Produttori del Barbaresco: Le MGA del Barbaresco (di Barbaresco) - Garantito IGP

Di Lorenzo Colombo

La Cooperativa PRODUTTORI DEL BARBARESCO nasce dalle ceneri delle “Cantine Sociali di Barbaresco” volute nel 1894 da Domizio Cavazza, preside della Regia Scuola Enologica di Alba e “padre” del vino Barbaresco.
Fondata nel 1958 da Don Fiorino Marengo, parroco di Barbaresco, riuniva allora diciannove viticoltori.

Attualmente l’azienda può contare su oltre cento ettari vitati a Nebbiolo (circa due quinti della superficie a Nebbiolo del comune), suddivisi tra cinquanta soci e tutti situati nel comune di Barbaresco. Qui la “Produttori” vanta inoltre vigneti in ben nove delle venticinque MGA comunali.

L’azienda produce un Nebbiolo Langhe Doc, con uve provenienti dai vigneti più giovani, un Barbaresco Docg (prodotto sin dal 1958), con uve provenienti dalle diverse MGA e, unicamente nelle migliori annate nove Barbaresco Riserva Docg con la Menzione aggiuntiva in etichetta. 
Appunto su queste MGA, dell’annata 2011, verteva la degustazione effettuata in azienda, e condotta da Aldo Vacca, in occasione di Nebbiolo Prima, nello scorso mese di maggio.


I vini sono stati presentati a gruppi di tre, ecco le nostre osservazioni:
  
MGA Pora

Ventidue ettari e mezzo di vigneti che arrivano quasi a lambire il Tanaro, situati tra i 170 ed i 250 metri d’altitudine, confina a nord e ad est con la Mga Faset e ad est con le Mga Asili e Martinenga.
La maggior parte dei vigneti sono di proprietà di soci della Produttori, i rimanenti sono suddivisi tra altre cinque aziende.
16.666 le bottiglie prodotte in quest’annata.
Color granato di buona intensità.
Bel naso, balsamico, un poco chiuso all’inizio.
Alcolico, sapido, dotato di buona struttura, lunga la persistenza su sentori di liquirizia. 85-86/100


MGA Pajé

E’ una tra le più piccole Mga, con meno di otto ettari di superficie, collocata nel cuore dei vigneti di Barbaresco, è suddivisa tra quattro produttori ed è situata ad un’altitudine compresa tra i 210 ed i 260 metri. Confina ovest con la Mga Secondine ed a sud con la Cars.
10.000 le bottiglie prodotte nel 2011.
Granato di buona intensità.
Frutto rosso leggermente macerato, note di terra bagnata, balsamico.
Buona la struttura, alcolico ma fresco, con bella trama tannica e lunga persistenza su note di liquirizia forte. 87/100
  
MGA Ovello

Con i suoi oltre settantotto ettari è la più grande Mga del comune di Barbaresco, situata nella parte nord del comune, confina con le Mga Vicenziana, a nord e con la Montefico a sud. L’altitudine varia dai 160 ai 275 metri. Date le dimensioni è suddivisa tra dodici diverse aziende, anche se la parte più cospicua appartiene a conferitori della Produttori.
16.560 le bottiglie prodotte, oltre a 1.720 magnum.
Color granato di buona intensità.
Intenso ed elegante al naso, presenta note balsamiche.
Fresco, balsamico, sapido strutturato, con tannini importanti (è il più tannico tra i primi tre vini), lunghissima la persistenza su sentori di radice di liquirizia. 87/100

MGA Rio Sordo

Venticinque ettari tra i 190 ed i 315 metri d’altitudine, confina ad ovest con la Mga Cà Grossa ed a est con la Tre Stelle, mentre a sud, al confine con Treiso, con la Pajorè. I suoi vigneti sono suddivisi tra otto aziende.
Le bottiglie prodotte nel 20122 sono state 13.333.
Granato luminoso.
Un poco chiuso all’inizio, balsamico, con sentori di frutto rosso maturo.
Di buona struttura, alcolico, balsamico, note di legno dolce, bella la trama tannica -con tannini morbidi-, lunga la persistenza su note di liquirizia. 89/100

MGA Asili

I quattordici ettari di vigneti, collocati tra i 200 ed i 290 metri d’altitudine, sono suddivisi tra dieci aziende e sono circondati dalle Mga Pora, Faset, Cars, Muncagöta, Rabajà e Martinenga.
13.333 le bottiglie prodotte nel 2011
Granato luminoso.
Mediamente intenso al naso, balsamico, molto elegante.
Intenso, di buona struttura, asciutto, con tannini importanti ma ben amalgamati, lunga la persistenza su note di liquirizia forte. 87-88/100
  
MGA Montefico

Piccola Mga (otto ettari circa) situata ai confini sud della Ovello e che fronteggia, verso sud, la Monte Stefano, la maggior parte dei vigneti sono di soci della Produttori, i restanti sono suddivisi tra altre quattro aziende, l’altitudine varia tra i 170 ed i 280 metri.
La produzione nel 2011 è stata di 13.333 bottiglie.
Color granato luminoso di buona intensità.
Naso balsamico, elegante, intenso, con note di legno dolce.
Bel frutto speziato, buona la struttura, sapido, note di liquirizia forte, lunga la persistenza. 88-89/100
  
