice di Borsa mondiale del settore vinicolo elaborato da Mediobanca, una rarità nel panorama finanziario mondiale che raggruppa 46 società quotate attive nel settore del vino (tutte estere, dagli Usa alla Cina all'Australia alla Nuova Zelanda), dal gennaio del 2001 ad oggi ha registrato una performance positiva del 175%, quasi cinque volte tanto le Borse mondiali, che hanno segnato nello stesso periodo un progresso del 37,4%. Lo riporta l'Indagine sul settore vinicolo realizzata dall'Ufficio Studi di Mediobanca.

La migliore performance dei titoli vinicoli, al netto delle dinamiche delle Borse nazionali, spetta al Nordamerica(+193%), seguita dalla Francia (+105%) e dall'Australia (+10%). In altri Paesi, invece, i produttori di vino hanno reso meno delle Borse nazionali (Cina e Cile, -54% ciascuno). I titoli vinicoli sono poco legati al ciclo economico e quindi adatti agli investitori istituzionali, per diversificare i rischi del portafoglio di investimenti.

Del resto, secondo il rapporto, è americana la prima impresa vinicola del mondo per fatturato, mentre la prima italiana, le Cantine Riunite & Civ, si piazza al settimo posto. La leader mondiale è il gruppo statunitense Constellation, con un fatturato di 2.051 milioni di euro. Seconda la francese Lvmh (1.782 mln), specializzata però nello champagne, prodotto dai ricavi unitari mediamente molto più elevati rispetto a quelli del comune vino. Seguono la Treasury Wine, australiana, con 1.321 mln, la sudafricana Distell Group (1.076 mln) e la cinese Yantai Changyu (694 mln), che realizza il 100% del fatturato ma ha un'anima in parte italiana: la famiglia Reina, proprietaria dell'Illva di Saronno (quelli dell'Amaretto), detiene infatti il 33% dello Yantai Changyu Group, che controlla il 50,4% della società operativa Yantai Changyu Pioneer Wine Company. Si trovano poi la Concha y Toro cilena (629 mln) e la Cantine Riunite - Giv (498 mln), al settimo posto. In undicesima posizione figura poi l'italiana Caviro (247 mln); in sedicesima la divisione Vino della Campari (185 mln), in diciannovesima la Cavit (152 mln) e al ventesimo posto la P. Antinori (150 mln).

In Italia comunque il settore è in buona salute. Secondo l'indagine di Piazzetta Cuccia che ha preso in considerazione i bilanci delle 108 principali aziende, l'anno scorso il loro fatturato complessivo è salito del 7%, con forte spinta dell'export, portandosi del 20% sopra il livello pre-crisi mentre il fatturato dell'industria è sceso pesantemente. Bene anche l'occupazione (+2,6%) e le prospettive per il 2013: l'87% dei grandi produttori esclude un calo dei ricavi. Quanto alle tipologie, i grandi vini
(quelli che costano più di 25 euro a bottiglia) e i Docg sono passati al 15,7% delle etichette, dal 9,4% del 1996. Stabili le etichette Doc (36,6%), in calo le produzioni meno pregiate (Igt e vini comuni), dal 54,3% al 47,7%. Il 74% delle etichette è comunque rappresentato da Doc e Igt.


Fonte: Repubblica

Rosso Pradarolo 2008: quando la volatile è tutto!

Chi mi segue, quei pochi, sanno che, in genere, non amo parlare male dei vini perchè rispetto moltissimo il lavoro del produttore che so perfettamente il mazzo che si fa.
Bevendo questa bottiglia a Pasquetta non ho potuto ripensare alla parola che ho usato prima: RISPETTO. E vi spiego il perchè.
Al ristorante, dove ho ordinato il Rosso Pradarolo 2008, con Stefania ci beviamo solitamente una bottiglia in due, amiamo abbinare il buon cibo con il vino e non sapete quanto siamo rimasti contenti nel trovare nella carta dei vini dell'osteria, accanto ai soliti noti, il nome di Podere Pradarolo presente sia con due bianchi che col rosso.


Il Rosso Pradarolo 2008 è una vendemmia tardiva a base di Barbera (90%) e Croatina (10%) vinificate tramite macerazione di 90 giorni e successivo invecchiamento di 15 mesi in botti grandi di rovere. Va in commercio dopo aver fatto almeno 6 mesi di affinamento in bottiglia. Ovviamente, nessun uso di lieviti selezionati, nessuna filtrazione e stabilizzazione. 

Sembra tutto perfetto ma quando lo apri e lo versi nel bicchiere la poesia cambia. Anzi, non c'è proprio poesia ma solo un grande, grosso difetto chiamato acidità volatile

Troppa, tremenda, invadente!

E col cavolo che, come spesso sento dire, se ne va facendo ossigenare il vino.

Già, il vino. Il mio Rosso Pradarolo era totalmente massacrato dall'acetica che al naso non riuscivo a percepire altro sentore. Le eleganti note di frutta rossa che il produttore riporta nella scheda tecnica? Un atto di fede.
Il problema maggiore, comunque, riguarda la gustativa. L'acido acetico "brucia" leggermente la gola per cui dopo un bicchiere e mezzo, sforzandoci, non riusciamo più a bere. Non siamo masochisti.

Risultato? Bottiglia lasciata per oltre la metà. Soldi buttati. Incazzatura galloppante.

Quello che mi chiedo è se Alberto Carretti, il simpatico produttore che ho personalmente conosciuto tempo fa a Faenza assieme all'ineffabile Nossiter, abbia bevuto il suo Rosso prima di imbottigliarlo e venderlo. Non posso immaginare che un vignaiolo etico come lui, dopo averlo fatto, abbia dato il via alla vendita. Non si può!

