Dom Pérignon rosé racchiuso nella scultura di Jeff Koons. Sì, accade anche questo!

Dom Pérignon annuncia la collaborazione con Jeff Koons. A partire dallo scorso anno, l’azienda di champagne più celebre al mondo e lo scultore statunitense hanno sperimentato una collaborazione straordinaria, culminata nella presentazione, a New York il 26 giugno 2013, di Balloon Venus for Dom Pérignon. Koons, vera e propria icona vivente dell’arte contemporanea, ha presentato Balloon Venus for Dom Pérignon per rendere omaggio alla forza di un’energia creativa inesauribile. L’oggetto decorativo nato da questo connubio accompagnerà e incarnerà il Rosé Vintage 2003 quando ne verrà stappata pubblicamente la prima bottiglia.

INCONTRI CON ARTISTI STRAORDINARI - Tra le precedenti collaborazioni creative si possono annoverare la collezione disegnata con Marc Newson, un omaggio ad Andy Warhol, la collaborazione con Karl Lagerfeld, un’edizione limitata con David Lynch e progetti creativi che coinvolgono Robert Wilson, Lang Lang, John Legend Alexandre Desplat. Quest’anno, nella briosa anticipazione di un’auto-riscoperta, Dom Pérignon scende nell’arena con Jeff Koons.


Foto: Ufficio Stampa

DOM PÉRIGNON È SOLO VINTAGE - La mente visionaria di Dom Pierre Pérignon, accompagnata dall'eccezionale audacia di dichiarare, alla fine del XVII secolo, di produrre “il miglior vino del mondo” è ancora oggi la pietra miliare del processo creativo Dom Pérignon. Oggi tocca allo chef de cave Richard Geoffroy creare i vintage Dom Pérignon, in un’opera ispirata di assemblage che perfeziona e rinnova in modo perpetuo un equilibrio fragile e misterioso: il dualismo di bianco e nero, le due varietà di Chardonnay e Pinot Noir, reinventando ogni anno l’unicità Dom Pérignon. Dopo l’invecchiamento, lo chef de cave Richard Geoffroy compie l’affinatura finale prima di presentare il nuovo vintage.

LA RINASCITA DI UN OGGETTO GIOIOSO - Creata da Jeff Koons per Dom Pérignon, Balloon Venus for Dom Pérignon è un oggetto decorativo che, aprendosi, svela una bottiglia di Dom Pérignon Rosé Vintage 2003. Ispirata alla Venere di Willendorf, statuetta del Paleolitico ritrovata in Austria e risalente al 23.000 a.C. circa, la scultura Balloon Venus di Koons propone al pubblico un nuovo genere di idolo: una dea dell’amore dei tempi moderni che avvolge in curve cangianti chi la osserva.  Attraverso trasformazioni radicali Koons approda a un simbolo dell’energia creativa: “Balloon Venus simboleggia l’energia creativa e apre un dialogo con la Storia”, ha precisato l’artista. Un ponte tra passato e futuro, un atto di rinascita che è al centro dell’universo Dom Pérignon, visto che ogni nuova cuvée reinterpreta l’eredità del vino: “La continuità di Dom Pérignon prosegue fin dalle sue origini. Si tratta di vita, energia, che deve essere guidata attraverso i vintage, lungo una prospettiva temporale. Questi sono gli aspetti affascinanti della vita e dell’energia”, ha fatto eco Richard Geoffroy.

Foto: Ufficio Stampa
IL POTERE DELLA CREAZIONE - Il nuovo Rosé Vintage 2003 è fatto di estremi. Il colore è brillante, con chiari riflessi ambrati e ramati. Il bouquet esplode platealmente dal voluttuoso corpo vellutato, proprio come la superficie cangiante del porta-bottiglia avvolge chi lo osserva in un dinamico invito alla prova. Un’edizione limitata, progettata e firmata da Jeff Koons, sarà presentata il 10 settembre 2013. Dom Pérignon by Jeff Koons prende forma in due confezioni regalo: una per il Dom Pérignon Vintage 2004, l’altra per il Dom Pérignon Rosé Vintage 2003. (R.M.)

Foto: Ufficio Stampa

Ogni pezzo è creato esclusivamente su ordinazione e costa la bellezza di 15.000 euro!!

Maggiori info su sul sito www.domperignon.com/dpballoonvenus.

