InvecchiatIGP: Antichi Poderi Jerzu – Cannonau di Sardegna Riserva “Josto Miglior” 2000


Visto che negli ultimi anni parte delle mie vacanze estive sono spese in Sardegna, in particolar modo a Bari Sardo, nello splendido territorio dell’Ogliastra, che dal punto di vista vitivinicolo rappresenta un’areale produttivo molto esteso che prende la forma di un anfiteatro naturale dove i pendii del Gennargentu conducono fino al mare noto per le sabbie bianchissime e le sue mille sfumature di blu.


Questo territorio è il regno del Cannonau che, pur essendo prodotto in tutta l’isola, trova nell’area dell’Ogliastra, soprattutto a Jerzu, uno dei comuni più antichi di Italia dove si coltiva la vita, il suo territorio di elezione tanto che propria da questa sottozona, prevista dal disciplinare, proviene oltre il 30% di tutto il Cannonau della Sardegna.


Essendo Bari Sardo a pochi chilometri da Jerzu non mi sono fatto scappare la possibilità di visitare Antichi Poderi Jerzu, cooperativa sociale fondata nel 1950 per volere del medico Josto Miglior (personaggio divenuto leggendario in Sardegna per il suo valore), che col passare degli anni è diventata via via sempre più centrale nell’economia della zona vantando oggi la gestione di 500 ettari di vigneti, distribuiti nei comuni di Jerzu, Ulassai, Osini, Gairo, Cardedu e Tertenia, appartenente a 430 soci.

Vigneti

Tra i tanti assaggi effettuati in cantina, grazie alla squisita gentilezza di Franco Usai, direttore generale della cooperativa, mi ha particolarmente emozionato, tanto da volerla inserire nell’InvecchiatIGP, la degustazione del vino dedicato al fondatore ovvero il Cannonau di Sardegna Riserva “Josto Miglior” declinato nel millesimo 2000. Wow!!

Cannonau

Proveniente da sole uve dei più importanti appezzamenti della cooperativa, questo cannonau in purezza, nonostante quasi venticinque anni, rimane ancora spaventosamente lussureggiante ed energico con profumi ancora di tipo secondario che ammiccano a ciliegie e cioccolato, peonie e lentisco, tabacco dolce e mirto e sbuffi di iodio. Il sorso, ancora giovanissimo, è ancorato a due concetti che, soprattutto negli anni duemila, erano molto in voga ovvero concentrazione e avvolgenza di sorso. Josto Miglior annata 2000 di certo non passa inosservato e non può non rimanere nel cuore come la bellezza ancora selvaggia di questo territorio ogliastrino tutto da scoprire.

Radovič – Raro 2020


Peter Radovic, giovane e talentuoso vignaiolo del Carso, ha il dono di trattare i vitigni autoctoni del suo territorio con leggerezza e profondità.


Prova ne è questo Raro, terrano in purezza, che inebria il palato attraverso un signorile tannino e una succosità di beva assolutamente irrefrenabile.

Follis: stare bene a Fiumicino dal pranzo fino al dopo cena


Via della Torre Clementina, la prima strada realizzata nella piccola comunità marinara di Fiumicino, tra l'antico Borgo Valadier ed il fiume Tevere, da qualche anno sta diventando una delle vie gourmet più importanti in Italia visto che in poco più di un chilometro, accanto al molo dei pescherecci, troviamo una quantità infinita di pizzerie, enoteche, pescherie e ristoranti d’eccellenza (l’ultimo nato è Mare Bistrot e porta la firma, tra gli altri, di Gianfranco Pascucci) tra cui spicca, per la tipologia e la qualità del concept scelto, Follis.


Il progetto enogastronomico, nato poco più di un anno fa, si sviluppa all’interno di uno spazio di design di ben 600 metri quadri, in stile Art Decò, che i due soci del ristorante ovvero Francesco Matteucci e Marco Tosti, professionisti di lungo corso nel settore della ristorazione, hanno voluto valorizzare puntando sulle due anime simbolo del locale ovvero la cucina e la mixology.

Daniele Celso

Follis (il nome latino di una moneta romana) rappresenta quindi un ristorante a due facce diviso sostanzialmente tra la cucina gourmet proposta dal bravissimo Daniele Celso, executive chef, e miscelazione di qualità che rappresenta la parte “living” di questo locale dove, una volta varcata la soglia, si viene letteralmente avvolti da un lungo american bar attorno al quale sono disposti vari sgabelli, tavoli e divanetti su cui accomodarsi per un drink veloce, per un aperitivo ma anche per un calice del dopocena. In particolare, gli amanti del bere miscelato troveranno da Follis, oltre ai grandi classici irrinunciabili, anche una innovativa drink list curata dai quattro barman del locale - Samantha Parente, Tiziano Moscioni, Claudia Bonavita e Damiano Bosco – che hanno ideato una carta della miscelazione, a tema viaggio, che si concretizza in un passaporto pronto ad essere timbrato ad ogni drink. 

Drink list

Sono 6 i paesi in cui viaggiare – Italia, Olanda, Francia, Messico, Giappone, Egitto – e ben 15 drink (di cui 3 analcolici) da provare e riprovare. “Ero in viaggio in Egitto, nel bel mezzo del deserto, e provavo un senso di spensieratezza infinita. Sembrava che il tempo si fosse fermato e, in un attimo, ho pensato che sarebbe stato fantastico far provare quella sensazione agli ospiti di Follis solo attraverso un drink” racconta Samantha, ideatrice del concept tematico della nuova drink list. 


Il vino, invece, si sceglie da una carta che conta oltre 700 etichette in cui, oltre a una attenta selezione di vini italiani, trovano ampio spazio champagne, bianchi e rossi francesi.