E' una questione di RISPETTO! Eccola qua la parolina magica di cui sopra. Non si possono mettere sul mercato bottiglie così anche se le analisi dicono che tutto è ok. Non serve uno chimico per capire che il vino ha un problema e, per una volta, mettiamo da parte il concetto di naturalità se questo è il risultato. Cavolo, non offriamo il fianco a chi sparla dei vini naturali. Vedi la voce: Ricci e Co&. 

RISPETTARE il consumatore finale con vini degni della loro destinazione finale è pur utopia da queste parti?

In tema di acidità volatile, per chi vuole approfondire, consiglio questo link VINIX.

Alberto Carretti in cantina

La Stoppa e i suoi vini in verticale

Deve essere molto difficile il mestiere di Elena Pantaleoni e Giulio Armani, rispettivamente proprietaria ed enologo de La Stoppa, perchè combattere contro i pregiudizi può essere davvero un'attività stremante. 
Dopo la verticale storica dei loro vini tenutasi a Roma qualche giorno fa, ho definito l'Ageno, il Macchiona ed il Vigna del Volta come vini "antagonisti" perchè vanno contro chi pensa che Bonarda, Barbera e Malvasia di Candia siano vitigni buoni solo per lo sfuso da osteria, perchè vanno in contrasto con l'idea che i colli piacentini siano un territorio vitivinicolo sfigato, e , soprattutto, perchè danno una spallata ai tanti commenti presenti nel web che descrivono come "puzzolenti" il Macchiona ed i suoi fratelli.


Elena che spiega....
Giulio che si riposa...
Certo, non sono vini semplici, a volte spiazzano e hanno bisogno di aria e tempo per esprimersi al meglio, spesso bisogna entrarci in sintonia perchè oltre ad essere terreni sono anche vini mentali. Vini "antagonisti" e difficili, certamente, ma dopo questo viaggio nel tempo all'interno del mondo La Stoppa tutto non potrà essere più come prima. Almeno per me.

Ageno 2007 (Malvasia di Candia Aromatica 60%, Ortrugo e Trebbiano 40%): macerato sulle bucce per circa un mese come avveniva per i vecchi vini bianchi piacentini, è un vino che non lascia indifferente sia nel colore, arancione chiaro, sia negli odori che sono ben definiti e decisi. Sensazioni di mandarino, spezie orientali, foglie di the, zolfo. Bocca di grande struttura, ricca, dove acidità e tannino (sì c'è anche lui) la fanno da padroni. Un sorso alternativo che si vedrei benissimo con una bistecca al sangue. Perchè no?

Ageno 2005 (Malvasia di Candia Aromatica 60%, Ortrugo e Trebbiano 40%): rispetto al fratello minore l'ho trovato più timido e scontroso anche se a livello gustativo si lasciava andare meglio visto che l'età ha giocato favorevolmente sull'equilibrio del vino. Curiosità: Ageno è il nome è un omaggio al precedente proprietario de La Stoppa, l'Avvocato Ageno che per primo ha creduto nella grande potenzialità della zona e l'ha voluta valorizzare. 


Ageno 2007 e Ageno 2005
Macchiona 2005 (Barbera 50%, Bonarda 50%): Giulio Armani, spiegandomi questo vino mi ha chiaramente detto che, ad oggi, è troppo giovane per valutarlo. Sgranando gli occhi e avvicinando il naso nel bicchiere ho capito subito cosa voleva dire. Il Macchiona, per dirla alla Venditti, era "chiuso come le chiese quando ti vuoi confessare" e solo con la santa pazienza e un pò di esperienza riesci a capire il potenziale di un vino che è in mortale ritardo per il decollo finale. Al sorso è puro territorio, sa di frutta matura e terra e tutta l'impalcatura è ben sorretta da una struttura solida e magistralmente definita da una scia sapida finale.

Macchiona 2002 (Barbera 50%, Bonarda 50%): l'annata piovosa ed un maggior invecchiamento danno vita ad un vino più agile del precedente che, a mio parere, è ancora con i piedi troppo ancorati per terra. Questo millesimo, avendo minore "ciccia" da smaltire, cerca nel suo piccolo di mettere le ali e, sospinto da un vento fresco, va ad esaltare tutte le caratteristiche dell'annata che aiuta gradevolmente il sorso e, bicchiere dopo bicchiere, la bottiglia è finita. Certo, non sarà un mostro di complessità ma, ad oggi, è al suo massimo di godibilità. Ora o mai più!


Fonte: Sorgente del Vino
Macchiona 1995 (Barbera 50%, Bonarda 50%): quando ho aperto la bottiglia e versato il vino nel bicchiere, appena odorato, sono subito corso a cercare Elena e Giulio e, con un pizzico di emozione, gli ho sussurrato:"Ragazzi, ho capito il senso delle vostre parole di prima, quando sottolineavate chela 2005 era troppo giovane per essere capita!!". Nel calice, davanti a me, ho un vino nudo, crudo, che ha disperso nel tempo molte delle zavorre che, per dirla come il mio amico Francesco Vettori, lo tenevano distante dal cielo e dalle alte vette dell'eleganza. Il naso è articolato su note di spezie, fiori, ricordi di rosa, viola, foglie secche e fruttini rossi di montagna. Bocca di classe dal sapore terso, minerale, con un tannino perfettamente fuso nella massa e una chiusura lunga e sapida. Alla cieca lo scambieresti per un nebbiolo. Solo una domanda che sa di provocazione: ma si può aspettare un vino per così tanto?