MGA Muncagöta

Poco meno di dieci ettari, situati tra i 250 ed i 315 metri sul livello del mare. Confina ad ovest con le Mga Rabajà Bas, Cars e Asili, a sud con  Rabajà e ad est con Ronchi. Oltre alla Produttori vi si trovano i vigneti di altre tre aziende.
16.666 le bottiglie prodotte nel 2011.
Granato di buona luminosità.
Naso elegantissimo e complesso, balsamico. Notevole.
Note dolci al palato, alcolico, strutturato, sentori di spezie dolci, lunghissima la persistenza su note di liquirizia dolce. 90-91/100
  
MGA Rabaja

Sono poco più di quindici gli ettari di questa Mga rivendicata da diversi produttori. Si sviluppa tra i 235 ed i 315 metri d’altitudine e confina a nord con Muncagöta, ad ovest con Martinenga, a sud con Trifolera e ad est con Cottà.
Nel 2011 sono state prodotte 16.524 bottiglie e 1.738 magnum.
Granato di buona luminosità.
Bel naso, elegante, delicato, balsamico con sentori di legno dolce.
Morbido al palato, elegante, con tannini decisi ma vellutati, sentori di liquirizia forte, lunga la persistenza. 88-89/100
  
MGA Montestefano

Circa dieci ettari situati tra i 175 ed i 265 metri d’altitudine, confina ad ovest con Cole, a sud con Ronchi ed a ovest con Cottà, mentre a nord fronteggia (senza però confinarvi) con Montefico. Oltre alla Produttori posseggono qui vigneti altre cinque aziende.
16.584 bottiglie, oltre a 1.708 magnum, la produzione del 2011.
Abbiamo già terminato la degustazione del vino e messo su carta le nostre annotazioni quando Aldo Vacca stabilisce che la bottiglia non è perfettamente a posto, ne viene quindi aperta una seconda ed in effetti la nostra opinione cambia (in positivo).
Granato di buona intensità.
Bel naso, elegante, leggermente austero, intenso e balsamico.
Fresco al palato, balsamico, minerale, alcolico, con tannini importanti e lunghissima persistenza su note di liquirizia. 89-90/100


La nostra degustazione s’è conclusa con una miniverticale di due annate della Riserva Monte Fico.
  
2007: Color granato tendente al mattonato.
Intenso al naso, con sentori terziari che rimandano al cuoio ed ai fiori appassiti, elegante e di buona complessità.
Fresco e balsamico, con accenni di rabarbaro e leggera pungenza, sapido, lunga la persistenza su sentori di radice di liquirizia. 89/100
  
2005: Granato di buona profondità, unghia aranciata.
Intenso al naso, leggere note macerative, sentori chinati, asciutto, austero, con tannini vivissimi, chiude lunghissimo su sentori di bastoncino di liquirizia. 86-87/100

Dell'artigianalità del vino e di Loreto Aprutino


Doveva essere, e in parte sicuramente lo è stato, un seminario sulle specificità del Trebbiano, del Cerasuolo e del Montepulciano d’Abruzzo prodotti a Loreto Aprutino (PE), territorio di grande vocazione agricola situato a metà strada tra il mare Adriatico e il Gran Sasso ma, quando si ha a che fare con i tre vignaioli come Francesco Paolo Valentini, Fausto Albanesi (Azienda Agricola Torre dei Beati) e Stefano Papetti (Azienda Agricola De Fermo), c’è sempre il rischio che il tema della serata, ideata e condotta da Giampaolo Gravina all’interno della manifestazione Amelia DOC, possa imboccare strade alternative, ma al tempo stesso affascinanti, dove i vini in degustazione sono solo un pretesto per intraprendere discorsi ben più ampi ed articolati che, come in questo caso, hanno puntato dritto su un concetto che sta molto a cuore ai “tre moschettieri loretesi” ovvero quello dell’artigianalità del vino.