La sala ristorante, invece, ubicata di fianco all’American Bar, è uno spazio più intimo e riservato, formato da tavoli rotondi di vetro con basi di legno di quercia, dove è possibile degustare i piatti del menù, sia di mare che di terra, proposti da Daniele Celso che punta tutto su una cucina dove il rispetto della materia prima e della tradizione non contrasta con la volontà, a volte, di stupire il cliente andando oltre certe le solite convenzioni. Per raggiungere questi obiettivi sfidanti lo chef si avvale di una grande brigata composta da ben 12 cuochi, tutti under 30, ben orchestrati dal Restaurant Manager Mauro Di Vilio.


Dal menù, in costante evoluzione grazie al grande rispetto della stagionalità e del pescato locale, ho voluto provare vari piatti. Tra gli antipasti, tartare di pescato, fagiolini corallo, crumble di pane alle olive taggiasche e salsa alla puttanesca, il sorprendente carpaccio di lustrino, orto di primavera, vinaigrette alle fragole, erbe e fiori di campo. Strizzano l’occhio alla Sardegna le seadas alla genovese di totani, miele, fave e pecorino mentre il trionfo della stagionalità avviene grazie ad una golosa porzione di capesante, crema di carciofi e asparagi scottati. E poi certo, per chi vuole, ci sono grandi crudi di Follis! Dei plateaux realizzati rigorosamente con pesce locale come mazzancolle, scampi siciliani, gamberi rossi e tutto ciò che il mare offre giornalmente e secondo stagione.

Tartare di pescato

Tra i primi, anch’essi suddivisi tra mare e terra, ho scelto gli ottimo ravioli del plin ripieni di robiola artigianale "ammano", gambero rosso locale crudo e asparagi.

Seadas

Riproponendomi di bissare la visita da Follis per dedicarmi solo ai secondi basati sul pescato freschissimo, proposto in tante cotture, e da un paio di piatti di terra tra cui spicca un notevole capocollo di maiale toscano, senape ed agretti, l’ultimo spazio nella mia pancia l’ho riservato ai golosissimi dessert, creati da Eleonora Ciletti, come la torta caprese al gianduia con tre cioccolati. 

Torta caprese

Per il dopo cena si può continuare, per chi vuole, con una selezione decisamente importante di distillati tra grappe, rum e whisky e referenze in continua evoluzione e ricerca.


Follis, dunque, si conferma come locali tra i più innovativi e trendy di Via della Torre Clementina, un locale poliedrico in cui tutti gli ospiti possono trovare il loro spazio costruendosi addosso il menu: che sia un semplice calice o la proposta aperitivo, il pranzo o la cena, Follis c’è sempre!

CONTATTI
Via della Torre Clementina, 146 - Fiumicino
TEL. 0639915713
Aperto tutti i giorni dalle 12.00 alle 01.00

Enoturismo, un modo nuovo per scoprire i tesori della Sardegna


E’ possibile scommettere sulle zone interne dell’Isola per uscire dalla secca stagionalità? A questo tema che da decenni attanaglia il settore turistico, hanno provato a dare una risposta le cantine sarde riunite all’interno del Movimento del Turismo del Vino, che in occasione dell’edizione 2024 del Vinòforum di Roma, mercoledì 19 giugno alle 19:00 ha presentato alla stampa: Vino e Sardegna. Viaggio nell'isola tra vigne, storia e natura. La prima guida digitale dedicata all’enoturismo e realizzata da Lonely Planet.


Il Movimento del Turismo del Vino della Sardegna, guidato da Valeria Pilloni di Su’entu, oggi rappresenta ben trentasei aziende vitivinicole sarde distribuite sull’intero territorio isolano, che dell’accoglienza in cantina hanno fatto una parte integrante della propria attività. A fine 2023 è nata la voglia di promuovere una vera e propria guida dell’enoturismo che raccontasse i territori del vino attraverso le bellezze architettoniche, ambientali e artistiche, così è nata la collaborazione con Lonely Planet, che ha affidato alla giornalista Luciana Squadrilli la realizzazione dei testi di Vino e Sardegna. Viaggio nell'isola tra vigne, storia e natura. L’autrice ne ha parlato all’interno dell’evento svoltosi nel Circo Massimo con il giornalista Andrea Febo e a Domenico Sanna del Movimento del Turismo del Vino.


Luciana Squadrilli, giornalista e autrice della guida ha dichiarato: “Dalle vacanze estive da adolescente alle più recenti e numerose visite per realizzare articoli e reportage dedicati soprattutto agli aspetti enogastronomici dell'isola, la Sardegna è diventata per me una seconda casa. Grazie alla guida preziosa di tanti amici - e di vignaioli, chef, pizzaioli e produttori - ho imparato a conoscerne anche gli aspetti meno noti e spesso più affascinanti. Basta allontanarsi un po' dalle coste meravigliose per scoprire un patrimonio davvero unico di storia, archeologia, tradizioni e sapori, lasciandosi abbracciare dall'accoglienza calorosa e sincera dei sardi. Il mio viaggio è tutt'altro che completo, e ogni volta che torno l'isola sa sorprendermi con nuove scoperte e nuovi assaggi. Ho provato a condividere nelle pagine della guida i miei "incontri" più entusiasmanti e a raccontare, anche con l'aiuto di chi è più esperto di me su temi specifici come l'archeologia o il muralismo, qualcuno dei motivi per cui amo tanto la Sardegna. A cominciare, naturalmente, dai vini unici che nascono nelle diverse regioni storiche e che ne sanno raccontare così bene la sfaccettata identità". Domenico Sanna ha sottolineato: “Con la guida facciamo un primo e importante passo per comunicare la bellezza e la ricchezza della nostra Isola dalle coste verso l’interno, trasformare la nostra Isola in una destinazione del turismo enogastronomico è per noi una priorità”.