Macchiona 1987 (Barbera 50%, Bonarda 50%): l'artigianalità e la naturalità di un vino che corre nel tempo senza guardarsi indietro. Questo può essere il titolo di questo Macchiona che, a partire dalla bottiglia sporca e senza etichetta portata da Elena, rappresenta un vero tocco di storia per La Stoppa che con questa versione di Macchiona si prende una sana rivincita contro il territorio e contro chi, troppo spesso, ha sottovalutato il potenziale evolutivo dei suoi vini. Pur sottolineando la diversità qualitativa tra le varie bottiglie presenti alla degustazione, il vino nel mio calice si è presentato perfettamente integro, autunnale, con tocchi balsamici e salini. Sorso di grande personalità, sapido, pericolosamente compulsivo. Chapeau!

Chiudiamo la serata in bellezza con le annate 2007 e 2005 del passito Vigna del Volta (Malvasia aromatica di Candia 95%, Moscato 5%).  Tra i due millesimi ho preferito l'annata più giovane per una maggiore precisione ed ampiezza aromatica e gustativa che ricorda la frutta disidratata, la scorza di agrume, il miele di acacia. Sorso cremoso, avvolgente, agrumato, freschissimo e dotato di un finale che si arricchisce di canditi e sbuffi iodati. 


Fonte: Altissimo Ceto
P.S.: visto che non ci sente e non ci legge nessuno.....Elena mi ha confidato che se passate in azienda a nome mio vi apre anche un Macchiona '83 e, se siete stati bravi, anche il Buca delle Canne, uno dei più grandi vini dolci italiani di sempre.... Shhhhhhhh, acqua in bocca........

Rocco Siffredi.....e il suo Magnum

'Rocco non solo magnum', è questo il nome, inequivocabile, del vino nato da un'insolita unione professionale  tra il celebre attore del cinema hard internazionale, Rocco Siffredi, e l'ex pilota di Formula 1 Jarno Trulli.

Fonte: Globalist.it

La bottiglia, frutto della Colline pescaresi Igt e a base di uve Montepulciano, sarà presentata in anteprima al Vinitaly. Il vino farà parte di un progetto commerciale dell'attore, che ne prossimi mesi aprirà a Budapest il primo 'Rocco's world caffè', un locale inteso come luogo di ritrovo coviviale e tappa irrinunciabile per gli amanti del genere hard, sarà infatti possibile acquistare oggetti vari e gadget, mentre 'sullo sfondo' verranno trasmessi video con i backstage dei set cinematografici dello studio di Siffredi.

"Il vino, ha spiegato l’attore, ha un legame profondo con l'erotismo e con la persona giusta è in grado di creare l'atmosfera perfetta per una serata divertente. L'Abruzzo è la mia terra d'origine e Jarno è un caro amico, che produce vini ottimi e che, con la giusta ironia, si è prestato a produrre questa nuova etichetta con il mio nome". Siffredi non è il primo attore hard che si affaccia al mondo del vino, prima di lui Savanna Samson ha cominciato a produrre bottiglie a Montalcino nella terra del Brunello.

Il Consorzio del Vino Brunello di Montalcino risponde a Gianfranco Soldera. E guerra sia!

Il Consorzio del Brunello di Montalcino ritenendo fortemente lesive le affermazioni rilasciate al Corriere della Sera di quest’oggi nei confronti dei produttori e del territorio nel suo complesso da Gianfranco Soldera, desidera chiarire la propria posizione rispetto a tali accuse infondate per evitare ulteriori strumentalizzazioni che danneggiano Montalcino e l’immagine del Brunello nel mondo. Ad iniziare dalla proposta del Presidente del Consorzio di donare a Case Basse il “vino della solidarietà” con bottiglia ed etichetta diversa da quella nomale oggi considerata “irricevibile e offensiva, una truffa al consumatore”, ma che ieri meritava “il nostro sentito ringraziamento”. Il Consorzio sottolinea come volesse essere un gesto simbolico e di solidarietà dal momento che allora, sulla base delle sue stesse dichiarazioni, si pensava che tutta la sua produzione fosse scomparsa con l’atto vandalico e con il ricavato poteva fare beneficenza all’asilo o alla casa di riposo degli anziani. Oggi sappiamo che non è così (Soldera ha dichiarato che ci sono 7000 bottiglie ad annata), ma il significato di quel gesto di solidarietà rimane e riteniamo offensivo che ciò venga considerato alla stregua di una truffa. 


Anche perché quell’atto e tutte le illazioni fomentate a margine per ora stanno danneggiando in modo considerevole l’immagine del Brunello e del territorio, mentre continuano a garantire una platea mediatica a chi l’ha subito per avere visibilità continua e lanciare accuse infondate. Lo stesso vale per quanto riguarda l’idea ribadita che il Consorzio non voglia fare ricerca visto che che ha deciso di investire 150.000 € affidandosi al maggior centro di ricerca enologica presente in Italia, la Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige. La ricerca si è sviluppata su tre filoni: lo sviluppo dei metodi che considerano il DNA oppure gli antociani per stabilire l’origine varietale, e gli isotopi stabili, questi ultimi per tracciare l’origine geografica del vino Brunello. Dopo molte e approfondite considerazioni la Dr.ssa Stella Grando, referente per la genetica dell’Istituto di San Michele all’Adige, ha confermato che il metodo del DNA su cui Soldera insiste tanto non è applicabile perché i risultati non sono riproducibili e improponibili per stabilire la purezza di un vino, dato che le miscele di DNA non sono quantificabili con precisione. Ciò non permette un controllo sicuro ed esteso su tutta la produzione. 

