La Brasserie Cantillon tra naturalità, tradizione e rispetto del tempo - 2^ parte


 Per chi si fosse perso la prima parte cliccare qua

Nel magazzino delle botti, che hanno una capacità tra i 225 e i 500 litri, il mastro birraio riempie questi contenitori con il mosto raffreddato che, ad opera dei lieviti selvaggi, inizia la fermentazione spontanea. Inizialmente il processo di fermentazione è violento e visibile grazie ad una schiuma bianca che esce dal barile. In tali casi la perdita di mosto, mediamente, può variare tra i 5 e i 10 litri a botte.

Dopo tre-quattro settimane comincerà la seconda fase di fermentazione, molto più lenta e, scongiurato il pericolo esplosione del barile, questo verrà ora chiuso ermeticamente. Il Lambic è nato. La fermentazione, di una rara complessità, continuerà per almeno tre anni anche se il mastro birrario potrà usare il Lambic “giovane” (un anno) per elaborare birre come la Gueuze e la Kriek.

La bottaia. Fonte:homepage.mac.com
La prima non è altro che il prodotto finale di una miscela di Lambic di un anno, due anni e tre anni. I Lambic più giovani apporteranno gli zuccheri necessari alla “champagnisation” in bottiglia, mentre invece quelli di tre anni contribuiranno con il loro bouquet e la loro finezza. Il ruolo più importante del mastro birrario è quello gustativo: bisognerà infatti assaggiare il contenuto di una decina di botti al fine di sceglierne setto o otto in maniera da produrre una Gueuze di stile Cantillon.

La Kriek, invece, è una birra prodotta a partire da Lambic di due anni macerate con frutta a bacca rossa (lamponi, ciliegia o altri frutti). La macerazione, che avviene in estate, dura almeno tre mesi al fine di permettere alla birra di estrarre dal frutto tutto il suo gusto, aroma, colore e tenore zuccherino. Sarà quindi mescolata con un terzo di Lambic giovane

Tutte le birre prodotte sono poi filtrate per togliere i lieviti morti ed infine travasate in vasche d’acciaio per poi essere trasferite alla sala imbottigliamento dove la birra tappata con sughero naturale ed incapsulata. Da qui, le bottiglie passano finalmente in cantina dove avverrà il processo di rifermentazione in bottiglia, della durata di sei mesi circa, dovuto agli zuccheri presenti all’interno dei Lambic più giovani. Questo processo, simile agli spumanti e agli Champagne, avviene sia per la Gueuze sia per le birre aromatizzate alla frutta (kriek, framboise e vigneronne).

Botte in fermentazione. Fonte:mcduffwine.blogspot.com
La cantina di Cantillon può contenere fino a 13.500 bottiglie. All’interno del birrificio, inoltre, possiamo trovare altre due sale importanti. 
La prima è il Granaio che, adeguatamente aerato, permette di immagazzinare il frumento, il malto e il luppolo che, nella produzione di Lambic, per evitare che dia troppa amarezza alla birra viene invecchiato per circa tre anni.

Il Granaio. Fonte:howderfamily.com
L’altra sala è il locale di pulitura barili, un posto a prima vista tetro e ammuffito dal tempo, all’interno del quale le botti Cantillon vengono lavate in tre fasi: pulitura a mano, pulitura a vapore per eliminare ogni microrganismo presente nel legno e pulitura meccanica. In questa fase il barile, precedentemente riempito con acqua calda e catene dagli orli taglienti, viene installato all’interno di una macchina che gli imprimerà una rotazione che farà raschiare le catene alle pareti interne mentre, in contemporanea, l’acqua risciacquerà le stesse. Una volta terminata l’operazione, le botti verranno solforate affinchè nessuna muffa venga a formarsi.

Dopo tutto questo pistolotto birrar-educativo, avete voglia di bere una Cantillon? Sì? Bene, allora scegliete da questa lista la vostra tipologia preferita!

Gueuze: miscela di Lambic di uno, due e tre anni di invecchiamento. Sottoposta a rifermentazione in bottiglia. Birra di lunga conservazione.


Kriek: risultato della macerazione di ciliegie di Shaerbeek (varietà del Nord) dentro a del Lambic di due anni di invecchiamento (150 Kg per 500 litri) per 5-6 mesi. Messa in bottiglia con l’aggiunta di un 30% di Lambic giovane. Sottoposta a rifermentazione in bottiglia.


Rosé de Gambrinus: come la Kriek, ma al posto delle ciliegie sono usati i lamponi.

Vigneronne: assemblaggio di Lambic e chicchi di uva merlot (Bordeaux).

Fou’foune: assemblaggio di Lambic con albicocche della varietà “Bergeron”.

Grand Cru Bruocsella: Lambic di tre anni, selezionato per la qualità del colore, dei suoi aromi e del suo bouquet. Tutti gli zuccheri contenuti sono stati assimilati dai lieviti per cui non c’è rifermentazione in bottiglia.

Iris: prodotta partendo da malto della varietà pale-ale (colore più ambrato), l’Iris conserva il tocco tipico della fermentazione naturale, la complessità degli aromi e il gusto vinoso. L’uso di luppolo fresco comporta un tenore amaro molto fine.

Faro: Lambic al quale è stato aggiunto del caramello o dello zucchero candito. Questa birra addolcita non può essere conservata per più di 4 settimane. L’apporto dello zucchero provoca una fermentazione tale che la bottiglia potrebbe esplodere per colpa della pressione dell’anidride carbonica.