InvecchiatIGP: Podere Morini - Il Savignone 2004


di Lorenzo Colombo

Non è stato facile trovare il vino adatto per l’InvecchiatIGP di questa settima, abbiamo infatti dovuto aprire tre bottiglie prima di trovare quella giusta poiché le due aperte in precedenza, uno Chardonnay della Valle d’Aosta fermentato in legno del 2014 ed un vino macerato, ovvero una Rebula 2013 della Vipava Valley presentavano alterazioni dovute al lungo invecchiamento. Alla fine però abbiamo trovato ciò che faceva al caso nostro, e come spesso accade l’abbiamo scovato in uno di quei vini sui quali non avevamo molte aspettative.


Il vino in questione è un Igt Ravenna Rosso, si chiama Il Savignone e viene prodotto da Poderi Morini, sull’etichetta frontale troviamo scritto Il Savignone Savignôn Rosso.

Ma di cosa si tratta?

Iniziamo dal vitigno, il nome col quale è stato inserito nel 2004 nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite è Centesimino ed il nome attuale del vino si chiama per l'appunto Sauvignone Ravenna Rosso Centesimino Igt, di quest’uva il censimento del 2010 dichiarava esserci unicamente 24 ettari.


Perché allora il nome Sauvignone e addirittura Savignôn Rosso? Perché glie l’ha dato Luigi Veronelli, che riteneva riduttivo il nome Centesimino preferendo italianizzare il nome col quale i locali chiamavano questo vitigno, ovvero facendo diventare Sauvignone il dialettale Savignôn.

La degustazione

Le uve provengono da un vigneto situato in località Oriolo dei Fichi, nel comune di Faenza, a 170 metri d’altitudine, il suolo è di medio impasto ed il sistema d’allevamento è a Cordone speronato con densità d’impianto di 3.500 ceppi/ettaro. Sia la vinificazione che il breve affinamento (due mesi) si svolgono in vasche d’acciaio. Un vino di simile tipologia è concepito per essere consumato fresco, infatti l’azienda così lo descrive: colore rosso rubino con riflessi violacei, profumi di frutti freschi del sottobosco e viola mammola. Sapore aromatico e intenso, con note di rosa selvatica, fragole di sottobosco e melograno.


Ovviamente nulla di tutto questo abbiamo trovato a vent’anni dalla sua vendemmia.
Ma partiamo dall’inizio, ovvero dalla stappatura che non ha presentato alcuna difficoltà, il tappo è infatti uscito integro con colorazione data dal vino per meno della metà della sua lunghezza. Appurato che non ci fossero odori anomali l’abbiamo decantato per eliminare eventuali sedimenti che però si sono rivelati minimi.


Il primo approccio, appena versato nel bicchiere non è stato dei migliori, il colore appariva infatti mattonato scuro, tendente al color prugna secca ed al marrone, non certamente molto invitante. Procediamo comunque con l’assaggio, la sua intensità olfattiva è discreta anche se all’inizio il vino appare un poco chiuso, s’apre dopo una mezzoretta nel bicchiere sprigionando sentori balsamici, di cioccolato alla nocciola, di prugne e ciliegie in confettura, di foglie bagnate e di radici, con accenni di vaniglia, caffè, mirto e timo. Decisamente ampio e sopra ogni più rosea aspettativa.


Alla bocca il vino appare morbido, con tannino ancora ben presente senz’essere assolutamente fastidioso, ancora buona la sua vena acida, vi cogliamo note di Pocket Coffee ed accenni mentolati e di radici dolci, spezie ed erbe aromatiche, non lunghissima la sua persistenza. In definitiva un vino ancora molto interessante, soprattutto all’analisi olfattiva.

Tenute Luspada - Igp Salento Negroamaro Rosato Biologico “Tuffetto” 2022


di Lorenzo Colombo

Da uve Negroamaro provenienti da vigneti situati a livello del mare si ottiene questo vino dal color rame, succoso, sapido, con una buona vena acida e con sentori di frutti di bosco macerati.


Il suo nome è quello di un uccello acquatico che nidifica nel lago del Cillarese, a pochi metri dalle vigne.

Riesling: cosa abbiamo capito confrontando Alto Adige e Germania?


di Lorenzo Colombo

Un’interessante masterclass dove si sono messi a confronto Riesling provenienti da diversi territori (Palatinato, Nahe e Val Venosta) si è tenuta lo scorso 14 maggio a Forlì, presso la Tenuta Condé, dove l’azienda Pellegrini ha presentato buona parte del suo catalogo. Noi eravamo presenti e abbiano fatto un piccolo report!


Bürklin-Wolf

L’azienda, che s’estende su 85 ettari vitati, ha una lunga storia che risale al 1597, è situata nel Palatinato ed ha sede nel villaggio di Mittelhaardt, la produzione è focalizzata principalmente sul vitigno Riesling col quale si realizzano diverse tipologie di vino. Dal 1990 l’azienda è gestita da Bettina Bürklin von Guradze e abbiamo bevuto i seguenti riesling:

Wachenheimer Riesling Village 2022

Viene prodotto con un blend di uve provenienti dal comune di Wachenheim, la fementazione avviene in parte in vasche d’acciaio ed in parte in botti di rovere da 24 ettolitri, negli stessi contenitori avviene poi l’affinamento del vino. 


Color giallo paglierino di buona intensità. Molto intenso al naso dove si colgono sentori di frutta tropicale, ananas, melone maturo e frutta a polpa gialla matura. Intenso anche alla bocca, strutturato, quasi grasso, morbido e piccante (zenzero) note sulfuree, spiccata vena acida, fruttato, frutta tropicale, accenni d’idrocarburi, buon la sua persistenza.