Per quanto riguarda “la moltiplicazione del pane e dei pesci e non c’è territorio” desideriamo sottolineare come in un comprensorio di 24.000 ettari, solo il 15% è occupato dai vigneti. Inoltre va puntualizzato che a partire dall’anno 2006 i produttori di Montalcino hanno volontariamente ridotto la produzione ad ettaro del loro Brunello, passando da 80 a 70 quintali per poi scendere ulteriormente da 70 a 60 quintali nel 2011 nell’ottica di un ulteriore miglioramento qualitativo. Sui motivi della sentenza e del movente dell’atto vandalico che non convince invece non entriamo ma come ha fatto emergere l’inchiesta ribadiamo l’assenza di collegamenti tra esecutore materiale ed il territorio ed il fatto che secondo le indagini l’atto sia stato il risultato di una questione puramente riconducibile a problematiche aziendali. Quello che in conclusione più ci preme è tuttavia ribadire una volta per tutte e per buona pace di Gianfranco Soldera che, contrariamente a quanto lui pensa, nessuno in questo territorio e tantomeno il Consorzio ha parlato di cose diverse dal Sangiovese 100%, questo prevede il Disciplinare e questo viene rispettato. Dal 1967 noi siamo per il rispetto del Disciplinare, per i controlli e per le ricerche. Chi parla di altro o di truffe senza averne le prove offende profondamente il territorio, la comunità dei produttori, il patrimonio comune che è Montalcino ed il suo Brunello, al solo scopo di innalzare la propria immagine calpestando il territorio e gli altri produttori. 

Raccogliamo quindi con piacere le indicazioni del sindaco di Montalcino Silvio Franceschelli secondo il quale “soprattutto in questo momento bisogna valorizzare il territorio ed il patrimonio imprenditoriale che esso esprime, una vera e propria eccellenza nel panorama internazionale. Chi al contrario utilizza la visibilità che il Brunello offre per valorizzare solo se stesso a scapito del territorio, chiunque esso sia, va condannato senza indugi.”

Gianfranco Soldera e quel "piccolo" difetto di comunicazione

Non è passato troppo tempo da quando Gianfranco Soldera ha subito quell'infame attentato a opera di Andrea Di Gisi, ex dipendente della sua cantina, che proprio qualche giorno fa è stato condannato a 4 anni di reclusione
E' passato ancora meno tempo, inoltre, da quando Soldera, con un apposito comunicato stampa, ha deciso di uscire dal Consorzio del Brunello di Montalcino inoltrando a Bindocci le sue dimissioni irrevocabili.
Leggendo le ultime righe del comunicato prendo atto di un altro colpo di scena che, in parte, tranquillizza tutti i disperati fan di Soldera che avevano pensato di dover rinunciare al famoso Brunello per anni. Così non sarà. Tutti contenti allora? No. Almeno io qualcosina al Gianfranco nazionale la vorrei dire perchè, commercialmente, un pò mi sta scocciando.



Già tre anni fa, infatti, tanti appassionati come me avevano dovuto ingoiare il rospo circa la decisione dell'azienda di confondere le acque imbottigliando sotto un'unica etichetta i due Cru "Intistieti" e "Case Basse" che, da quel momento in poi, potevano essere rintracciati solo ed esclusivamente codificando il numero di lotto delle bottiglie. Sarà anche per loro una questione di lana caprina ma come consumatore avrei diritto a sapere cosa compro senza dover fare mille telefonate in azienda per comprendere che tipo di Brunello sto comprando. Che poi l'Intistieti venga venduto allo stesso prezzo del Case Basse è un'altra trovata geniale. A precisa mia domanda Soldera mi rispose:"Non so nulla, è una decisione di mia figlia che si occupa del marketing...".

Vabbè, turiamoci il naso e passiamo oltre fino ad arrivare all'infame atto posto in essere dal Di Gisi che, svuotando le botti della cantina, ha scatenato tra gli appassionati, oltre ai normali sentimenti di solidarietà verso Soldera, anche tanta disperazione. Come non ricordare l'articolo del Corriere della Sera del 4 dicembre 2012 che scriveva testualmente:"I malfattori hanno aperto i rubinetti di botti e barriques, lasciandole intatte ma distruggendo l'intera produzione vinicola che riguarda le vendemmie dal 2007 al 2012: circa 600 ettolitri finiti negli scarichi della cantina. Sei annate perdute. Il pavimento trasformato in un lago di vino, ma null'altro è stato toccato o sottratto". 

Ovviamente qualcuno, letto la notizia, ha cavalcato l'onda della speculazione e, come scritto anche qua, le vecchie annate di Soldera hanno cominciato a lievitare di prezzo raggiungendo anche le 500 euro. Uno schifo a cui, in verità, l'azienda ha messo una pezza facendo uscire un ennesimo comunicato stampa dove, oltre a prendere le distanze da ogni pratica speculativa, informava che la vendita dell'annata 2006 del suo Brunello era temporaneamente sospesa fino a data da destinare.

Di Gisi, il "killer del Brunello". Fonte: Montalcino News
Ebbene, sono passati oltre 4 mesi ed arriva l'ultimo comunicato stampa col quale Soldera comunica al mondo sia la nuova distribuzione della 2006 sia, squilli di trombe, che è rimasto un pò di 2007, 2008, 2009, 2010, 2011 e 2012 le cui vendite avverranno in futuro.