Le cuvées Lou Pépés: il Lambic tradizionale è una birra la cui fermentazione spontanea non può essere controllata dal birraio. Da una cotta all’altra una moltitudine di fattori influenzano il gusto o gli aromi del prodotto. Le miscele e gli assemblaggi sono quindi indispensabili per l’elaborazione di una birra dal gusto armonico. Le cuvées Lou Pépés si sottraggono da questi principi di fabbricazione. I Lambic vengono selezionati per la loro finezza e gli aromi. Con l’aggiunta di ciliegie e lamponi danno vita a una birra ben equilibrata e con grande presenza di frutta. Questi Lambic fruttati, così come quelli selezionati per la Gueuze Lou Pépés, sono rifermentati in bottiglia grazie all’aggiunta di un po’ di zucchero di canna. La spumantizzazione non è dunque, in questo caso, ottenuta grazia all’addizione di Lambic giovane. Le cuvées Lou Pépés Kriek e Framboise contengono fino a due volte più di frutta per litro di birra. I Lambic usati per la produzione di queste birre eccezionali provengono da un’unica cotta il che permette di millesimare ogni bottiglia.


Due note per chi ha intenzione di arrivare fino a Bruxelles per visitare Cantillon: la birreria è aperta tutti i giorni tranne la domenica dalle 9 fino alle 17. Il tour, dal costo di 6 euro, include una degustazione di due Lambic a persona che potrete gustare presso il beer-bar presente all’entrata. Ah, il costo delle birre qua è davvero irrisorio. Una Gueuze da 0.75 costa circa quattro euro.

Vi lascio con un cartello che ho trovato nella bottaia, penso che questo dica tutto, soprattuto per noi che amiamo anche il vino...

Fonte:ilviandantebevitore.blogspot.com

Quando lo Champagne ha il sapore della pipì..

 
Questa donna ha un problema

No, non è perchè ha dichiarato che beve regolarmente 4 bicchieri di pipì al giorno.

No, non è perchè beve pipì per lavarsi i denti, fare il bagno, umidificare gli occhi e le vie nasali e come tonico anti cancro.

No, non è perchè da quando ha iniziato, circa 4 anni fa, ha bevuto più di 3000 litri di pipì che, tra le varie cose, trova molto confortante.


Carrie, la donna canadese 53enne che ha confessato il suo vizietto alla trasmissione “My Strange Addiction" va aiutata perchè ha dichiarato che "il suo sapore, a volte salato, può anche assomigliare a quello dello champagne".

Le cose sono due: o questa tizia ha sempre bevuto ciofeche (cosa probabile) oppure, se fosse una professionista del metodo classico,dovremmo tutti rivedere il concetto di sapidità del vino. 

Ai poster l'ardua sentenza! :-)

La Brasserie Cantillon tra naturalità, tradizione e rispetto del tempo - 1^ parte


Avevo già visitato il birrificio Cantillon qualche anno fa e tornarci dopo qualche anno mi ha fatto uno strano effetto perché, a guardarsi intorno, quelle antiche mura datate 1900 sembrano una presenza aliena, di resistenza e tradizione, all’interno di un quartiere che ormai è diventato il simbolo di una globalizzazione selvaggia con tutti quei negozi e magazzini di paccottiglie provenienti da ogni parte del mondo, Cina in testa.
In questo contesto di degrado urbano, aprire quella mitica porta di legno sembra trasportarmi in un altro mondo, nella Bruxelles che fu, quella che agli inizi del secolo scorso ospitava circa cento aziende brassicole, una vera capitale mondiale della Birra di qualità.

L'ingresso. Fonte:placesonline.fr
Il motivo per cui ho fatto tanti chilometri per arrivare fino qua si chiama Lambic e, a mio modesto parere, Cantillon rappresenta un punto di riferimento per chi ama questa birra a fermentazione spontanea. Per capire come si arriva a certi capolavori, il birrificio è completamente aperto al pubblico e, girando tra sale e strumenti del XIX secolo, pian piano si riesce a percepire come questi spazi, apparentemente demodè, abbiano qualcosa di magico ed unico.

La prima sala che visitiamo è quella dove vengono mescolate le materie prime cioè frumento (35%), malto d’orzo (65%) e luppolo. In questa sala si può ammirare la cuve-matière all’interno della quale sono mescolati frumento e malto, precedentemente macinati al piano superiore, con l’acqua calda. Questa mescola verrà scaldata per un paio d’ore, passando dalla temperatura di 45° a quella di 72°, per raggiungere il primo punto di saccarificazione (trasformazione degli amidi in zuccheri fermentabili e destrine). Finita questa prima fase, si lasciano decantare le sostanze fermando il miscelatore dell’acqua calda. Il liquido ottenuto si chiama mosto e questo viene raccolto nel bac reverdoir (cisterna installata ai piedi della cuve-matière) e quindi pompato nelle vasche di cottura al piano superiore.

Particolare sala uno
La sala due al piano superiore è quella dove sono contenute le vasche di ebollizione e della macina. Le prime sono di rame rosso e contengono sia delle eliche per mescolare il luppolo al mosto, sia delle serpentine all’interno delle quali circola il vapore. Il mosto, circa 10000 litri,è pompato all’interno delle due vasche e verrà bollito per circa 3-4 ore per provocare la sterilizzazione del liquido e un’evaporazione d’acqua di circa 2500 litri. La riduzione del volume del mosto provoca, allo stesso tempo, la concentrazione degli zuccheri. Successivamente, durante la fermentazione, questi saranno trasformati grazie ai lieviti in alcool (di media 5% a Cantillon) e anidride carbonica. 