Wachenheimer Gerümpel PC 2021

Gerümpel è uno dei vigneti più famosi della Germania, s’estende su 13 ettari poco meno della metà dei quali sono di proprietà dell’azienda Bürklin-Wolf, il suolo è in part sabbioso ed in parte basaltico-vulcanico. Fermentazione ed affinamento si svolgono in botti di rovere dove il vino sosta per 10 mesi. 


Paglierino luminoso. Discretamente intenso al naso, fruttato, note d’agrumi, accenni d’idrocarburi, buona eleganza. Verticale, fresco, intenso, note piccanti, spiccata vena acida, agrumi un poco acerbi, pompelmo verde, lunga la persistenza.

Due vini completamente diversi.

Falkenstein

L’azienda Falkenstein si trova a Naturno, in Val Venosta, una valle famosa soprattutto per la produzione di mele che ormai da anni vanta una viticoltura di notevole qualità, favorita anche dalle particolari condizioni climatiche. Si tratta di un’azienda familiare di proprietà della famiglia Pratzer, posta ai piedi del Monte Sole dove dispone di 14 ettari di vigneti terrazzati esposti a Sud ed a Ovest ad altitudini tra i 600 ed i 900 metri s.l.m. I vitigni coltivati, oltre al Riesling sono Pinot bianco, Sauvignon blanc, Gewürztraminer e, unico a bacca rossa, Pinot nero, la produzione annuale s’aggira sulle 90.000 bottiglie. Abbiamo degustato:

Riesling Alte Rebe A.A. Val Venosta Doc 2020

Le uve provengono da un piccolo appezzamento situato sopra il podere, le viti hanno un’età tra i 30 ed i 35 anni e sono poste su suolo composto d’ardesia. Sai la fermentazione che l’affinamento si svolgono in botti di legno d’acacia dove il vino sosta per 10 mesi, viene quindi spostato in vasche d’acciaio dove rimane per altri cinque mesi per poi finire il suo affinamento in bottiglia per un periodo di 18 mesi.


Molto bello il colore, giallo paglierino di buona intensità tendente al dorato luminoso. Buona l’intensità olfattiva come pure l’eleganza, frutta tropicale, ananas, note d’idrocarburi. Dotato di buona intensità e discreta struttura, sapido, con vena acida in evidenza, agrume un poco acerbo, pompelmo, note piccanti, lunga la persistenza.

Riesling Anadûron A. A. Val Venosta Doc 2019 

Per la sua produzione vengono utilizzate le migliori uve, i suoli sui quali sono posti i vigneti sono composti da ardesia e granito. Fermentazione ed affinamento si svolgono in tonneaux francesi dove il vino sosta per 12 mesi, segue assemblaggio in vasche d’acciaio per altri cinque mesi ed infine un riposo in bottiglia per 31 mesi.


Giallo paglierino intenso tendente al dorato. Meno intenso rispetto al precedente vino, il frutto a polpa gialla appare più maturo, buona l’eleganza. Ci è parso più armonico del precedente. Intenso alla bocca, fresco, sapido, verticale, dotato di buona struttura, succoso, agrumato, con un bel frutto nota idrocarburica delicata e non invadente, lunga la sua persistenza. Un vino dalla notevole qualità.

Schlossgut Diel

L’azienda di Caroline Diel – settima generazione di viticoltori- si trova a Burg Layen nella Valle di Trollbach, nel basso Nahe dove dispone di 25 ettari di vigna su suoli di grande diversità, nelle zone più prestigiose della regione. L’azienda si è specializzata nella produzione di Riesling prodotti in una grande varietà di tipologie tra le quali abbiamo bevuto:

Burgberg Riesling Grosses Gewächs 2018

L’associazione VDP (Verband Deutscher Prädikats und Qualitätsweinguter), fondata nel 1910, rappresenta l’elite della produzione tedesca e rappresenta circa il 3% della produzione vinicola della Germania. Vi si possono produrre vini nelle tipologie di Pradikät: Kabinett, Spätlese, Auslese, Beerenauslese, Trockenbeerenauslese e Eiswein. A partire dal 2012 i vini vengono classificati su quattro livelli qualitativi al vertice dei quali troviamo i Grosse Lage.
I Grosses Gewächs corrispondono più o meno a quelli che in Francia vengono definiti Grands Crus e rappresentano il vertice della piramide qualitativa tedesca.
Le vigne sono poste su suoli composti da quarzite e ricchi di ferro, il vino fermenta e s’affina per un anno in botti prodotte con querce locali, viene quindi posto in vasche d’acciaio dove sosta sui lieviti per un altro anno prima d’essere imbottigliato.


Color giallo paglierino di buona intensità tendente al dorato. Buona la sua intensità olfattiva, sentori idrocarburici, note minerali. Verticale, con vena acida pronunciata, sapido, agrume un poco acerbo, pompelmo, note d’idrocarburi.

Pittermänncher Riesling Kabinett Grosse Lage 2018

La tipologia Kabinett comprende i vini meno dolci e prevede un contenuto zuccherino del mosto non inferiore a 70° Oechsle. Nel caso del vino in assaggio il contenuto zuccherino è di circa 54 gr/litro. Le uve provengono dall’omonimo vigneto che, con la sua estensione di poco superiore all’ettaro è il più piccolo dell’azienda, il suolo è composta da ardesia sopra uno strato roccioso.


Color giallo paglierino luminoso. Buona l’intensità olfattiva come pure la verticalità, fresco, sentori d’agrumi e di mela, leggeri accenni idrocarburici. Fresco, verticale, con spiccata vena acida, agrumi (arancio)note piccanti di zenzero, accenni d’idrocarburi, residuo zuccherino, lunghissima la persistenza. Notevole.