Secondo Francesco Paolo Valentini, che per primo ha preso la parola scuotendo come al solito la platea, “il vino artigiano non è direttamente riconducibile alla mano dell’uomo ma deriva espressamente dal territorio che ne è il vero artefice, è la vigna e non la cantina la vera forza di questo concetto. Essere artigiano, pertanto, significa lavorare essenzialmente con la materia prima, rispettare di conseguenza il vino e, cosa fondamentale, salvaguardare il consumatore. Cosa faccio io, in pratica, per considerarmi artigiano? Lavoro in vigna con metodi tradizionali, non uso sistemici, uso rame e zolfo e soprattutto pongo in essere grandi lavorazioni del mio terreno che, per come gestisco io il vigneto, sono attività fondamentali. In cantina, come detto in precedenza, faccio ben poco, tutte le fermentazioni sono spontanee senza controllo di temperatura. Non acquisto lieviti estranei questo perché questi, assieme al tipo di cultivar, vanno a marcare inevitabilmente le sensazione organolettiche del vino e non voglio che questo accada. In tema di fermentazioni spontanee devo anche sottolineare che negli ultimi anni queste stanno diventando sempre più difficili da gestire visti i grandi cambiamenti climatici in atto che, come detto prima, vanno ad interferire nella parte iniziale del processo di vinificazione che ultimamente sta scontando il problema delle temperature esterne spesso estremamente elevate che, tra i vari problemi, possono creare arresti di fermentazione che, se ben gestiti dall’artigiano che conosce perfettamente la sua materia prima, possono anche non essere così deleteri come si potrebbe pensare visto che alla fine si crea una selezione a scalare di lieviti che donano complessità al vino. So perfettamente che è un gioco rischioso ma il gioco dell’artigiano è anche questo, non c’è nulla da fare. Poi, a mio parere, il vino dell’artigiano va in bottiglia senza altre operazioni post vinificazione se non rapidi travasi e tanto amore….”

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Vignaunica, Chardonnay veronese IGP 2014 - Guerrieri Rizzardi per il VINerdì di Garantito IGP

Di Stefano Tesi


Tremilatrecento bottiglie in un due ettari ‎di vigna sono la riprova che lo Chardonnay può piacere pure a me, se è profondissimo e austerissimo come questo. 

Dicono possa campare anche quattro anni, io dico di più. 

Ma non posso dimostrarlo, perchè ho finito le scorte.

Ho assaggiato in anteprima i vini olimpici made in Brasil - Garantito IGP

Di Stefano Tesi

Tu chiamala, se vuoi e prima di tutto, curiosità. Poi compiacimento. Poi divertimento. Ma alla fine devi confessare a te stesso che, giornalisticamente parlando e non solo, bicchiere alla mano i vini commissionati dal Comitato Olimpico Brasiliano per celebrare gli imminenti Giochi di Rio de Janeiro sono interessanti.


Primo, perché da un punto di vista europeo e, aggiungo, più ampiamente occidentale, il Brasile tende tuttora ad essere considerato una sorta di ufo enoico. E non è facile convincersi che anche laggiù esistano il clima, il suolo, le professionalità, la tecnologia e i mercati per produrre vino di qualità.

Secondo, perché l’assaggio dimostra che il livello della produzione di qualità è sia  ampiamente in linea con gli standard medi internazionali, sia non privo di prospettive in termini di identità propria.

Terzo, perché a mio modesto parere è altamente significativo che quel paese, certamente molto noto più per altre ragioni che non come produttore vinicolo, abbia invece deciso di mettere proprio il vino tra i suoi testimonial olimpici.

Non escludo, lo ammetto, che sulla mia favorevole impressione finale abbia potuto influire la cornice scelta per la presentazione alla stampa: una sala del secondo piano dell’ambasciata brasiliana a Roma, affacciata su piazza Navona, in una magnifica giornata di giugno. Ma il contenitore, si sa, fa in qualche modo parte del prodotto.


Il Comitato ha scelto, per realizzare la linea principale dei “vini olimpici”, la Lidio Carraro, azienda dal lungo curriculum specifico (hanno realizzato anche i vini per i Mondiali di calcio del 2014 e per gli Open di tennis di quest’anno), con soli vigneti di proprietà (50 ettari attualmente, 200 in prospettiva) in Serra Gaucha, una delle aree a massima vocazione vinicola del paese, ubicata nel più meridionale degli stati brasiliani, il Rio Grande do Sul, al confine con Argentina e Uruguay.

Le bottiglie griffate con i cinque cerchi portano il marchio “Faces”, alludendo al fatto che cercano di mostrare i diversi “volti” dell’enologia del paese. Prevedono tre spumanti metodo Martinotti (un moscato dolce, un brut e un rosato) e tre vini fermi (uno chardonnay, un rosato di pinot nero e un rosso a base merlot). La tiratura è di 350mila pezzi (su un totale di 500mila bottiglie olimpiche), per una forcella di prezzo tra i 4 e i 40 euro. I formati previsti sono la 0,75 e la 0,125 (il “bicchiere”). La commercializzazione avverrà solo in Brasile e unicamente durante il periodo dei Giochi.


Abbiamo assaggiato tre campioni:

Spumante rosè: rosa pallido molto trendy, un naso con sentore molto intenso e quasi sorprendente di lievito e di farina, in bocca è asciutto, piuttosto acido e facile, prodotto esplicitamente per un pubblico ed un consumo vasti.

Chardonnay 2015 (nb: vendemmiato a febbraio del 2015): il colore è giallo oro molto pieno, al naso è floreale, ma meno stucchevole del previsto, con marcati e inattesi sentori di roccia; in bocca risulta molto varietale, secco, con buona acidità e lunghezza.

Merlot 2013 (con cabernet sauvignon e tannat): colore rubino scuro e opaco, al naso ha uno stile molto internazionale con marcata frutta rossa, mentre in bocca è asciutto, con tannini marcati ma armonici e buona profondità.

