Terre Bianche di Filippo Rondelli: viaggio nel Rossese di Dolceacqua. Quarta parte


Continua il mio viaggio nel Rossese di Dolceacqua. Per chi si fosse perso le prime tre parti cliccare qua (Giovanna Maccario), qua (Ka mancinè), qua (Tenuta Anfosso).
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Saliamo sulla Panda improbabile, ancora una volta c'è Maurizio Anfosso con me, la mia inseparabile guida. Durante il viaggio mi confida che loro, i vignaioli più rappresentativi della denominazione, stanno cercando di arrivare ad una zonazione dei vari territori del Rossese. Definire e legalizzare una mappa dei Cru del Rossese, così come nelle Langhe, rappresenta un punto di partenza importantissimo per innalzare ancora di più la qualità del loro vini. Speriamo bene. 
Nel frattempo passiamo il bellissimo paese di Dolceacqua, cominciamo a salire, tornanti e controtornanti ci portano fino a 400 metri s.l.m in Località Arcagna. Qua, ai piedi del suo agriturismo, ci aspetta Filippo Rondelli, un ragazzone della mia età dalla cui dimora, che comprende anche la cantina di vinificazione, di gode di un panorama mozzafiato su tutta la valle.

La vista sulla valle

L'azienda nacque nel 1870 per volontà di Tommaso Rondelli che, in questa zona, impiantò barbatelle di Rossese in tempi decisamente non sospetti.
Oggi, grazie all'opera dei fratelli Claudio e Paolo Rondelli e di Franco Laconi, che nei primi anni '80 ampliarono e migliorarono la produzione, spetta a Filippo e a Franco Laconi gestire circa 8 ettari di vigna, parte di proprietà e parte in affitto, composta da uve a bacca bianca, pigato e vermentino, e uva a bacca rossa come rossese e cabernet sauvignon.
Con tutta la brigata saliamo sulla sua Jeep di Filippo che vuole farci visitare l'azienda, stavolta il mezzo di trasporto è più stabile, ci imbarchiamo per le viuzze a strapiombo per capire, come più volte mi è stato ripetuto durante il percorso, che da queste parti, anche in pochi metri il terreno può cambiare di molto. Ha ragione Filippo, le vigne di pigato e di vermentino, infatti, sono inserite in un contesto di terra rossa che degrada cromaticamente con la pendenza.

"Andiamo che ti faccio vedere un pezzo di Luna ora!!"

Pochi metri di strada ed arriviamo su un piano dove tutto cambia. Cambia l'esposizione che ora guarda verso le Alpi Occidentali, cambia il terreno, di argilla asfittica, color bianco sporco. Poi, a sorpresa, ci sono loro, questi splendidi calanchi, spettacolari forme di erosione dovute all’azione dell’acqua piovana sulle rocce argillose. 
Siamo senza fiato. Giriamo lo sguardo e vediamo la vigna di Rossese di Filippo con piante datate anche 1965.

I calanchi
Si capisce perchè Terre Bianche?

Torniamo verso il nostro punto di partenza, l'agriturismo il cui casolare è immerso nei vigneti di uno dei Cru più prestigiosi e storici della denominazione: l'Arcagna. 
Ci troviamo a 400 metri di altezza con esposizione est e le vigne, circa 3 ettari, allevate ad alberello e cordone speronato, hanno un'età che parte dai 50 anni fino ad arrivare ai 120.
Ci troviamo a 400 metri di altezza con esposizione est e le vigne, circa 3 ettari, allevate ad alberello e cordone speronato, hanno un'età che parte dai 50 anni fino ad arrivare ai 120. 

All'interno del vigneto è possibile trovare anche piccolo porzioni di pigato (1991) e vermentino.

E' ora di andare a bere qualcosa. Entriamo in cantina, vedo il solito acciaio, tonneaux e una "novità", le barrique da 225 litri con le quali Filippo affina il "Bricco Arcagna", il suo Rossese di punta.

Iniziando con i bianchi abbiamo potuto ammirare un interessante Pigato 2011 da vasca con un naso roccioso di sasso con sfumature di agrumi ed erbe aromatiche. Bocca verticale, lunga. Davvero una sorpresa.

Il Rossese di Dolceacqua 2011, imbottigliato da qualche giorno, conferma di essere un "classico" d'autore anche in questa annata. Balsamico, floreale con un frutto leggermente più scuro del normale, ha un sorso elegante e materico. In via di definizione ma estremamente godibile da oggi.

