Pranzo in ricordo di Gianni Masciarelli

Caro blog, stavolta ti scrivo perchè devo annunciarti che domani ho organizzato a Roma un pranzo per rendere omaggio a Gianni Masciarelli. Ospite graditissima sarà Marina Cvetic e tutto il suo staff che ci aiuterà a comprendere meglio il passato, il presente e il futuro del Villa Gemma che verrà degustato in verticale, dal 1992 al 2003.
Soprattutto ci aiuterà a capire chi era davvero Gianni Masciarelli e quanto c'è di suo nel suo vino.
Ringrazio Dino De Bellis per l'aiuto che ci darà abbinando i vini alla sua fantastica cucina. Soprattutto ringrazio Stefania, la mia ragazza, perchè mi ha sopportato in questi giorni un pò frenetici per via delle numerose defezioni ed imprevisti che ci sono stati nel corso dell'organizzazione.
Nei prossimi giorni posterò foto, commenti e note di degustazione....

Tre Bicchieri 2009 Gambero Rosso - Slow Food

Ieri sono usciti gli ambiti Tre Bicchieri 2009 della guida Vini d'Italia curata da Slow Food e Gambero Rosso. Purtroppo, ancora una volta, devo annotare un risultato deludente per la mia regione, il Lazio, che vede premiate ancora una volta solo due cantine, la ormai onnipresente Falesco col suo Montiano 2006 e Sergio Mottura che resta al top col suo Grechetto Latour a Civitella 2006. E il resto? Apparente calma piatta, così come, secondo la guida, accade da anni. Infatti, spulciando l'archivio storico, si può notare con estremo disagio che è almeno dal 2002 che il Lazio non riesce a prendere più di due premi e sempre con le stesse aziende: Paola Di Mauro, Falesco, Sergio Mottura. Tutto questo sembrerebbe far pensare, a chi sfoglia la guida, che nel Lazio, in anni alternati, ci sono solo tre realtà vitivinicole che fanno qualità. Ma è proprio vero? Siamo veramente così lontani dalla Toscana e dal Piemonte che vengono premiati ogni anno con decine e decine di vini?

Lancio questa riflessione nella profonda convinzione che la mia Regione meriti di più, soprattutto meriterebbe il coraggio da parte delle guide, di tutte le guide, di premiare anche altri vini e altre aziende. La guida ne "L'introduzione del Lazio su Vini d'Italia 2009" parla comunque di passi in avanti dal punto di vista qualitativo dell'intera Regione soprattutto nella zona di Latina, Viterbo e nell'area del Frusinate dove, la DOCG Cesanese del Piglio, sta spingendo molti produttori nella ricerca della qualità. In tale ambito, pertanto, mi domando perchè un produttore come Coletti Conti, da tempo ai vertici qualitativi col suo Romanico, non sia stato mai premiato. Davvero il suo cesanese è peggio di un Artas di Castello Monaci? Oppure, è così lontano il Mater Matuta di Casale del Giglio, premiato comunque da altre guide, dal Sàgana di Cusumano?
Ci vuole coraggio ragazzi per cambiare davvero le cose, bisogna rischiare e cominciare ad andare contro corrente se si vuole invertire davvero la rotta ed uscire dal vostro presunto immobilismo che, come viene scritto all'interno della stessa guida, nel dinamico panorama vitivinicolo nazionale significa compiere un effettivo passo indietro. Fatelo voi un passo avanti....

Buon fine settimana

Chateau des Marres Rosè 2007

Questa estate durante le mie vacanze passate tra Costa Azzurra e Provenza, mi sono imbattuto in questo piccolo Chateau situato a pochi km da Saint-Tropez. Inizialmente lo reputo come un posto per spennare turisti ma, vista comunque la bellezza del luogo, io e la mia ragazza decidiamo lo stesso di fermarci per degustare, senza molte speranze, qualche vino locale.

Chateau des Marres si estende per circa 30 ettari, di cui 27 di vigneto AOC e il resto formato da cipressi, uliveti e bellissime palme.
Durante la visita ho potuto degustare il loro bianco da uve Rolle (il nostro Vermentino), il loro rosso (Rouge Prestige) da uve Granache, Syrah e Cabernet Sauvignon e la loro vasta gamma di rosati che, come tradizione, abbondano in queste zone: Cap Rosè 2007, Rosè 2007, 2S des Marres Rosè 2007 (che rappresenta il loro rosato di punta).
Di quest'ultimi, mi ha colpito soprattutto il Rosè 2007, un vino immediato, fresco e beverino che in quelle giornate così afose ci stava benissimo.

Il vino si presenta con un bel colore rosa antico e al naso spiccano intense piacevoli note di frutta fresca (ciliegia, lampone), pompelmo, petali di rosa, salvia e mentolo. Alla gustativa il vino è perfettamente equilibrato tra le percezioni di freschezza e morbidezza, e le sensazioni di frutta rossa, sciroppo di granatina, zenzero fanno da degna cornice ad un finale di media lunghezza. Ideale come aperitivo da bere sulla spiaggia di Pampelonne oppure da abbinare ad una grigliata di costolette di agnello alle erbe provenzali o alla bouillabaisse. Prezzo intorno ai dieci euro.

Tasting Panel Poggio Argentiera

Poggio Argentiera è una azienda della Maremma Toscana che sta portando avanti una arguta azione di marketing inserendo noi wine blogger all'interno di un panel di degustazione al fine di valutare i vini aziendali e capire se questi possono incontrare il gusto dei consumatori più esigenti.

In particolare l'azienda mi ha spedito i seguenti vini:

  • Guazza 2007 (Ansonica 80% - Vermentino 20%)
  • Alture 2007 (Sauvignon 100%)
  • Bellamarsilia - Morellino di Scansano Docg 2007 (Sangiovese 85% - Ciliegiolo 10% - Alicante 5%)
  • Capatosta - Morellino di Scansano Doc 2006 (Sangiovese 95%, Alicante 5% )
  • Finisterre - I.G.T. Maremma Toscana Rosso (Alicante e Syrah in parti uguali. In qualche caso puo' essere presente una quota di Cabernet Franc)
  • Maremmante - I.G.T. Maremma Toscana Rosso (Alicante e Syrah in parti uguali)
Il "Guazza" 2007 è stato il primo vino da me degustato. Di un bel colore giallo paglierino, presenta al naso note di pesca bianca, susina, fiori gialli(camolilla soprattutto), seguite da una delicata vena minerale. In bocca è abbastanza equilibrato, fresco, con un finale di media lunghezza su ritorni di frutta a polpa bianca e fiori. Buon vino da aperitivo o da consumare a tutto pasto. Il prezzo sicuramente è conveniente. Mi piace questo "gemellaggio" tra vermentino e ansonica.

Secondo e ultimo bianco di Poggio Argentiera degustato. "Alture" 2007, 100% Sauvignon Blanc, è stato il vino forse più discusso della batteria perchè, rispetto alla mia ragazza che lo ha amato fin da subito, a me non è piaciuto così tanto trovandolo troppo "piacione".
Di un giallo paglierino scarico, all'olfatto è caratterizzato da note di frutta tropicale (mango, papaya, frutto della passione), agrumi e leggere sensazioni di erbe aromatiche. In bocca, e per me è questo che lo penalizza, risulta opulento, grasso, con quelle note di frutta tropicale che dopo qualche sorsata risultano stucchevoli. Vino di poca eleganza e con tanta "ciccia" (anche alcolica) che farà storcere il naso a chi beve sauvignon della Loira ma che avrà sicuramente la sua bella fetta di pubblico.

Bellamarsilia 2007 è il Morellino base dell'azienda, un vino che non mi ha convinto molto (così come il suo fratello maggiore Capatosta) in quanto all'olfatto aveva una nota alcolica fastidiosa che copriva quasi del tutto le note tipiche di un morellino così giovane caratterizzate da un bel frutto rosso croccante. In bocca torna la non certo elegante sensazione calorica dell'alcol che rende il vino non certo equilibrato. Forse una bottiglia sfortunata ma se fossi un consumatore medio certo farei fatica a ricomprarlo.