Vini da medaglia d’oro? Direi di no.

Ma la scommessa è interessante. Doppia, anzi tripla: lanciare il vino come prodotto  “nazionale” presso la vasta quota di pubblico brasiliano che non ne consuma affatto, proporre le bottiglie made in Brasil all’attenzione del mercato mondiale non come alternativa, ma come qualcosa di diverso dai più celebri vini cileni e argentini e infine utilizzare la leva enoica come strumento di marketing territoriale a favore delle aree del paese turisticamente meno conosciute, come appunto il Rio Grande do Sul.

E infatti, comunque vadano le Olimpiadi, la voglia di andare a vedere le vigne è già tanta.

Cottanera - Etna Rosso Contrada Zottorinotto Riserva 2011

Se proprio dobbiamo confrontare la Borgogna e l'Etna, i cui vini sono spesso paragonati in maniera azzardata, l'unico tratto comune che potrebbe legare questi due territori riguarda la recente consapevolezza da parti di molti vignaioli siciliani che le varie contrade etnee, grazie alla loro eterogeneità pedoclimatica, possano rappresentare dei veri e propri Cru dai quali tirar fuori vini fortemente caratterizzati dal terroir di appartenenza. 

Di tutto ciò ne sono estremamente convinti a Cottanera tanto che, dal 2011, Mariangela, Francesco ed Emanuele Cambria, assieme allo zio Enzo, decisero che era giunto il momento di valorizzare queste differenze all'interno del loro Nerello Mascalese creando la prima riserva dell'azienda: l’Etna Rosso Contrada Zottorinoto.

Mariangela Cambria - Foto: www.siciliainrosa.it

Cosa ha di speciale questa parcella? Cercherò di spiegarlo in poche parole. Siamo tra i 780 e gli 820 metri di altezza ma nonostante tutto il mare, che nelle giornata terse si può vedere in lontananza, è sempre presente nell'aria che dalla costa soffia verso la montagna. 


Francesco Cambria ricorda bene quando nel 2000 il vigneto Zottorinoto - l’unico appezzamento fuori dal corpo centrale dell’azienda - venne acquistato da suo padre e suo zio:“Erano alla ricerca del clone ottimale di nerello mascalese che, per loro convinzione, doveva essere ad acino piccolo e spargolo. E' stata una ricerca lunga che fortunatamente si concluse quando trovarono questi 4 ettari di nerello, con cui poi furono innestate tutte le viti della nostra azienda.”

La vigna
A Zottorinoto le viti, che hanno una media di 60 anni di età, si aggrappano su un terreno tipicamente lavico, una terra nera dove le sabbie etnee impolverano i filari dove le viti sono piantate a spalliera o ad alberello secondo l’esposizione, la pendenza e l’altitudine. 
Da un punto di vista strettamente tecnico il vino è il risultato finale di una fermentazione a temperatura controllata in acciaio a cui segue una malolattica ed un affinamento 24 mesi in botte di rovere francese. Altri 24 mesi di "bottiglia" e la Riserva può uscire sul mercato.

Ingresso della cantina
Cantina

L'annata 2011 (1978 bottiglie prodotte) ha dato vita ad un nerello mascalese assolutamente didascalico dove l'anima nera del vulcano, suprema e regale, dota il vino di un impatto olfattivo austero e complesso grazie alla formazione di tante piccole "finestre" aromatiche dove, a diverse cadenze temporale, spuntano fuori intense ed avvolgenti note di fiori rossi, rabarbaro, erbe officinali, liquore di carciofo e felce.



Al sorso il vino è purezza ed energia, dinamismo e simmetria, tattilità e progressione balsamica. Questo Etna Rosso Contrada Zottorinoto è davvero un vino delizioso e territoriale, come se ne trovano pochi in giro, per cui l'unica colpa che posso fare alla famiglia Cambria è di farne troppo poco. La vita è troppo breve per bere vini cattivi!

Valle Reale - Vigneto di Popoli 2009 per il VINerdì di Garantito IGP



di Luciano Pignataro

Sono ormai più di dieci anni che Leonardo Pizzolo lavora tra freddo siberiano e neve abruzzese lì dove il Gran Sasso si sbaciucchia con la Majella: 40 ettari tra Popoli a San Callisto sui 350 metri e una ventina a Capestrano. I suoi bianchi mi piacciono davvero tanto. Non solo il Capestrano. Anche il Popoli sfida bene il tempo, come questo 2011 in forma smagliante, cremoso e fresco allo stesso tempo.

www.vallereale.it


Camerlengo 2009, l’Aglianico del Vulture di Cascarano - Garantito IGP

Di Luciano Pignataro

Antonio Cascarano è il Camerlengo del Vulture. Antonio Cascarano e il Camerlengo del Vulture. In Usa sarebbe un weekender, ossia uno che fa dell’hobby un lavoro nel tempo libero perché la sua attività principale è fare l’architetto a Roma.
Ma per chi è figlio del Sud, faccia da brigante e colorito olivastro, fare vino significa rivivere l’infanzia e i suoi ricordi, soprattutto se si è originari di una zona come il Vulture, patria dell’Aglianico, a lungo unica doc regionale e ora con una docg che è talmente incasinata che nessuno ci crede.