Articolo tratto da: toBE - Inside Luxury

Trebbiani d'Abruzzo: Emidio Pepe, Valentini e Marina Cvetic

Davanti a me ci sono tre bicchieri di trebbiano, quasi un dito di vino ciascuno, il sommelier ha centellinato bene la bottiglia perchè con una gli è stato chiesto di soddisfare circa 15 persone. Vabbè, vuol dire che se mi ferma la stradale non avrò problemi col palloncino.
Il trebbiano è stato versato alla cieca ma, fin da subito, è chiaro il "manico" da cui provengono. Tre grandi nomi, non solo d'Abruzzo: Emidio Pepe, Valentini e Marina Cvetic. Ovvio, i primi due sono la storia del vino abruzzese mentre Marina, col suo vino bianco, è quasi una new entry anche se non va dimenticato che è una Masciarelli. Un nome, una garanzia.

Il primo trebbiano porta il nome di Emidio Pepe ed è un 2011. L'azienda non ha bisogno di presentazioni, soprattutto il suo fondatore che con 50 anni di vendemmie sulle spalle potrebbe scrivere un libro sulla cultura contadina della sua Regione. Questo trebbiano, proveniente da agricoltura biodinamica, è stato ottenuto pigiando le uve con i piedi e fermentando in vasche  cemento vetrificate da 22 o 30 hl senza aggiunta di lieviti selezionati. Poi, viene imbottigliato a mano con sifone e cannella di canna, senza chiarificare e senza filtrare. Il risultato nel bicchiere è un trebbiano che, ad oggi, sembra prendere le sembianze dello stesso Emidio: diretto, schietto, rustico, bucolico. Profumi di cappero, senape, iodio, mandorla amara si intersecano in una struttura che regala sensazioni palatali semplici ma efficaci. Purtroppo manca un pò in persistenza. Forse è troppo giovane per essere valutato?


Foto: Scatti di Gusto

Quando si parla del vino di Valentini, Trebbiano o Montepulciano indifferentemente. bisognerebbe solo alzarsi in piedi per applaudire visto quello che hanno rappresentato e rappresentano per tutti il territorio abruzzese. Poi c'è chi li ama o chi li odia per la sua presunta variabilità ma, questo, è un altro film che magari un giorno approfondirò.
Nel bicchiere ho l'annata 2011 del Trebbiano di Valentini, mi scappa da ridere nel dover esaminare quasi chirurgicamente il profilo olfattivo e gustativo di un vino che andrà avanti fin dopo la mia morte. Oggi, però, devo fare il bravo sommelier per cui metto il naso nel bicchiere da cui proviene da subito una perentoria nota di fumè che riporta la mente alla Loira. Col tempo, ossigenandosi, il vino diventa salmastro, fresco di mezzetinte iodate, fluviali e di macchia mediterranea. La bocca, pur essendo giovanissimo, si rivela per un perfetto equilibrio tra note saline e minerali, con una persistenza già da primato che chiude il sorso su sensazioni di oliva nera e gesso. Cosa potrà diventare dopo lo sa solo la Natura...

Foto: blindtastingclub.net 

Marina Cvetic è stata e sarà l'inseparabile moglie di Gianni Masciarelli, grande vignaiolo di S. Martino sulla Marrucina che, ben prima della sua tragica scomparsa, aveva deciso di dedicare alla sua compagna di vita una linea di vini che portasse il suo nome. Marina, coadiuvata dai suoi tre figli, oggi è indubbiamente il fulcro dell'azienda che conta circa 320 ettari coltivati a vigneto, disseminati in 14 comuni nelle province di Chieti, Teramo, Pescara e L’Aquila. 
Il Trebbiano d'Abruzzo 2009 Marina Cvetic è un vino totalmente diverso dai precedenti visto che fermenta in legno e, soprattutto, affina in barrique di rovere francese per circa 22 mesi. Pertanto, il profilo olfattivo risulta decisamente morbido e accattivante nelle sue nuance di crema pasticcera, bergamotto, arachide, fiori gialli macerati. Al sorso è denso, rotondo, dall'ottimo equilibrio tra alcol (siamo a 14,5%) e vena sapido/minerale. Finale lungo ed ammandorlato. Un trebbiano dallo stile moderno che andrebbe aspettato pazientemente per potersi esprimere al meglio. Grintoso.