InvecchiatIGP: Conti Capponi - Calcinaia Chianti Classico Doc 1969


di Stefano Tesi

Il tempo passa non solo per le bottiglie di vino, ma anche e soprattutto per gli uomini. E coll’avanzare dell’età ti trovi sempre più spesso a fare i conti con un passato in cui bevute, persone ed episodi della tua vita tendono a sovrapporsi.
Non ho potuto fare a meno di pensarci (e di ritrovarmici) lo scorso 23 maggio, quando la lotteria dei ricordi mi ha riprecipitato a Villa Calcinaia, nel Chianti Classico grevigiano, dove i Capponi festeggiavano il 500° dell’acquisto e dell’ininterrotta proprietà con una festa in grande stile, piena di aneddoti, di storia, di amici e di grandi nomi della Gallo Nero, dell’enologia e del giornalismo. Cinque secoli celebrati come si deve e anche col signorile disincanto che da sempre connota Tessa, Niccolò, Sebastiano e relative proli, odierni componenti dell’antica famiglia comitale. Ma per me che, da vecchio compare di bagordi, in quei posti ho cavalcato tanti anni fa le indimenticabili epopee giovanili che Pete Townshend ha liricamente definito teenage wasteland, il tuffo al cuore è stato doppio.


Ometterò comunque il racconto dei momenti lieti e scapigliati lì vissuti da teenager e che, se mi leggerà, Niccolò non avrà difficoltà a ricordare, e mi dilungherò invece sul Chianti Classico Doc 1969 stappato, tra altre vecchie bottiglie, per l’occasione.
Su come sia stato fatto, Sebastiano, che dal 1992 segue l’azienda personalmente, non si dilunga troppo: “Sangiovese 85% e altri vitigni complementari 15%, tini di castagno. Per il resto boh: non c’è traccia delle note di cantina”, precisa. L’etichetta annuncia 12,5° di alcool. Non ho assistito alla stappatura, quindi nulla posso dirvi in proposito.


La tenuta del colore, nonostante l’intorbidimento, è sorprendente. Al naso il vino è fatalmente evoluto e i sentori terziari sono pungenti, in prima linea: sottobosco, muschio, cuoio grasso e tartufi che lasciano poi spazio a echi di liquirizia e a lontane, suadenti note balsamiche. Anche in bocca l’età si fa sentire, ma le sorprese non mancano nemmeno qui grazie a qualche residuo di acidità, qualche nota succosa e qualche tannino superstite capaci di rendere il vino una sorta di fossile, un’esperienza da cristallizzare nella memoria, da tenere bene a mente come qualcosa appartenente a un Chianti Classico che non esiste più.

Villa Calcinaia

La definirei una bevuta elegiaca e didattica, prima ancora che celebrativa, e che comunque, cinquantacinque anni dopo, è ancora in grado di dare soddisfazioni. Un po’ come riascoltarsi i nastri del festival di Woodstock, che si svolse appena un paio di mesi prima di questa vendemmia.

Cantina Laimburg - Gewürztraminer Riserva Alto Adige DOC "Elyond" 2020


di Stefano Tesi

Devo ringraziare Andreas Kofler del Consorzio Vini Alto Adige per avermi fatto conoscere questo Gewürztraminer letteralmente esplosivo: una sequenza di fiori di campo, miele d’acacia, pietra focaia, olio minerale.


In bocca chiude con una profondità e un’eleganza capace di vincere qualsiasi pregiudizio.

La Terrazza di Leonina, mangiare bene ad Asciano con vista sulle Crete Senesi


di Stefano Tesi

Non so se la ragazza della porta accanto esista davvero, o sia solo il frutto di una deriva un po’ romantica della fantasia. Ma lo chef della porta accanto – nel senso che non solo cucina pressochè accanto a casa tua, ma ha nonni che a casa tua ci sono pure nati o quasi – invece esiste. Ed è pure in gamba.

Mirko Vaselli

Nel mio caso si chiama Mirko Vaselli, classe 1989, figlio d’arte (ristoratori e pizzaioli, quindi esperti di impasti e farine, gluten free per la precisione): è il cuoco della Terrazza del Castello di Leonina, il relais che porta il nome di questa magnifica località delle Crete Senesi, con vista accecante sulle celebri biancane. Uno di quei posti così belli ma anche così familiari e “vicini” che, alla fine, non ci vai mai. Finchè, come a me, non ti ci porta il lavoro.


Ho potuto così scoprire un ristorante raffinato e defilato, dallo stile sobrio, dove l’atmosfera induce anche i più rumorosi a tenere la voce bassa (nonostante la clientela sia prevalentemente straniera), e una cucina piena di entusiasmo e di inventiva, ma al tempo stesso radicata in modo quasi maniacale al territorio. E di conseguenza, visti i natali del cuoco, ai sapori della memoria, del desco familiare, delle tradizioni senesi profonde, delle reminiscenze dell’orto di casa e del tartufo bianco. Scevre però, per fortuna, dalle tentazioni del tipico a tutti i costi.

Carpaccio vegano

Si parte benissimo con un piatto vivace, dall’aspetto sgargiante e dal nome provocatorio: il carpaccio vegano, a base di rapa rossa, pinoli, maionese di soia e cipolla di Certaldo fritta. Si prosegue una battuta di scottona al pesto gelato e verdure marinate, portata di vera freschezza e reale fragranza. 