Antonio è una di quelle persone che mi piace frequentare perché a tavola sciampagna e mangia con la gioia di chi ama la vita. Palato pre-omogeneizzati, viva i sapori forti, dal pecorino allo gnummariddo.
E il suo vino, potevate dubitarne, serve proprio ad accompagnare questi cibi solidi, rurali. Il Camerlengo 2009, carico di frutta nonostante l’annata complicata e piovosa nel finale, ha tannini strepitosi e freschezza ancora più appagante. Forse un filo di stanchezza al naso, ma in poca è pimpante e frizzante come non mai.

L’azienda di Antonio è a Rapolla, un comune attaccato a Barile e, come il paese di origine albanese, ha le sue cantine scavate nel lato nord della collina. In una di queste il nostro amico ha fissato il suo regno con un trono dove ama farsi fotografare per interpretare un personaggio delle fiabe, cattivo e o buono di pende dal vostro animo.
La sua campagna vulcanica a quota 550 metri pullula di fiori, è viva, perché da weekender non lesina sui costi e ha scelto il biologico duro e puro insieme all’enologo Fortunato Sebastiano. Lieviti indigeni, nessuna filtrazione, legno grande e via: Antelio e Camerlengo anno dopo anno fanno capolino, appena 15mila bottiglie in tutto. Ogni tanto un bel bianco macerato, Accamilla, da malvasia, Santa Sofia e cingoli.
Scorre così la vita di questa azienda, una chicca per appassionati fuori dalle ansie di prestazione: provolone, soppressata, agnello e Camerlengo. E io, quando sono stanco delle minchiate della città, amo venire qui, rifugiarmi tra le acque, il vino, i boschi e i castelli di questo territorio incantato e dimenticato.

Sede a Rapolla, via Torquato Tasso, 3. Tel. 0972.760738. www.camerlenodoc.com. Ettari: quattro di proprietà. Bottiglie: 15.000. Enologo: Fortunato Sebastiano. Vitigni: aglianico, malvasia, Santa Sofia, cingoli.


Prosecco al posto del Dom Perignon, cosi il Boujis a Londra truffava i suoi clienti

Le immagini del The Sun parlano chiare, qualche cameriere malandrino del Boujis, un tempo il locale preferito dai Principi William and Harry, prendeva le bottiglie vuote di Dom Perignon da 360 sterline e le riempivano del presunto vino italiano da 8,95 sterline



Non solo Champagne.

Lo staff era abile anche nel riempire bottiglie vuote di Grey Goose e Belvedere vodka, vendute a circa £260, con 1860 Imperial vodka da £10.


Il Boujis è ora temporaneamente chiuso e il personale è stato licenziato ma lo scandalo potrebbe avere conseguenze ancora impreviste.

Vi è mai sorto il dubbio, al ristorante o presso le enoteche/wine bar, che qualcuno non vi stesse servendo quanto richiesto? A me sì. A Roma. Bocca mia taci!

Barbera d’Asti Valdevani 2015 Mauro Sebaste - Il VINerdì di Garantito IGP

Di Carlo Macchi


Dopo 120 barolo va bene tutto ma non altro vino. 
  
Poi Mauro mi racconta la storia della sua nuova Barbera d’Asti, apre la bottiglia e mi trovo sotto il naso la barbera più buona che abbia bevuto da anni. 
  
Frutto, profumi, freschezza tannino leggero, equilibrio, beva assoluta. Da vigne vecchissime un vino buonissimo.


www.maurosebaste.it 

A Macchiascandona il tortello maremmano più buono del mondo - Garantito IGP

Di Carlo Macchi
Scordatevi i locali con maître e camerieri che vi accompagnano al tavolo, scordatevi tavoli con mollettone e tre-tovaglie-tre una sopra all'altra dotati di apparecchiatura stellare, scordatevi menù elaborati scritti da mani sapienti, scordatevi carte dei vini che pesano un quintale, scordatevi pranzi con otto mini portate, preappetizer, benvenuto dello chef, post-post dessert.

Scordatevi tutto questo perché il ristorante Macchiascandona è nella rustica Maremma, in un posto non certo bello, in una costruzione non certo bella (eufemismo), però…
Però se riuscite a fare a meno di quanto detto all'inizio, se vi basta un'apparecchiatura-da-trattoria essenziale-ma-pulita, (purtroppo color rosa salmone, lo stesso delle tende), se riuscite a non digrignare i denti davanti a quadri alle pareti che meriterebbero di ardere all'inferno, insomma se non siete schiavi della stelleria michelin ma semplicemente amanti del buon cibo, allora potrete essere fra coloro che (fino a quando Mamma Milena non si rompe le scatole) avranno la possibilità di gustare i più buoni tortelli maremmani che essere umano possa desiderare.