Foto: www.saywine.it 

Questo è il volto del Trebbiano d'Abruzzo, tre vini per tre interpretazioni diverse, così come le storie che li accompagnano. Tanti altri esempi ci sarebbero, scopriamoli assieme, vi va?

Regali di Natale inutili: Wine Apothecary, ad esempio

Quanto mi diverto, soprattutto durante le feste, a trovare i regali inutili per noi appassionati di vino.
No, non sto parlando dei classici decanter o dei piccoli termometri per misurare la temperatura del vino che ormai hanno invaso ogni negozio o sito web di regalistica e gadget. Troppo scontato! 

Di questi tempi, invece, mi sto sbellicando dalla risate andando a scoprire le nuove frontiere della vinificazione casalinga che, sopratutto negli Stati Uniti, sta dando vita ad una serie di strumenti abbastanza singolari. 

Entriamo nel dettaglio?

La prima realtà che ho scoperto in merito si chiama Wine Apothecary (il farmacista del vino) e, come scrive Billy Dim, l'inventore, trattasi letteralmente di "....un nuovo concetto rivoluzionario dove il consumatore può creare e progettare, comodamente a casa sua, una miscela di vino personalizzata. Per la prima volta, l'appassionato può prendere parte al processo di vinificazione confezionando un vino su misura per lui....".

Vabbè, quindi, come funziona sta cosa? In pratica il progetto parte dal presupposto che l'appassionato, per crearsi il suo vino, ha a disposizione quattro tipologie di vino base fornite da Wine Apothecary: un merlot, un cabernet sauvignon, un syrah e una grenache. Il secondo passaggio, fondamentale, è capire se vuoi fare il piccolo chimico a casa oppure on line. Nel primo caso, infatti, ti verrà inviato a domicilio il Kit composto da quattro campioni di vino da 0.375ml, una ampolla da 250ml, una pipetta da 10ml e un manuale di istruzione per usare al meglio il tutto. 

Il kit che arriva a casa
Il vino...creato

Cosa fare con tutto ciò? Ovviamente il sito web ci dice che possiamo fare col kit tutte le cuvée che vogliamo finchè non arriviamo a creare il nostro vino ideale. Una volta raggiunto questo obiettivo si devono inserire su WineApothecary.com le percentuali del nostro vino e progettare la nostra etichetta personalizzata. In poche settimane il team di Wine Apothecary creerà e confezionerà il prodotto che verrà recapitato a casa.

La seconda soluzione, meno suggestiva, prevede la possibilità di fare tutto on line usando un apposito menù a tendina, uno per ogni vitigno, e cliccando sulle relative percentuali. Anche in questo caso c'è la possibilità di creare e personalizzare l'etichetta.







































Il prezzo per tutto questo divertimento? Il kit mandato direttamente a casa costa circa 130$ mentre on line si risparmia un pochino e per tre bottiglie del nostro vino pagheremo circa 90$. 

Ora, per cortesia, mi dite quanto è inutile e costoso sto giochetto??


Lo Jo di Gianfranco Fino è il negramaro di Manduria!

Gianfranco e Simona Fino ed ES, un binomio vincente che ormai tutti gli appassionati di vino hanno imparato a conoscere grazie anche ai tanti premi ricevuti negli ultimi anni. 
Quello che forse non tutti sanno è che coniugi Fino non si sono limitati a produrre solo grande Primitivo di Manduria visto che l'ES, da quasi otto anni, ha un fratello chiamato JO (100% negramaro) che di minore ha solo l'età.


Simona Fino
La nobiltà di questo vino, la sua storia, inizia infatti nel 2005 con la ricerca del vigneto, faticosissima, perchè in zona Agro di Manduria è cosa rara trovare qualcosa diverso dal primitivo che, spesso, è stato impiantato sostituendo proprio quel negramaro che Fino cercava e che ha trovato, bontà sua, in zona San Pietro in Bevagna (Contrada Marina), a circa 800 metri dal mare. Un ettaro di vigna ad alberello di oltre 40 anni di età le cui radici affondano sulla terra rossa, di medio impasto, producendo mediamente 800 grammi di uva che viene vinificata in tini di acciaio da 70 hl per una durata che va dalle due alle tre settimane. Dopo la svinatura, il vino passa in barrique di rovere francese, nuove per il 50%, per circa 10 mesi prima di essere messo in bottiglia ed affinare altri sei mesi. Produzione media pari a 2500/3000 bottiglie.


