Gli appunti del vino


Ad ogni eventi di vino spesso vedo folle inconsulte di appassionati, blogger e giornalisti pronti a mettere nero su bianco la cronaca della giornata appuntandosi ad ogni bicchiere tutti i possibili descrittori del vino che hanno appena bevuto. Ognuno ha i suoi strumenti e la sua tecnica, spesso associata al livello di “fighettismo” in cui versa lo scrittore.
La truppa maggiore è formata dagli impavidi appassionati armati di Bic e bloc notes che scrivono a tutto spiano spesso usando forme caserecce di stenodattilografia. Alla fine il loro foglio sarà simile alla Stele di Rosetta, ogni singola virgola detta dal produttore sarà scritta anche se, spesso, per riordinare gli appunti ci servirà tempo e un buon traduttore simultaneo.


Questo ero io pochissimo tempo fa. Stressante.
Poi ci sono i wine blogger o, meglio, l’appassionato del vino evoluto che, vivendo una sorta di emancipazione enologica, butta nel secchio il poco moderno bloc notes del supermercato e compra il Moleskine
Il famoso taccuino, usato da artisti del calibro di Pablo Ricasso, Vincent Van Gogh, ed Ernest Hemingway per dipingere e scrivere mentre si trovavano nelle strade, nei caffè o in viaggio, è una sorta di status simbol per tutti gli aspiranti giornalisti e, neo confronti del relatore di turno, ci fa sentire meno approssimativi e più professionali.
Anche la stesura degli appunti sul Moleskine è diversa, le piccole dimensioni del taccuini obbligano il writer ad inventarsi nuove forme di annotazione. La scrittura si rimpicciolisce, diventa ordinata ma non si mette tutto. Almeno io, avendo una buona memoria, butto giù una sorta di “abstract”, cioè scrivo tutta una serie di parole chiave che poi, con calma e su word, andrò a sviluppare.
Spesso al Moleskine è associata la penna Mont Blanc.


Il wine blogger 2.0 e i giornalisti di ultima generazione invece sono molto più avanti e, in alcuni casi, non vogliono esser confusi con la marmaglia di pseudo appassionati taccuinati. Muniti di smart phone e collegamento wi-fi prendono pochi appunti, sinteticissimi perché devo far girare le loro impressioni via Twitter e, in questo caso, il limite dei 140 caratteri fa assomigliare le note di degustazione ad un sms dove crittografie, abbreviazioni e link dovranno abilmente sintetizzare le paginette di appunti che con tanta precisione tutti gli altri cercano di scrivere. Chissà se questa sarà la nuova frontiera dell’informazione in tempo reale. 
Per ora io mi limito ad usare la vecchia e cara carta e tutta una serie di penne che, non so come, mi ritrovo ogni volta in borsa. Forse sono cleptomane..


E voi, come prendete gli appunti?

Il Movimento Turismo del Vino Puglia mi risponde...


Vi ricordate la mia crociata estiva contro “Calici alle Stelle” in salsa pugliese? No? Vabbè, l’articolo era questo.
Tre giorni fa, meglio tardi che mai, mi risponde la signora Lucia Amoroso, ufficio stampa del Movimento Turismo Vino Puglia, che gentilmente rimanda al mittente tutte le mie “accuse”. 
Ecco il testo della mail: 

Egr. dott. Petrini,
Le scrivo in seguito a quanto ho letto sul Suo blog relativamente agli eventi organizzati dal Movimento Turismo del Vino e, in particolare, dalla delegazione Puglia.
Seguo da diversi anni le attività dell'associazione in qualità di addetto stampa e sono rimasta sorpresa, oltre che rammaricata, nel constatare con quanto livore e parzialità Lei giudichi il nostro lavoro.
Mi riferisco in particolare all'articolo da Lei citato come esempio di “risultato di alchimia enogastronomica” pubblicato dal Corriere del Mezzogiorno lo scorso 12/08 .
Premesso che sono una convinta sostenitrice della libertà di pensiero di ciascuno, mi chiedo come mai Le siano sfuggiti i tanti altri articoli che hanno descritto in modo del tutto diverso la manifestazione e, in particolare, l'articolo in cui La Repubblica, proprio nello stesso giorno, asseriva esattamente il contrario.E mi sorprende ancor più che non abbia fatto caso alla rettifica che lo stesso Corriere, allertato sull'errore commesso dalla giornalista, ha pubblicato qualche giorno dopo.
Dott. Petrini, Le garantisco che non organizziamo eventi con l'intento di “creare meno caos nei Pronto Soccorso cittadini” (cito un Suo recente pensiero) ma mettendo la nostra professionalità al servizio dei produttori pugliesi che credono nella qualità. Siamo tuttavia consapevoli che ogni azione ha sempre un margine di miglioramento e che, il confronto, se onesto e costruttivo, può sempre rappresentare un valido supporto.
Mi dispiace di non poter leggere nelle Sue esternazioni il medesimo spirito.


Purtroppo non ho trovato in rete la rettifica fatta dalla giornalista del Corriere del Mezzogiorno ma, comunque, resto del mio parere. Queste manifestazioni stanno diventando sempre di più eventi simili alle sagre del vino dove, a mio parere, molti giovani approfittano di questi immensi open bar all’aperto senza alcun interesse per la cultura del vino. 


E’ vero, c’e gente che invece partecipa in maniera consapevole però la struttura dell’MTV potrebbe e dovrebbe rendersi conto anche di questi sviluppi negativi e, conseguentemente, cercare di organizzare le cose in altro modo puntando meno sulla quantità e più sulla qualità dell’utente finale. Un po’ come dovrebbe fare col vino..