Capatosta, fratellone maggiore del Bellamarsilia ha un naso molto più convincente in quanto dotato di maggiore complessità e privo di "vizi" alcolici. A note di spezie dolci (vaniglia),si susseguono sensazioni di amarena, ciliegia nera, chiodi di garofano,liquirizia dolce e tabacco. Peccato per quella nota di legno non ancora integrata che penalizza un pò l'esame olfattivo. In bocca il vino è morbido, caldo, rotondo. Torna il legno. Media persistenza per un vino comunque abbastanza piacevole e che darà soddisfazione se tenuto ancora ad affinare in cantina.

Finisterre, insieme al Maremmante rappresenta il rosso aziendale da me preferito. Di un colore rubino carico, impenetrabile, il vino esprime all'olfattiva tutto il carattere dell'uvaggio utilizzato. Note intense di confettura di frutti neri, pepe nero, cioccolato fondente,liquirizia e vaniglia. Al gusto si presenta pieno, morbido, strutturato, con un tannino ben presente e controbilanciato da una importante componente alcolica. Bella la persistenza finale. Un vino che per via del legno ancora presente e per il tannino ancora troppo aggressivo andrebbe lasciato affinare ancora per qualche anno.

Maremmante, altro "vinone" di Poggio Argentiera rappresenta un prodotto tutta polpa e concentrazione già a partire dal suo colore rubino impenetrabile. Naso potente dove giocano note di frutta nera, vnniglia, pepe, cioccolato, china. La bocca conferma l'olfatto con un attacco dolce di frutta nera matura e cioccolato. Tannino da smussare sorretto, così come abbiam visto per il Finisterre, da un'importante alcolicità. Vino gradevole, molto "american style", che va aspettato qualche anno per poter dare il meglio di se in eleganza.

Principe Pallavicini e il suo Amarasco 2005

Principe Pallavicini rappresenta una di quelle cantine laziale che, passo dopo passo, sta cercando da qualche anno di fare proporre prodotti di una sempre maggiore qualità, soprattutto in una zona come quella dei Castelli Romani, dove i vini girano spesso (purtroppo) in taniche di plastica.
Le origini della famiglia Pallavicini si perdono nella notte dei tempi visto che è presente nel Lazio fin dalla seconda metà del 1600.
Attualmente l’azienda ha circa 78 Ha di vigneti, nella Tenuta di Colonna e in quella di Cerveteri, coltivati a Trebbiano Toscano, Malvasia del Lazio, Malvasia di Candia, Chardonnay, Sauvignon, Greco, Grechetto, Bovino e altri per i vini bianchi, mentre per i rossi le uve coltivate sono Sangiovese, Cesanese, Merlot, Cabernet-Sauvignon, Montepulciano, Ciliegiolo, Petit Verdot.
La Tenuta di Colonna, che è quella che poi ho visitato durante la manifestazione “Benvenuta Vendemmia”, si estende per circa 64 ettari di vigneto è posta prevalentemente in posizione collinare, su terreni calcarei argillosi, ben drenati, collocati ad altezze varianti dai 100 ai 300 metri con orientamento est-ovest.L'azienda di Colonna si compone di tre corpi: Colonna, Pasolina e Marmorelle. Mentre nel seicentesco edificio di Colonna sono localizzate la cantina, gli uffici, i magazzini e il ristorante aziendale, è nella vicina "Pasolina", zona vulcanica con microclima caratterizzato da forti escursioni termiche, che la famiglia Pallavicini trova la culla ideale per le uve a bacca rossa per la produzione di grandi vini rossi da invecchiamento.
Nei vigneti di Marmorelle, dove i terreni sono di natura calcareo-argillosa, sono presenti, sia i vitigni a bacca bianca sia i primi vigneti rossi di Sangiovese e Cesanese, impiantati nel 1970 dalla famiglia; a questi si affianca il primo vigneto di Cabernet Sauvignon impiantato agli inizi degli anni '90. La forma d'allevamento, in tutti i corpi aziendali, varia dal tradizionale cazenave ai moderni e razionali cordone speronato e guyot, con una densità d'impianto che varia dai 3.000/4.000 ceppi per ettaro per i vini bianchi ai 5.000/7.000 ceppi per ettaro per i vini rossi.

Durante la manifestazione si è potuto degustare tutta la gamma dei vini aziendali e il mio interesse, oltre al sempre ottimi Stillato (buonissima la versione 2006) è caduto sull’Amarasco, vino ottenuto da uve Cesanese vinificate dopo un appassimento al sole per circa un mese, provenienti da un unico vigneto di circa 40 anni, posto a 250 metri di altezza in località “Marmorelle”.
Il vino presenta una veste cromatica di tutto rispetto con il suo bel rubino intenso e presenta al naso un bellissimo bouquet dove netti sono le sensazioni di mora, mirtillo, cassis, viola passita, rosa, melograno, papavero e spezie scure. In bocca la morbidezza, erede diretta dell’appassimento in pianta delle uve, si fonde con un’ottima spalla tannica, rotonda e ben equilibrata e con una sapidità figlia di quei vulcani dove le viti crescono e proliferano.
Finale molto lungo con ritorni ritorni di frutta nera matura, cioccolata e liquirizia dolce.
Una piccola gemma laziale, un punto di partenza che fa ben sperare per il futuro della mia regione troppo spesso bistrattata a livello enologico. Da bere anche come mero vino da meditazione, magari seduto a mirare uno dei tanti bellissimi panorami dei Castelli Romani.

Visita al Domaine Lafran-Veyrolles

L’ultimo Domaine che visito a Bandol prende il nome di Lafran-Veyrolles, una piccola azienda incastonata sulle pendici del Côtes de Veyrolles, a pochi passi dal mare la cui brezza, di grande protezione in inverno e sufficientemente fresca durante le calde estati, viene costantemente mitigata dalla cresta del Gros Cerveau e dalle colline d'Antrechaus.
Il Domaine Lafran-Veyrolles si estende per 10 ettari piantati prevalentemente a Mourvèdre mentre Granache, Cinsault, Clairette, Ugnis Blanc e Carignan rappresentano piccole parcelle di circa un ettaro ciascuna.
L’azienda, che produce essenzialmente vini rossi e rosè, persegue una filosofia di produzione estremamente tradizionale e caratterizzata dall’uso di concimi naturali (è ammesso solo zolfo e rame), potature verdi e vendemmia rigorosamente manuale.
In cantina, il mio palato si è soffermato esclusivamente sui loro vini rossi, due perle chiamate Cuvée Tradition e Cuvée Spéciale.
La prima, frutto di un assemblaggio di Mourvèdre (70-80%), Granache, Cinsault e Carignan da vecchie viti, prevede una fermentazione a temperatura controllata (25°-31°) per 25 giorni, una maturazione in botti di rovere per 18-24 mesi e un imbottigliamento senza filtrazione.
La Cuvée Tradition 2005 si presenta di un colore rubino molto intenso, al naso le sensazioni di frutti neri di bosco lasciano pian piano spazio a sentori di cioccolato fondente, liquirizia e spezie scure. Bella bocca, intensa, piena, tutta polpa, con un tannino abbastanza setoso anche se tutt’altro che domato. Finale decisamente lungo con con piena rispondenza gusto/olfattiva.
La Cuvée Spéciale, 95% Mourvèdre e 5% Granache, prevede una vinificazione e un affinamento simile alla Cuvée Tradition con la sola differenza che il passaggio in legno dura qualche mese di più al fine di permettere all’uva Mourvèdre di attenuare le sue asperità.
L’annata 2005 porta in dote un vino estremamente complesso dove i sentori di mirtillo, prugna e ribes nero si accompagnano a nitide note di alloro, eucalipto, cuoio, tabacco e china (non ho trovato in questo vino le tipiche note animali delAl palato è ricco, ampio, di grande struttura e persistenza aromatica. Tannino ancora da amalgamare ma che promette, tra una decina di anni, di dare un godimento assoluto a chi sarà capace di aspettare. Persistenza infinita per un vino che, pagato circa 20 euro, comprerei a bancali.

Sagrantino di Montefalco a 5 stelle!!