Il Rossese di Dolceacqua "Bricco Arcagna" 2010 è un grande vino, secondo Filippo il migliore che abbia mai fatto. Ha grande complessità all'olfattiva, sa di carne, minerale nero, arancia, frutti selvatici, pepe. Bocca suadente, sartoriale, sapida, lunghissima. Peccato che, qualcuno, non premierà questo vino.

Filippo Rondelli. Foto: Mirella Vilardi

Grazie Filippo, a rivederci presto! Il viaggio continua!

Ultim'ora: dal suo profilo Facebook il buon Rondelli ha annunciato delle novità importanti riguardo il suo vino, stay tuned!!

Tenuta Anfosso: viaggio nel Rossese di Dolceacqua. Terza parte

Continua il mio viaggio nel Rossese di Dolceacqua. Per chi si fosse perso le prime due parti cliccare qua e qua.
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Non possiamo perderci per troppo tempo nei nostri pensieri, qualcuno ci sta già aspettando dall'altro lato della vallata. Sempre nel Comune di San Biagio della Cima, sempre in località Luvaira. Ad un passi dai vigneti di Giovanna Maccario ci aspetta Alessandro Anfosso di Tenuta Anfosso, cognome di certo non raro da queste parti dove il vino fa parte del DNA di molte famiglie del luogo.
Alessandro ci spiega che, nel 2002, è subentrato con la moglie Marisa nella conduzione dei vigneti di papà Luciano che a sua volta li aveva ereditati da Giacomo Anfosso il quale, nel 1888, reimpiantò il vigneto Poggio Pini a Soldano le cui piante, come vedremo, sono in parte ancora esistenti.
Oggi l’azienda si estende per oltre 4 ettari divisi tra due Cru: Luvaira per circa 3 ettari e Poggio Pini per i restanti 13.000 mq.

Il Luvaira di Tenuta Anfosso

Dopo un breve giro per il Luvaira che vanta impianti sia del 1960 che più recenti (2004), con Alessandro decidiamo di proseguire per Poggio Pini, uno dei Cru più interessanti di tutta la denominazione con la sua esposizione sud-est ed il terreno, sempre "sgruttu", posizionato in fasce con pendenze anche del 60%.

Pendenza del Poggio Pini

Essere lì presenti e calpestare quella terra per noi è un onore perchè ci rendiamo conto che siamo di fronte ad un altro pezzo di storia e di fatica contadina. Con queste pendenze non voglio nemmeno immaginare come abbia fatto il bisnonno di Alessandro a costruire, con la tecnologia di allora, questi muretti a secco. Ci giriamo e vediamo solo viti vecchissime di Rossese datate 1888, altre datate 1916.

"Andrea e Stefania guardate quest'altra vite, è di Rossese Bianco, è prefillosserica!".

Alessandro ce lo dice con una giustificata punta di orgoglio, noi non possiamo che fotografare e toccare con mano questo autentico monumento alla Natura.

Vecchia vigna di Rossese

Scendiamo verso la macchina ma, prima di partire, incontriamo papà Luciano che non disdegna di scambiare quattro chiacchere sulla vita contadina di ieri e di oggi. Racconti di vita che solcano le nostri menti e vanno dritti al cuore.

Arriviamo nella piccola cantina di Soldano, anche in questo caso le vasche d'acciaio sono stipate in un piccolo garage di casa mentre la sala di invecchiamento ed imbottigliamento è localizzata di fianco la porta di casa. L'artigianalità è anche, sopratutto, questo.

Alessandro inizia a parlarci del suo vino e del tempo di affinamento:"Il Classico esce dopo un anno la vendemmia mentre il Rossese Superiore ed i Cru Luvaira e Poggio Pini li faccio uscire addirittura dopo due anni dalla vendemmia. Il disciplinare, sapete, consiglia di far uscire la prima tipologia già dal 1° gennaio dell'anno successivo alla vendemmia mentre i Superiore dal 1° Novembre......Vabbè, che ne dici di bere?"

Alessandro Anfosso

Mai invito è risultato più gradito. In sequenza abbiamo degustato:

Sciacau 2011: questo rosato da uve rossese ci ha davvero incantato per la sua originalità e bontà. Finalmente un rosè che non sa di fragolina, ribes, etc, ma di ferro, ruggine ed agrume. Una spremuta di terroir che risulta essere terribilmente affascinante. Fortuna che qualcuno ha detto ad Alessandro di credere in questo vino...

Rossese di Dolceacqua Classico 2010: l'annata speciale si svela senza problema anche in questo "base" che mi piace moltissimo per via del prezioso bouquet fatto di sensazioni di rosa, fruttini rossi ed eleganti note vegetali. Bocca succosa, diretta, un vestito prêt-à-porter da indossare in ogni occasione.