Il luppolo invecchiato (3 anni di età) è aggiunto al mosto prima dell’inizio dell’ebollizione. Cantillon usa 22 Kg di luppolo per 10000 litri di liquido. I restanti 7500 litri di mosto, dopo l’ebollizione, saranno pompati verso la vasca di raffreddamento (sala 4) dopo essere passati attraverso una vasca intermedia in cui viene filtrato il luppolo (sala 1 al piano inferiore).

Vasche di ebollizione. Fonte:members.virtualtourist.com
La vasca di raffreddamento, in rame rosso, è un luogo importante per la storia della fermentazione. Essa è un capolavoro di tecnica metallurgica perché tutti i pezzi sono fissati con delle viti senza alcuna saldatura e la sua forma è funzionale a favorire il raffreddamento e il contatto con l’aria. Il particolare, il mosto deve raggiungere una temperatura compresa tra i 18° e i 20°, operazione che abitualmente avviene in maniera naturale durante la notte nelle stagioni fredde (ottobre-aprile) che, per questo, diventano anche le stagioni di produzione. 

Tenendo conto dei cambiamenti climatici, che interferiscono sulla curva di raffreddamento del mosto, si regolerà l’apertura e la chiusura delle persiane, ai lati della vasca, al fine di poter sollecitare o meno la ventilazione.
La stagione fredda è inoltre preferibile per la produzione di birra perché, in questo periodo, sono presenti nell’aria una moltitudine di lieviti selvatici e specifici della birreria che feconderanno il mosto quando questo arriverà ad una temperatura di 40°. Questa sala, considerata dal mastro birraio come un vero e proprio santuario, ospita una presenza di microrganismi eccezionale.

I ricercatori dell’Università di Louvain che hanno studiato la chimica organica della fermentazione del Lambic, hanno identificato 100 ceppi differenti di lieviti, 27 ceppi di batteri acetici e 39 ceppi di batteri lattici in u n solo tipo di Lambic. Saranno questi microrganismi i responsabili della fermentazione spontanea che avverrà nelle botti di quercia o castagno. La leggenda narra che questo processo di fabbricazione è possibile solo nella regione di Bruxelles e, più precisamente, lungo la valle attraversata dalla Senne.

La vasca di raffreddamento. Fonte: allavostra.blogspot.com
Prima di passare in botte, il mosto raffreddato viene colato all’interno della cuve-guilloire dove avviene l’ultima verifica della temperatura e dei gradi Plato (volume dell’estratto zuccherino che sarà successivamente trasformato dai fermenti in alcool).

Segue.........


Tesoro, mi passi il cavatappi?


Rob Higgs, 36 anni, ha creato questo cavatappi formato da 300 singoli pezzi di metallo recuperati dalle discariche. Il marchingegno pesa mezza tonnellata. Se lo volete dovete spendere circa 100mila sterline.





Fonte: TGCOM

La storia di Montevertine ha lo sguardo del Pergole Torte e il volto di Martino Manetti


La storia della famiglia Manetti e di Montevertine la puoi ascoltare durante una cena nella parole appassionate di Martino oppure la può facilmente dedurre ascoltando il messaggio emozionale che ti portano le vecchie e le nuove annate dei suoi vini che oggi, senza alcun dubbio, rappresentano l'avverarsi di un sogno di una famiglia e la scommessa vincente di un vitigno per qualcuno non grandissimo: il sangiovese (ok c'è anche del canaiolo....). 

Il Sodaccio di Montevertine 1987: un'annata piccola piccola, per qualcuno, regala un vino bono bono con un naso frizzante dove trovi la complessità della frutta rossa disidratata, arancia amara su tutte, i fiori da diario e una mineralità ancora galoppante. La bocca mi è piaciuta davvero tanto, il vino è vivissimo, fresco, sprizza acidità da ogni atomo con un'ampiezza e una persistenza inaspettate. 


Cannaio 1995: prodotto con uve selezionate di sangiovese e canaiolo, appena versato nel bicchiere sembra di odorare l'entrata di una miniera o di una fonderia tanta era la ruggine, il ferro e la nota di goudron che sprigionava. Poi, con l'ossigenazione, ecco far capolino le sensazioni di fiori secchi e la caramella mou. Bocca meno espressiva del precedente vino, forse un filino più corta e ampia ma, nonostante tutto, di grande eleganza ed austerità. 

Montevertine Riserva 1996: come alla Scala, dopo un concerto, dopo aver bevuto questo vino ci si alza in piedi e si applaude Sergio Manetti per qualche ora. E' un vino buonissimo, finissimo, borgognone (spero di non urtare la sensibilità di qualcuno) che ha caratteri di gioventù ed eleganza veramente rari da trovare in un vino di quindici anni. 


Pergole Torte 2001: non sarà a livello della mitica Riserva '90 ma bere questo sangiovese in purezza, ad oggi, è un'esperienza commovente e per certi versi didattica perchè capisci, facendo un paragone calcistico, la differenza tra Cristiano Ronaldo e Messi: il primo è un grande calciatore mentre il secondo è un fuoriclasse. Ecco, il Pergole 2001 ha quei numeri in più che ti fanno capire che questo vino, rispetto ad altri, ha una marcia in più. E' tutto di più e non servono tecniche speciali di degustazioni per capirlo. 

Martino Manetti durante la serata
Pian del Ciampolo 2002: come può un un vino base in una annata considerata sfigata diventare un gioiellino di bevibilità e piacevolezza? Le cose sono due: o chiedete un consulto ad Harry Potter oppure, meglio, chiamate Martino Manetti. amo sempre di puù questo vino! 

Montevertine 2009: L'annata, che promette veramente bene a Radda in Chianti, dà vita ad un vino che, nonostante sia stato appena imbottigliato, è già godibilissimo. Nette sono le sensazioni di ciliegia, fruttini di bosco e fiori rossi che ben si amalgamano alla vena minerale del vino. Bocca freschissima dotata di tannini setosi e ritorni di frutta rossa croccante e viola. Buono davvero. 