Michel Rolland è il nuovo Darwin del vino Coca Cola


Ca**o, l’ha detto, davanti agli studenti dell’INSEEC l’ha detto, ha parlato di vino Coca Cola e di teoria darwiniana del vino.
Siamo in Francia, a Bordeaux, patria del vino mondiale per molti, soprattutto per i francesi che ti guardano dall’alto al basso quando parli con loro di taglio bordolese.
Michel Rolland, l’enologo volante più famoso del mondo e un passato da protagonista involontario di Mondovino, è riuscito in pochi minuti a dire tante di quelle stronzate che però, messe assieme, fanno davvero paura.
 

Parlando degli scenari commerciali futuri, Rolland ha paragonato il vino alla Coca Cola dicendo sostanzialmente che, come la famosa bevanda americana, anche questo dovrà adattarsi ai gusti e alle esigenze del mercato. In India piace il piccante? E allora facciamo una versione al curry. Nell’America del Nord piace la cannella? E allora inventiamo il gusto speziato che sa tanto di gomma americana. In Europa piace l’acidità? E allora facciamo un vino più fresco.
Qui in Francia, e in particolare a Bordeaux, dobbiamo smettere di credere che abbiamo un monopolio sulla definizione del gusto” ha ribadito davanti agli studenti basiti.
Secondo l’enologo il vino nel 2050 sarà un prodotto sartoriale non perché di qualità ma perché prodotto su misura, rispondendo ad una domanda che può ben divergere dalla tradizione di un Paese.
 
Michel Rolland
Rolland professa di una sorta di darwinismo vinicolo, dove ogni regione di produzione dovrà adeguarsi alla domanda o morire. "La grande sfida sarà l'Asia. Bisognerà adattarsi ai gusti di quei paesi. Oggi, la tendenza a Bordeaux è quella di fare lo stesso stile di vino. Per questa regione, il futuro dipenderà dalla capacità dei produttori di realizzare prodotti per il mercato. È essenziale scoprire cosa i consumatori vogliono. Perché non fare un vino al gusto di fragola? Per me sarebbe un'aberrazione, ma possiamo considerare che ... " ha continuato davanti alla classe sempre più esterrefatta che, al termine del seminario, si è domandata quali fossero i gusti di Rolland. 
Sentite la risposta:” Sapete, nel settore sono in uno cambia spesso sponda! Cerco di essere un esteta, ma sono anche un enologo. Ho gusti personali, ma il mio mestiere mi ha dato una doppia personalità ... "

 
Ca**o, l’ha detto, anche se non penso che questa cosa possa riguardare in futuro i veri vignaioli, piuttosto penso che il riferimento sia alla grande industria vinicola, ai cileni, agli australiani che già oggi stanno anticipando le previsioni di Rolland invadendo il mercato con milioni di bottiglie di vino standard, al sapore di legno e frutta.

Oggi o domani, chiunque voi siate, questo blog vi combatterà.

Il senso di Luca Ferraro per il Prosecco...Colfòndo


Ho bevuto Colfòndo per la seconda volta durante la visione de “Il senso di Smila per la neve” e, tra un bicchiere e l’altro, ho pensato che, come la protagonista aveva una connaturata sensibilità per tutto ciò che riguardava il ghiaccio, anche Luca Ferraro di Bele Casel in qualche modo doveva avere una spiccato intuito per tutto ciò che riguarda il Prosecco perché, grazie ai suoi prodotti, da un po’ di tempo a questa parte ho cambiato, in meglio, il mio modo di vedere e bere quello che in tanti ancora chiamano prosecchino.

Luca Ferraro dal blog Oliva e Marino
Colfòndo è la Tradizione, il Prosecco di una volta, quando in assenza di autoclave il vino veniva fatto rifermentare in bottiglia con i propri lieviti che, così come accade col metodo classico, con il fenomeno dell’autolisi si depositano sul fondo della bottiglia conferendo al prodotto maggiore complessità organolettica.
Bere un prosecco di questo genere significa avere di fronte a se una bottiglia simile a Dottor Jekyll e Mister Hyde perché, a seconda del nostro amore per i lieviti, possiamo bere il vino in versione limpida oppure, come dovrebbe essere, torbida.

Bicchiere di Colfòndo
Bere Colfòndo limpido significa non agitare la bottiglia prima dell’apertura e, in questo senso, privarsi degli effetti benefici dei suoi lieviti in sospensione. In tal caso il Prosecco sarà molto standard, un buon vino da aperitivo e niente più.
La vera natura del Prosecco Colfòndo la si capisce solo dopo aver agitato la bottiglia. L’ho fatto anche l’altra sera e il risultato è stato ancora una volta un vino tutt’altro che banale.
Luca sul suo sito internet lo definisce spiazzante, io non posso che condividere se paragono questo Prosecco con il 90% della produzione che troviamo in giro per l’Italia e, soprattutto, per il mondo dove questo nome è spesso abbinato a prodotti di infima qualità.

Etichetta
Il vino è di colore bianco opaco, torbido, spuma birrosa, maschio come lo è anche il naso dove gli aromi che pervadono il nostro olfatto sono decisi, diretti. Si sente subito la frutta bianca matura, pera quasi in versione yoga, poi esce l’agrume, netta la nota di pompelmo, e una nota minerale, direi salina che mi ricorda la Camargue.
La bocca conferma totalmente il naso, il vino è vibrante nella sua freschezza e, al termine della deglutizione, lascia spazio ad una sapida e lunga persistenza tutt’altro che banale.
Il prosecchino da bar di periferia cercatelo altrove, non da Bele Casel!

Decanter World Wine Awards 2010: vince il Soave di Fattori

 
E' un Soave il miglior vino bianco da monovitigno, vinificato in purezza, cento per cento garganega, al mondo secondo il Decanter World Wine Awards 2010, il piu' blasonato concorso enologico, organizzato dalla rivista inglese Decanter
Lo si legge in una nota della Soave, l'azienda della Fattori. "La purezza del monovitigno - dice la nota - ha quindi brillato tra le migliaia di campioni pervenuti al vaglio delle severe commissioni di assaggio: quasi 11.000 i vini giunti da tutto il mondo e tra questi il 'Soave Doc Motto Piane 2008' firmato da Antonio Fattori, che ha sbaragliato la concorrenza arrivando primo e regalando all'intera denominazione del Soave una nuova, grande occasione di prestigio". 