Come scrivevo all'inizio del post, la lieta notizia che ha messo fine alla paure di molti per me ha avuto, purtroppo, un risvolto alquanto amaro visto che, pensandoci bene, sbagliando i tempi della comunicazione Soldera non ha fatto altro che alimentare quell'attività speculativa che tanto dicono di combattere. 
Se proprio volete fare chiarezza circa le inesatte notizie circolate, non potete svegliarvi quattro mesi dopo l'accaduto quando tutti i giornali più importanti al mondo, dal Corriere della Sera al Guardian scrivono di una produzione azzerata per cinque anni. Cavolo, mica sono Percorsi di Vino che lo leggono in due!!
Caro Soldera, visto che fin da Dicembre sapevi bene che qualcosa si era salvato, perchè non hai smentito tutti i giornali con un altro comunicato soffocando sul nascere ogni intento speculativo?
Così facendo si sono avuti tre risultati pericolosi per noi appassionati: 
  • le annate storiche, se le trovi, si sono apprezzate minimo del 50%;
  • la 2006 (ultima annata prodotta prima del presunto black out) ha raggiunto quotazioni improbabili; 
  • 2007, 2008, 2009, 2010, 2011 e 2012, prima scomparse e ora miracolosamente riapparse in quantità pari alla metà della produzione normale (così ha dichiarato Soldera al Corriere della Sera di due giorni fa) saranno considerate talmente di culto che si apriranno aste selvagge per accaparrarsele.
Il risultato, pertanto, è che il Brunello Case Basse, da qua in poi, sarà prezzato come un grande Bordeaux. 
E' vero, qualitativamente il sangiovese di Soldera non ha nulla da invidiare ai francesi però, caro Gianfranco, mi permetta di tirargli amichevolmente le orecchie....

Gianfranco Soldera. Immagine: greatwinenews.com

Nel frattempo, qualcuno si è incazzato......

Orto 2009: Venezia e l'Isola di S.Erasmo hanno il loro vino

La storia di questo vino viene da lontano ed è un racconto che sa di Natura, recupero ed antiche tradizioni.
Siamo sull'isola di S. Erasmo, nella laguna di Venezia, famosa per essere considerata da sempre l'orto dei dogi perchè, per secoli, ha fornito verdura e ortaggi freschi (famoso il carciofo violetto) alla città di Venezia.

Da qualche tempo l'Isola di S. Erasmo non è famosa solo per la sua verdura ma anche per un vino, l'Orto, il cui papà è Michel Thoulouze, ex presidente di Tele+ e deus ex machina di Canal Plus per venti anni, che una volta andato in pensione ha pensato bene di diventare un contadino provetto rilanciando nell'isola la coltivazione della vite e la produzione del vino, utilizzando i metodi tradizionali degli agricoltori locali e la competenza tecnica di Lydia e Claude Bourguignon, ingegneri agrari, e Alain Graillot (Crozes Ermitage), produttore vinicolo i cui vini sono famosi in  tutto il mondo.


Partendo da una mappa settecentesca dell'isola su cui c'era scritto «Vigna del Nobil uomo», Thoulouze ha liberato dai rovi 11 ettari di terreno attravero il rinnovo dell’antico sistema di drenaggio che raccoglie l’acqua piovana entro i canali che passano tra i filari delle vigne e fluisce poi in laguna con la bassa marea attraverso sistemi idraulici di “chiuse”. Prima di impiante i vitigni, i terreni sono stati preparati seminando per tre anni ravanello, avena e radice cinese secondo il metodo “duro su duro” cioè senza mai arare e senza dare, ovviamente, concimi e diserbandi chimici.

Michel Thoulouze Fonte: avis-vin.lefigaro.fr

Un unico vino, dicevamo, 15.000 bottiglie derivanti da 4.5 ettari di vigneto a piede franco dove spicca la presenza di malvasia istriana, vermentino e fiano di Avellino, vitigni che lo stesso Thoulouzeè andato a selezionare all'interno del Vivai cooerativi Ruscedo.

L'Orto 2009 (60% malvasia, 30% vermentino e 10% fiano) degustato poco tempo fa è un vino sapido, salmastro, verticale, di grande beva. Trovo particolarmente riuscito il mix di uve che tra aromaticità, acidità e struttura danno vita ad un equilibrio di ottime proporzioni. 
E' un vino adattissimo per il pesce e Thoulouze, da vecchio volpone, lo sa perfettamente! 


Simone, ci mancherai



Più di un decennio con in mano un calice di vino e mai un momento noioso. Per me il vino è oltre il lavoro che faccio: amici da scoprire, terre da visitare, contadini da cui imparare. Tutto ciò non mi affatica mai.Non amo punteggi o classifiche, quello che faccio bevendo un vino è chiudere gli occhi e riporlo dentro la bottiglia. Un percorso inverso che mi porti dentro la cantina, mentre il proprietario ne spilla dalla botte e ne porge qualche calice. Uscendo all'aria aperta cammino tra le vigne e cerco di imprimere nei miei ricordi una storia intera.

Tra Robert Parker e Antonio Galloni è scoppiata la guerra

Tutti gli appassionati del mondo del vino hanno saputo che Antonio Galloni da un pò di tempo ha lasciato Robert Parker e il "suo" The Wine Advocate per intraprendere una propria strada attraverso il sito antoniogalloni.com.