Lo scarso timore reverenziale verso il fratellone ES l'ho potuto constatare qualche tempo fa a Roma, presso il St Regis, dove è stata organizzata una bellissima verticale di JO partendo dalla prima annata, la 2006, fino ad arrivare all'ultima, la 2012. Il millessimo 2009 non è stato mai prodotto visto che le uve, causa maltempo, non sono state ritenute idonee a produrre il vino. La 2007, invece, non è stata messa in degustazione in quanto merce rarissima anche nella cantina personale del produttore.


JO 2012 - Gianfranco Fino: l'annata, dai Fino, è considerata molto promettente e dopo aver messo il naso nel bicchiere non alcun dubbio circa le loro previsione. Ventaglio aromatico ricco e lussureggiante che sembra tirare dentro di sè la macchia mediterranea che da tempo immemore circonda la vigna da cui proviene il vino. Difficile non sentire il mirto, il timo, la maggiorana, l'origano, il cappero selvatico, la frutta rossa bella croccante e un pizzico di salsedine che ci ricorda la vicinanza del mare. Il sorso inizialmente ha un attacco morbido che, subito dopo, viene bilanciato dalle durezze acido/sapide del negramaro che, complice un tannino ben definito nonostante la gioventù, continua la sua elegante spinta in bocca che termina regalando una persistenza sapida, quasi marina, che disegna i contorni unici di un terroir unico come quello dell'areale di Manduria.



JO 2011 - Gianfranco Fino: rispetto al precedente il quadro olfattivo è meno "irruento" e la macchia mediterranea cede il passo a sentori leggermente più austeri di mineralità rossa che si completa stavolta con ampi tratti iodati e salmastri ben mitigati col passare del tempo da una nota di fiori rossi da diario di grande eleganza. La bocca, sempre rispetto la 2012, ha un profilo più rigoroso grazie soprattutto ad un tannino che ancora ruggisce donando una struttura più maschia al vino. Finale caldo, avvolgente, su toni "capperosi" e salamastri. Ha ancora tanta, ma tanta strada da fare questo JO...

JO 2010 - Gianfranco Fino: immaginate ora di prendere tutte le sensazioni più belle ed espressive descritte nei precedenti vini e di fonderle, usando una formula alchemica, all'interno di un unico vino aggiungendo classe, stile e purezza senza tempo. Un piccolo capolavoro dove la frutta rossa, le erbe aromatiche, i fiori rossi, le spezie, i legni orientali, la mineralità, la liquirizia raggiungono al naso equilibri circensi per poi esplodere letteralmente al sorso caratterizzato da tannini fittissimi e setosi, freschezza marina e da una persistenza balsamica infinita. Credetemi, un grandissimi negramaro, un grandissimo vino e uno dei migliori assaggi del 2013. Chapeau!


JO 2008 - Gianfranco Fino: dopo il "piccolo mostriciattolo" precedente sarebbe stata dura per qualunque vino ma questo negramaro, evidentemente, aveva un asso nella manica e se l'è giocato al meglio visto che mi ha affascinato col suo stile "minimal". Mi spiego: questo JO è pura sostanza ed essenzialità, ti parla di mare senza mostrarti le onde, ti rivela il volto segreto della terra di Manduria senza mostrarti le coordinate, è un vino spogliato di ogni eccesso, è la tua donna senza trucco. Sorso strutturato, di trama fitta ben sostenuta dalla morbidezza. Non cede nulla al tempo perchè il tempo l'ha già soggiogato. Vino mentale.

JO 2006 - Gianfranco Fino: le prime annate, per molti vignaioli, sono sempre un pò di prova, a volte sono drammatiche. Gianfranco Fino, probabilmente nella sua inconsapevolezza, è riuscito a creare un vino che, dopo quasi otto anni di affinamento, ha caratteristiche più da village di Borgogna che pugliesi. Rubino scarico nel colore, ha un ventaglio aromatico che prende la forma de ribes e del lampone, frutta freschissima e lievemente balsamica che trasforma il sorso in una deliziosa conferma dove la vibrante freschezza è punteggiata da una profonda impronta minerale e fruttata. E' un vino cristallino, leggero, sartoriale, dalla beva travolgente. Alla cieca potrebbe infinocchiare più di qualche grande degustatore. Voi, se ne avete una bottiglia in cantina, siete dei privilegiati!


Bicchieri vuoti.....