Rossese di Dolceacqua Superiore Vigneto Luvaira 2009: il vestito precedente prende forma e stile e diventa di precisione ed fine eleganza. Un sorso fatto di tanta mineralità accompagnata da cenni di erbe mediterranee. 

Rossese di Dolceacqua Superiore Vigneto Poggio Pini 2009: il vestito diventa sartoriale e da gran sera. E' un vino dalla profondità debordante, sa di macchia mediterranea, minerale nero, rabarbaro, pepe, gelso, anici, sottobosco. In bocca ha carattere con i suoi tannini fusi nella struttura dominata dalla sapidità del Rossese che, in bocca, ritorna sempre su sensazioni di spezie e minerale nero. Chiusura lunga, lunghissima.



Il viaggio continua......

Non sa di tappo!


Si chiama Brentapach, l'azienda di Borgo Valsugana, che sfrutta un brevetto innovativo per la decontaminazione dei tappi di sughero da vino. Accolta nel Bic (Business innovation centre) con un accordo negoziale firmato nella sede dell'assessorato all'Industria del Trentino, e' una piccola impresa che produce contenitori, chiusure e imballaggi per il settore alimentare e non alimentare e che dal brevetto sviluppera' nei prossimi due anni un progetto di ricerca applicata che puo' incidere sulle perdite che le cantine vinicole subiscono a causa della contaminazione del vino in bottiglia da parte del tricloroanisolo contenuto nel sughero e responsabile del 'gusto di tappo'.

Fonte:http://blog.netafim.it

A firmare l'accordo di oggi sono stati l'assessore all'industria, artigianato e commercio, Alessandro Olivi, le organizzazioni sindacali e Gianni Tagliapietra, il giovane imprenditore contitolare della Brentapack. Il mantenimento dell'azienda in loco fino al 2024, per i dieci anni successivi alla conclusione del progetto di ricerca, il versamento in Trentino delle imposte, il mantenimento di una patrimonializzazione pari al 30% del bilancio 2015 e l'utilizzo dei risultati di ricerca in Trentino, sono gli impegni siglati nell'accordo. Sul piano occupazionale l'azienda di Borgo Valsugana occupera' inizialmente 6 dipendenti, ma non e' esclusa la possibilita' di un ulteriore incremento negli anni successivi. 

Fonte: Ansa

Ka Mancinè: viaggio nel Rossese di Dolceacqua. Seconda parte

E' tempo di risalire sulla Panda improbabile. Alla guida, non l'ho detto prima, c'è Maurizio Anfosso di Ka Mancinè, il mio Virgilio in terra di Rossese. Di lui e dei suoi vini ho già scritto molto su Percorsi di Vino ma, un conto sono le parole, un conto è visitare dal vivo le sue vigne e la sua cantina.
Prima, però, ci facciamo spiegare da dove deriva il nome dell'azienda.
Ka Mancinè significa la casa (con la K di origine saracena) dei Mancinei che, storicamente, è lo stranome con il quale Pietro Anfosso, mancino di fatto, veniva diversificato dagli altri Pietro del paese di Soldano.

Maurizio Anfosso ci porta, tra una curva e l'altra, nel primo dei suoi vigneti, due Cru di Rossese di grandissimo livello.
Scendiamo dalla Panda e davanti a noi c'è il vigneto Galeae (Galera in dialetto ligure per via dei prigionieri saraceni che storicamente venivano qua a lavorare), un anfiteatro naturale con esposizione sud-est composto da vigne di Rossese allevate sia ad alberello sia a doppio cordone speronato. 
A differenza del Beragna, come vedremo, le viti sono abbastanza giovani, hanno circa tre anni nella parte bassa del vigneto (da cui Anfosso tira fuori lo Sciakk) mentre la parte alta vede piante del 1998. 
Il terreno, così come spesso accade negli altri vigneti salvo eccezioni (vedi Terre Bianche), dal punto di vista geologico è formato da rocce marnose, argillose e calcareo-marnose disgregate in piccole lamelle che da queste parti prende il nome di "sgruttu" che ha il vantaggio di essere drenante mantenendo però sufficiente livello di umidità nel suolo anche in stagioni calde ed aride.

Il Cru Galeae
Il Cru Galeae visto da lontano

Torniamo in macchina chiudendo i vari cancelletti per non far entrare i cinghiali che da queste parti fanno molti danni. Il Beragna ci aspetta poco più in là.
E' un vigneto storico di circa 1,2 ettari (diviso in due appezzamenti) composto essenzialmente da piante di Rossese centenarie, le più vecchie piantate addirittura nel 1872. Facciamo un giro tra le viti con aria di profonda venerazione. Come si fa a non essere inebriati dalla bellezza di questi alberelli curvati e scalfiti dal tempo? 
Maurizio mi dice che questo è il Cru da cui deriva un Rossese meno strutturato ma più fresco e sapido del Galeae. 