Etichetta
L'azienda Fattori , storica cantina nata nel 1888 a Terrossa, sulle colline ad est di Verona, di generazione in generazione trasmette l'arte di produrre vino con il giusto equilibrio tra il rispetto per la tradizione e l'innovazione. "Credo molto nelle potenzialita' della garganega - spiega Fattori - e da subito ho avuto il desiderio di creare e di sperimentare, cercando di fondere metodo scientifico ed innovazione con la tradizione delle nostre piu' antiche origini. Un impegno costante teso a ricercare vini piu' attraenti, piu' vibranti, con una soavita' di aromi e volume". 
 
Grappolo di garganega
 
Sempre a Londra ci sono stati altri produttori che hanno brillato per medaglie e menzioni. Al Decanter World Wine Award 2010 conquistano l'argento Villa Rasina Soave Classico 2009 Cantina di Soave, Rocca Sveva Soave Classico 2009 Cantina di Soave, Soave Classico 2008 Inama, Vigneti Foscarino Soave classico 2008 Inama; al medesimo concorso vincono il bronzo Monteleon Soave Classico 2009 Azienda Agricola Roncolato Antonio, Terre del monte forte - Soave Classico 2009 Cantina di Monteforte, Passo avanti - Soave Classico 2008 Cantina di Monteforte, Il Vicario - Soave Classico 2009 Cantina di Monteforte, Duca del Frassino Soave Classico 2009 Cantina di Soave, Sainsbury's Soave Colli Scaligeri 2008 Casa Vinicola Sartori, La Rocca Soave Classico 2007 Pieropan. 
"Questi numerosi riconoscimenti - spiega Arturo Stocchetti, presidente del Consorzio del Soave - danno la meritata soddisfazione al costante impegno dei produttori del Soave ed evidenziano la bonta' delle scelte attuate dal Consorzio nella ricerca della qualita'. Tali esiti sottolineano come il Soave sia un vino particolarmente vocato all'export soprattutto in Inghilterra e negli Stati Uniti dove, dopo un anno di intense attivita' promozionali, stiamo raccogliendo successi in termini commerciali e di premiazioni".
 
 

Pensieri di vendemmia 2010

Come avete già capito leggendo il mio precedente articolo, quando si parla vendemmia, banalizzando, mi incazzo sempre perché in un territorio come l’Italia, costituito da molteplici microclimi, non si può generalizzare e dire, come al solito, tutto bene, sarà l’annata del secolo. 

Leggendo i giornali, spulciando su internet, non è così.

Ci sono tante storie di vendemmia da raccontare come quella di un  pensionato di Nomi, il signor Ivo Riolfatti, uno dei soci della Viticoltori di Nomi che quest’anno lascerà l’uva sulle vigne. Non la raccoglierà perché ormai il suo valore è talmente basso da non permettergli nemmeno di pagare i braccianti durante la vendemmia.
E non è, purtroppo, l’unico caso in Italia.

La cantina di Nomi
Poi c’è il volto della vendemmia antimafia, quella fatta dai giovani della cooperative sociali del sud che stanno cercando di riportare alla legalità i tanti vigneti confiscati gli anni passati alla mafia. A tutte queste persone va il mio pensiero.  

C’è poi la vendemmia nera, alla faccia delle cinque stelle, come è capitato nell’imolese dove una grandinata dai chicchi grandi come albicocche sta rischiando di mandare al diavolo un anno di lavoro. Qualcuno degli ottimisti di Assoenologi potrebbe passare da queste parti?


C’è la vendemmia tecnologica, quella da cantine ricche, che usa il mini-elicottero per campionare le uve mediante mappe, dette 'mappe di vigore', che consentono di vendemmiare in tempi diversi le porzioni del singolo vigneto ottenendo vini base dalle personalità ben distinte e valorizzando le caratteristiche intrinseche di ogni cru. Parola di Guido Berlucchi!

Il mini elicottero
Facebook non poteva mancare all’appello e Planeta, importante cantina siciliana, non si è sfatta sfuggire l’occasione di mettere on line tutte le fasi della raccolta delle uve, una carrellata di immagini che ogni giorno andranno a comporre l’Almanacco della Vendemmia
La vendemmia è un rito che si ripete ogni anno sempre uguale e sempre diverso.  Cambia il clima, cambiano le persone e i colori, ma non le emozioni e le tensioni per tutti noi – si legge in un comunicato dell’azienda –.  Sarà un racconto di persone al lavoro, di mosti, di uve, che da Sambuca di Sicilia e Menfi si sposta verso Noto, poi a Vittoria, per finire a ottobre sull’Etna. Circa 70 giorni, dallo chardonnay al carricante, attraverso profumi, sapori e colori sempre diversi”. 

Immagine della vendemmia di Planeta
C’è poi la vendemmia che a Camerano si festeggia con la maxi bottiglia da 27 litri di Rosso del Conero  e Benvenuta Vendemmia, ennesimo evento del Movimento Turismo del Vino che si propone, soprattutto in Puglia, di creare meno caos nei Pronto Soccorso cittadini a causa degli ubriachi.
E allora…buone vendemmie a tutti!

Wine Blogger e Guide del vino: amici o nemici?


Internet contro carta stampata, wine blogger contro giornalisti professionisti, il nuovo che sfida il vecchio, ecco la sfida che da un pò di tempo sta animando la rete con conseguente strascico di polemiche.
A rilanciare l'argomento sulle pagine della rivista Slow Food, numero 46 per la precisione, ci pensa Giancarlo Gariglio, curatore della guida Slowine, che scrive quanto segue:


Ancora una volta sembra di essere di fronte a guelfi e ghibellini, due fazioni contro che non possono coesistere perchè l'uno viene minacciato dall'altro. Soprattutto la carta stampata.