Battuta con verdure

Il gioco si fa piacevolmente duro col fusillone al sugo di ossobuco alla senese, pesto al dragoncello e polvere di prosciutto, capace di coniugare la leggerezza del gusto con la sostanza che ci si attende da un primo siffatto. Sa di ambiente domestico, ma dove si sapeva cucinare bene, anche il saporito e tenace pollo ruspante alla cacciatora, una vera scoperta in questa formula di equilibrio tra levità e sostanza. Si conclude poi facile, con una fantasia di cioccolata che ben si sposa con gli intriganti distillati che ci ammannisce il bravo maitre Vincenzo Sol. Il servizio, giustappunto, è infatti cortese e amichevole nelle giuste misure. La cantina più che discreta e con ricarichi onesti, il che non guasta. In menu degustazione tutto toscano costa a 65 euro, la spesa alla carta è sui 75 euro.


Chef Vaselli si affaccia con parsimonia ed è un tipo riservato, qualità purtroppo non frequente al giorno d’oggi. Ma alla fine un po’ si scioglie e ci racconta della gavetta cominciata nel pizzeria di famiglia durante gli anni della scuola alberghiera, un lungo tour di esperienze dalla Svizzera all’Abruzzo, del passaggio all’Antica Corte Pallavicina di Massimo Spigaroli, dell’esperienza sui mari a bordo di alcuni yacht extralusso, del ruolo da sous chef a Castel Monastero, sotto la supervisione di Gordon Ramsay, e del periodo passato all’Oasi di Follonica prima di (ri)approdare nelle native Crete Senesi, a Leonina.

Insomma, tutto tranne che un figliol prodigo e una scoperta bella quanto inattesa.

La Terrazza di Leonina

Castello Di Leonina Relais, Strada di Leonina, 5 - Asciano (Si)

Tel. 0577.716088-0577.716089

www.castelloleonina.com

InvecchiatIGP: Eubea - Aglianico del Vulture DOC "Riparossa" 2002


di Luciano Pignataro

I vini parlano al palato e all’anima. Dipende dalla suggestione, dai ricordi, dal momento, dal luogo in cui vengono bevuti. Ci può essere qualcosa di più commovente di bere un aglianico di 22 anni nel cuore dei Sassi di Matera? Man mano che gli anni passano sono sempre più alla ricerca di occasioni speciali da raccontare e il viaggio al Sud resta una delle esperienze ancora lontana dalle narrazioni commerciali che partono dal nonno e finiscono in euro. E la Basilicata forse è la regione che ha meno cambiato pelle da quando mi occupo di vino: per molti questo sarebbe uno svantaggio, per me è un elemento che dovrebbe trascinare qualsiasi narratore a precipitarsi fra castelli federiciani, boschi, pastori e sassi varcando i campi di grano lungo il Basento, il trampolino ideale per tuffarsi nello Jonio, a Metaponto.


In uno di questi trasferimenti, necessariamente in auto, ci fermiamo insieme alle care amiche e colleghe Antonella Amodio e Fabiola Pulieri nel ristorante di Vitantonio Lombardo, eroica stella che ha resistito nel cuore della città ancestrale e che troviamo in magnifica forma. La giornata è tiepida, l’inverno è ormai alle spalle ma l’estate ancora non ha cominciato a rompere i coglioni e cambiamo il programma che doveva portarci nella magnifica Taranto per Ego Festival decidendo di fermarci a pranzo da Batman e Robin, ossia Vitantonio e Donato Addesso, suo fido maitre e sommelier ormai da 12 anni che lo ha seguito dai tempi eroici di Locanda Severino a Caggiano.

Vitantonio Lombardi

Si parla, si assaggia, si sta bene, chiediamo qualcosa di vecchio per godere sull’agnello che lo chef prepara in maniera eccezionale. Ed è così che Donato ci porta un fuori carta, il Riparossa 2002 dell’azienda Eubea a Ripacandida nel Vulture, la storica cantina oggi diretta da Eugenia Sasso, nipote del fondatore che la creò nel 1922 e che noi seguiamo dai tempi in cui il comando era del papà Francesco., detto Il professore, protagonista dell’aglianico vulturino da mezzo secolo. Eugenia, come il padre, è una persona riservata, concentrata sulla famiglia e sul lavoro, di altri tempi insomma. Come quest’aglianico che ci apre Donato superando la difficoltà di un tappo ormai compromesso.

Eugenia Sasso - Eubea

Ci sono due elementi che rendono straordinaria questa bevuta, a parte le circostanze descritte, ossia il momento, la compagnia, il cibo. Il primo è che l’annata 2002, qualcuno lo ricorderà, non è stata particolarmente favorevole per i rossi, anche al Sud. Fu l’anno, ad esempio, in cui Biondi Santi decise di non produrre Brunello e Mastroberardino di seguirlo saltando il Taurasi. Il secondo elemento è che il Riparossa era considerato un vino di ingresso, lavorato solo in acciaio, il più basso di una gamma che arrivava sino al Roinos, che il professore Sasso concepì con l’enologo sannita Angelo Pizzi. Tanto che nella mia guida dedicata ai vini della Basilicata del 2005 l’etichetta non era neanche citata.

L'areale dell'Aglianico del Vulture DOC

Bene, in questo caso bisogna avere pazienza e saper attendere, superare l’odore di ridotto lasciando all’Aglianico il tempo di ossigenarsi e di riprendersi. Piano piano il rosso ha iniziato a prendere fiato e a restituire al naso quelle sensazioni di foglia secca, carruba, cenere, persino rimandi di conserva di amarena e note di macchia mediterranea. Come sempre quando si tratta di Aglianico, è al palato che si gode di un ritmo energico e vivo, con una freschezza sicuramente domata dal tempo ma che mantiene il vino e ne fa una ragione per proseguire. In questa versione, spicca anche una complessiva eleganza e un colore che “gaglioppeggia”, segno di una estrazione non prolungata.