Parker, un pò commosso e un pò dispiaciuto dalla notizia, aveva anche pubblicato una nota ufficiale a commento della separazione: «Mi ha comunicato la decisione poche ore prima che uscisse la notizia. Sosteniamo comunque Antonio, la sua etica nel lavoro, la sua integrità e l’impegno nel voler conoscere regioni vinicole nuove. Per quanto mi dispiaccia vedere Antonio andare in una direzione diversa dalla nostra, sono felice per lui e la sua famiglia e gli auguro tutta la fortuna che merita».

Fine di un amore, ognuno per la sua strada come vecchi amici......

Sì, col piffero!!! Sembrava tutto bello, vero? Ed invece no, il presunto addio strappalacrime si è subito trasformato in quella che sembra a tutti gli effetti la nuova "Guerra dei Roses" in salsa vinosa.

Infatti è di due giorni fa la notizia, pubblicata sul Los Angeles Time, che Robert Parker starebbe per trascinare Galloni in tribunale per presunta violazione contrattuale e frode.


Il giornale on line riporta che Robert Parker si sarebbe adirato con Antonio Galloni, pagato  ben 300.000$ più spesevisto il suo rifiuto di consegnare il suo ultimo lavoro per The Wine Advocate, ovvero il report sui vini della Sonoma Valley (California). 
A sua discolpa, Galloni avrebbe detto che non ha potuto finire l'articolo in tempo e, pubblicarlo adesso, significherebbe fornire una visione distorta della Regione.

Come risolvere la questione da "vecchi amici"? Sempre leggendo il Los Angeles Times sembrerebbe che Galloni abbia avuto il colpo di genio: pubblicare la relazione sui vini di Sonoma il mese prossimo su www.antoniogalloni.com e dare ai lettori del Wine Advocate libero accesso ad esso.

Ovviamente Parker non l'ha bevuta, perchè mai "guidare" i lettori di Wine Advocate all'interno di un sito concorrente? Perchè mai pubblicare il rapporto sul sito di Galloni quanto questo è stato pagato fior di quattrini per lavorare per la nota newsletter statunitense?

Parker, intanto, si è scusato con i suoi lettori ma, con Galloni, la guerra è appena iniziata...



Vuoi vedere che ora, per Franco Ricci, il vino senza solfiti diventerà buono?

Non è passato molto tempo da quando Franco Ricci, nell'editoriale del n°54 di Bibenda 7, scrive testualmente queste parole:
Lo vogliamo ribadire questo desiderio di far cessare il suono di certi tromboni che sull’altare del “puro e pulito” inventano la favola di un vino migliore confondendo una bio vigna con la cantina, fingendo di non sapere che per eliminare i solfiti dal vino, i diserbanti o i concimi chimici nel terreno non ci azzeccano niente.

Di sicuro, signori, secondo natura il vino è aceto. E, se non si trovano altri sistemi, senza la mano dell’uomo in cantina, proprio non possiamo farne a meno dei solfiti. E chi utilizza i solfiti non può scrivere “vino biologico” sulla bottiglia o sul suo biglietto da visita.

Sia come sia, noi siamo per la qualità. Punto e basta. La ricerca della qualità è il nostro obiettivo e se qualcuno un giorno ci proporrà la massima qualità e in più pure senza solfiti, gli assegneremo senza dubbio il nostro Oscar. Perché sarà allora una grande scoperta, da applaudire come abitanti di questa Terra. Però, dopo l’applauso, torneremo in silenzio a occuparci di vino.
Ovviamente le polemiche generate da questo scritto sono state tante visto un certo livello di approssimazione di certe idee che, lasciatemelo dire, non possono essere condivise.


La settimana dopo Franco Ricci, al quale riferiscono perchè non frequenta, puntualizza alcune considerazioni fatte nel precedente editoriale e scrive testuale:
A proposito di vino biologico. Per rispondere ad alcuni nostri cari lettori. Non ci risultano al momento prodotti che, in assenza totale di solfiti, siano di grande qualità e longevi. Se ne siete a conoscenza fatecelo sapere. Con i solfiti il biologico è un falso.
Vabbè, è fatto così, insiste giustamente nella sua tesi, è una sorta di "talebano" del vino solfitato. 

Poi, un giorno, spulciando in internet vedo Francesco Vettori che tira fuori un link che mi ha fatto sobbalzare dalla sedia.



A Roma / Wine Research Team - I vini senza solfiti e non solo 
Giovedì 16 Maggio 2013

Sono 23 le aziende che si presentano in grande stile a Roma per sottoporre al nostro assaggio i risultati del Wine Research Team. Un processo assolutamente scientifico attraverso il quale si sono volute individuare tutte quelle procedure, da attuare nel vigneto e in cantina, finalizzate ad ottenere la migliore qualità del vino.
Un progetto rivoluzionario, supportato da otto anni di ricerca, studiato dal Dott. Riccardo Cotarella, enologo di chiara fama e coordinatore del progetto, assieme al Prof. Fabio Mencarelli, tecnico dell’alimentazioneal Prof.Riccardo Valentini, climatologo, tutti e tre del Dipartimento per l’innovazione dei sistemi biologici, agroalimentari e forestali dell’Università della Tuscia, e insieme al Dott. Cesare Catelli, biologo.
La sintesi dello spirito che accomuna le 23 aziende che seguono il processo del Wine Research Team è riportata su tutte le retroetichette dei vini prodotti seguendo tale processo:
“La vite ed il vino accompagnano l’uomo nel suo cammino di Civiltà. La passione e la ricerca scientifica contribuiscono a superare limiti a volte impensabili”.
A voi l’onere di valutare i risultati della ricerca attraverso l’assaggio dei vini senza solfiti aggiunti delle 23 aziende presenti (segnalandovi che nel frattempo altrettante aziende, sempre seguite dall’enologo Riccardo Cotarella, hanno iniziato a produrre vino secondo il processo del WRT):
Allegrini - Castello di Cigognola - Carvinea - Còlpetrone - Coppo - Di Majo Norante - Falesco - Fattoria del Cerro - Fattorie Greco - La Guardiense - La Madeleine - La Murola - Leone De Castris - San Patrignano - San Salvatore - Tenuta dell'Arbiola - Tenuta di Frassineto - Tenuta San Polo - Terre Cortesi Moncaro - Terre de la Custodia - Trequanda - Villa Matilde - Villa Medoro