Non poteva esserci un battesimo migliore per l’anteprima di quest’anno.
Sarà un Sagrantino da collezione, da annoverare tra i migliori degli ultimi anni: gli esperti enologi della Commissione di Qualità, presieduta da Corrado Dal Piaz, dopo aver testato ben 36 campioni hanno assegnato all'eccellente vendemmia 2005 del vino di Montefalco il massimo del punteggio, "cinque stelle" su cinque. Il rating è stato fissato dal Consorzio del Sagrantino dopo attente valutazioni (chimico-fisiche ed organolettiche) e considerazioni relative all'andamento climatico dell'annata.
“L'annata 2005 ha avuto un andamento climatico distinto in due fasi ben precise: la prima, da maggio alla fine di luglio è stato caratterizzata da temperature piuttosto elevate e precipitazioni ridotte rispetto alla media stagionale- spiega Lorenzo Landi, enologo della Az. Còlpetrone che ha ospitato la seduta di valutazione e che presenterà l’annata in occasione della tavola rotonda del 19 p.v. -. Nella seconda fase la maturazione è proseguita regolarmente senza eccessivi stress idrici, mentre le temperature piuttosto basse hanno favorite una buona espressione aromatica. La lieve diluzione dovuta alla relativa abbondanza di pioggia non ha sostanzialmente intaccato la elevata concentrazione delle uve dovute allo stress precedente all'invaiatura per cui la potenza finale dei vini è ragguardevole”.
Quella del 2005 è stata una splendida vendemmia - illustra Lodovico Mattoni, presidente del Consorzio – ma le considerazioni migliori riguardano la crescita qualitativa generale dovuta al progresso dell’area e delle strutture. L’impegno è costante ed assoluto: stiamo lavorando per connettere il nostro magnifico vino alle reti lunghe delle economie di mercato internazionali".

E' morto Didier Dagueneau

Purtroppo ancora una volta nell'arco di poche settimane deve annunciare la morte di un altro simbolo dell'enologia mondiale.



Pare che si sia schiantato con un piccolo aeroplano nella zona francese del Cognac.

Le sue creazioni, Cuvée Silex, Cuvée Pur Sang e Cuvee Asteroide sono vini che hanno fatto e speriamo faranno la storia nell'enologia mondiale. Soprattutto è stato il Silex che mi ha fatto amare come non mai un vitigno dalle grandi potenzialità evolutive come il Sauvignon.

Se volete lasciate un ricordo di questo produttore e dei suoi vini.

Visita a Chateau de Pibarnon - seconda parte

La degustazione inizia con l’unico vino bianco prodotto a Chateau de Pibarnon, composto da un 45% di uva Clairette, 30% Bourboulenc e il restante Roussane e Viognier. Prodotto nel 2007, il vino, grazie ad una annata estremamente favorevole, è di una eleganza sorprendente tutta giocata su un bouquet di fiori di tiglio e sentori di cedro, pompelmo, ananas, pepe bianco e finocchio. Al palato il vino è ampio e vellutato e ricco di polpa, per un finale piacevolmente fresco ed armonico e di discreta persistenza. Questo vino accompagna splendidamente i frutti di mare e tutti i piatti della cucina asiatica. Nota tecnica: non fa legno e viene affinato solo 6 mesi in acciaio.
Carattere, complessità ed eleganza sono gli aggettivi per lo Chateau de Pibarnon rosè 2007 prodotto da uve Cinsault e Murvèdre. Di un bellissimo colore rosa salmone, il vino si caratterizza subito per l’intensità del suo bagaglio olfattivo offrendo sentori di fragolina di bosco, ribes, mandarino, pesca, il tutto abbracciato da dolci effluvi di liquirizia e cannella. In bocca è ampio, intenso, cremoso, con un tannino appena accennato e una acidità vivace.Finale molto lungo e persistente dove ritornano le sensazione fruttate e speziate. Da abbinare a dell’ottimo agnello al curry oppure con formaggio stilton.

Proseguiamo la degustazione con lo Chateau de Pibarnon rosso 2005, da un 90% di Mourvèdre e il restante Grenache. Tutti i rossi provenienti da questo Domaine si contraddistinguono per le lunghe macerazioni (20 giorni minimo) in piccole vasche d’acciaio, un affinamento di almeno 19 mesi in botti di rovere e la totale assenza di chiarificazione e filtrazione. Il vino in questione, figlio di una bella annata nel sud della Francia, si presenta al colore di un rosso rubino quasi impenetrabile. Al naso presenta un bouquet di sentori primari dove si sviluppano aromi di frutti di bosco, cacao, spezie dolci, eucalipto, chiodi di garofano. Alla gustativa il vino è rotondo, pieno, armonico, dalla trama tannica vellutata (caratteristica dell’annata) e dal finale lungo e persistente. Ottimo con carne di cervo.

Lo Chateau de Pibarnon rosso 2004, anch’esso di un bel colore rubino molto profondo, si presenta al naso con una bellissima note fruttata di ribes nero marasca, prugna, speziato con note di tabacco, grafite e cacao amaro. In bocca è caldo, grasso e ben strutturato con tannini molto fini ed eleganti. Bello il finale dove ritroviamo una buona corrispondenza al naso. Grande abbinamento col petto d’anatra.

Il rosso 2003, figlio legittimo di una annata calda, così come è stato in tutta Europa, presenta all’olfatto aromi di prugna matura, lampone, cuoio, sottobosco, tabacco e liquirizia. L'entrata in bocca evidenzia un bel calore, si mostra vellutato, strutturato, con una bella vena acida a bilanciare i tannini ancora vivi e vibranti. Lungo il finale con ottimi ritorni di frutta rossa. Da abbinare allo stinco di agnello con cous cous.

Terminiamo la degustazione con un grandissimo rosso 1998 che Henri ci prende direttamente dalla cantina personale. Di un bel rosso rubino con unghia granato, il vino presenta un naso potente e complesso, con sentori iniziali di note animali, ematiche, seguite poi da note di frutta rossa macerata, cuoio, liquirizia, grafite, tabacco, sottobosco e noce moscata. Bello l’impatto gustativo con tannini di una grandissima eleganza e nel pieno della loro maturazione organolettica. Acidità ancora viva e buona persistenza per un vino che potrà giustamente evolvere in cantina per altri 10 anni. Da abbinare con un bel pasticcio di selvaggina in crosta.

Visita a Chateau de Pibarnon - prima parte

Arrivare a Chateau de Pibarnon è estremamente difficoltoso, bisogna percorrere stradine strette, curve e controcurve, attraverso un pittoresco percorso caratterizzato da vigneti e da una bellissima vista sul “Bec de l’Aigle” e sull’Isola di Embiez.
L’Azienda, che raggiungiamo presso la sommità della collina del Telegrafo (chiamata così perchè qui si trova un vecchio telegrafo ottico che collegava Tolone a Parigi), si trova in posizione dominante sull’intera regione del Bandol e si estende attualmente per circa 45 ettari.
Caratterizzati dall’elevata altitudine, la maggiore di tutta l’Appellation Bandol, i vigneti aziendali sono stati impiantati a partire dal 1977, anno in cui il conte Henri de St-Victor ha acquisito la lussuosa residenza ora sede dell’azienda. Le viti, che prima erano in condizioni pietose, sono da allora aumentate sia in qualità che in quantità e sono state collocate, con esposizione sud-est, andando a formare piccoli terrazzamenti all’interno di quello che possiamo definire un vero anfiteatro vitivinicolo dove le uve, al riparo dal Mistral e grazie all’ottimale microclima della zona, acquisteranno finezza di aromi e complessità in virtù della loro lenta maturazione.
Il vero segreto di Chateau de Pibarnon e dei suoi splendidi vini, oltre al climat presente, sta nel terroir. I vigneti, infatti, sono piantati su terreni ciottolosi di origine triassica, vecchi di oltre 150 milioni di anni, caratterizzati da un’elevata percentuale di calcare che fornisce al vino una grande estrazione e concentrazione di tannini fini ed eleganti ed un bouquet di aromi complessi e di grande carattere. La presenza, inoltre, nel sottosuolo di marne blu del Santoniano, le stesse di cui possono godere ”Yquem” e “Petrus”, conferisce a questo terroir in particolare, e a Chateau de Pibarnon in generale, una caratteristica di unicità in tutto il territorio del Bandol.
Chateau de Pibarnon produce vini di ottima qualità, partendo dal bianco a base di Clairette, Bourboulenc, Rousanne, Viognier e Marsanne, per passare al rosè a base Mourvèdre e Cinsault, fino ad arrivare all’ottimo ed inimitabile rosso a base Mourvèdre con piccole quantità (circa il 5%) di Granache.