Pergole Torte 2009: se tanto mi dà tanto, soprattutto paragonandolo alle recenti annate 2007 e 2008, questo Pergole ha davvero tanta roba, oggi ancora inespressa ed inesplorata, che potrebbe portarlo col tempo a vette che ad oggi possiamo a malapena immaginare. Da comprare e tenere in cantina perchè è davvero giovane. A Martino brillano gli occhi a parlarne per cui....

Le nuove professioni del vino: diciamo no al wine blogger & seller


Interessante identikit tracciato da Winenews che fornisce una serie di spunti per affrontare il mercato del vino con nuove figure professionali.

E’ la ricerca di un contatto sempre più personale con gli eno-appassionati a spingere il mondo del vino a rivedere le sue vecchie figure professionali e a crearne sempre delle nuove, perché se da un lato sono gli stessi amanti del buon bere a chiederlo, dall’altro le cantine sono sempre più consapevoli che questa sia la via più giusta per raggiungere più consumatori possibili, in modo più diretto e veloce. 

E’ il caso del wine hunter, la nuova figura professionale a cui, con la vendita diretta che non solo si conferma canale privilegiato di acquisto, ma sempre più interessa anche i vini di alta gamma, per accorciare i tempi e rendere più semplici gli affari, si rivolgono cantine ma anche enoteche, alla ricerca di una clientela sempre più precisa ed esclusiva, semplici appassionati ma anche collezionisti - di cui il wine hunter conosce gusti e preferenze personali in fatto di vini - con cui stringere contatti. Una persona di fiducia, esperta di vino a tutto campo ed appassionata, in grado di consigliare etichette, ma anche di raccontare quel valore aggiunto che c’è dietro alla bottiglia, fatto di storie e aneddoti che da sempre affascinano i wine lovers.

Fonte: robertoventurini.blogspot.com
Una tendenza che si fa strada anche fra chi di vino si occupa quotidianamente e in contatto diretto con gli appassionati: il wine blogger & seller, che, abbandonati i ritmi frenetici con cui racconta di vino e vignerons su internet, lascia il mondo virtuale e si mette a vendere direttamente etichette di persona grazie anche ai contatti nati proprio sul web.
Web di cui sempre di più il mondo del vino comprende l’importanza, come strumento fondamentale per essere sempre in contatto con i suoi appassionati: tanto che, tra le nuove eno-professioni, c’è anche il social wine writer, che piace soprattutto ai più giovani, una persona formata all’interno della cantina - ma anche i consorzi delle principali denominazioni italiane ne hanno uno nel proprio staff - di cui conosce non solo tutti i vini, ma anche la storia, le pratiche in vigna e le diverse fasi della produzione, gli eventi a cui partecipa e quelli che organizza, che comunica puntualmente ai wine lovers attraverso i website, ma anche e soprattutto sui principali social network, da Facebook a Twitter, rispondendo a domande e soddisfando curiosità. E poiché non c’è evento al quale il vino, per sua stessa natura, conviviale e di condivisione, non si possa abbinare, il wine promoter è colui che consiglia alle cantine le occasioni per essere protagoniste con le proprie etichette, sposando la cucina nel caso di kermesse gastronomiche, ma anche quando si tratta di eventi culturali, dove il vino può incontrare l’arte, la musica o la letteratura, ma anche la solidarietà, in iniziative di charity, per raccogliere fondi o essere testimonial di cause importanti.

Ma, tra etilometro che incombe e inasprimento di sanzioni per chi guida oltre i limiti di alcol consentiti, come fare per assaggiare vini in tranquillità? Ci pensa il wine driver, l’autista personale che accompagna e riporta direttamente a casa passeggeri, anche con la macchina di proprietà, che sempre più cantine e locali offrono come servizio aggiuntivo per i propri ospiti, ma che, ormai, gli appassionati hanno a disposizione anche in occasione degli eventi. 

Piccolo appunto finale: non mi piace assolutamente la figura del wine blogger venditore perchè chi scrive non può avere rapporti commerciali con nessuno, altrimenti addio indipendenza e addio strappo con quanto faceva qualche giornalista nel passato....


Wine Blogger professionisti, giornalisti o dilettanti allo sbaraglio?


Tanto tempo fa c'era la sola distinzione tra giornalista enogastronomico e wine/food blogger dove i primi guardavano in cagnesco i secondi rei di volersi occupare di argomenti per i quali, fino ad allora, si doveva avere il tesserino bene in vista. Tra un "lei non sa chi sono io" e un "giornalista prezzolato" siamo andati avanti un bel pò e ancora oggi, se guardiamo al Vinitaly, la vita del wine blogger è ancora dura e ostacolata da quel "registrazione del sito in qualità di testata giornalistica" che rappresenta per molti una vera e propria barriera all'entrata (free) alla manifestazione. A Verona vige ancora il detto "Noi siamo noi e voi non siete un cazzo". Perfetto.


Se certi distinguo me li aspetto da precise categorie professionali, un pò perplesso mi lasciano certi commenti in giro per la Rete dove il "povero" wine blogger "hobbista" viene visto come una specie di untore del 2000 che infetta il web con contenuti di qualità non rilevante. 
Insomma, se prima l'appassionato di vino doveva rifugiarsi in internet per poter condividere la sua passione in maniera carbonara, ora lo stesso vede invadere il suo campo di battaglia dagli stessi giornalisti enogastronomici (non tutti per fortuna) che, fiutato l'affare web 2.0, hanno piantato le loro radici in Rete e, come la gramigna, cercano con metodi competitivi di farti innalzare anche qua il loro status facendoti passare per un dopolavorista da quattro soldi.
E' vero, a volte bisogna prendere certe considerazioni con le pinze ma la reputazione, ance on line, alla fine vince sempre e chi scrive stupidaggini non ha vità lunga da quelle parti.