Attenzione! Come dovrebbe essere fatto, per me, un tortello maremmano? Dovrebbe essere la sintesi suprema della finezza e della concretezza, il tutto raccolto in uno spazio di non meno di 10 cm x 10 cm. Un raviolo maremmano è composto da una sfoglia possibilmente sottile ma resistente e da un impasto di ricotta e spinaci amalgamati assieme da un pizzico di sale e di noce moscata. Questo quadrato irregolare viene condito con abbondante ragù di carne, che può essere anche di cinghiale.
Al ristorante Macchiascandona, che si trova in Maremma ma vicino al mare (dieci chilometri da Castiglione della Pescaia) fanno sicuramente il miglior raviolo maremmano che abbia mai mangiato in vita mia. Ognuno pesa più di un etto, è ripieno di ripieno sino quasi a scoppiare, eppure la sfoglia è finissima ma non cede: cede soltanto quando la metti in bocca, allora si scioglie come un burro.
Mamma Milena che di cognome fa Rabiti, li prepara da quasi cinquanta anni e la sua bravura andrebbe salvaguardata come i Panda, anche perché non fermandosi ai ravioli, anche l’acquacotta è di assoluto livello. In precedenza come non cadere sui classici crostini toscani oppure su qualcosa di sfizioso e saporito come le alici con le cipolline fresche.

Per secondo consiglierei il coniglio in tegame (in bianco, senza pomodoro) oppure l’agnello alla cacciatora, le costolette d’agnello alla brace o l’arista di maiale, magari accompagnata da fiori di zucca o altre verdure fritte alla perfezione, in modo da essere croccanti e saporite.
Come capite siamo tra piatti semplici e concreti, però la scelta delle materie prime ripaga sempre della “spartanità” del locale. Anche la carta dei vini, dove si trovano una ventina di buone etichette locali, per lo più Morellino di Scansano e Montecucco, è improntata alla semplicità, unita all’ottimo rapporto qualità prezzo.
Lo stesso validissimo rapporto lo avrete al momento del conto, visto che difficilmente, vino compreso, spenderete per un pasto completo più di 30-35 euro.
Ma un pasto completo potrebbe già essere il vostro piatto di tortelli, magari con una mezza porzione ulteriore come secondo.
Spesso, se non mi fermasse la poca saggezza rimasta, un piatto di tortelli della Milena li prenderei anche come dessert!

Ristorante Macchiascandona

Via Castiglionese snc, 58043 Castiglione della Pescaia (GR)
Telefono: 0564944127

Il sole è il suo corpo, il sale la sua anima: il Verdicchio dei Castelli di Jesi di La Staffa

Ormai, nonostante i suoi 25 anni, non è più una scoperta perchè già in tanti hanno scritto di lui. Stiamo parlando di Riccardo Baldi, anima e cuore de La Staffa, una piccola azienda famigliare che nella zona di Staffolo, nelle Marche, da qualche anno sta producendo un Verdicchio che sta facendo parlare di sè. In maniera positiva, ovviamente.



Sono andato a trovare Riccardo una domenica mattina di ottobre quando a Contrada Castelletta, piccola frazione di Staffolo, ancora tutti stanno dormendo o, al massimo, stanno facendo colazione con la radiolina accesa.



Riccardo, invece, è già lì che mi aspetta guardando le vigne che si trovano davanti la nuova cantina costruita grazie ai finanziamenti europei che gli hanno permesso di accollarsi un mutuo di "soli" trenta anni.

"Il verdicchio è stato tirato via già qualche giorno fa per cui rimane solo un po' di montepulciano per finire la vendemmia della quale, per ora, sono soddisfatto!" sono le sue prime parole appena lo raggiungo.

La sua storia, simile a quella di molti altri giovani vignaioli che ho conosciuto, inizia molti anni fa quando suo padre, in zona, acquista terreni e cantina per fare un po' di vino sia per la famiglia sia per avviare, se tutto va bene, una piccola attività commerciale. 
L'agricoltura, però, è dura e quando suo figlio finisce il liceo gli chiede, seppure giovanissimo, di aiutarlo in azienda altrimenti sarebbe stato difficile andare avanti. 
Riccardo tentenna, giustamente ha timore vista la poca esperienza, ma grazie all'aiuto dell'amico enologo Umberto Trombelli, a soli venti anni, getta il cuore oltre l'ostacolo e prende in mano l'attività di famiglia apportando, soprattutto a livello agronomico, cambiamenti rivoluzionari.

"La mia visione agricola ha rotto molto col passato perché, fin da subito, ho cominciato a gestire i vigneti in modo naturale ovvero, come dico sempre, faccio una agricoltura biologica di ispirazione biodinamica. Dico questo perché non uso preparati ma tutto il resto, compreso l'aspetto filosofico, l'ho fatto mio portandolo nelle vigne che gestisco a 360° grazie anche ai preziosi consigli che nel tempo mi hanno dato amici come Lucio Canestrari (Fattoria Coroncino) e Corrado Dottori (La Distesa)".