A dirla tutta, in un momento in cui l’Aglianico del Vulture procedeva a tappe spedite verso gli eccessi di estrazione e di surmaturazione, la sopravvivenza di questa versione la dice lunga su quale sarebbe stata, ed è ancora, la strada da imboccare quando si affronta questo vitigno così ostico, del resto non è un caso che proprio in questa direzione, a cominciare dal 2004, è andata Elena Fucci con il suo Titolo pluripremiato. Sorso dopo sorso la bottiglia finisce e ci mettiamo leggeri e contenti in auto verso la città dei due mare, un’ora di viaggio confortata da una esperienza perfetta.

Cantina di Santadi - Carignano del Sulcis Superiore 'Terre Brune' 2019


di Luciano Pignataro

Diceva Giacomo Tachis che quelli sardi sono vini della luce. Vero, il rosso vivo di questo grande classico che ha fatto storia è indescrivibile. 


Godiamo la fusione perfetta fra il frutto e il legno e ammiriamo l’eleganza e la finezza che rende questa beva assolutamente godibile e contemporanea dopo tanti anni.

Approfondimento sui bianchi vulcanici campani invecchiati degustati a Vitigno Italia


di Luciano Pignataro

Le tendenze di mercato parlano chiaro, almeno nell’emisfero occidentali: cresce il consumo di bianchi e di spumanti (e anche di rosati), in calo il consumo dei rossi. Calano altresì i vini economici, crescono quelli con valore aggiunto. E’ venuto così spontaneo sviluppare questo sillogismo aristotelico davanti alla nutrita platea di buyers stranieri di Vitigno Italia presentando loro il volto bianco della Campania, che supera ormai la metà del totale della produzione e sl tempo stesso puntare su vini ricchi di storia e di anni per dimostrare un assunto che noi già ben conosciamo e di cui abbiamo scritto numerose volte: il tempo è un grande alleato dei vini campani, soprattutto di quelli di aree vulcaniche.


La tendenza e la tentazione, di presentare vini evoluti negli anni sta crescendo anche a livello commerciale oltre che culturale e non sono poche le aziende che puntano sul tempo come elemento qualificante dell’offerta.
Sono ancora pochi ad avere questa consapevolezza, ma questa prova generale ha saputo indicare in quale direzione definitiva devono andare gli sforzi dei produttori regionali che rappresentano una piccola nicchia nel panorama nazionale ma che al tempo stesso sono espressione di una biodiversità e di una qualità assolutamente interessante.
i bianchi di questa degustazione che ha aperto la terza e ultima giornata di Vitigno Italia hanno due segni che li caratterizzano: la longevità e l’essere il risultato di vitigni autoctoni, elemento che coinvolge la quasi totalità della produzione regionale campana grazie alla ricchezza di uve locali in commercio da sempre.

La Sibilla - Campi Flegrei Doc Cruna del Lago 2015 

I primi due vini sono dei Campi Flegrei e appartengono alla terza generazione di viticoltori al lavoro, quelli che hanno rivoluzionato la percezione della Falanghina, un tempo ritenuta vino di pronta beva. Più esperimenti hanno dimostrato invece la straordinaria mineralità di questi bianchi e i produttori più accorti hanno iniziato ad aspettare. Cruna Delago è un bianco che resta in cantina due anni prima di uscire, le note fumé e di zolfo sono preponderanti, perfetta la freschezza, integro il vino, lunghissimo e piacevole.

Cantina Astroni -  Falanghina Campi Flegrei Doc Vigna Astroni 2015 

Siamo nel cratere di un vulcano spento dello stesso areale, stavolta dentro il perimetro del comune di Napoli. Anche qui tiene banco la terza generazione con la quarta già impegnata. Gerardo Vernazzaro ha studiato a fondo la Falaghina arrivando a proporne una base, una territoriale, un cru (questo) e una da sperimentazione e invecchiamento. In questa versione il tipico vitigno flegreo si esprime al massimo valorizzando il frutto ben maturo attraverso le note evolute di idrocarburi e rimandi balsamici.

Villa Dora - Lacryma Christi del Vesuvio DOC Vigna del Vulcano

Rimaniamo in provincia di Napoli ma stavolta ci spostiamo sul Vesuvio. L’azienda della famiglia Ambrosio è stata la prima a credere fortemente sui tempi lunghi del bianco commercializzando anche diverse annate vecchie in una stessa cassetta e diventando così un mito per la sommellerie dei ristoranti stellati. Frutto e note minerali meno esuberanti dei due vini precedenti, ma eccezionale tenuta della beva che poggia su freschezza autentica e capacità di reggere un equilibrio elegante in maniera decisa sia al naso che all’olfatto.

Fattoria La Rivolta - Sannio Greco Doc 2016

Sono semplicemente strepitosi i bianchi di questa azienda di Torrecuso fondata da paolo Cotroneo. In questo caso non siamo in presenza di un vino che ha aspettato per uscire in commercio, ma semplicemente di un bianco che ha resistito al tempo guadagnando in complessità. Il Greco in genere ha un naso timido, marcato dallo zolfo solo se di Tufo, di frutta gialla in altri casi. Al palato invece esprime la sua freschezza e al tempo stesso di una struttura potente, quasi da rosso cviene da dire, una sensazione confermata da un estratto secco a quota 26 in questo caso. Vino nel pieno della maturità da esprimere su piatti decisamente strutturati

Tenuta Scuotto - Campania Fiano Oi Nì 2015 

L’enologo Angelo Valentino ci ha provato con un legno alsaziano e devo dire che all’inizio ero abbastanza perplesso non per la qualità ma per l’eccesso di note dolci al naso, a cui comunque faceva da contrappeso una buona beva scattante e agile, sapida e fresca. Nel corso degli anni è stata trovata la giusta quadra e adesso la sosta in legno, uno dei pochi casi per quanto riguarda i vini della Campania in generale e per il Fiano in particolare, fa da trampolino di lancio ad un vino che potrebbe benissimo fare il pirata in una batteria di Mersault

Di Meo -  Fiano di Avellino DOCG Alessandra 2013 

Un Fiano di undici anni, da poco in commercio che esprime la freschezza capace di esaltare la complessità olfattiva e gustativa. Note piacevolmente agrumate e di mela matura, primi sbuffi fumé, al palato una bocca piena, lunghissima, con una chiusura assolutamente affascinante. Il protocollo è decisamente semplice, lavorazione solo in acciaio. Sosta sulle fecce nobili sino all’imbottigliamento. Un piccolo grande capolavoro che, ne sono sicuro, potremo bere per i prossimi decenni godendo come i pazzi.