Pendenze del Beragna

Il Beragna

Sgruttu

Non vorremmo andarcene più ma il tempo stringe ed è ora di andare in cantina.
Arriviamo a Soldano e saliamo su fino ad arrivare, dopo i soliti mille tornanti, a San Martino. Maurizio Anfosso ha la sua cantina dentro casa. Anche qua, come accaduto per Giovanna Maccario, solo acciaio e nessun effetto speciale. Bello vedere le varie vasche di vinificazione "intitolate" alle varie donne della famiglia.



L'annata 2011 di Ka Mancinè è stata, nonostante tutto, favorevole. 

Lo Sciakk, da uve di Rossese vendemmiate tardivamente, rimane uno dei miei rosati preferiti in Italia, è sapido, fresco e di grande equilibrio. Per nulla scontato e "sdolcinato" come altri illustri colleghi.

Il Beragna 2011, rispetto alla precedente annata, è più intenso, sa di macchia mediterranea, di terra, di spezie. In bocca ha la solita sapidità quasi marina e una acidità che fa salivare copiosamente e invita al prossimo bicchiere.

Il Galeae 2011 è balsamico, è un vino che alla cieca sposteresti al sud per le sue note mediterranee di cappero, alloro, gelso, richiami floreali di rosa. E' un vino che rispecchia il suo territorio al 1000% ed ha una struttura che lo porterà lontano nel tempo.

Maurizio Anfoso in fase di stappo!

Fuori programma è spuntanto a cena un Beragna 2008 che con Maurizio abbiamo chiamato "vino da porto". I suoi toni salmastri, iodati, decisamente sapidi e marini mi hanno riportato in mente la Genova di Fabrizio De Andrè, il suo porto, le sue navi per l'America e quella malinconia scacciata via da una sigaretta fumata sulla banchina.




Maccario-Dringenberg: viaggio nel Rossese di Dolceacqua. Prima parte

Saliamo su con una Fiat Panda improbabile che, curva dopo curva, ci porta sul crinale della Val Verbone, dove la nostra vista può spaziare dal mar Ligure alle Alpi Occidentali che, guardinghe, segnano il confine naturale con la Francia.
Il sole di Caronte picchia, sono le 15.30 di un Giugno torrido ma, nonostante la calura e il tacco 12, Giovanna Maccario ci apre le porte del suo mondo fatto di muretti a secco e splendide vigne.

Il tacco di Giovanna

Siamo all'interno del Cru Posau, un vigneto di 1,2 ettari con esposizione est, sud-est che presenta al suo interno vigne sia vecchie (50-60 anni) che giovani allevate ad alberello.
Saliamo con fatica i vari gradini che ci portano nella fascia mediana del vigneto. 
Le pendenze da queste parti sono abbastanza proibitive. "Il Rossese di questa zona e della parte più alta vanno sempre nel mio Posau mentre le uve della parte più bassa del vigneto, più rigogliosa per via della vicinanza ad una fonte d'acqua sotterranea, spesso e volentieri vanno a finire nel mio Classico". 


Giovanna è un fiume in piena mentre parla del suo lavoro e dei suoi sogni. Mentre camminiamo tra le viti e calpestiamo l'arida terra di questi giorni ci rendiamo conto che questi sono posti unici al mondo. Accanto a noi, immateriale ma percettibile, c'è la Natura con i suoi colori e i suoi odori. Ci sono le farfalle che scorazzano tra i tuoi piedi, ovunque le ginestre selvatiche che sembrano nascere dalla pietra, la macchia mediterranea esplode a 360° e prende la forma del rosmarino, del lentisco e del corbezzolo. Difficile immaginare che questi vini non siano in qualche modo influenzati da tutto questa vegetazione.

Natura

Posaù

L'altro Cru dell'azienda Maccario-Dringerberg è il Luvaira, un vigneto di circa un ettaro formato da vigne vecchissime, si parla del 1890, e vigne più nuove allevate sempre ad alberello. Terreno fatto di roccia friabile, altamente drenante, detto localmente sgrutto.

Luvaira

A dire il vero la Maccario ha anche un terzo Cru che non abbiamo fatto in tempo a visitare, si chiama Curli, una vigna storica che Veronelli definì come "la Romanée Conti italiana”. Il vino dalle uve di questo storico vigneto appartenuto un tempo ad Emilio Croesi, ex sindaco di Perinaldo, dovrebbe uscire quest'anno.