Anthemis 2006, da Samos arriva il moscato liquoroso della Union of Vinicultural Cooperatives of Samos (EOSS)

"Caro Andrea, dopo averti fatto degustare tre ottimi vini bianchi di Grecia e un grande rosso a base Mavrodaphne, il finale della nostra degustazione non può non essere dolce. Ti ho portato in tal senso un vino liquoroso di Samos, un'isola di cui ti parlerò a breve, che ritengo abbia un rapporto qualità prezzo eccezionale. E poi è fatto da una cooperativa storica dell'isola....".

Il mio amico Costa Linardos, che molti di voi avrete imparato a conoscere grazie al sito Ellenika.it, ama tremendamente il suo lavoro ed è un fiume in piena mentre, versandomi il vino nel calice, mi contestualizza l'ultima degustazione.

"Sai, Andrea, Samos è una bellissima isola che si trova proprio nel cuore dell'Egeo Settentrionale ed Orientale distando circa 1200 metri dalla Turchia dalla quale è separata dal canale  "Eptastadio", (chiamato Bogaz Dar in turco). A nord, invece, abbiamo l'isola di Chio mentre a sud troviamo le isole del Dodecanneso, in particolare Patmo. L'isola si estende per circa 500 km2 e presenta una morfologia particolare visto che, dalla collina, si passa verso il centro ad un aspetto prettamente di montagna visto che la cima più alta, chiamata monte Kerketeas, 1443 m, è anche il punto più alto di tutte le isole del Mar Egeo Nord-Orientale. Storicamente, poi, è stata importante visto che ha dato i natali a Pitagora, nato a Samos nel 575 a.C., ed è stata patria mitologica della dea Hera, sorella e una delle spose di Zeus".


Costas potrebbe andare avanti per ore a parlare della sua terra di origine ma gli chiedo si parlarmi dei produttori di questo vino visto che trattasi di una storica cooperativa del posto. "Sai Costas - ammetto - questo tipo di realtà in Italia non è che offrono spesso grande qualità. In Grecia è diverso?"

"Andrea, non conosco molto la realtà italiana ma, in una piccola isola come Samos, l'economia locale è fondamentale per cui da queste parti, per sopravvivere, si deve necessariamente fare qualità. L'Union of Vinicultural Cooperatives of Samos (EOSS) è un consorzio storico fondato nel 1934 con la partecipazione di 26 cooperative locali che rappresentano tutti i viticoltori dell'isola. L'obiettivo, fin dall'inizio, è quello di tutelare i diritti dei viticoltori cercando di proteggere, al contempo, i loro introiti. Sembra scontato tutto questo ma fino al 1933 a Samos tutto il vino veniva venduto ai mercanti francesi che pagano pochissimo i vignaioli. Per contrastare tutto ciò il governo ellenico ha dovuto emanare una legge ad hoc che obbligava tutti i produttori di uva ad iscriversi ad una delle 26 cooperative agricole riunite, successivamente, nell'EOSS. Il primo vino della cooperativa è stato venduto nel 1939 e, ovviamente, è stato un moscato, l'uva regina dell'isola di Samos. 
Questa uva è coltivata da queste parti fino dal 1200 a.C. ed oggi sembra sia lo stesso clone del Muscat de Frontignan francese. Il vino moscato è protetto dalla denominazione Samos, e i vigneti, che si estendono per circa 1600 ettari lungo i pendii terrazzati del monte Ambelos. A Samos il 97% delle vigne è a moscato mentre il restante 3% è coltivato a ritino e fokiano, uve a bacca rossa usati per la produzione di rosati".


I vigneti
I terrazzamenti
Le vecchie vigne ad alberello
Mentre mi immergo nella realtà greca per pochi minuti, l'Anthemis 2006 mi aspetta bronzeo nel bicchiere, forte dei suoi 5 anni di invecchiamento in botti di legno, con un naso che si schiude in un bouquet ampio e sfaccettato dove al fico secco e al dattero, seguono note di miele di castagno, cacao, caramella mou, vinaccia, il tutto incorniciato in una elegante nota di legno antico e tabacco da pipa. 


La bocca è agile e dinamica nella sua grande ricchezza. La note dolce iniziale cede subito il passo a sensazioni più fresche che riequilibrano subito il palato, alleggerendolo, e spingendo il finale verso sensazioni e sapori interminabili.