Villa Matilde - Falerno del Massico Doc Vigna Caracci 2008 

Non finisce di stupire questa annata del Caracci, uno dei bianchi più eleganti della Campania, in questo caso passato in legno. La riproviamo nel pieno della sua maturità espressiva, dotata ancora di una freschezza incontenibile ma soprattutto di grande complessità olfattiva: dal miele alla pasticceria, alla frutta sciroppata sino ad un piacevole rimando fumé. Il vino è in una fase in cui deve essere accompagnato, non accompagnare il cibo. Ha sicuramente raggiunto il suo nadir, è al massimo delle sue potenzialità, quando cioè il tempo è un prezioso alleato e non un elemento al quale bisogna resistere. Il sorso è sapido, il finale lungo e potente, assolutamente amaro rivelando così la sua origine vulcanica. Insomma, un piccolo grande capolavoro.

Da Roma a Capri: Vico, la pizzeria di Enzo Coccia, sbarca all’hotel “La Residenza”


VICO è l’incontro tra la contemporaneità della pizza di Enzo Coccia e l’eleganza, la discrezione e la raffinatezza insita alla famiglia De Angelis, proprietaria di hotel di lusso in Italia e all’estero. Da questo incontro, nel luglio del 2023 è nata la pizzeria VICO di Roma, un progetto di grande successo tanto che, a partire dall’8 di Giugno, questo binomio tra lusso e cultura mediterranea verrà “esportato” anche a Capri dove i De Angelis posseggono il loro boutique hotel “La Residenza”, il secondo complesso alberghiero più grande dell’isola dell’arcipelago Campano.


A differenza di Roma che sorge in un palazzo storico, la pizzeria Vico Capri, condotta dal Maestro Enzo Coccia assieme ai figli Andrea e Marco, si svilupperà totalmente all’esterno, nel giardino superiore dell’hotel, dove l’ospite verrà accolto e coccolato tra archi di bouganville, aiuole fiorite e comode sedute nei toni del bianco e verde.


Capri – spiega Enzo Coccia - sarà per noi una grande bella sfida, in termine di esperienza, lavoro e gratificazioni. È un piccolo sogno che si avvera, avremo la possibilità di far conoscere la pizza napoletana a una platea internazionale. E questo ci riempie di gioia e di orgoglio. Sicuramente incontreremo delle difficoltà anche perché si tratta di una prima esperienza di tipo stagionale su un’isola con tutte le problematiche connesse a esempio all’approvvigionamento, ai collegamenti, etc. Ma siamo certi che il nostro know-how sia proprio il valore aggiunto grazie al quale supereremo ogni cosa”.

LA PROPOSTA GASTRONOMICA DI VICO CAPRI

Il menu avrà un filo conduttore che lo lega al progetto di Roma. Per stuzzicare l’appetito i Piscitielli, piccoli calzoncini fritti, dal classico con salame napoletano alla provola e pepe, dalla versione con cuore di baccalà, pomodoro corbarino, olive nere di Gaeta, provola a quella con ricotta, fiori di zucca, pancetta, pecorino, e le Montanarine, come la Faraglioni con zucchine marinate, tonno affumicato e zest di arancia, la Centrella con stracciata di bufala, ‘nduja di spigola, foglia di limone o La Violetta con crema di melanzane, melenzane a funghetto, pecorino e basilico. Ci saranno le pizze tradizionali, dalla Marinara alla Margherita, dalla Rucola e Crudo alla Vegetariana, dalla 4 Formaggi alla Diavola ma anche un must di VICO Roma, la pizza Nerano, oltre ad alcune pizze inedite che utilizzeranno i prodotti dell’isola.


Per esempio ci sarà la Jovis con provola di bufala campana D.O.P., alici fresche, peperoncino, menta, zest di limone grattugiato, origano e olio extravergine d’oliva D.O.P Penisola Sorrentina, la Il Cunto del Mediterraneo con fior di latte di Agerola, pomodorini del Piennolo del Vesuvio D.O.P., melanzane a funghetto e ventresca di pesce spada, la Monte Solaro con cipolla rossa di Tropea marinata al finocchietto, mozzarella di bufala campana D.O.P., ventresca di tonno, pesto di prezzemolo e limone, la Focaccia Caprese con pomodori di Sorrento, mozzarella di bufala campana D.O.P., origano, olio extravergine d’oliva e basilico, La Certosa con stracciata di bufala, prosciutto crudo e grissini e, ovviamente, la Grotta Azzurra con pesto di basilico, pomodori arrostiti, ‘nduja di spigola, mozzarella di bufala campana D.O.P.


COCKTAIL E CARTA VINI

VICO Capri apre le sue porte agli appassionati della mixology. Sarà possibile, infatti, scoprire e miscelare due esperienze diverse: le pizze di Coccia e i cocktail, fatti con miscele e ingredienti particolari, del Salotto 42 di Roma. Presente una piccola ma interessante carta dei vini di circa 120 referenze, grandi etichette come piccole cantine, selezionate per sottolineare la versatilità della proposta gastronomica.