Durante la nostra visita Henri de St-Victor ci ha fatto degustare tutta la gamma dei suoi vini, inclusa una mini verticale di rossi di grande spessore qualitativo. Troverete le note nella prossimo articolo ma, ancora una volta, vi avverto che parleremo di grandissimi rossi con un rapporto qualità/prezzo imbattibile.

A presto!!

Visita al Domaine Tempier - Seconda Parte

Come promesso ecco qualche nota di degustazione di questi splendidi vini. In ordine ho bevuto:

Tempier Bandol Cuvée Classique 2006: vino estremamente equilibrato nonostante la giovane età. Al naso spiccano sentori fruttati di mirtillo, lampone, mora, melograno e una lieve nota erbacea. Al palato risulto ancora un pò rustico con un tannino ancora da smussare ma comunque equilibrato e gradevole. Manca un pò di lunghezza nel finale ma le potenzialità per un grande invecchiamento ci sono tutte.
Tempier Bandol Cuvée Spéciale La Tourtine 2005: naso molto intenso ed intrigante con belle note di ferro, quasi ematiche, poi terra, cuoio e frutta nera matura. In bocca ha un'altra stoffa rispetto al precedente, grande è la struttura e l'equilibrio di questo vino che perde quelle caratteristiche di rusticità e le trasforma in pura eleganza. Persistenza stavolta da campione. Ancora giovane, praticamente in fascie, andrebbe messo in cantina e ribevuto tra 15 anni minimo.
Tempier Bandol Cuvée Spéciale Cabassaou 2005: il gioiello di casa Tempier composto da puro Mourvédre e prodotto in pochissime bottiglie. Aprire questa bottiglia corrisponde ad un vero e proprio infanticidio. Sarò un killer enologico ma se questo vino, con l'affinamento, può solo migliorare non so cosa aspettarmi tra 10/15 anni visto che a tuttoggi è splendido. Naso che definirei carnoso, dove le note animali ed ematiche sono di rara purezza e giocano con le sensazioni di sottobosco e di frutta nera di rovo. Bocca potente, di grande estratto ma equilibrata con alcol e freschezza ben misurati. Persistenza infinita. La guida 2008 della “Revue de Vins de France" gli attribuisce un fantastico 19,5. Vino vicino alla perfezione stilistica. Sintetico invece il giudizio della guida Parker: eccezionale, 5 stelle. Ultima nota di colore, il vino viene citato nel film di recente uscita “Un’ottima Annata” con le seguenti parole: “Un vino talmente buono, che stenderebbe anche un uomo alto tre metri”.

Tempier Bandol Rouge La Migoua 2005: altro grande vino con un naso interessante dove si riconoscono nitidamente frutta nera matura (ciligia e marasca), speziato (pepe nero) e minerale, con leggeri segni di tostatura e animale. In bocca il vino è superbo, strutturato con bellissime percezione di aromi fruttati e minerali. Grande allungo nel finale per un vino già eccellente ma che, come gli altri, mostrerà la sua vera natura tra qualche anno.

Tempier Bandol Cuvée Classique 1999: bottiglia aperta e vino degustato in un bellissimo ristorante di Bandol. Colore di un rosso rubino ancora molto intenso e profondo, esprime al naso profumi terziari che esprimono ciliegia scura in confettura, grafite, catrame, caffè, sostanze ematiche e pelliccia. In bocca il vino è rotondo, complesso, ed esprime tutto quell'equilibrio che mancava al 2005 con un tannino ora meglio integrato e fine e un'acidita che nonostante i quasi 10 anni ancora è viva. Buona la persistenza finale per un palato che aspetta ancora con ansia che il vino affini ulteriormente in bottiglia.

Visita al Domaine Tempier - prima parte

Il Domaine Tempier rappresenta forse la quintessenza qualitativa dei rossi della regione del Bandol. Una volta arrivati con la macchina ti rendi subito conto che da queste parti i vignerons non vogliono stupirti con immensi castelli come avviene in Bordeaux, nè hanno quella vena un pò snob tipica di qualche produttore borgognone con la puzza sotto il naso. Davanti a noi c'è solo una normalissima dimora rurale che, come scoprirò, racchiude preziosi gioielli enologici.
Il Domaine Tempier appartiene alla stessa famiglia da più di 170 anni, anche se l'azienda, così come la conosciamo oggi, è stata creata nel 1940 da Lucien Peyraud dopo il suo matrimonio con Lucie Tempier. Lucien Peyraud fu determinante non solo per la nascita e lo sviluppo dell'azienda, ma è stato in quegli anni anche responsabile, in larga misura, sia del rilancio dell'uva Mourvèdre, al tempo quasi dimenticata, sia per la creazione della denominazione Bandol AOC.
Il Domaine Tempier, grazie al grande lavoro di Lucien e sua moglie, ha acquisito negli anni '50 due cru di grande importanza qualitativa: la vigna Tourtine e la vigna Migoua. La seconda, localizzata a Beausset-Vieux, si estende per circa 6 ettari e mezzo ed è piantata principalmente a Mourvèdre, sebbene ci siano anche impianti di Cinsalut e Grenache. Il cru Tourtine, invece, localizzato a Le Castellet, è una vigna di 7 ettari piantata in proporzioni simili alla precedente. Dalla questa vigna il Domaine produce due splendide cuvée: La Tourtine, appunto, composta da un 50% di Mourvèdre e il restante formato da Granache, Cinsault e Carignan, e Le Cabassaou (95% di Mourvèdre). Quest'ultima cuvée, che si traduce in scarpata, è prodotta da un solo ettaro di vigneto a Mourvèdre è posto nella parte bassa e ripida del vigneto. L'altra cuvée da singolo cru è la Migoua, formata da un 50 percento di Mourvèdre, 40 percento di Cinsault e una piccola percentuale di Grenache e Carignan. La cuvée classique, invece, è il frutto dell'assemblaggio di diverse uve proveniente da diversi parcelle del Domaine.

Oggi, dopo la morte di Lucien Peyraud avvenuta nel 1998, Daniel Ravier, animato dagli stessi obiettivi di rigore e qualità, conduce l'azienda, anche in veste di enologo, insieme agli altri membri della famiglia Tempier.

Il Domaine Tempier produce grandi vini rossi attraverso tecniche rigorose: assenza di fertilizzanti, potature verdi a Luglio, vendemmia manuale, vinificazione tradizionale attraverso mediante diraspatura totale dell'uva, macerazione a temperatura controllata. L'invecchiamento, che avviene dopo la malolattica, avviene in grandi foudres per un periodo che va dai 18 ai 20 mesi. Al termine il vino viene imbottigliato senza chiarificazione nè filtraggio. Nota di colore: Ravier procede a vinificare in base alle diverse fasi della luna. Strano ma secondo lui funziona.....

Ultima cosa: oltre a quattro vini rossi, l'azienda produce anche un notevole rosato, delicato ma al tempo stesso complesso. Tenetelo qualche anno in cantina e poi bevetelo. Puro godimento!!
Nel prossimo articolo butterò giù qualche nota di degustazione. Preparatevi per un viaggio sensoriale unico......

Stay tuned!!