In un'epoca in cui il nostro Governo sta combattendo contro le corporazioni, ecco che una nuova categoria professionale sta nascendo: il Wine Blogger Professional
Fortuna che in internet esistono degli esempi positivi, altrimenti la preoccupazione di iscrivermi al S.W.B.H. (Sindacato Wine Blogger per Hobby) era davvero forte.



Ormai in radio non si parla altro che di vino!


La cultura del buon bere e mangiare, capace di affascinare le persone più diverse ovunque si trovino, passa via etere: dal 9 marzo arriva “On Wine”, la nuova trasmissione del palinsesto di Webradio 8 - RadioRai targata WineNews, uno dei siti più cliccati dagli amanti del buon bere, in onda ogni venerdì alle ore 14,00 (e in replica il lunedì alle 15,30 e il martedì alle 18,00) con notizie, talk, curiosità e lifestyle sul mondo dell’enogastronomia. La scaletta musicale? Tutti pezzi a tema, tra grandi classici, novità e vere e proprie “chicche eno-musicali”, dedicati al vino e al cibo. Ne dà notizia WineNews, che sbarca on air per raggiungere il grande pubblico degli ascoltatori, appassionati e non solo, attraverso la radio, capace come il vino di suscitare emozioni, in un connubio perfetto e divertente per raccontare il mondo dell’enogastronomia made in Italy.

Diamo il benvenuto all’ultima nata di una serie di trasmissioni in onda su RadioRai, a partire dalla capostipite “Decanter” su Radio2 - sottolinea il direttore di RadioRai Bruno Socillo - dove si concretizza l’impegno del servizio pubblico per una corretta informazione enologica, per salvaguardare la salute degli ascoltatori, far conoscere e difendere la qualità del made in Italy, preservando la nostra tradizione in campo enologico, insieme con WineNews, che da anni affronta gli stessi temi via web, e con cui la collaborazione si fa più feconda. Il messaggio che vogliamo trasmettere agli ascoltatori è: mangiare e bere italiano, poco ma bene”.


Con “On Wine” ci cimenteremo in una nuova avventura al passo con i tempi - spiega Alessandro Regoli, direttore di WineNews - che ci permette di aggiungere un nuovo canale al nostro modo di comunicare il vino. Crediamo molto nella radio, uno strumento che da sempre ci affascina, e ci interessa in particolare nella sua forma più avanzata, di radio sul web, che si ascolta anche via smartphone collegandosi ad internet, un mondo che conosciamo molto bene”.
Tra un brano e l’altro, italiano o straniero, con un legame, un rimando o un passaggio particolarmente significativo, curioso o evocativo sul vino e sul cibo,
 
“On Wine” (presto scaricabile anche in podcast su www.wr8.rai.it) racconterà, in 30 minuti, le dinamiche sociali, di costume, di lifestyle ed economiche che ruotano attorno al mondo in continua evoluzione dell’enogastronomia, i modi e i luoghi di approccio e di consumo, i prodotti, i territori del Belpaese ed i loro protagonisti, ospitando on air ogni volta personaggi e opinion-maker che animano il variegato universo del wine & food: dalla rubrica “all news”, dedicata a tendenze, lifestyle, mercati e che anticipa voci, rumors, trend e movimenti delle aziende del vino e dell’agroalimentare, all’approfondimento del tema della settimana, di costume, di moda, di economia, legato al vino e al cibo e commentato insieme ad un ospite, dalla rubrica vini per consigliare ogni settimana un’etichetta diversa espressione di un territorio, raccontando quello che c’è dietro alla bottiglia, fino all’agenda degli eventi più curiosi ed interessanti da scoprire con un protagonista e promotore, e di cui prendere nota. Per capire e raccontare al meglio ad un pubblico, non necessariamente di esperti, questo settore e il suo valore culturale, sociale, economico, comunicativo ed evocativo.

Chissà se ospiteranno i blogger?!

Fonte: Winenews

La Maremma di Quercia dell'Aquilaia


Un gelso e una quercia nel loro destino, Roma e la Toscana nel loro cuore. Oggi vorrei parlarvi di nuovo di Marco e Mapi Caldani che, dopo Gelso dellaValchetta, proseguono il loro sogno enologico puntano dritto verso la Maremma, all’interno della splendida tenuta di Quercia dell'Aquilaia che si affaccia su ben tre Comune confinanti tra loro: Scansano, Montemerano e Saturnia.
In questo piccolo angolo di paradiso, a pochi passi dall’azienda agricola I Botri di Ghiaccioforte, nel 2004 i coniugi Caldani hanno piantato, con la consueta supervisione dell’enologa Graziana Grassini, i primi cinque ettari di sangiovese, chardonnay e vermentino a cui, col tempo, si sono aggiunti ciliegiolo e mammolo andando a definire, a fine 2010, un vigneto complessivo di circa 20 ettari coltivato secondo metodi tradizionali.


Tre i vini attualmente in produzione: il Palombella Rosso (sangiovese in purezza), Palombella Bianco (chardonnay all’80 % e vermentino al 20%) e il Ciliegiolo (ciliegiolo 100%).