Nella piccola cantina di Giovanna Maccario, in fase di ristrutturazione, c'è solamente acciaio e tanta voglia di provare ad andare oltre. Così, dopo essersi data alla spumantistica col Serro del Bandito, metodo classico da uve massarda che ancora deve uscire in commercio, la Maccario sta vinificando anche un'altra scommessa come il Rossese Bianco "Lady Dringerberg" 2011 che sa di frutta bianca matura e che oggi, al palato, risulta essere più largo che verticale rispecchiando fedelmente l'annata. Già, come è stata la 2011 da queste parti? Dopo un millesimo 2010 del tutto perfetto, almeno a sentire i vignaioli di queste parti, l'annata 2011 sarebbe stata quasi uguale se, a cavallo della vendemmia, non ci fosse stata quella "botta" di caldo che ha reso tutto più maturo e "morbido". Per Giovanna anche troppo.....

Il Posaù 2011, da vasca, ha un profilo cromatico ed olfattivo scuro, intenso, mediterraneo. In bocca, nonostante l'alcol che sfiora i 15°, è di grande equilibrio e profondità e, con un'acidità di circa 6 g/l, gode di una freschezza intensa e corroborante. Vediamo come evolve nel tempo, io punto su di lui.

Il Posaù 2010 lo riconosci fin da subito che è un gran vino. Naso profondissimo dove puoi incontrare il pepe, il salmastro, il timo, l'alloro, il lentisco. Sì, quella famosa macchia mediterranea che, durante la mia visita al vigneto, non poteva non influenzare il vino da cui derivava. Bocca elegante e borgognona, in poche parole un grande Rossese.

Fonte: nonsolodivino.com

Il Luvaira 2010 è l'altra faccia del Rossese della Val Verbone, quella meno immediata e fruibile. Questo vino è ancora giovane, giovanissimo, è ora chiuso in un quadro olfattivo dove la frutta di rovo fa da custode a sensazioni minerali e speziate. Al palato convince al 100%, la stoffa del campione in erba c'è. C'è solo da aspettare che esploda. 

Fonte: nonsolodivino.com

Vino rosso e bistecca al sangue. Pure la scienza se ne accorge?

Una bistecca assieme ad un bicchiere di rosso, (o la carne direttamente marinata nel vino) riduce il colesterolo.

Questo il messaggio centrale di una ricerca dell'Hebrew University of Jerusalem, diretta dal professor Ron Kohen e pubblicata sul "Journal of Functional Food".
Kohen e la sua squadra hanno lavorato con alcuni volontari, divisi in tre gruppi. Il primo gruppo ha mangiato solo cotolette di tacchino, senza consumare altri tipi di carne o pesce. Il secondo gruppo si è nutrito esclusivamente di costolette marinate nel vino rosso. Il terzo ed ultimo gruppo ha puntato su carne rossa ed un bicchiere di vino a pasto.

Fonte: http://www.buttalapasta.it

Le analisi mediche, compiute dopo 4 giorni di dieta speciale, hanno mostrato differenze significative. Il primo gruppo (solo carne) evidenziava un alto livello di malondialdeidi: composti spia dell'ossidazione dei lipidi, si accumulano nel sangue, aumentando il colesterolo cattivo, prima causa di malattie cardiache. Diversamente, nel secondo e terzo gruppo (carne con vino) i composti venivano assorbiti dal sangue, riducendo la quantità di colesterolo.
Intervistato dal "Daily Telegraph", Kohen ha dichiarato come il lavoro svolto dia spiegazione a due fenomeni alimentari: il legame tra consumo di carne rossa ed aumento di colesterolo ma la capacità del vino (grazie ai suoi polifenoli) di ridurre tale relazione pericolosa.

Ci sono buone notizie anche per i non amanti del vino, visto che anche le verdure rendono la carne rossa più gestibile.
Detto questo, Kohen ritiene che la scelta migliore sia, semplicemente, ridurre il consumo di carne, aumentando quello delle proteine vegetali. 

Fonte: Newsfood.com

Nasce il Vinix Grassroots Market

Filippo Ronco, oltre ad essere un grande appassionato di vino, è indiscutibilmente un precursore.
Fondatore nel 2000 di TigullioVino.it, è sua l'idea di dar vita a Vinix, il primo social network sul vino, a cui segue la creazione di VinoClic, la prima concessionaria di pubblicità online rivolta agli inserzionisti del mondo wine & food. Non solo! Conoscete Terroir Vino e il Vinix Unplugged Unconference? ok, anche quella è roba sua.
Filippo non si ferma mai e qualche giorno fa ha dato vita, forse, al suo più grande e visionario progetto: il Vinix Grassroots Market.