Visita al Domaine de Terrebrune

Situato ad Ollioules, il Domaine de Terrebrune, inizia la sua gloriosa storia quando, nel 1963, Geoges Delille acquisito questa proprietà, dove prima si producevano vino, olive, fiori ed ortaggi, e iniziò un lavoro incessante fatto di ripristino delle terrazze, delle pareti e reimpiantando tutti i vigneti. La cantina, edificata all’interno della roccia ed sapientemente interrata, è stata costruita nel 1975 ed è stata oggetto di studio affinché possa valorizzare al massimo le uve e il vino attraverso il sistema di pompaggio dello stesso per gravità.
Camminando sulle orme del padre, nel 1980, anno di produzione della prima bottiglia, Reynal Delille prende in mano le redini dell’azienda dopo aver portato a termine gli studi di enologia. Durante la sua guida l’azienda continua la sua crescita qualitativa sempre rispettando la tradizione enologia del Bandol. Oggi l’azienda si estende per circa 30 ettari, di cui 27 dedicati alla produzione di vini AOC, e vanta una produzione media annua di 1000 ettolitri.
Il Domaine Terrebrune è situato in una zona climatica strategica in quanto è localizzato alle pendici del massiccio calcareo Gros Creveau vantando anche una stupenda vista sul golfo di Bandol: questa fa si che il Domaine benefici durante l'anno di un perfetto microclima dovuto all'influenza dei venti (soprattutto il mistral) che soffiano, anche violentemente in estate, portando aria fresca e asciutta, quindi favorevole al buon mantenimento dell'uva, Mourvèdre in particolare, che come dice proprio il nome del Domaine poggiano su un terreno marrone scuro di età antichissima.
Il Domaine Terrebrune rispetta moltissimo l’ambiente in quanto sono vietati pesticidi ed insetticidi, è permesso il solo uso di zolfo o solfato di rame. A giugno viene praticata la potatura verde che permette di raggiungere l’obiettivo di qualità di un grappolo per ogni tralcio (produzione di 35/38 ettolitri per ettaro). Vendemmia totalmente manuale al fine di preservare al massimo l’uva. A tal fine ogni singolo cru viene vendemmiato singolarmente e ciò fa si che la raccolta, che teoricamente si potrebbe fare in 12 giorni, termine quasi sempre in 30. Durante la vinificazione, le uve subiscono una pressatura soffice e la fermentazione del mosto avviene a temperatura controllata. La maturazione, per i rossi, avviene in botti da 50/60 ettolitri per 18 mesi: tale periodo permette al vino di stabilizzarsi e di chiarificarsi naturalmente. Una volta imbottigliato, il vino dovrà affinarsi per un ulteriore anno all’interno delle buie cantine aziendali.
Durante la mia visita all’azienda, effettuata grazie ad una gentile e bionda signora, ho degustato una batteria di splendidi vini:
Bandol Terrebrune 2006 bianco: da uve 40% Clairette, 35% Ugni Blanc, 15% Bourboulenc, 5% Rolle and 5% Marsanne, è un vino che al naso esprime sensazioni di frutta esotica e fiori bianchi ma, soprattutto, una mineralità soprendente. Un bianco che svolge la malolattica e che a detta della nostra interlocutrice è molto territoriale.
Bandol Terrebrune 2004 rosso: da un 85% di uva Mourvèdre con il restante di Grenache e Cinsault, questo vino presenta al naso sentori di frutti rossi di rovo, ciliegia, tabacco e liquerizia. Giovane in bocca visto l’elevata tannicità, presenta un finale lungo e fruttato giocato su sentori di prugna matura e mora. Gran bel vino che potrà dare il meglio tra qualche anno…
Bandol Terrebrune 1998 rosso: contrariamente M precedente il vino ha un 80% di Mourvèdre, e presenta al naso sentori molto più complessi che vanno dalla prugna secca al mallo di noce, dal tabacco per pipa all’humus, dalla grafite al foxy. Bocca estremamente elegante ed equilibrata con un tannino che si fa ora setoso e carezzevole. Grande persistenza finale per un vino da applausi.
Bandol Terrebrune 1987 rosso: la mia sorpresa in questo caso, oltre al vino, è legata all’estrema gentilezza della nostra interlocutrice che apre al pubblico bottiglie così importanti e preziose. Magari lo facessero le altre aziende, italiane incluse! Vino sublime prodotto con solo il 60% di Mourvèdre. Naso caleidoscopico:sottobosco, fungo porcino, humus, tabacco e torrefazione si intrecciano uno nell’altro creando un impatto olfattivo di grande eleganza. Raffinato il tannino e, nonostante i venti anni, il vino presenta ancora un’acidità che promette ancora lunga vita. Chapeau!
Bandol Terrebrune 2007 rosè: 50% Mourvèdre e il resto diviso equamente tra Granache e Cinsault, presenta all’olfattiva note di pompelmo rosa, ciliegia acerba, mandarino, susina e burro. Vino dotato inoltre di una spiccata mineralità data dal terreno calcareo-argilloso di epoca preistorica. Vino che costa circa 14 euro e che, per questo, rappresenta un prodotto dall’elevato rapporto qualità/prezzo.
Bandol Terrebrune 1994 rosè: mi avevano detto che Bandol era terra di grandi rosati da invecchiamento e questo 1994 me ne ha dato la prova. Naso splendido giocato su note di miele, cera d’api, frutta secca e cannella. Bocca di un equilibrio strepitoso. Finale lungo e persistente giocato su note di miele e uva passita. Grande sorpresa per uno dei rosati a più alta longevità della Francia (e non solo….)
Concludendo, ringrazio tutto lo staff del Domaine de Terrebrune per la cordialità con cui ci ha accolto e per i grandi vini che ci ha fatto degustare, unici, come unico è il loro rapporto qualità/prezzo, davvero eccezionale.

BANDOL: UNA TERRA DI GRANDI VINI

I vigneti nella zona del Bandol esistono da sempre, da quando nel quinto secolo a.C. fu istituita dai focei la colonia di Taurois, ribattezzata in seguito dai romani come Tauroentum, sulle cui alture oggi troviamo i vigneti della città di Castellet. Quando i romani si installarono in Provenza, trovarono in quella zona numerosi vigneti che sfruttarono tanto brillantemente che diventarono celebri in tutti l’impero. Prova di ciò sono i resti delle anfore ritrovate a bordo delle galere ritrovate tra Bandol e l’isola di Bendor.
La storia più recenti invece ci dimostra che i vini di questa zona erano molto famosi a corte già nel XVI secolo e furono molto apprezzati da Luigi XV che era solito ordinare del vino proveniente dall’area di Rouve, un territorio compreso nel comune BEAUSSET.
Col passare dei secoli continua a crescere la fama dei vigneti e dei vini del Bandol anche se tutto questo, come la storia ci insegna, ebbe una tremenda e netta frenata quando le devastazioni di oidio nel 1868 e la phylloxèra nel 1870 devastarono e distrussero tutti i vigneti francesi. Rovinati completamente, la maggior parte dei viticoltori capitolò per l'immenso costo della ricostruzione dei vigneti, la cui redditività era resa ancora più incerta con l'avvento della ferrovia che sconvolse il mercato dei vini francesi. Un piccolo gruppi di intrepidi coloni, tuttavia, ebbe l'ardire di reimpiantare in quelle aree così depresse Cinsault, Grenache e soprattutto Mourvedre, l'uva tradizionale della regione. I vigneti ricrebbero lentamente e nuove generazioni di viticoltori, attraverso la formazioni di un sindacato, optarono all’unanimità verso una produzione di qualità. I loro sforzi vennero premiati nel 1941 quando ai vini del Bandol fu riconosciuto il titolo di Appellation d'Origine Contrôlée, una delle prime in Francia concesso per decreto.
Bandol è un'area vinicola relativamente piccola - appena 1480 ettari – e si estende su 8 comuni: Bandol, Le Bausset, Le Castellet, La Cadière d'Azur, Saint Cyr sur mer, Sainte Anne d'Evenos, Sanary e Ollioules.
Protetto dagli sbalzi termici data dalla vicinanza del Mediterraneo, il vigneto gode di 3000 ore di sole all’anno e il Mistral aiuta a mantenere un clima perfettamente sano anche dopo le abbondanti precitazioni. Il suolo anch’esso è importante per la qualità dei vini: nell’area troviamo un terreno arido di tipo marno-calcareo-arenoso che conferisce al vino grande struttura e complessità.
A Bandol si producono sostanzialmente due tipologie di vino: rosè giovani e freschi (anche se non mancano esempi di rosati da invecchiamento come vedremo quando parlerò del Domaine de Terrebrune) e rossi di grande complessità e struttura da conservare in cantina per anni. I vini bianchi, da uve Clairette, Bourboulenc e Ugni blanc, rappresentano una sparuta minoranza in quanto rappresentano solo il 5% della produzione totale.
L'uva principale utilizzata per la produzione dei vini di Bandol, sia rosati sia rossi, è il Mourvèdre, che in questa area si esprime ottimamente soprattutto grazie alle base rese (circa 30hl/ha). I vini rossi di Bandol prevedono almeno il 50% di Mourvèdre, mentre la restante parte può essere costituita da Grenache e Cinsault. E’ammessa la possibilità di utilizzare come vitigni secondari anche Syrah, Carignan, Tibouren, e Calitor per un limite massimo del 20%. Le stesse uve sono utilizzate anche per la produzione dei vini rosati. Il disciplinare prevede per i rossi almeno 18 mesi di invecchiamento in botte mentre i rosati e i bianchi possono essere ammessi alla vendita già a partire dall’anno successivo.