Tra i rossi spicca sicuramente il Palombella 2007, prima annata prodotta, che al naso sembra esprimere tutte le nuances del sangiovese di maremma creando un ventaglio di sensazioni che vanno dal frutto più croccante a quello più scuro e profondo. Col tempo arrivano anche fresche sensazioni balsamiche e lievi tocchi di spezie dolci.
In bocca il vino si mantiene di viva freschezza, balsamico, con un tannino di buona finezza e discreta persistenza su ritorni di frutta.


Il Ciliegiolo, annata 2009, probabilmente paga il dazio di una vinificazione ancora sperimentale per questo vitigno che, lo dico subito, in purezza non mi ha mai convinto molto.
Il ciliegiolo di Quercia dell’Aquilaia al naso parte subito con note smaltate che, solo col tempo, diventano meno marcate e prevaricanti rispetto ad una trama olfattiva che sa di mediterraneo tra cenni di mirto ed erbe aromatiche. Alla gustativa il vino denuncia un equilibrio tutt’altro che raggiunto, il tannino, la vena acida e soprattutto l’alcol sembrano prendere strade diverse che mai si intersecano tra di loro. Peccato anche per un finale lievemente amarognolo e di non grande persistenza.
Fase sfigata del vino oppure partenza sbagliata? Da riprovare, soprattutto la promettente annata 2010.


Marco Cecchini, vignaiolo indipendente friulano


La bella serata Slow Food sul Friuli, ben raccontata da Rossella nel suo blog, è stata l'occasione per far conoscere a molti appassionati romani Marco Cecchini, giovane vignaiolo friulano che ho "scoperto" lo scorso anno durante i Superwhites quando più appassionati mi avevano confessato di aver bevuto un ottimo riesling del Friuli (!!).
Dopo qualche mail, Marco non ci ha pensato un attimo di partire da Premariacco per tornare di nuovo a Roma dove l'aspettava una folla di quaranta persone bramose di bere i suoi quattro vini in degustazione: il Riesling 2008, il Tovè 2009, il Refosco 2008 e il Verlit 2007.

Il Riesling, non avevo dubbi, è stato per molti una vera sorpresa perchè, abbinato ai vari Presidi Slow Food come il Formadi Frant, la Pitina e il Pestàt di Fagagna, è risultato sempre all'altezza con i suoi aromi e sapori che molto richiamano alla Mosella senza scimmiottare un terroir completamente diverso. Fresco, minerale, agrumato, speziato, è un vino che mi convince sempre più, soprattutto in bocca dove ha grandissima bevibilità. Una chicca!

Riesling 2008
Il Tovè 2009 (friuliano con 10% di verduzzo) è un vino più intenso, strutturato, rotondo, sa di fiori e mela cotogna, fieno, spezie gialle. In bocca è denso, profumato, armonico, si accompagna alla grande con i Cjalson Val di But di Dino De Bellis con cacao, ricotta, uvetta ed erbe.

Tovè 2009
Cjalsons Val di But
Come rossi puntiamo decisamente su l'autoctono e Marco ci propone il suo Refosco dal Penducolo Rosso 2008, un vino diretto e sincero che racconta molto della storia contadina del Friuli. Naso estroverso di frutta rossa selvatica, grafite, spezie nere. In bocca è asciutto, deciso, con un tannino deciso ed una vena acida che ben si integrano col piatto più grasso e robusto della serata: musetto e brovada!

Musetto e Brovada
Accanto alla Gubana, dolce tipico del Friuli e preparato per l'occasione da Gabriele Bonci, Marco Cecchina ha calato il suo asso nella manica versando a tutti un pò del suo Verlit 2007, un vino dolce 100% verduzzo che mi è piaciuto molto per il suo essere dolce non dolce e per avere quella bella dose di freschezza che ti evita di lasciare là il vino dopo il primo sorso. Il Verlit è di colore giallo dorato con profumi di albiccoca disidratata, mela cotogna, dattero, nocciola, mallo di noce. Bocca, come detto, piena ma misurata, il vino lascia il palato pulito dallo zucchero residuo e con una intrigante scia sapida. Ottimo davvero!

Verlit 2007 e compagni vari...
Se vi capita, al prossimo Vinitaly, cercate Marco e poi fatemi sapere se, come a me, anche a voi sono piaciuti i suoi vini!

P.S: se qualcuno si è domandato perchè Cecchini si reputa indipendente questa è la sua risposta: "Mi sono sempre considerato un artigiano nel fare vino e nell'interpretare il territorio. Sono indipendente perchè rispetto ogni idea ma credo e seguo solo il mio pensiero. Bollicine, biodinamici, naturali, industriali, in anfori o vini superconcentrati. Non mi piacciono le mode. Un vino molto buono per me è sufficiente...".

Tutte le foto sono state scattate da Rossella!!


Life of Wine 2012: Vorberg e il Pinot Bianco di Schiopetto attraverso il loro tempo


Dopo aver parlato di Campo del Guardiano e Pietramarina, oggi la macchina del tempo di Percorsi di Vino punterà verso nord e andrà dritta da Terlano e Schiopetto. Allacciate le cinture.

La giovinezza è felice perché ha la capacità di vedere la bellezza. Chiunque sia in grado di mantenere la capacità di vedere la bellezza non diventerà mai vecchio. 

Franz Kafka


Cantina Terlano - Vorberg 2009: si apre con complesse note di pesca gialla, pompelmo rosa e fiori alpini. Bocca tesa, sapida ed avvolgente e con una freschezza talmente limpida da invitare continuamente alla beva. 

Cantina Terlano - Vorberg 2006: ancora giovanissimo, rispetto al millesimo precedente si inizia ad intravedere un quadro più maturo, leggermente più "dolce" con la frutta tropicale e accenni di propoli in sottofondo. La bocca trabocca di raffinata sapidità e fresca acidità. Piccoli campioni crescono.