Le botti in cantina
Noi, grazie ad Emanuele Fiorelli, lo abbiamo provato assieme a delle tartine di gorgonzola e fichi secchi e, devo dire, l'abbinamento si è rivelato decisamente angelico.
Ottimo anche come vino da meditazione, magari accompagnato da un sigaro cubano e dal tramonto dell'isola di Samos. Che ne dite?

Foto: Turistipercaso.it

Se andate su Ellenika.it trovate la bottiglia da 0.75 a circa 13 euro. Un prezzo piccolo per un vino dalla grande tradizione. Che aspettate?




Associazione Italiana Sommelier o Fondazione Italiana Sommelier. Facciamo chiarezza?

Ieri un pò tutti noi sommelier del Lazio ci siamo svegliati con una bella mail del Presidentissimo Ricci che così ci ha scritto:
Agli Amici Sommelier del Lazio

Carissimi,

il percorso che abbiamo compiuto in questi 23 anni qui nel Lazio come Associazione Italiana Sommelier Roma è diventato un fenomeno epocale, premiando così gli sforzi di chi ha voluto fermamente professionalità e qualità nella comunicazione efficace del Vino. Ma soprattutto il miracolo è avvenuto grazie al vostro Entusiasmo e alla vostra Passione nel sostenere ogni attività. Nulla si sarebbe realizzato senza i vostri copiosi suggerimenti. Idee, Riflessioni, Proposte sono state sempre colte per trasformarle in Progetti Iniziative Attività a favore della nostra Associazione.

Si sono così realizzati più di 200 Corsi per Sommelier con oltre 20.000 Allievi, oggi Sommelier, raggiungendo circa un milione e mezzo di presenze tra le varie attività di degustazione. Un Record!
E grazie a questo vostro grande contributo si sono da tempo accesi i riflettori sul nostro modo di divulgare la Cultura del Vino Italiano. Luci che hanno raggiunto le Istituzioni in Italia e nel mondo.
Tutto ciò ci ha fatto recepire un’implicita richiesta di continuare il nostro lavoro in una veste sempre più Istituzionale, sempre più disponibile a rappresentare questo meraviglioso Made in Italy che è il nostro Vino.
Per questo Motivo e con la consapevolezza dell’importanza del Lavoro svolto insieme in questi anni, dal 9 Dicembre 2013 Associazione Italiana Sommelier Roma aderisce alla Fondazione Italiana Sommelier, Ente appositamente costituito per elevare ancora di più lo spessore del nostro lavoro di divulgatori della Cultura del Vino e dell’Olio di qualità.
La Fondazione Italiana Sommelier avrà il Riconoscimento Giuridico dello Stato e l’Accredito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché presso i Ministeri della Cultura, degli Esteri e delle Politiche Agricole.
La Fondazione, con Associazione Italiana Sommelier Roma, realizzerà il Corso di Qualificazione Professionale per Sommelier con il Riconoscimento Giuridico dello Stato, unico corso per Sommelier in Europa a possedere tale importante requisito.
La quota di Rinnovo all’Iscrizione scende dagli attuali 130 Euro a 100 Euro l’anno, pur continuando a garantire al Socio l’acquisizione di Sommelier Notizie per la partecipazione a tutte le Attività a Roma e nel Lazio per sé e per due suoi amici, di BIBENDA la rivista nata per rendere più Seducenti la Cultura e l’Immagine del Vino e BIBENDA la Guida ai Migliori Vini e Ristoranti d’Italia.
In allegato il modulo per il vostro Rinnovo, disponibile anche online su http://www.bibenda.it/rinnovo_iscrizioni_aisr.php
Vi auguro di partecipare a tutti i grandi momenti del Vino preparati per Voi nella nostra Regione, invio di Cuore gli Auguri più cari di un sereno Natale a voi tutti e ai Vostri cari con i quali vi auguro di bere le migliori bottiglie!
Franco M. Ricci

E' chiaro che da un pò di tempo Bibenda, Franco Ricci e l'AIS nazionale di Maietta non si amano più come una volta ma, a noi semplici utenti, questo deve interessare il giusto. Quello che importa, per amore di chiarezza e per ponderare future scelte, anche dolorose, è capire come stanno le cose OGGI in virtù della mail precedente che, magari per mie lacune, considero abbastanza fumosa e sibillina. 