Vgm, così come lo chiama lui, è una sorta di grande ENO-GAS dove non ci sono intermediari, una sorta di mercato dal basso dove, ovviamente, più compri e meno spendi, sia che tu sia un professionista, sia che tu sia un privato, sia che siate un gruppo di amici. 
Le regole sono uguali per tutti e trasparenti e il rapporto di acquisto è diretto tra chi produce e chi compra.
Come scrive Ronco il Vgm è un vero social commerce all'interno di un social network verticale dove il vino e i relativi produttori sono stati selezionati sul lavori di anni di assaggi per TerroirVino da parte dei collaboratori più stretti e fidati e dei recensori più in gamba del network.


In pratica, come funziona? Basta cliccare qua per andare sulle FAQ e tutto è molto più chiaro e semplice.

Sia che siate un singolo sia che siate una cordata di persone non abbiate paura a lanciare un acquisto di vino (minimo 12 bottiglie per i singoli e il capo cordata e 6 per i c.d. gregari), il pagamento tramite carta di credito e Paypal è semplice e sicuro e tutte le spedizioni sono gestite e garantite dagli stessi produttori.

Ah, se volete lanciare un Vgm da Roma...io ci sono!

La Distesa di Corrado Dottori

A noi che amiamo il vino, certi scenari naturali, soprattutto in un caldo pomeriggio di estate, fanno dimenticare tutto il sudore versato per ogni secondo di sosta.
Siamo a Cupramontana e queste che vedete in foto sono parte delle vigne di Corrado Dottori all'interno del territorio di San Michele, contrada che, da secoli, rappresenta senza dubbio un terroir di eccezione per il Verdicchio.

Le Vigne di Corrado Dottori

La Chiesa di San Michele

Corrado Dottori, col quale ho fissato l'appuntamento per la visita qualche ora prima incontrandolo in piazza a Cupramontana, mi indica con orgoglio le sue vigne piantate nella conca di San Michele, nuovi e vecchi vitigni, anche a bacca rossa, dove il verdicchio, ovviamente, la fa da padrone visto che proprio a pochi metri da noi ci sono le vecchie vigne dalle quali deriva la sua Riserva: gli Eremi.
Il terreno, come mi spiega Corrado, è costituito da zone di creta bianca, dove domina il calcare, alle quali si alternano lingue di arenaria giallastra e marne azzurre, specie più in profondità.

La Distesa, la sua azienda nata nel 2000, oggi può contare su un'estensione di circa 3 ettari di vigneto coltivato in modo biologico non solo a San Michele ma anche nella zona di Staffolo e San Paolo di Jesi.

Il suolo del vigneto di San Michele

La cantina è subito dietro di noi, un vecchio edificio all'apparenza abbandonato ospita i pochi "attrezzi del mestiere" di Corrado. 
Entrando, scopriamo quanto sia artigianale e naturale il mondo de La Distesa. All'interno di quattro mura segnate dal tempo, qualche vasca di acciaio, una piccola fila di barrique usate e un tonneaux sono tutto ciò di cui ha bisogno Corrado per creare i suoi vini. Da queste parti, è facile capirlo, le pratiche enologiche sono pari a zero visto che, era facile immaginarlo, non si usano lieviti selezionati e l'uso di solforosa è al minimo indispensabile. 



L'obiettivo: fare vini che possano essere il più aderenti possibile al territorio e all'annata.

Da botte Corrado ci fa degustare un'anteprima: il Nur 2011. Questo è vino, blend di trebbiano dorato, malvasia toscana e verdicchio, deriva da una fermentazione sulle bucce per circa 8/10 giorni ed un affinamento in botti di rovere francesi di piccola caratura per circa un anno. Al naso, ancora giovane, è un vino che sa di erba tagliata, miele, frutta gialla, sale. In bocca la grande struttura data dall'annata è appena supportata da un'acidità che, complice il caldo sofferto nel millesimo, non è certo da record. Da riprovare tra un anno.

Bottiglie in affinamento

Il tour prosegue con la visita della piccolissime sale di affinamento (compreso il condizionatore messo "a palla" per contrastare l'afa estiva) ed etichettatura, per poi preseguire nell'agriturismo di Corrado dove abbiamo terminano la degustazione con il Marche Bianco "Terre Silvate" 2011 ed il Marche Rosso Nocenzio 2010.