Mega gaffe di Wine Spectator

FORCHETTE, stelle e bicchieri d'oro. Oggi ad inumidire le papille gustative dei clienti non è più quell'odorino d'arrosto che esce dalla cucina del ristorante ma la quantità di riconoscimenti e premi che le guide specialistiche assegnano al locale. Attenzione però. Non è tutto oro quel che luccica, proprio come insegna la storia di Robin Goldstein. Scrittore ed esperto di vini, Goldstein si è finto proprietario di un locale di Milano, l'Osteria l'Intrepido, ha messo su un finto sito, inventato un menu e una carta dei vini ed è riuscito così ad aggiudicarsi il prestigioso Award of Excellence assegnato dalla bibbia delle riviste di vini, Wine Spectator, ai ristoranti con le migliori cantine al mondo. "Dopo avere scritto il mio primo libro dedicato ai vini, ho deciso di scoprire come il magazine Wine Spectator assegnava i suoi premi di eccellenza ai migliori ristoranti", spiega lo scrittore. "Così, come integrazione di una più ampia ricerca accademica sugli standard dei premi enologici alla quale sto lavorando, ho deciso di compilare una domanda per l'assegnazione dell'Award da parte del Wine Spectator". Ha così inizio il grande bluff di Goldstein che si dichiara proprietario dell'Osteria l'Intrepido, un ristorante di Milano inventato giocando sul nome di una serie di guide culinarie. Oltre alla compilazione della domanda, invia la ricevuta di pagamento della tassa di partecipazione, pari a 250 dollari, una lettera di presentazione, una copia del menu del ristorante e una lista dei vini.
Per il menu l'Intrepido propone una selezione dei migliori piatti della tradizione italiana, riletti in chiave contemporanea e con l'aggiunta di dettagli alla moda. Si va dal culatello di Zibello al fois gras con brioche e miele di castagna, dall'uovo in raviolo al risotto con pancetta croccante, per concludere con il raffinato soufflé di parmigiano reggiano. E, nel rispetto delle consuetudini dei ristoranti più glamour, i prezzi sono naturalmente alti. Ma è soprattutto nella carta dei vini che Goldstein dà il suo meglio, inventando una selezione ad hoc di rossi italiani scelti tra i peggiori vini segnalati proprio da Wine Spectator. Così a suon di bottiglie di Amarone del 1998, definito "not clean", di un "aggresive" Barolo, di un "wrong" Cabernet Sauvignon, e di tanti altri vini giudicati mediocri, una finta osteria, con un finto menu, si aggiudica l'Award of Excellence del Wine Spectator. L'assegnazione del premio viene formalizzata con la pubblicazione sul numero di agosto della rivista cartacea e subito dopo l'Intrepido viene inserito nel database del
sito. Ma da qui scompare il 15 agosto, data nella quale Robin Goldstein presenta l'eccezionale risultato della suo "grande bluff" al consueto meeting dell'America Association of Wine Economists tenutosi a Portland. "Naturalmente è preoccupante che un ristorante inesistente possa vincere un premio di eccellenza - ha commentato Goldstein - ma è ancora più preoccupante che il premio non sembri affatto legato alla qualità delle liste vini dei presunti ristoranti". Ancor più grave poi che, nonostante i vini inseriti nella carta de l'Intrepido fossero stati giudicati totalmente mediocri dallo stesso Wine Spectator, il premio sia stato ugualmente assegnato. Insomma sembra proprio che il business del vino sia molto più interessante della qualità del nettare, soprattutto per un colosso del settore come Wine Spectator che da questo giro di assegnazione premi sembra incassare qualcosa come 700 mila dollari annui.

(fonte Repubblica.it)

Tornato........!!

Eccomi qua appena tornato dalle vacanze estive passate quest'anno in Francia dove ho fatto un bellissimo tour tra le cantine dell'area del Bandol, un'area vinicola relativamente piccola - appena 600 ettari - ma che vanta vini strepitosi e dal grande rapporto qualità prezzo.
Un'altra tappa della mia vacanza è stata l'area del Rodano del sud, precisamente Châteauneuf-du-Pape, dove anche qui ho potuto scoprire un paio di cantine di grande interesse (grazie anche ai consigli di Mike Tommasi) come Clos Mont Olivet e Jean Royer.
Appena riordino il materiale scriverò il primo articolo dedicato ai vini del Bandol e, in particolare al Domaine Terrebrune, piccola grande azienda che produce dei rosati meravigliosi e dei rossi di grande invecchiamento.

Percorsi Di Vino va in vacanza....

Due settimane di meritato riposo che passerò in Francia, zona Bandol e Chateauneuf du Pape. Andrò a visitare interessanti aziende vitivinicole e a scoprire grandi vini francesi. Prometto al mio ritorno un reportage dettagliato.Un saluto.
Andrea Petrini

Il Vinsanto Toscano: un mito mondiale. Terza parte: la realizzazione

Nella seconda parte abbiamo parlato della pressatura. Proseguendo, diciamo che il mosto ottenuto viene messo in piccole botti (quasi sempre di rovere, ma anche di castagno) chiamate caratelli, di una capacità che mediamente varia dai 50 ai 90-100 litri. I caratelli non sono come le barriques, non si cambiano dopo 3-4 anni ma devono durare moltissimo e venire cambiati solo quando perdono in maniera irreparabile oppure danno odori sgradevoli al Vinsanto. All'interno del caretello viene immesso il mosto dopo decantazione e (ma qui ci addentriamo in uno dei misteri del Vinsanto) "la madre". Questa è una specie di sedimento scuro e denso. E' formato da famiglie di fermenti e/o lieviti che hanno la capacità di vivere e moltiplicarsi in un ambiente così ricco di zucchero come, appunto, il mosto. Chi usa la madre non la getta mai, ma la travasa da un caratello all'altro.
I produttori si dividono in due famiglie: quelli che usano la madre e quelli che la ritengono inutile. In effetti il mosto fermenta anche senza la madre, ma i suoi sostenitori danno per certo che il suo apporto dia caratteristiche uniche e soprattutto una certa omogeneità, anno dopo anno, al prodotto.
Il caratello non viene colmato ma riempito al massimo per due terzi, altrimenti il mosto, fermentando, lo farebbe esplodere. Molto sigillano ermeticamente la botticella, addirittura murandone l'apertura. Altri, più modernisti, si limitano a tapparla, mantenendosi la possibilità di controllare l'andamento della fermentazione. Una volta nel caratello il mosto viene messo in una zona soggetta a sbalzi termici. Di solito si usano delle soffitte o i soppalchi. Qui, fermentando quando il calore esterno lo permette e fermandosi quando il freddo blocca i lieviti, il nostro futuro Vinsanto nasce con tutta la calma del mondo. Mediamente ci vogliono infatti oltre 5 anni per ottenere un buon prodotto, ma vi sono cantine che allungano l'invecchiamento sino ai dieci.
Un momento particolare è l'apertura dei caratelli. Si tratta di una vera e propria festa. In religioso silenzio si rimuove la muratura o la ceralacca, poi si toglie il tappo e si annusa. Se l'odore è quello giusto si tira un sospiro di sollievo anche se, può capitare, che dopo anni di attesa si debba buttare tutto il contenuto, madre compresa. Per evitare questo, forse, si è creata una scuola "moderna" di fare Vinsanto. Si parte dalle stesse uve e dagli stessi sistemi di appassimento, le cose cambiano durante la fermentazione che avviene anche in barriques (rigorosamente senza madre) aperte, per poter meglio controllare il processo. I tempi di maturazione e fermentazione sono più brevi anche se per i Vinsanti DOC si deve sempre rispettare il disciplinare.