Ma questo mondo è davvero così? Provo a dire la mia da inguaribile ottimista sognatore.

Le guide e le riviste del vino, in un contesto come quello di oggi dominato dal web 2.0, possono e devono integrarsi con l'informazione proveniente da noi blogger perchè solo in questo modo il consumatore finale, il vero destinatario della nostra informazione, può avere un'informazione completa ed è libero di scegliere scientemente.

Perchè siamo nati noi wine blogger? Perchè la stampa non soddisfa pienamente il lettore, soprattutto quello più evoluto, le guide sul vino, per motivi editoriali, sono troppo sintetiche, schematiche, la passione e la storia del vignaiolo spesso è relegata a due fredde righe di commento.

Slowine sta cercando di invertire la tendenza ma non basterà, l'emozione del vino deve essere espressa con le giuste parole e con la giusta ampiezza ed è in questo momento che il wine blogger, spesso un "semplice" appassionato, si inserisce ed integra la guida cercando di dare un valore aggiunto al lettore che, spesso, ringrazia anche per il costo pari a zero.


I più autorevoli wine blogger, non io, saranno anche scomodi ai giornalisti di settore ma evviva l'integrazione e il 2.0 se tutto questo porta ad una informazione ampia, indipendente e soprattutto efficace per chi ci legge.

Voi che ne pensate? Sono solo un inguaribile sognatore?

Il vino conquista anche Miss Italia. Eletta Miss Wine Writers!!


Per la serie "braccia rubate all'agricoltura" è stata eletta Miss Wine Writers durante l'ultimo concorso di Miss Italia. A dire il vero pensavo fosse una mia collega di penna, magari una miss che scrive su qualche rivista di settore, una che Cotarella ce l'ha tatuato sulla chiappa, ed invece.....no.
Sapete che scopro? Che la seconda edizione di Miss Wine Writers, voluta dalla Federazione delle Strade del Vino, dell'Olio e del Gusto della Regione Toscana, non è altro che una gara dove dieci miss si sono sfidate a colpi di spray e fantasia per decorare dieci barrique usate.
Pare abbia vinto la gara  Federica Sperlinga, lunghi capelli castani e occhi verdi, siciliana, Miss Moda 2009 a cui andrà come premio 60 bottiglie messe in palio della Regione Toscana.


Originale come un paio di Nike prese a Portaportese il discorso di ringraziamento della ragazza: "Un premio molto gradito - racconta una felice Federica - ma voglio approfittare dell'occasione per invitare tutti i giovani a bere vino di qualità, possibilmente italiano, ma di farlo con intelligenza e moderazione, in modo responsabile".
Sono commosso.


Ah, pare che al termine della gara le miss sono state festeggiate negli spazi della Cantina di Miss Italia dove le ragazze hanno eletto anche il "Vino delle Miss" per questo 2010. Il premio è andato alla versione spumantizzata Rosè del Nebbiolo di Dezzani "531 slm" che con la sua freschezza e la sua classe ha conquistato il palato delle ragazze.
Sarà contento il produttore che ha avuto questo immenso riconoscimento da questa giuria specializzata.
 

A Creta si beve anche dell'ottimo vino biologico


Prendiamo la Matiz a noleggio e dopo aver trascorso una calda mattinata nel bellissimo sito archeologico di Cnosso ci dirigiamo verso l’interno della regione di Iraklio, precisamente verso Peza, un’area vitivinicola importantissima visto che il 70% della produzione di vino dell’isola di Creta proviene da questa luogo.
Da queste parti, oltre agli immancabili vitigni internazionali, si vinificano quattro varietà locali: Vilana per i bianchi, Kotsifali and Mandilari per rosati e rossi mentre il Liatiko è un’uva da cui vengono prodotti rossi sia secchi che dolci.
La nostra destinazione non è però la città di Peza, dove troviamo interessanti realtà cooperative, bensì Houdetsi, ammasso di case (non posso definirlo paesino) posto alle al termine di una ripida collina dove la nostra macchina, tra un tornante e l’altro, senza guardarail, fa fatica ad arrivare.
Arriviamo al Domaine Tamiolakis senza appuntamento nel primo pomeriggio di un caldissimo Agosto. Tutto è chiuso, c’è scritto che si stanno preparando alla vendemmia e non accettano visitatori. Depressione totale, tutta quella strada per nulla. Fortunatamente una ragazza, presa a compassione, si accorge di noi e ci fa entrare comunque nella sala degustazione per spiegarci brevemente l’azienda e, soprattutto, per farci bere del vino.

Panorama dell'azienda
Giovanissimo, in quanto fondata solo nel 2003, il Domaine Tamiolakis è un’azienda biologica a conduzione familiare che si estende per un’area di 13 ettari, di cui 5 vitati, all’interno della denominazione di origine Peza (una sorta di D.O.C.G. italiana) con l’obiettivo dichiarato di produrre vini di grande spessore qualitativo ma dal carattere decisamente cretese.
Per far ciò Tamiolakis ha piantato e vinificato sperimentalmente tutta una serie di vitigni autoctoni che, per la maggior parte, sono in via di estinzione: Vidiano, Dafni, Plyto, Thrapsathiri e Moscato di Spina. Rivolgendosi anche ai mercati esteri, e questo lo si deduce anche dal loro nome, il Domaine non ha rinunciato al fascino dei vitigni internazionali i quali, per una piccola percentuale, vanno a completare l’offerta enologica dell’azienda che, ad oggi, vanta sei tipologie di vino per circa 50.000 bottiglie.

Durante la breve visita abbiamo bevuto:

Tamiolakis Prophassi 2009 (Vilana, Thrapsathiri, Dafni, Moscato di Spina): è il vino bianco base dell’azienda. E per fortuna… Grande carattere fruttato/minerale e freschezza esplosiva. Non so come si è determinata l’alchimia tra queste uve per me sconosciute ma se il risultato finale è un vino così allora le pianto nel mio giardino.