Il primo vino è il "famoso" verdicchio IGT di Dottori che la Commissione Doc ha bocciato non avendolo ritenuto "adeguato" per meritarsi la qualifica di Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore
Corrado, certamente amareggiato della cosa, ritiene opportuno precisare che: "Per me va bene tutto, però allora se bocci il Terre Silvate dovresti adottare lo stesso metodo con quei tanti verdicchi che vedo in commercio che sono color carta da zucchero e sono sempre uguali a prescindere dall'annata. Non so perchè ufficialmente lo abbiano bocciato, forse per il colore, ma questo dorato che vedete è frutto del caldo dell'annata 2011. Strano vedere in giro vini dello stesso millesimo dello stesso colore del 2010 (annata fredda)".

Come dargli torto?

L'altra particolarità del Terre Silvate riguarda il fatto che non è 100% verdicchio in quanto tale vitigno, secondo tradizione, è stato integrato da una piccola presenza di trebbiano e malvasia.
Corrado spiega che "una volta il Verdicchio non era un vino monovitigno ma formato da più uve, le stesse che i contadini avevano piantato nei vigneti e che, all'epoca, erano tipici del centro Italia. Tante varietà di uve piantate, e questo vale anche per i rossi, per prudenza contandina: se un anno la parcella di verdicchio ti viene male, puoi sopperire col trebbiano e/o la malvasia. Hai presente il Rodano? Ecco, non sarebbe male ripristinare anche qua quel tipo di approccio enologico fatto di tante uve che concorrono alla produzione del migliore vino possibile".


Mentre penso alle sue parole bevo il Terre Silvate 2011 che, tutt'altro che verticale, mi sembra un vino di grande aderenza all'annata con i suoi sentori di miele, liquirizia, cedro e ginestra macerata. Non sarà un campione di freschezza, magari non avrà molti anni davanti, ma bocciarlo...boh!

Il Nocenzio 2010 (montepulciano, sangiovese e cabernet), figlio di un annata opposta alla 2011, è invece un rosso di bella struttura e dotato di una freschezza strabiliante (siamo oltre 6 g/l di acidità). Ho finito il bicchiere in un attimo. Trovate il nirvana se lo abbinate ad una razza Marchigiana grigliata durante una sera estiva.

Finisco questo piccolo post con un grande consiglio: Corrado ha da poco pubblicato un libro estremamente interessante:"Non è il vino dell'enologo". Leggerlo fa bene al cuore e alla mente.


Vini e Vignaioli di Toscana il 26 e 27 Gennaio a Roma. Sangiovese Purosangue is back!!


Seminari

Sabato 26.1, ore 15. Seminario con assaggi sull'agricoltura integrata: il caso concreto del bio distretto di Panzano e il lavoro sulle altre zone chiantigiane. Con Ruggero Mazzilli, Tommaso Paglione di Vecchie Terre di Montefili, Martino Manetti di Montevertine, Roberto Stucchi di Badia a Coltibuono, Luca Martini di Cigala di San Giusto a Rentennano, Susanna Grassi de I Fabbri.

Sabato 26.1, ore 17.30. Degustazione orizzontale comparata sulle zone del Sangiovese. Valuteremo le molte espressioni territoriali del Sangiovese Toscano, nell'importante annata 2006. A cura di Davide Bonucci

Domenica 27.1, ore 15. Degustazione orizzontale parallela con alcuni delle più importanti bottiglie del Sangiovese toscano, nelle annate 2001 e 2004. Line up in veloce incremento: Pergole Torte Montevertine, Flaccianello Fontodi, Il Poggio Monsanto, I Fabbri, Madonna delle Grazie Il Marroneto... Da appassionato, posso dire obbiettivamente che è imperdibile

La Regione Lazio, per ora, non ci sarà al Vinitaly!!!

E poi mi dici che mi incazzo quando, all'Anteprima di Sense Of Wine 2013, il buon Maroni invita la classe politica e dirigente della Capitale.

Vorrei vederli in faccia quegli imcompetenti e sbattergli in faccia la notizia! 



Appena l'ho letta su Facebook mi è preso un colpo, pensavo ad uno scherzo o ad  una social-sparata, ma la serietà della cantina del Lazio che ha denunciato il fatto mi ha fatto ricredere subito. 

Per quale motivo?

Sempre secondo quanto riportato su Facebook il problema, anzi la colpa, sarebbe della nostra "amata" Regione Lazio che essendo in amministrazione provvisoria non puà impegnarsi e mettere altri soldi a budget. 

Scrive Conte Zandotti:"Hanno solo "700.000" euro! Ma per il loro modo di fare occorrono 2 milioni!!!! Allora dobbiamo mettere noi almeno 400.000 euro! Adesso gli abbiamo detto di fare un preventivo secondo quello c'è vogliamo noi aziende!"