Oggi, La Staffa è una realtà agricola che può vantare oltre dieci ettari di vigneto dove la maggioranza, come facilmente si può pensare, è coltivato a verdicchio anche se non mancano piccoli impianti di trebbiano, montepulciano e lacrima. 

Le piante di verdicchio, suddivise in tante parcelle sparse nei dintorni di Staffolo, hanno età diverse visto che possiamo trovare vigne vecchie (1972 e 1974) e vigne molto più giovani (2013) alcune delle quali, in via sperimentale, sono state innestate a piede franco.

La piccola cantina di Riccardo è composta da vari ambienti dove trovano spazio vasche di acciaio, cemento e piccole botti di legno usate per il rosso.




La vinificazione dei suoi vini è molto semplice e tradizionale: viene usata una pressa aperta e si "lavora" il mosto non disdegnando il contatto con l'ossigeno. Il vino, prima di passare in bottiglia, viene affinato per qualche mese sulle fecce fini. Il Rubinia, montepulciano in purezza, rimane invece quattro anni in cantina prima di uscire sul mercato.



Ci sediamo nella piccola sala degustazione e cominciamo la degustazione iniziando dal Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore 2014 che, ancora giovanissimo, si presenta, vista l'annata, algido ed austero e con un sorso la cui caratteristica principale è rappresentata dalla grande sapidità del vino che, come vedremo, rappresenta un importante timbro di fabbrica de La Staffa. Riccardo, dopo avergli parlato di questa sensazione, ride e mi dice: "Contrada Castellaretta, dove siamo, è il costone opposto al Salmagina, una valle storica qua a Staffolo che grazie alla presenza nei suoli di sorgive salmastre dona sempre sensazioni saline ai vini di queste terre". Nonem omen.



Il Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore 2013 deriva da una annata decisamente diversa rispetto alla precedente visto che il caldo ha giocato un ruolo fondamentale fornendo al vino la struttura tipica del Verdicchio di Staffolo. Finale di grande equilibrio e carattere la cui sapidità, rispetto alla 2014, risulta ancora più evidente e sfrontata.



Il Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore 2010 è un giano bifronte un po' birichino perché se è vero che ha un olfatto "maturo" caratterizzato da note di idrocarburo e frutta gialla polposa, senza dubbio c'è anche la certezza che quando lo bevi ti rinvigorisce l'anima con la sua vibrante giovanezza tutta sale e acidità. Bellissimo vino che potrà dare in futuro ancora molto.



Riccardo porta in tavola il Cru aziendale ovvero il Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore "Rincrocca" che degustiamo nelle annate 2013 e 2012. Il vino deriva dalle uve di un unico vigneto del 1972 situato poco distante dalla cantina che, a detta dello stesso Baldi, vanta la migliore esposizione della zona generando acini particolarmente grossi e compatti. Rispetto al "base" vinificato in accaio, questo Verdicchio affina per circa un anno in vasche di cemento e altri sei mesi in bottiglia prima di essere commercializzato. 



Rincrocca 2013 l'ho definito come una stella che sta per esplodere visto che, causa gioventù, ha un potenziale ancora inespresso. Per ora è compresso nelle sue sensazioni di frutta gialla, anice, erbe aromatiche e sensazioni salmastre. Sorso austero ma di grande struttura e persistenza.



Rincrocca 2012 è più espresso ed è una esplosione di agrumi, fiori bianchi e salgemma. Berlo è un vero piacere, Riccardo è riuscito infatti a fornire al vino una fervida armonia incalzata senza soluzione di continuità da una spinta minerale che rende questo Cru davvero estroverso. Evolverà e io non sarò più su questa terra...


Riccardo Baldi - Foto: www.matogvinnett.no

Lasciamo Riccardo tre ore dopo con la convinzione che sto ragazzo farà ancora tanta strada. Basterà seguire le sue orme ma, attenzione, il Baldi va velocissimo!!


Malvasia delle Lipari Passito 2012 – Lantieri Punta dell’Ufala. Il VINerdì di Garantito IGP

Di Roberto Giuliani


Ci vuole del coraggio per fare un vino così, dedizione, la vigna trattata come una figlia. Non ti ripaga, questo è certo, poche migliaia di bottiglie, lei lo fa per puro amore, ogni anno è una dura battaglia, un bene prezioso che non ha eguali, il Vulcano dolce e profondo di Paola Lantieri…

Montepulciano d'Abruzzo Villa Gemma 1993 Masciarelli: oltre ogni tempo - Garantito IGP

Di Roberto Giuliani

Ho avuto la fortuna di conoscere Gianni Masciarelli nel lontano 1999, in occasione di un importante evento romano, ricordo molto bene l'energia che trapelava dai suoi occhi, la voglia inarrestabile di raggiungere obiettivi da chiunque altro inimmaginabili. Si può dire tutto di lui, ma non certo che mancasse di volontà e di idee, è stato sicuramente uno degli uomini cardine dell'enologia moderna, la sua azienda di S. Martino sulla Marrucina (CH) è riuscita a portare alla ribalta internazionale un vino di cui ben pochi sapevano, e quello che sapevano era spesso confuso, del resto il suo Montepulciano era solo e soltanto suo, concepito secondo la sua personalissima visione.