Tamiolakis Prophassi

Tamiolakis Vidiano-Plyto 2009 (Vidiano 50%, Plyto 50%): è un vino fermentato in legno con le bucce a contatto del mosto. Il colore si fa più intenso, non trovo la mineralità del precedente vino ma, a differenza del Prophassi, la frutta ora è preponderante e ben definita in tutte le sue sfaccettature. Bocca più rotonda, c’è tanto equilibrio e poca vivacità. Un vino più pronto del precedente che seduce ma non incanta.

Tamiolakis Vidiano-Plyto

Tamiolakis Ekti Ekdosi 2006 (Kotsifali, Cabernet Sauvignon, Merlot): il colore rubino scarico tradisce l’annata non certo recente. I profumi sono complessi, non sparati, ci sento la viola, il cassis, la prugna non troppo secca, poi esce il cioccolato amaro, la spezia nera e una lieve nota tostata che tradisce un passaggio non troppo invasivo nel legno. In bocca questi quattro anni hanno arrotondato la struttura del vino che svela un tannino presente ma vellutato e una spalla acida di grande freschezza. L’Ekti Ekdosi è un vino che fa circa 13° e, in un caldo pomeriggio di estate, va giù che è una meraviglia.

Tamiolakis Ekti Ekdosi

Sunday Wine News: lo Champagne diventa verde...


La notizia è tratta dal sito del Corriere della Sera, una bella notizia visto che la filosofia naturale/biologica inizia anche dal packaging.

A dieci giorni della vendemmia dello champagne, le grandi case produttrici si preparano a un altro dei piccoli impercettibili cambiamenti che hanno fatto la grandezza del «vino del diavolo»: una bottiglia più leggera di 65 grammi, grazie a un vetro leggermente più sottile e a una forma (impossibile accorgersene a occhio nudo) appena più slanciata. All'inizio del Novecento il contenitore standard pesava 1,3 chili; un fardello degno della nobiltà del contenuto, ma poco pratico. Per via di aggiustamenti successivi (il penultimo nel 1973), la bottiglia si è alleggerita fino alla nuova soglia, fissata in 835 grammi.


«In questo modo riusciremo a trasportare più bottiglie consumando meno carburante. Un doppio vantaggio, per l'ambiente e per i nostri bilanci», dice Daniel Lorson, portavoce del Civc (Comitato interprofessionale del vino di Champagne), l'organismo che raggruppa coltivatori, produttori e distributori del vino. La fabbrica della Saint Gobain a Épernay è riuscita nella sfida di realizzare una bottiglia che rispondesse a molte necessità: fondo uguale all'attuale, per non costringere tutta la filiera a cambiare macchinari e dimensione delle casse; aspetto quasi identico, per non infastidire i consumatori e mantenere la sensazione di prestigio; vetro più sottile, per ridurre il peso; spalla leggermente allungata, per non offrire una goccia in più dei consueti 75 cl; capacità di sopportare comunque l'eccezionale pressione di 6 chilogrammi per centimetro quadrato (il prosecco e altri vini frizzanti di solito ne generano la metà).

Dopo la raccolta dei grappoli tra pochi giorni, l'imbottigliamento ad aprile e tre anni di fermentazione, la spedizione delle nuove bottiglie di champagne in tutto il mondo comporterà emissioni di carbonio inferiori del 25 per cento rispetto alle attuali 200 mila tonnellate l'anno. Secondo i calcoli del Civc, sarà come togliere dalle strade 4 mila piccole automobili. I primi a sperimentare le bottiglie più leggere sono stati, con grande discrezione, già a partire dal 2003, i marchi Pommery e Heidsieck; stavolta il cambiamento dovrebbe riguardare tutte le case produttrici. Il passaggio allo «champagne verde» è stato deciso in parte per rispondere all'offensiva ecologica della California, dove il Wine Institute ha messo a punto una lista di 230 tecniche per produrre vino a basso impatto ambientale.


Ma le considerazioni climatiche fanno parte della storia dello champagne: la sua stessa nascita si deve alla piccola era glaciale del Seicento, quando il raffreddamento della regione decretò la fine dei suoi magnifici vini rossi: l'uva non riusciva più a maturare abbastanza. Si passò ai vini bianchi, all'inizio pessimi, poi migliorati - e di molto - con l'invenzione del metodo champenoise, cioè l'aggiunta di zuccheri e lieviti per la fermentazione in bottiglia. Oggi la preoccupazione è in senso contrario. Il riscaldamento climatico fa maturare bene i grappoli, provocando l'entusiasmo di Benoît Gouez, il capo della cantina di Moët et Chandon: «Lo champagne non è mai stato così buono». Ma più a sud, a Vouvray, l'uva è così matura che si è costretti a cambiare metodo, perché aggiungere altro zucchero porta spesso all'esplosione della bottiglia. L'attenzione per il clima fa guadagnare in immagine, risparmiare in spese di trasporto, e forse allontana i rischi di una catastrofica fine delle bollicine.

Dopo la crisi finanziaria e la riduzione dei consumi che hanno portato alle due disastrose annate 2008 e 2009 (lo scorso Natale a Parigi si trovavano bottiglie di champagne sotto i 10 euro), oggi i produttori sono molto ottimisti. Nei primi cinque mesi dell'anno le vendite sono aumentate del 20 per cento. Rompendo con la tradizione, che prevede contatti solo poche ore prima della vendemmia, le maison si sono già accordate per raccogliere tanta uva da riempire 301 milioni di (più lievi) bottiglie.

A Creta si beve bene!


Creta è un’isola fantastica, unica, girandola in lungo e largo questa estate, soprattutto per le belle spiagge, mi è sembrato di rivivere in parte il film Jurassik Park, non tanto perché ho visto i dinosauri ma quanto per il paesaggio a tratti incontaminato che caratterizza soprattutto il sud dell’isola dove, tra strade sterrate e paesini abbandonati, l’uomo è ancora sottomesso alla Natura.