Come andrà a finire? Miracolo all'italiana! La Regione metterà i soldi che ha e se i produttori avranno esigenze maggiori, leggi non vorranno fare la figura di quelli di serie B, dovranno pagare di tasca loro l'eventuale differenza che, a quanto mi riferiscono, è pari a 5000 euro per modulo base. Da contare poi il vitto, l'alloggio, le spese di viaggio, etc....



Mauro De Angelis, presidente del Consorzio Tutela Frascati, ieri ha commentato la vicenda in questo modo:"Le Aziende Vitivinicole sono state informate fuori tempo massimo che la Regione non farà il Vinitaly – afferma il presidente - se non con esborsi tutti da verificare e comunque esorbitanti per moltissimi. 

Le Aziende comparteciperanno comunque, ma ci è stato annunciato sarà un Vinitaly miserrimo". Il Vinitaly è una vetrina assolutamente rilevante per i territori ed affrontare questa questione – prosegue De Angelis - lasciando chi vuole partecipare all’ultimo momento con il sedere a terra, è un atto scellerato oltre che di  evidente protervia.
Molti non parteciperanno, altri si sistemeranno in qualche modo, resta l’assoluta gravità, un ennesimo colpo a chi faticosamente resiste in momenti così difficili.

Le ragioni economiche adombrate potevano e dovevano essere presentate e discusse per tempo.
Ci interroghiamo sulla qualità e necessità di apparati che poi portano a questi fallimenti.

Gli interrogativi legati ad una partecipazione squalificante ci preoccupano ancora di più, il danno sarebbe evidente anche per chi deciderà di non andare.
Noi facciamo politica economica, i nostri colori sono quelli dei nostri vini, a chi aspira al difficile compito di governare lasciamo la risposta di questi e tanti altri interrogativi che potrebbero sorgere. Rimaniamo in attesa mentre la casa brucia.”

Quindi, se da Maroni vedete i nostri politici regionali, fategli presente che il loro lusso è diventato la nostra miseria. Tutti saremo più poveri se il Lazio non parteciperà unito al Vinitaly. Grazie per queste figure di merda.

 

Il Castrum Castrocari 2009 di Marta Valpiani alla prova del tempo

Dove eravamo rimasti? Ah, sì, al tasting panel di Marta Valpiani che a più wine blogger ha mandato due bottiglie di Castrum Castrocari 2009 per verificare, a distanza di sei mesi circa, l'evoluzione del suo vino.

A Giugno avevo degustato per la prima volta questo sangiovese di Romagna e, se leggete qua, noterete che avevo trovato  il vino molto profondo e scuro, con aromi scuri di minerale e terra e leggeri accenni di prugna e mora di rovo. Il sorso era coerente, minerale, sapido, equilibrato con un leggero amarognolo che si percepiva nel finale di bocca.


La domanda che Marta aspetta oggi è: come è evoluto il vino in soli sei mesi? Bene, Marta, posso dirti che ad oggi il vino ha subito una lentissima evoluzione, quasi impercettibile!
Il colore è rimasto rubino chiaro anche se, forse, l'unghia sta virando verso toni granato.
Al naso il vino, il primo giorno che l'ho aperto, si conferma abbastanza chiuso, ritroso, cupo nei suoi toni che non hanno perso il carattere di austerità che avevo avvertito l'ultima volta che lo avevo bevuto. Nette sono le sensazioni aromatiche di terra bagnata, di fiori neri macerati, tabacco e cardamomo.
Al sorso, rispetto all'esperienza precedente, il vino mi sembra abbia perso la sua avvolgenza per diventare estremamente verticale ed affilato. La vena acida è come venuta fuori tutta ad un tratto e sembra prendere il predominio del palato che rimane fresco ed invita ad una continua beva. C'è un ma a tutto questo: il vino, come accennato prima, non si allarga e perde leggermente in progressione. 

Sottoposto al mio "stress test", il sangiovese a tre giorni dall'apertura ha migliorato la sua complessità olfattiva rimandando spesso il naso a toni di erbe aromatiche e medicinali. Bocca sempre coerente.

Conclusioniil Castrum Castrocari 2009 è un vino ancora vivo che probabilmente darà il  meglio di sè tra qualche anno. Ad oggi è un ottimo sangiovese di Romagna al quale  manca un piccolo bullone per far ruotare l'ingranaggio alla perfezione. Sono sicuro che Marta Valpiani e sua figlia Elisa sapranno come migliorarsi e, spero, che questo tasting panel, nel suo piccolo, possa aiutarle a raggiungere tutte le soddisfazioni che meritano.

Alla prossima!