Il Vinsanto Toscano: un mito mondiale. Seconda parte: l'appassimento

Come già detto le uve vengono raccolte sia "a prenzoli" sia "a grappoli". Nel primo caso si tratta di due grappoli collegati da un tralcio, nel secondo di grappoli singoli staccati normalmente dalla pianta. La differenza tra i due sistemi di raccolta si ripercuote sul tipo di appassimento. I prenzoli appassiscono attaccati a dei ganci di ferro che formano delle catene verticali sino quasi a toccare terra, i grappoli sono stesi su cannicci e questi vengono posti l'uno sopra l'altro sino a formare dei "castelli" di 7-8 piani,a lti più di 2 metri. La differenza è tutta nella tradizione: con i ganci si riesce ad appassire più uva nello stesso spazio, con i cannicci i grappoli stanno più distanziati e forse possono appassire meglio. L'appassimento si svolge naturalmente grazie ai finestroni degli appassitoi che vengono aperti quando il clima è secco e chiusi quando piove o c'è umidità. Non esiste tradizione di usare la ventilazione forzata, anche se qualcuno ha messo dei grossi ventilatori sul soffitto. L'uva rimane ad appassire per alcuni mesi: c'è chi pressa (in gergo si dice "stringe") le uve alla fine di novembre, chi intorno a Natale e chi arriva addirittura ad aprile. La differenza sta tutta nel grado zuccherino che raggiunge il mosto. Più avanti si va col tempo, più il processo di appassimento toglie acqua e concentra le sostanze nei chicci (zuccheri, ma anche sostanze acide, altrimenti il risultato finale sarebbe uno sciroppo) ottenendo così un mosto e, dopo molto tempo, un vino più dolce. Si potrebbe dire che, essendoci più zuccheri nel mosto, si avrà un vino più alcolico. Questo è vero sino ad un certo punto, perchè se la concentrazione zuccherina nel mosto è elevatissima i lieviti non riescono a trasformare che pochi zuccheri in alcol. Avremo così un vino con gradazione alcolica bassa (anche sotto gli 11°) ed un residuo zuccherino elevatatissimo. Tradizionalmente i Vinsanto toscani hanno una gradazione che varia tra i 15° e i 19° ed una dolcezza che cambia da zona a zona. In Chianti si fanno Vinsanti più secchi, mentre verso Montepulciano si prediligono più abboccati o dolci.

Il Vinsanto Toscano: un mito mondiale - prima parte

Gira da sempre una grossa frottola pseudo storica sul come sia nato il nome Vinsanto. Pare sia stato coniato addirittura nell'unico Concilio Ecumenico tenutosi a Firenze nel 1439. Narra la leggenda che durante uno dei banchetti ufficiali il Patriarca Bizantino, assaggiando uni vino dolce locale esclamasse estasiato "Ma questo è come il vino di Xantos!", riferendosi a quello prodotto nella Licia (oggi Turchia) di cui Xantos era capitale storica. Altra variante, puramente senese, parla di un frate francescano che durante la peste del 1348 curava le vittime con il vino normalmente usato per celebrare la messa. Sembra che avesse ottenuto buoni risultati visto che subito si diffuse la convinzione che tale vino possedesse proprietà miracolose, fosse cioè un Vino Santo.

In realtà il termine deriva quasi sicuramente dal fatto che veniva usato per la messa, visto che il vino normale, tenuto all'aria aperta, si ossidava velocemente e diveniva imbevibile.

Ma come si produce tale vino? Il Vinsanto è figlio di una tradizione che si declina in centinaia, forse migliaia di modi, tanti quanti sono e sono stati i produttori di questo vino. Se infatti l'enologia moderna ha preso fortemente piede nella produzione di vini rossi e bianchi, standardizzando talune procedure, per il Vinsanto il discorso è completamente diverso. Come dice un famoso produttore di Montepulciano "Sul Vinsanto si può dire tutto e il contrario di tutto: è un mistero, dopo quelli ecclesiali, tra i più incomprensibili." Non esistono studi che raccolgano dati cercando di trarne un senso comune ed anche se ci fossero nessun produttore accetterebbe di cambiare il proprio modi di fare il Vinsanto seguendo teorie altrui.

Per questo vedremo per prima cosa di spiegare il processo in grandi linee e poi cercheremo di presentare le principali "scuole di pensiero".
In primo luogo parliamo dell'uva. Storicamente il Vinsanto toscano nasce da un uvaggio di Trebbiano e Malvasia Bianca. C'era pure un terzo vitgigno, il San Colombano, ormai praticamente estinto. In alcune zone, tipo Montepulciano, viene usato anche il Grechetto. Di questa triade l'anello debole è sicuramente il Trebbiano, con grappoli troppo grossi e dalla buccia troppo sottile per reggere bene l'appassimento. Le uve vengono raccolte prima della vendemmia dei rossi e scelte con attenzione: solo i grappoli migliori, quelli che non hanno nessun chicco mangiato o schiacciato vengono presi per il Vinsanto. Sono raccolte in due modi: "a prenzoli" o "a grappoli".


Continua...............

CALICI ALLE STELLE 2008: BRINDIAMO ALLA NOTTE DI SAN LORENZO

Arte, musica, tutto il romanticismo delle stelle, a Roma il 10 e 11 agosto per Calici di Stelle, il tradizionale appuntamento estivo firmato dal Movimento Turismo del Vino e dalle Città del Vino.
Al Bioparco del Giardino Zoologico di Villa Borghese tanti gli appuntamenti messi in programma da Movimento Turismo del Vino Lazio e Città del vino per la manifestazione. A partire dalle ore 21.00, si apre l’imperdibile due-giorni con banchi d’assaggio e degustazioni di vino, spettacoli e musica dal vivo per la gioia dei tanti turisti che affolleranno la capitale per le vacanze estive.
I visitatori potranno essere anche accompagnati dagli esperti astrofili dell’Associazione Astrofili di Roma in un viaggio alla scoperta della volta celeste, grazie a potenti telescopi posizionati nel parco.
Nella notte delle stelle cadenti, saranno molti gli enoturisti che, in visita alla città eterna, non vorranno perdere l’occasione di una serata romantica, con gli occhi al cielo a contare le scie luminose, assaporando aromi e profumi di un buon bicchiere di vino. Per chi, invece, si appresta a vivere Calici di Stelle fuori città, due imperdibili appuntamenti in provincia di Latina. Prima che faccia notte, la romantica luce del tramonto sul lago di Fogliano, e il verde rigoglioso dei filari faranno da sfondo ad un ricco buffet nella Cantina Ganci (Borgo Isonzo), con i prodotti genuini della fattoria, e la passione della cucina siciliana. Il tutto accompagnato naturalmente dai vini dell’ azienda. Poi tutti sul prato con gli occhi “all’insù” per gustare lo spettacolo del cielo d’agosto.
Gli astrofili dell'Associazione Tuscolana di Astronomia, esperti conoscitori del cielo, accompagneranno gli ospiti in una fantastica passeggiata attraverso le stelle, le galassie e le costellazioni più belle e interessanti del cielo estivo, per passare insieme una serata indimenticabile.
Presso l’azienda I Pampini (Acciarella) sarà, invece, proposto su prenotazione un buffet vario e gustoso accompagnato a calici di vino; alzando gli occhi, attratti dalla bellezza della volta celeste, si potranno vedere quelle lontane scie luminose e in un momento così suggestivo esprimere un desiderio…Per maggiori informazioni: Movimento Turismo del Vino Lazio:Tel. 06 8604694


www.mtvlazio.com

Vino e Finanza: Avignonesi diventa di proprietà belga

La famiglia Falvo, fondatrice di Avignonesi, una delle più importanti realtà produttive di Montepulciano (il Vin Santo e l’Occhio di Pernice sono due must nel mondo, come pure il Nobile), ha ceduto il pacchetto di maggioranza dell’impresa vitivinicola a Virginie Saverys, componente dello staff dirigenziale della compagnia marittima con sede ad Anversa Compagnie Maritime Belge NV.La Saverys, attraverso la società di capitale belga “Victrix”, era già in possesso di una quota (30%) di Avignonesi, rilevata esattamente un anno fa, quando Ettore Falvo decise di lasciare l’azienda. L’affare, di cui non si conosce l’entità in termini di cifre, è stato chiuso a metà luglio e comprende anche la cessione della società di distribuzione di vini e distillati “Classica”, sempre proprietà di Avignonesi.La famiglia Falvo resta proprietaria della Masseria Li Veli, l’azienda vitivinicola pugliese acquistata nel 1999 e del 10% di Avignonesi, che continuerà a gestire nei prossimi cinque anni, mantenendo alla presidenza Alberto Falvo.