Paesaggi prevalentemente collinari e montuosi, tanto sole, una terra ricca e feconda, fanno di Creta un territorio che ben si può adattare alla viticoltura soprattutto se, come ho visto, i vignaioli seri utilizzano la coltivazione ad alberello basso.
Oltre a tanto vino commerciale adatto per il turista più bieco, sull’isola ho trovato qualche produttore degno di questo nome e il primo che vi propongono ha qualcosa di sacro, di mistico. Forse perché si tratta dei monaci del monastero di Agia Triada?

Agia Triada

La struttura, fondata nel XVII secolo, attualmente ospita una scuola di teologia ed una piccola comunità di monaci, la stessa che ogni anno, in maniera maniacale, coltivano un piccolissimo appezzamento di vigna dove possiamo trovare Remeiko (uva locale), merlot, cabernet sauvignon e trebbiano, viti vecchie che poggiano le loro radici in un terreno di un color ruggine davvero magnifico, la macchinetta fotografica non riesce a dare l’idea, credetemi.
All’interno del monastero ho acquistato una bottiglia da 0.500 del loro vino di punta, un cabernet sauvignon del 2008 che ti aspetti semplicemente vegetale e invece è tutt’altro.


I monaci ci sanno fare, che sia nostro Signore o nostra Natura a dar loro una mano non lo so ma parliamo di un gran bel vino, complesso, austero, aprire la bottiglia è come varcare la soglia della chiesa del monastero; tutto è in penombra e i tuoi sensi si lasciano guidare solo dall’odore dell’incenso, dalla fragranza dei fiori rossi che adornano l’altare, dal profumo di ebanisteria dei vecchi mobili. Solo dopo, col tempo, riconosco la frutta rossa e il “classico” tono vegetale.
In bocca è acido, minerale, il terreno rosso, ferroso, si fa sentire al palato e questo non fa che aumentare la complessità e la bevibilità del vino.
Se un giorno verrete a Creta passate ad Agia Triada, vi sembrerà tutto un altro mondo.

Lo Champagne è un cocktail, parola di Yahoo! Answers

 
Su internet ci sono tanti spazi, forum e quant’altro, dove gli utenti condividono le loro conoscenze e rispondono ai quesiti dei vari internauti.
La peggiore piazza per me è Yahoo Answers, una sorta di Cioè on line dove si danno risposte imbarazzanti a domande spesso senza senso.
 

All’interno di questo mondo virtuale c’è qualcuno che ha raggiunto vette impossibili da raggiungere. L’utente DarioY dovrebbe essere premiato per le risate che mi ha suscitato perché, pur leggendo come si fa lo champagne su Wikipedia  è riuscito a scrivere una delle peggiori vaccate della storia. Quanto scritto qua sotto si commenta da solo.


 
Certo che pure quello che gli risponde non è da meno.

Miss Muretto e le braccia rubate all'agricoltura

Alcune delle partecipanti a Miss Muretto


Secondo me queste tre fanciulle stanno all'agricoltura come Bossi sta a Dante Alighieri. Immagino che, dopo questi scatti, siano corse tutte dall'estetista a rifare il french alle unghie.
Eppure la notizia parla di un concorso, Miss Muretto, che ha permesso alle trenta candidate di passare un giorno a vendemmiare.
La giornata all'aria aperta di 'Naturalmente Miss' si è svolta tra i vigneti di uve della varietà Pigato e Pignoletto dell'azienda Sommariva di Albenga.
Oltre a partecipiate alla raccolta dei grappoli, le ragazze hanno guidato i trattori di una famosa marca che ha messo in campo per l'occasione vari mezzi destinati sia all'agricoltura hobbistica e a quella professionale.

La sola immagine, il solo pensiero di questa giornata bucolica mi fa venire il voltastomaco.

Ah, il sito da cui ho tratto la notizia, Agricoltura on web, apre la sua pagina pubblicizzando vari insetticidi ed erbicidi.

Più ritorno alla natura di questo non c'è....


Percorsi di vino sulla rivista europea dei blog


Sono contento di condividere con voi un piccolo traguardo di Percorsi di vino. Essendo ricompreso tra i mille blog più importanti di Italia, sesto nella classifica dei blog del vino, Wikio ha inserito il mio articolo sulle più brutte etichette del vino all'interno della rivista europea dei blog traducendolo in inglese, francese, tedesco e spagnolo. 


Dategli un'occhiata: http://e-blogs.wikio.it/il-top-5-delle-peggiori-etichette-di-vino e votatelo usando il solito bottoncino alla sinistra del titolo.

Castello di Monsanto Chianti Classico Riserva Il Poggio 1982


La coscienza di camminare sopra un tesoro ha accompagnato Fabrizio Bianchi fin dall’inizio della sua avventura, non si trattava però di miniere d’oro, ma di semplice terra….
Così è scritto sul loro sito internet e nulla di più vero può esistere.
Castello di Monsanto è un’altra perla toscana dove il sangiovese ruggisce dal 1962, la prima vendemmia dove il Vigneto Il Poggio, ripulito sasso dopo sasso, diventa il primo Cru del Chianti Classico.

Il Castello di Monsanto - Fonte Freevax.it
Parlavamo di terra prima. I 72 ettari di vigneto che compongono la tenuta sono caratterizzati da due tipi di terreno: suolo di origine cretacica composto da argille pietrificate e stratificate a filaretto (c.d. galestro toscano). Un’altra parte della proprietà, nel versante a sud della zona di Valdigallo, è caratterizzata da terreni di origine pliocenica composti da banchi sedimentati di sabbie marine, detti “tufi”, intercalati da leggere lische di argille composte.
A 350 metri s.l.m., su un terreno galestroso, si estende in tutta la sua bellezza Il Poggio, vigneto dal quale nasce l’omonimo vino, un Chianti Classico Riserva, prodotto solo nelle migliore annate, composto da Sangiovese al 90% e da un 10% di Colorino e Canaiolo.