Cantina Terlano - Vorberg 1999: questo pinot bianco, complice forse un'annata importante, regala un fascino minerale davvero esplosivo all'interno di una cornice sfaccettata dove è possibile trovare le erbe aromatiche e ogni tipologia di frutta gialla ancora croccante. In bocca è pieno, avvolgente, giovane e con una freschezza che dal centro bocca in poi mette la marcia trascinando con sè una lunga scia sapida. Un grande pinot bianco!



Schiopetto - Pinot Bianco 2009: un cesto di frutta bianca accanto a mazzi di mughetto e rocciosa mineralità bianca. Palato elegante, equilibrato e perfettamente coerente con l'olfatto.

Schiopetto - Pinot Bianco 2004: il pinot bianco cresce, evolvendosi in interessanti ed intrigante note idrocarburiche seguite da tracce di minerale bianco, pesca e mela. Bocca che tra avvolgenza e persistenza si esprime ai massimi livelli. Grande.

Schiopetto - Pinot Bianco 1999: un naso elegante ma esile e sussurrato fa da sfondo ad un palato da 10 e lode dove tutte le sensazioni del vino sono qualitativamente amplificate per fornire il massimo godimento possibile. Un gran vino forse troppo dottor Jekyll e Mr. Hyde.

Addio a Lucio Dalla


Fonte: agorascuolalaterza.it
Sull’etichetta ci sono io vestito da derviscio, l’ha disegnata l’amico Mondino, e il nome del vino: "Stronzetto dell’Etna". Ne produco ormai da diversi anni, attorno alla mia casa di Milo, qualche migliaio di litri sia bianco che rosso; lo destino alla mia tavola, al consumo sulla barca e soprattutto agli amici. Mi dicono che quello bianco sia di qualità veramente eccellente e perciò ho deciso di spiantare gradualmente il rosso ed uniformare la produzione su quella che gli esperti definiscono "qualità superiore". Io non sono un vero intenditore: vedo che lo Stronzetto piace molto ai miei ospiti, risponde ai miei gusti, e questo già mi basta. 

Bologna, interno notte; siamo in uno dei due o tre posti in cui possiamo trovare, tra gli altri amici, Lucio Dalla.
E’ tardi quando arriva, di ritorno da chissà dove. Il discorso è già sul vino; è facile farci scivolare dentro anche lui.
 
Eccolo a descrivere come sarà l’etichetta del suo vino di Sicilia che produce, tiene a sottolineare: "Non per lucro, ma per gioco e per amore".
Ed è proprio vero; cantautore di fama internazionale ed insieme insospettabile produttore di vino per affezione, Lucio riesce a coniugare le due cose con grande soddisfazione e a trarre dalla sua terra risultati simili a quelli che ottiene sui palcoscenici di tutto il mondo.
 
Ha avuto anche riconoscimenti importanti in proposito.

"L’anno scorso il mio vino è stato premiato da Carmelo Bene al Festival di Taormina come il migliore della Sicilia: Ma Carmelo ha esagerato... Scherzava. Comunque è ottimo, ti assicuro. Vitigno puro dell’Etna, è una gioia poterselo bere durante l’estate, nel caldo del sud, magari nei momenti d’ozio a bordo della barca in quel mare incredibile".
 
Già, i momenti d’ozio e le vacanze; perché Lucio riserva al vino i suoi momenti di pace: il lavoro li separa invece in maniera totale.
"Ritengo, a differenza di altri, che il vino sia incompatibile con il mio lavoro. Quando sono impegnato in un progetto o in un’attività non ne consumo assolutamente, anche prima di un concerto non ne bevo mai: preferisco concentrarmi una ventina di minuti, una sorta di training, ed assumere in genere frutta, mele tagliate, uva. Anche quando sono solo e soprattutto al di fuori dei pasti il vino non è importante: non guarderei certo la televisione con un bicchiere di vino in mano. Il vino lo intendo come socialità, come stare insieme, è sinonimo di benessere e di amicizia".
 
La sua è una frequentazione nata soprattutto all’inizio dell’attività artistica. "Cominciai a bere vino soprattutto ai tempi delle prime formazione jazz, nelle cantine; in casa non era importante. Da allora è stata una presenza costante: in ogni occasione di rilievo non è mai mancato, nei momenti di gioia c’è sempre stato. Anche nei testi delle mie canzoni il vino è molto presente, come il cane, la luna, le stelle. Sono cose che ci sono, che esistono perché sono presenti in tutti noi. Non possiamo immaginare la nostra vita senza cose come queste.
Questo era vero soprattutto quando eravamo un po’ più giovani, ma non mi sento di essere troppo pessimista pensando ai giovani di adesso
".

Fonte: ischiamondoblog.com
Premiato nel 1994 col Dioniso d’Oro dall’Enoteca Italiana di Siena per la sua attività artistica, Lucio ha gusti abbastanza semplici, ma ben definiti in fatto di vino. Gli piacciono soprattutto i bianchi di media gradazione, anche se non disdegna un prodotto ben strutturato e passato nel legno, non ama lo Champagne - beve frizzante soltanto quando è dalle nostre parti, e in questo caso preferisce il Pignoletto, meglio se moderatamente frizzante - ha una predilezione per alcuni vini alsaziani e della Valle del Reno e tiene in grande considerazione lo Chardonnay californiano.
In ogni caso è sempre un piacere vederlo qui, in questo posto che non cambia mai, a parlare di vino, una presenza che per noi non cambierà mai. 