Fonte: winenews

Non so a voi, forse sarà troppo campanilista, ma che una società belga acquisti una impresa italiana fa un pò rabbia. Possibile che, tra le mille aziende italiane che vengono acquisite da capitale straniero, non riusciamo a mantenere sotto il tricolore nemmeno Avignonesi, vanto dell'enologia italiana?



Grattamacco 1999: ancora magie da Bolgheri.....

Grattamacco, nata nel 1977, si trova sulla sommità della collina che si affaccia sul mare tra Castagneto Carducci e Bolgheri a 100 metri s.l.m. in una zona particolarmente vocata per la produzione di grandi vini e gode di un clima asciutto, mite e con notevoli escursioni termiche alla fine dell'estate. L'azienda si estende su un'area di circa 30 ettari di cui 11 ettari sono di vigneto e 3 ettari a oliveto. L'area rimanente è coperta da boschi.

Il Grattamacco, vino di punta aziendale, nasce da una vigna di 10 ettari posta a 100 metri s.l.m., i terreni presenti sono arenarie calcalifere, argille miste a flysh calcareo marnoso e argille calcaree. La densità di impianto varia tra 4500 e 5400 ceppi per ettaro con una resa di circa 55 quintali. La potatura viene effettuata a cordone speronato e guyot semplice, la raccolta delle uve totalmente manuale. L'eta media dell'impianto è di circa 15 anni. La vinificazione inizia con la fermentazione alcolica in tinelli di legno tronco conici aperti mentre la malolattica avviene in acciaio. L'invecchiamento prosegue per 18 mesi in barrique di primo e secondo passaggio. Affinamento di almeno 12 mesi in bottiglia.
Il vino è un riuscitissimo blend composto da un 65% di caberne sauvignon, 25% di merlot e il restante 15% di sangiovese.

Il 1999 da me degustato, di un bel colore rubino con unghia granata, si presenta con un impatto olfattivo di tutto rispetto dove le note di frutta rossa matura (prugna e marasca) lasciano subito spazio a sentori di spezie scure, grafite, cuoio, terra e tabacco. Se l'olfattiva è di tutto rispetto, il palato è invece spettacolare grazie ad bellissimo equilibrio tra componenti dure e morbide che sembrano fondersi perfettamente. Lunghissimo il finale giocato su note di confettura e humus.
Perfetto su uno spezzatino di cinghiale toscano. Alla prossima....

Un tuffo nel Mediterraneo con lo Scrio 2004 Le Macchiole

L’Azienda Agricola le Macchiole, il cui nome ha origine dal luogo in cui inizialmente sorgeva, è nata nel 1975 quando Ottorino e Umberto Campolmi, decisero di vendere il vino prodotto dalle proprie vigne applicando metodi di vinificazione della tradizione contadina locale. La produzione era limitata e la qualità scarsa a causa della posizione del vigneto e della composizione del terreno, entrambe poco adatte ad una produzione di prestigio; ma lo scopo di vendere un vino genuino, era ragginto e questo bastava. Nel 1981 subentra il nipote Eugenio Campolmi che, nell’arco di pochi anni, cambia totalmente l’impostazione aziendale. Per prima cosa trasferisce i vigneti in una zona (quella attuale) ai piedi delle colline bolgheresi dove i terreni sono più adatti. Purtroppo la realtà vitivinicola della zona è troppo giovane per consentire delle scelte giuste senza dover ricorrere a fasi sperimentali sia per quanto riguarda la scelta del cloni che per quanto riguarda i sesti di impianto: per questo gli impianti non sono tutti uguali. Dal 2002 Cinzia, moglie di Eugenio, scomparso tre anni fa, dirige l’azienda con un tale entusiasmo e capacità che si può tranquillamente annoverare tra le grandi donne del vino italiano. La tenuta de Le Macchiole si estende per 22 ettari e sorge su terreni argillosi, profondi, elastici e dotati di un ottimo scheletro, che nutrono le viti esaltandone la peculiarità. La tenuta si compone di vigneti molto stretti, circa 10.000 piante per ha, caratterizzate da potature molto corte a cordone speronato doppio guyot e diradamento delle uve in modo tale che la produzione per pianta non superi gli 800/1000 gr. per pianta. Ogni fase di lavorazione viene eseguita a mano o con le forbici. Con la stessa professionalità con cui si dedicano al al lavoro in vigna, l'azienda si occupa dei vini durante il processso di vinificazione ed affinamento in cantina. Qui Le Macchiole, grazie a tecniche innovative e la ricerca di legnami selezionati, cerca di esaltare al massimo le caratteristiche dell'uva ottenendo un vino di grande espressione, caratterizzato da aromi e fragranze uniche.

Lo Scrio è un bellissimo Syrah in purezza, la cui prima annata risale ormai al 1994, che con l'annata 2004, secondo me, ha raggiunto l'apice della sua fase qualitativa. E' un vino Mediterraneo, dove eleganza e potenza sembrano aver raggiunto un perfetto equilibrio. Se provate a chiudere gli occhi e a mettere il naso nel bicchiere, vi sembrerà di essere in mezzo ad un campo di erbe aromatiche dove timo, alloro, eucalipto, rosmarino, ginepro, sembrano fondersi una unica carezza aromatica. Bellissima anche la nota fruttata e la speziatura tipica del syrah. In bocca il vino ha grande struttura ed equilibrio, con un tannino dolcemente integrato e ben supportato dall'acidità tipica del syrah. Finale di grande persistenza e balsamicità. Da berne a secchi abbinato a salumi di cinta senese......

Gianni Masciarelli e il suo Montepulciano Villa Gemma...

E' il 1984 quando Gianni Masciarelli crea il suo Villa Gemma, un Montepulciano innovativo a suo tempo visto che veniva prodotto con tecniche innovative per il tempo scegliendo di affinare il suo vino per lungo tempo in barrique.
E' subito un grande successo e insieme agli altri grandi d'Abruzzo come Edoardo Valentini e Emidio Pepe, contribuisce al rilancio della tipologia non solo in Italia ma in tutto il mondo.
Il Villa Gemma, proviene da uve del vigneto di San Martino sulla Marrucina, posto a 350 metri e considerato dallo stesso Masciarelli uno dei migliori 50 cru del mondo. La fermentazione, della durata di 15-20 giorni, avviene a temperatura libera fino a 30° mentre la macerazione, al fine di estrarre tutte le componenti fenoliche dell'uva, può arrivare anche ad un mese. Come detto in precedenza, il montepulciano viene poi invecchiato in barriques nuove per 18-24 mesi e successivamente affinato in bottiglia per altri 12 mesi.

Il Montepulciano Villa Gemma 1997 da me degustato qualche mese fa si presentava alla vista, nonostante oltre dieci anni, ancora di un bel rosso rubino intenso, cupo. I profumi sono intensi, avvolgenti di mora, prugna, tabacco, grafite, liquerizia, carrube, tamarindo, cioccolato fondente. In bocca il Montepulciano esprime tutto il suo carattere e la sua forza tannica ora, forse, leggermente più controllata grazie all'età. Vino che chiude lunghissimo su ricordi di frutta rossa e goudron e che potrà evolvere in bottiglia per alcuni decenni.Vino di vero terroir, vino di Masciarelli!


Credo che chiunque si sia chiesto almeno una volta "Chi me lo fa fare?". Io trovo la risposta nel destino della mia famiglia, nell'amore che porto alla mia terra e nelle soddisfazioni che ricevo dal mio lavoro.


Gianni Masciarelli