Laura Bianchi mentre mostra il vigneto Il Poggio



Nel mio bicchiere ho la Riserva 1982, l’anno della vittoria ai mondiali di calcio in Spagna anche se in Toscana, almeno per il vino, non è stata una grandissima annata, non ci sono le urla di Tardelli nei Chianti di questo millesimo che, nonostante tutto, rimangono decisi e profondi come la galoppata di Bruno Conti sulla fascia destra del Bernabeu prima del 3-0 di Altobelli.
Torniamo al vino e ai suoi profumi, territoriali, viscerali, e dotati, ad un primo impatto, di una grande mineralità che si esprime su sensazioni di ferro e sangue molto austere, da uomini duri.
 
Cantina di maturazione

Col tempo il quadro olfattivo diventa più complesso: inizialmente si alleggerisce esprimendo delicate note vegetali di erba medica, fieno e camomilla, a cui fanno seguito echi di frutta matura e sensazioni empireumatiche che forniscono al vino una veste scura, solenne, giocata su aromi di china, catrame, frutta secca tostata e legni nobili. Sembra davvero di mettere il naso nelle segrete del Castello di Monsanto.
Al sorso il vino sembra subire una scissione perché si coglie nettamente una leggera rottura tra la componente fresca e sapida del sangiovese, vibrante e a sé, e una nota di cera e di agrume amaro dall’altra che fanno fatica ad integrarsi e ad accompagnarsi mano nella mano nel finale gustativo che rimane comunque di buona persistenza.
Visto che rimango nel dubbio che la bottiglia possa essere “sfigata”, non mi rimane che andare al Castello di Monsanto e comprarmene un’altra. Tutto questo per amor di verità…eccerto!

Vecchie bottigle

Per le foto, tranne la prima, la fonte è Weimax.com


Sunday wine news: è in vigore l'accordo sul commercio del vino fra Ue e Australia


Il 1° settembre 2010, è entrato in vigore un nuovo accordo che disciplina il commercio del vino fra l’Australia e l’Unione europea. Questo nuovo accordo, che sostituisce quello firmato nel 1994, protegge il regime di etichettatura del vino adottato nell’Ue, garantisce la piena protezione delle indicazioni geografiche dell’Ue, anche per i vini destinati all’esportazione in paesi terzi, e include un esplicito impegno da parte dell’Australia a proteggere le espressioni tradizionali dell’Ue. In aggiunta, entro un anno dall’entrata in vigore dell’accordo e dopo un periodo di transizione, l’Australia non utilizzerà più per i propri vini alcune importanti denominazioni dell’Ue, quali “Champagne” e “Porto”.


L’accordo offre garanzie importanti al settore vinicolo dell’Ue. Assicura la protezione delle indicazioni geografiche e delle espressioni tradizionali per i vini dell’Ue in Australia e in altri paesi”, ha dichiarato Dacian Ciolos, commissario responsabile dell’agricoltura e dello sviluppo rurale. “L’accordo offre vantaggi a entrambe le parti firmatarie e rappresenta un risultato equilibrato per i produttori di vino europei e australiani. Un traguardo essenziale è costituito dall’impegno in base al quale i produttori vinicoli australiani rinunceranno progressivamente a usare indicatori geografici fondamentali ed espressioni tradizionali utilizzati per i vini dell’Ue. Questo risultato è di vitale importanza per i produttori europei”.

L’accordo prevede la protezione immediata di altre indicazioni geografiche dell’Ue usate per i vini. Per alcune denominazioni è stato concordato un periodo di transizione. In particolare, a partire dal 1° settembre 2011, vale a dire un anno dopo l’entrata in vigore dell’accordo, i produttori australiani non potranno continuare a utilizzare certe importanti denominazioni tipiche dell’Ue quali “Champagne”, “Porto”, “Sherry” e altre indicazioni geografiche europee, fra cui alcune espressioni tradizionali quali “Amontillado”, “Claret” e “Auslese”.

Il nuovo accordo protegge il regime di etichettatura dei vini dell’Ue elencando le menzioni facoltative che possono essere utilizzate per i vini australiani (per es. indicazioni riguardanti le varietà di viti usate, i premi e le medaglie ottenuti o i concorsi vinti oppure un colore specifico, ecc.) e regolamentando l’indicazione delle varietà di viti sulle etichette dei vini.
Il nuovo accordo delinea inoltre le condizioni che i produttori vinicoli australiani devono rispettare per continuare a usare un certo numero di termini per vini di qualità, fra cui “vintage”, “cream” e “tawny” per descrivere i vini australiani esportati in Europa e venduti sul mercato nazionale.

L’accordo è stato firmato a Bruxelles il 1° dicembre 2008. Il 27 luglio 2010 le autorità australiane hanno informato l’Unione europea di avere completato le procedure di ratifica necessarie.
Nel 2009 le esportazioni di vino dall’Ue verso l’Australia hanno rappresentato 68 milioni di euro, mentre quelle dall’Australia verso l’Ue sono state pari a 643 milioni di euro.


Metti una sera a Castelvenere tra vignaioli e vini del Sud - 2° tempo


Non potevo finire il mio report da Castelvenere col precedete post perchè a fine Agosto, nel Sannio beneventano,si beve veramente bene. Segnalazione d'obbligo, pertanto, per le seguenti cantine.

Cantine Luigi Tecce – Paternopoli (Avellino): è uno dei nuovi volti dell’aglianico, anarchico ed imprevedibile, coltiva i suoi quattro ettari di vigneto in zona Taurasi come si faceva una volta, nella classica forma della raggiera avellinese, viti del 1930 dalle quali possono nascere due tipologie di vino: Poliphemo o Satyricon. Il primo se è figlio di annate ricche ed opulente, il secondo se nasce da annate che rendono il vino più bevibile nell’immediato. A Castelvenere  ho avuto la fortuna di assaggiare il Poliphemo 2006, un vero “coup de coeur” per dirlo alla francese, un Taurasi come pochi me ne ricordavo, potente ed avvolgente nello stesso tempo che, didatticamente, fa capire a tutti, principianti ed esperti, come deve essere un grande vino. Il miglior assaggio della giornata senza dubbio. 