Il Cesanese tra Piglio, Olevano Romano ed Affile


Stavolta sotto l'ala della Guida dei Vini de L'Espresso, il Cesanese che conta si è messo in vetrina presso il Sofitel Hotel Rome Villa Borghese per una serata di degustazione che ha visto, stavolta, una notevole qualità diffusa anche se, a mio modesto parere, qualche legno di troppo e qualche imprecisione tecnica ancora risultano evidenti.


Piglio, Affile e Olevano Romano sono le tre zone di elezione del Cesanese che, l'altro ieri, era cosi rappresentate:

Azienda Agricola Migrante - Cesanese di Olevano Romano DOC

Terre Olibani 2007: vino interessante se non fosse per una nota selvatica, da brett, che per molti fa fico ma che a me non piace. Da riprovare. Solo acciaio, 13%.

Consilium 2008: anche questo vino fa solo acciaio ma ha un grado alcolico superiore, circa 14%. Bello, fruttini rossi, floreale, minerale, di una pulizia esemplare. Bocca equilibrata, elegante, abbastanza persistente. Il migliore della gamma.

Sigillum 2007: vino di grande materia ma la barrique la fa un pò troppo da padrona. Il titolare ci dice che è un vino che fa perchè il mercato lo richiede così. Mah. Barrique 1 anno.

Migrante
Damiano Ciolli - Cesanese di Olevano Romano DOC

Cirsium 2008: Damiano è bravo e, pur essendo giovanissimo, è un faro nella denominazione. Questo cesanese di Olevano Romano è giovanissimo, ancora scalpitante, sbuffa mineralità da tutti i pori assieme a tocchi di spezie rosse e balsamicità vibrante. Bocca di struttura e ottima persistenza. Barrique.

Cirsium 2005: tanto di cappello ad un grande vino. Damiano tira fuori dal cilindro un cesanese di grande complessità, frutta rossa secca da diario, iris, viola mammola, note di rabarbaro e terra rossa completano il quadro olfattivo. Bocca dove tutto è a posto e regala emozioni. Barrique.

Silene 2009: naso di radici, erbe balsamiche, mineralità nera. Bocca coerente, tesa, fresca, ancora giovane ma grande prospettiva. Acciaio.

Silene 2006: naso più rarefatto, elegante, ritrovi le stesse componenti del 2009 in un quadro di grande setosità dove tutto, dal tempo, è stato messo a posto. Grande! Acciaio.

Damiano Ciolli

Colline di Affile - Cesanese di Affile DOC

Le Cese 2009: vino molto semplice, fruttato, con qualche durezza ancora non perfettamente integrata. Solo acciaio.

Gaiano 2008: il vino premiato dalla guida de L'Espresso con 88/100 si conferma di ottima struttura con la frutta rossa matura, la liquirizia e una sottile speziatura a fare da contorno. Bocca fresca, equilibrata, pulita. Bel vino. Maturazione complessiva di 20 mesi e un elevazione di almeno 12 mesi in botti da 2.000 litri.

Cantina Formiconi - Cesanese di Affile DOC 

Cisinianum 2009: vino ancora giovane con naso di yogurt ai frutti di bosco, frutta rossa e rosa sotto spirito. In bocca è meglio, abbastanza equilibrato, tannino vigoroso. Invecchiamento in botti rovere Hl. 20 e barrique di rovere francese.

Capozzano 2009: bel naso dove frutta rossa, spezie e rose sotto spirito giocano tra loro in un bell'equilibrio. Bocca di buona struttura, ampia, ben supportata dall'acidità. Forse poca persistenza finale. Barrique di rovere francese.

Mario Macciocca - Cesanese del Piglio DOCG

Civitella 2010 - 2006: Mario non lo conoscevo ed è stata la sorpresa più bella della serata. E' un "naturale" e in degustazione ha presentato la verticale del suo Civitella. Quello che posso dire è che il suo vino ha bisogno di tempo, il 2010 era troppo nervoso e giovane per essere valutato perfettamente mentre il 2006, annata non più presente in cantina, ragala davvero emozioni con una setosità ed un'eleganza floreale e minerale di grande impatto. Ad avercene di vini così!

Mario Macciocca
La Visciola - Cesanese del Piglio DOCG

Priore - "Ju Quartu" 2010: solito bel cesenese "pinotteggiante" che ha bisogno di tempo per aprirsi in tutta la sua complessità. Attendiamo gli altri Cru.

Casale della Joria - Cesanese del Piglio DOCG

Campo Novo 2010: un ottimo cesanese base, preludio al Torre del Piano. Acciaio.

Torre del Piano 2009:  un punto di riferimento per molti, ha un bel carattere e profumi di frutta rossa sotto spirito e viola. Bocca di grande struttura che, nonostante tutto, mantiene buona bevibilità. Barrique.

Vini Giovanni Terenzi - Cesanese del Piglio DOCG

Vajoscuro 2008: un cesto di frutta rossa con tocchi speziati. Bocca morbida, intensa, cede un pò nel finale rispetto al Torre del Piano. Botti di rovere per 12 mesi.

Pileum - Cesanese del Piglio DOCG

Bolla di Urbano 2008: un bella materia fatta di mora selvatica, pepe nero e sottobosco un pò rovinata dalla presenza speziata del legno ancora da integrarsi. Bocca decisa, fruttata, intensa, tannino grintoso. Botti da 20 hl e caratelli di 300 l in pregiato legno francese per 12 mesi.


Bolla di Urbano
Coletti Conti - Cesanese del Piglio DOCG

Romanico 2010: il solito piccolo grande mostro di complessità tutto in divenire. L'annata forse lo aiuta dandogli quel tocco di snellezza e bevibilità in più. Non sarà la migliore versione del Romanico di sempre ma le premesse sono molto intriganti. Barrique di rovere francese.

Bottiglie in degustazione