Così scrissi di lui quell'anno:

"Il suo sogno è sempre stato quello di fare il vino più emozionante del mondo; può sembrare un'aspirazione un po' eccessiva e irraggiungibile, ma lui è fatto così, è esagerato nei sogni, nelle aspirazioni, nella cura meticolosa con la quale gestisce la sua azienda, nell'impegno estenuante che mette in vigna ed in cantina, seguendo in prima persona ogni singolo passaggio, fino all'imbottigliamento e alla spedizione. Gli uomini che lavorano con lui, collaboratori, vignaioli, cantinieri, sono rimasti inevitabilmente contagiati e trasportati in quest'enfasi, quest'energia vitale che col tempo ha finito per trasferirsi inevitabilmente (e con nostra grande gioia) nei suoi vini.
Ed il suo grande amico e maestro, Edoardo Valentini, il "folle" che ha creduto nel Montepulciano e nel Trebbiano, vitigni considerati senza speranza persino dagli enologi più esperti e blasonati, gli ha passato in qualche modo la sua esperienza e quella stessa carica che in tutti questi anni gli hanno consentito di diventare un mito, non solo in Abruzzo, ma in tutta la penisola. L'intento di Masciarelli era quello di valorizzare al massimo queste uve e dimostrare che, se si studia seriamente il terreno su cui è giusto impiantare, se si opera una selezione clonale accurata, se si dà realmente il tempo alla natura di consentire a queste piante di acclimatarsi (e ci vogliono almeno vent'anni!), soltanto allora si potranno ottenere dei risultati veri, non dettati dal caso, ma dalla grande esperienza maturata, dalla capacità di sapere interpretare il vitigno, l'annata e tutte le possibili varianti che si presentano durante il ciclo riproduttivo delle piante.
E' così che si arriva a produrre i vini "pensati", senza scorciatoie, senza trucchetti, senza ragionare in termini di business. E per fare questo ci vuole un amore viscerale per la propria terra, un grande rispetto per la natura ed una forza di volontà incrollabile. Tutto questo è Gianni Masciarelli, che ci sta regalando ormai ogni anno, senza sbagliare un colpo, degli autentici gioielli enologici".

Sono passati quasi 8 anni dalla sua prematura scomparsa, aveva solo 53 anni, ma l'azienda continua ad andare alla grande grazie anche alla dedizione e bravura di Marina Cvetic, sua giovane sposa che a soli 20 anni è divenuta direttore commerciale e dalla morte di Gianni, pur madre di tre figli, è riuscita non solo a mantenere in piedi un piccolo impero, ma addirittura a dargli equilibrio, continuità. Oggi l'azienda dispone di oltre 300 ettari suddivisi fra le quattro province abruzzesi e copre i mercati di oltre 50 Paesi.
Quello di aprire il Villa Gemma 1993 e raccontarvelo è stato un pensiero maturato dopo giorni e giorni, ogni volta rimandavo, prendevo tempo, anche perché questa era l'ultima bottiglia a mia disposizione di quel millesimo. Alla fine mi sono detto "il vino è fatto per essere bevuto", 23 anni non sono pochi, perché rischiare di trovarla rovinata? Ma figurati! Come poteva succedere? A meno di un tappo bastardo, difficilmente questo vino gelosamente custodito nella mia cantinetta climatizzata poteva rovinarsi, tanta è la materia che lo ha forgiato.


La prima cosa che mi ha colpito è stato il colore, certamente granato, ma di una intensità e concentrazione ancora potente, non c'era verso che la luce lo attraversasse. Ovviamente gli ho dato il tempo di ossigenarsi, è rimasto nel calice parecchi minuti, durante i quali percepivo continui movimenti e mutamenti: i primi minuti le note terziarie e il goudron ne hanno marcato il ritmo, ma poi si è via via aperto, rinfrescandosi e ringiovanendosi, rivelando ancora una spinta fruttata matura ma non ossidata, l'amarena, la mora, la prugna in confettura, cacao, pepe, sottobosco, fogliame umido, pelle conciata, foglia di tabacco e una nota straordinariamente balsamica e mentolata che ne suggellava l'ancora notevole vitalità.

Una volta assaggiato non ho avuto più dubbi, il vino stava meravigliosamente, quella struttura e alcolicità, la concentrazione di materia, tutto ha trovato una perfetta armonia, restituendo un vino di straordinaria integrità e bellezza.
Il bello del Villa Gemma sta proprio in questo, a parità di potenza e profondità, solo un grande Barolo può reggere tanta massa per oltre vent'anni senza appesantirsi, perdere grinta, al contrario è un esempio fulgido di una visione adulta, matura, saggia, ma ancora maledettamente giovane. Un grandissimo vino, avercene ancora...