Luigi Tecce in posa per noi
Nanni Copè – Vitulazio (CE): di Giovanni Ascione ne avevo parlato ampiamente durante il mio report sul Vinitaly. E’ stato un piacere incontrarlo di nuovo qua, soprattutto è stato una soddisfazione degustare di nuovo assieme il suo Sabbie sopra il bosco 2008 (Pallagrello Nero, Aglianico e Casavecchia) che, come sempre, incanta il mio palato per le sue evidenti note di fiori rossi macerati, frutti di bosco, cannella, chiodi di garofano e terra vulcanica. Se lo assaggerete anche una sola volta non lo dimenticherete. 

Ah, Giovanni Ascione è questo simpatico signore… 




Azienda Agricola Gennaro Papa – Falciano del Massico (Caserta): l’azienda, che affonda le sue radici nei primi anni del ‘900, è condotta da Gennaro Papa e da suo figlio Antonio. I vigneti, 4 ha in totale, sono ubicati nelle colline argillose del comune di Falciano del Massico. Su questi generosi terreni spicca una vigna di Primitivo con cui si produce il Campantuno - Falerno del Massico Doc, vino di origini antichissime, apprezzato dagli antichi romani, che ne garantivano l’origine e l’annata, e lodato da Plinio, Orazio e Cicerone.
Il Campantuono 2006 degustato a Castelvenere è il figlio della tradizione associata all’innovazione che ha portato l’azienda, a partire dal 1990, a ridurre le rese (ora siamo a circa un Kg per pianta) e ad usare la barrique per la maturazione del vino (almeno 13 mesi) che, lo scrivo prima che lo pensiate, non ha un tratto spiccatamente moderno nonostante sia ricco e potente.
Del Falerno del Massico di Antonio Papa mi ha affascinato la dolce eleganza del naso, un mosaico di frutta rossa matura, fiori, spezie, note balsamiche ed eteree, e l’opulento equilibrio gustativo, dove tutte le sensazioni, dure e morbide, sono ai massimi livelli senza però creare problemi alla bevibilità finale del primitivo che rimarrà per tanto, tantissimo tempo tra i vostri ricordi gustativi.

E questo è Antonio….

Il bottone di voto di Wikio


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Metti una sera a Castelvenere tra vignaioli e vini del Sud - 1° tempo

E’ sempre bello tornare a Castelvenere, in questo paesino a pochi passi da Benevento si respira ancora un’aria rurale, d’altri tempi, dove ogni movimento, anche il più semplice, è fatto con lentezza, ponderato, perché l’orologio del contadino scorre lento, nulla si butta e nulla è lasciato al caso. 
Pochi banchetti al centro del paese hanno ospitatato i produttori facenti parte della locale Fiera del Vino a cui si sono aggiunti, per il secondo anno consecutivo, quelli selezionati da Pignataro & Co. appartenenti alla “squadra” dei “Grandi Vini da Piccole Vigne”, piccola fiera nella fiera dove si mostra in tutto il suo splendore tutta la biodiversità enologica del Sud Italia.
All’interno di questa festa antiparkeriana molti sono stati i vignaioli e i vini di frontiera da me apprezzati e selezionati, una sorta di Best of The Best che troverete dettagliato nelle righe seguenti, "interviste" comprese.....

‘A Vita – Cirò Marina (Crotone): Francesco de Franco l’ho conosciuto a Roma a Dicembre 2009 quando, in tour per l’Italia, stava facendo conoscere il suo gaglioppo in purezza, ‘A Vita, di cui ho tessuto lodi sperticate in questo articolo. A Castelvenere non ho potuto far altro che confermare quella emozione. Anzi, qualche mese di affinamento in più ha reso sicuramente ancora più complesso il vino. Durante la serata Francesco, accompagnato dalla sua Laura, mi ha fatto provare un nuovo vino, l'F37 P26, altro gaglioppo in purezza da vigne giovani la cui particella catastale è anche il nome del vino. Grande riuscita anche questa, si sente la gioventù della vite ma i profumi e la tensione del vino sono davvero esaltanti. Avanti così!


Azienda Agricola Bonavita – Faro Superiore (Messina): questa piccola azienda, incastonata in una lingua di terra chiusa tra il mar Tirreno e il mar Ionio, che si specchia nello Stretto di Messina, produce un Faro (Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio e Nocera) di grande espressione territoriale. L’annata 2007, abbastanza calda da quelle parte, dà vita ad un vino molto verticale, frutta e spezie scure sono i principali descrittori di un vino che dovremmo aspettare più degli altri per placare il suo lieve eccesso di alcol. 
Il Faro Bonavita 2008, invece, è un piccolo gioiello già pronto, profuma di frutta di rovo, di fiori rossi, di minerale, di spezie esotiche. E’ un vino che mi fa pensare a terre lontane, la sua balsamica eleganza e setosità mi fanno tornare in mente il Marocco, le sue stoffe e i suoi arredi. Non mi sono fumato qualcosa di strano ma certi odori li riconduco alle mie esperienze di viaggio. So strano eh!!???



Azienda Agricola Ciro Picariello – Summonte (AV): qua c’è poco da dire, il Fiano “made in Summonte” prodotto da questo piccolo vignaiolo campano è uno dei più grandi vini bianchi d’Italia, senza se e senza ma. Il millesimo 2007 è ancora tanto giovane, lo dice lui stesso, ma a me e ai miei compagni di bevute è piaciuto un sacco questo Fiano dalle evidenti note minerali, c’è chi scrive fumè, che ha nella vena acida e nella persistenza finale il vero nirvana enologico. Alla faccia di chi beve solo l’ultima annata perché le altre sono “vecchie”!

I coniugi Picariello