Leggo, rileggo, mi alzo, faccio un giro, mi risiedo, penso che ho perso la capacità di lettura perchè ciò che vedo è incomprensibile. E' come se mi dicessero che Berlusconi, di notte, va a letto con il pigiama di Che Guevara mentre Rosy Bindi fa la cubista all'Alien di Roma.

23 aziende...Cotarella......ricerca scientifica.....VINI SENZA SOLFITI.....

Ma, Franco, non avevi detto, scritto, non ci avevi sfracassato le xxx sul fatto che questi vini non ti piacevano, che erano di scarsa qualità, poco longevi.....Franco, sei sicuro? Puoi, caro Franco, provare a farmi capire perché denigrare su Bibenda7, nel tuo editoriale, i vini senza solfiti e poi ospitare una degustazione all’AIS Roma che te stesso organizzi? Perché praticare bene e razzolare male? 
Un tarlo, però, comincia ad entrarmi nella mente, una ambiguità talmente oscena che, se confermata, sarebbe un colpo al cuore per noi romantici.

Il cattivo pensiero riguarda queste frasi:"La ricerca della qualità è il nostro obiettivo e se qualcuno un giorno ci proporrà la massima qualità e in più pure senza solfiti, gli assegneremo senza dubbio il nostro Oscar" e "Non ci risultano al momento prodotti che, in assenza totale di solfiti, siano di grande qualità e longevi".

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Il Barolo di Giuseppe Rinaldi a confronto: Brunate Le Coste Vs Cannubi San Lorenzo Ravera

Giuseppe Rinaldi, per chi "mastica" di vino, non ha bisogno di presentazioni. E' una delle anime del Barolo e il suo vino, mai vicino alle mode,  è sempre buono, schietto, comunicativo.
Uno dei grandi pregi di questo uomo, che ancora non conosco personalmente, è quello di dar luce, nel suo nebbiolo,  ai vari caratteri e alle anime delle SUE Langhe divise in quattro territori di eccezione: Cannubi (frazione San Lorenzo), Brunate, Le Coste e Ravera.
Il suo Barolo, come vuole la tradizione, non è espressione di un singolo Cru ma, mi si perdoni il gioco di parole, è l'esaltazione della combinazione del nebbiolo di più zone la cui genesi fa riferimento a due semplici parole: prudenza contadina. Le carenze di una specifica zona, a seconda delle diverse annate, possono essere infatti colmate dalle "abbondanze qualitative" di un'altra, magari esposta diversamente, per cui il conseguente mix sarà sempre sinonimo di equilibrio ed armonia.
Un esempio per tutti? Il Barolo "Brunate-Le Coste", che mette assieme sapientemente l'anima calda della zona di Brunate con la verve fresca e guizzante del vigneto Le Coste che dona al vino una nota fruttata più croccante e viva.

Assieme ad un manipolo di amici abbiamo organizzato una doppia verticale di Barolo Rinaldi, stesse annate (1997,1998,1999,2000), con lo scopo di esaminare, se ci sono, le differenze tra le etichette "Cannubi S. Lorenzo-Ravera" e "Brunate-Le Coste".


La batteria del Cannubi S.Lorenzo-Ravera

Barolo Cannubi S. Lorenzo-Ravera 1997: proveniente da terreni sciolti ricchi di sabbia e marne bianche, al naso esprime grande complessità e terziarizzazione, forse un pò troppa per essere un '97 che, probabilmente, ha sofferto l'annata calda e avrà per questo un'aspettativa di vita minore. Al naso esprime sentori di scatola di sigari, orzo tostato, foglie secche. Bocca che tradisce un'evoluzione precoce e chiude un pò corto. Un nobile, fine, ma decaduto.

Barolo Brunate-Le Coste 1997rimane più chiuso del precedente, sia al naso che al palato è un Barolo più arcigno e mascolino che il tempo ha solo parzialmente scalfito. Anche il tannino, praticamente diluito nel precedente Barolo, è più graffiante e tutta la struttura sembra sorreggersi meglio grazie anche ad una maggiore vena acida. Un nebbiolo di corpo che rispetta il clima e il terreno prettamente argilloso da cui è nato.


Il Cannubi S.Lorenzo-Ravera 1997
Il Brunate-Le Coste 1997. Differenza di colore eh!

Barolo Cannubi S. Lorenzo-Ravera 1998: l'annata calda, forse ancora di più della '97, sembra aver scalfito di meno questo vino che si presenta succoso di arancia  amara, cola, genziana, menta. Bocca di grande personalità, finezza, ampiezza e progressione. Ricco e fine al punto giusto.

Barolo Brunate-Le Coste 1998: meno viscerale del precedente, mantiene grande compattezza con un naso di grande ampiezza dove le sensazioni gessose e balsamiche sembrano rincorrersi per tutto il tempo della degustazione. Ad alternarsi, gaudenti, spiccano gli aromi di prugna e fiori rossi. Al palato è cesellato, rigoroso, deciso, prepotente nella progressione. E' ancora giovane e potrà solo crescere ed emozionarci.

Barolo Cannubi S. Lorenzo-Ravera 1999: TAPPONE....AHHHHH

Barolo Brunate-Le Coste 1999: l'annata è di quelle generose anche se, a differenza della '98, abbiamo maggiore freschezza nei vini delle Langhe. Non fa eccezione questo nebbiolo che, rispetto al precedente, sembra avere, nei primi minuti, una maggiore dinamicità grazie a freschi sentori di arancia sanguinella e viola. Anche la bocca gode di una maggiore spina acida e di spinta. Questo, purtroppo, nei primi minuti. Col tempo, infatti, il vino sembra quasi suicidarsi virando su note terrene di fungo porcino che rimangono insolenti nel bicchiere spezzando il brio iniziale. Un incompiuto.


La batteria del Brunate-Le Coste

Barolo Cannubi S. Lorenzo-Ravera 2000: leggendo il sito del Consorzio si nota come questa annata, giudicata importante, caratterizzi un nebbiolo di grande struttura e ricchezza fenolica. Questo, probabilmente, spiega perchè questo S.Lorenzo-Ravera, normalmente giocato sulla finezza, esca fuori dai soliti canoni per diventare carnoso, polposo, umorale. Non so perchè ma il gioco gli riesce fino ad un certo punto, è un pò come i nostri politici che promettono e non mantengono in quanto non è nel loro DNA farlo. Resta, comunque, un Barolo di grande beva che oggi, penso, ha raggiunto il suo massimo.

Barolo Brunate-Le Coste 2000: inizialmente indecifrabile, sembra un codice crittografico di non facile soluzione. E' polveroso, al naso ed in bocca, autunnale nel suo respiro. Lo lascio da una parte, faccio l'offeso come un amante deluso. Col passare del tempo odo i miei vicini di banco parlarne bene. Sono entusiasti. Non è possibile. Lo annuso. Lo bevo. Non è più lui o, meglio, è il suo migliore alter ego che secondo dopo secondo, lettera per lettera, ha risolto il suo linguaggio cifrato per svelarsi fulgido, agrumato, solare, passionale. E' la bellezza del grande nebbiolo, baby!



Tirando le somme possiamo tranquillamente affermare che il Barolo di Giuseppe Rinaldi ha davvero due anime, quella fine, elegante e sussurrata del Cannubi S. Lorenzo-Ravera e quella decisa e "maschia" del Brunate-Le Coste forse il Barolo a cui Rinaldi tiene di più visto che è l'unica etichetta ad essere imbottigliata anche in magnum. Rimane, in tutto questo, un unico, grande, comune denominatore: un grande uomo di Langa chiamato Giuseppe Rinaldi.


Giuseppe Rinaldi e sua figlia Marta. Fonte: www.vinhulen.dk


Franco Ricci e il vino biologico: ma se prima di parlarne uno si informa?

E sì, Franco Ricci su Bibenda7 scrive: "A proposito di vino biologico. Per rispondere ad alcuni nostri cari lettori. Non ci risultano al momento prodotti che, in assenza totale di solfiti, siano di grande qualità e longevi. Se ne siete a conoscenza fatecelo sapere. Con i solfiti il biologico è un falso"


Primo errore: non c'è vino senza solfiti, magari c'è quello senza solfiti aggiunti ma la fermentazione, se non erro, crea naturalmente la sostanza che è presente nel vino.


Secondo errore: cazzarola se ci sono vini buoni senza solfiti. Esempio: l'Esperienze di Gaspare Buscemi!

A corredo di tutto ciò copio ed incollo un intervento di Elisabetta Angiuli, bravissima enologa, che fa chiarezza sul tema: "Per mera curiosità, non solo è ammessa la solforosa nei vini bio, ma anche in quantitativi notevoli. Vini rossi:100 mg/l sotto i 2gr zucchero, 120 tra 2 e 5gr zucchero, 170 mg sopra i 5 gr zucchero residuo. Bianchi e rosati: 150 mg/l sotto i 2 gr/l zucchero, 170 mg tra 2 e 5 gr /l zucchero e ben 220 mg/l sopra i 5 gr di zucchero residuo!!! Il famoso regolamento bio è una mezza bufala frutto di contrattazione e sui limiti di solforosa l'hanno spuntata i fratelli d'oltralpe che ne hanno più bisogno! Mi permetto di aggiungere un'ultima cosa: gli stessi lieviti, maggiormente i selvaggi, producono solforosa, tanto è vero che anche lì dove effettivamente non venga aggiunta, quindi nei vini naturali, è possibile dichiararne l'assenza in etichetta solo se inferiore ai 10 mg/l.


Dimenticavo.... si potrebbe definire irrisoria la decurtazione dei contunuti di solforosa dei vini bio rispetto a quelli convenzionali, basta andare a guardare questi ultimi per rendersene conto. Un dato d'esempio: bianchi convenzionali sotto i 5 gr/l zucchero 200 mg/l ...170 in bio! Il vero spartiacque è sempre la bontà del vino e la cura del produttore, questo sì, può fare la differenza nei contenuti di solforosa a vantaggio della qualità del vino e della salute dei consumatori perchè, oggettivamente la solforosa non è benefica!!! Un'ultima chicca... signori miei la solforosa è praticamente in tutti gli alimenti conservati...prego guardare etichette".


Fonte: Winenews,it

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