Foto:www.winenews.it

Ciò che mi chiedo riguarda i rapporti tra la Fondazione e l'AIS nazionale di Maietta. La prima è autonoma rispetto all'Associazione della quale faccio ancora parte? Questa operazione è stata una forzatura di Ricci? L'AIS nazionale può lasciar fare ciò che vuole alla delegazione di Roma? Se Ricci esce dall'AIS perchè allora, creando confusione nell'associato, usa logo e scritta dell'Associazione Italiana Sommelier Roma e Lazio? I soldi del rinnovo a chi vanno?


Domande, tante domande, alle quali cercherò di dare risposte rapide. Maietta, intanto, su EnoRoma ha dichiarato pubblicamente che......


AGGIORNAMENTO: uscito editoriale di Maietta che potete leggere qua sotto

Che l’aria fosse cambiata l’avevo nitidamente percepito durante il recente Congresso AIS a Firenze, quando la mia relazione all’Assemblea Generale dei Soci è stata interrotta più volte dagli applausi, soprattutto quando ho detto che “l’AIS non è mai stata e mai vorrà essere un’Associazione elitaria” e, quasi al termine, quando ho annunciato che “l’orientamento del Consiglio Nazionale va verso l’emancipazione della componente editoriale.
C’è qualcosa di male quando un’Associazione ipotizza di camminare con le proprie gambe senza ricorrere a costose stampelle nient’affatto disinteressate? Eppure quest’annuncio ha aperto una frattura, presumo studiata da tempo, vista la rapida tempistica con cui si è palesata, con l’uscita dall’AIS della costola periferica della capitale.
In attesa che gli esperti di questioni legali dicano se è proprio ortodosso che siano i vertici di un’associazione regionale a decidere sulla testa dei propri affiliati – i quali, si badi bene, ancor prima di essere soci di una realtà territoriale, sottoscrivono l’adesione all’Associazione Italiana Sommelier (scritta proprio così, senza altre accezioni di luogo) –, un risultato l’abbiamo finalmente raggiunto: è la fine di un incubo.
Non c’è nulla di male se una persona, un gruppo di persone, un intero sodalizio decidono di intraprendere altre strade. È già successo in passato e chissà quante altre volte accadrà in futuro. L’autodeterminazione è una prerogativa assolutamente legittima. La prassi, ma ancora di più la correttezza, suggeriscono tuttavia che, prima di traghettare un’intera compagine di soci in un organismo nuovo, si chieda loro il parere. Magari attraverso un’Assemblea regolarmente convocata, spiegando bene che l’adesione ad un nuovo consesso comporta inevitabilmente l’incompatibilità con il precedente. Poi ciascuno farà consapevolmente le proprie scelte.
Abbiamo letto un proclama con i verbi declinati al futuro: “avrà”, “realizzerà”. Ben venga quindi chi avrà la possibilità di fare qualcosa per il mondo del vino, sebbene non si comprenda il motivo per cui tutte queste opportunità non siano state proposte e percorse in passato, in virtù del sempre decantato “fare squadra”. Come Associazione Italiana Sommelier vi diciamo semplicemente: cari Soci e cari Amici, potete stare tranquilli. Oggi abbiamo gli anticorpi, le risorse umane e quelle economiche per superare ogni criticità. Oggi l’AIS è più unita, coesa e orgogliosa che mai.
Fine di un incubo perché, per quanto ci riguarda, se il profilo della cultura del vino sarà da oggi magari meno seducente e meno patinato, sarà anche meno pomposo, meno saccente, meno arrogante e meno sbruffone. Prerogativa di chi è realmente competente e non deve mascherare altrimenti la propria insipienza. In questa circostanza l’Associazione Italiana Sommelier (scritta proprio così, senza altre accezioni di luogo), quella che in Italia e nel Mondo raccoglie circa 30.000 aderenti, farà meno fatica a spiegare all’esterno che alcune discutibili esternazioni, alcune rancorose ritorsioni, alcune inspiegabili decisioni, non appartengono al proprio patrimonio di valori.

Antonello Maietta

Il Turriga di Argiolas in 20 annate

Il Turriga, uno dei vini più premiati d'Italia, ha festeggiato a Roma il ventesimo compleanno con una storica verticale presso l'AIS Roma con la presenza di Francesca Valentina Argiolas e dello storico enologo Mariano Murru

Venti vendemmie, un vino e una storia famigliare da raccontare che inizia fra gli anni settanta e ottanta del novecento quando la Comunità Europea offriva incentivi per espiantare le viti. 
In Sardegna, quando era più facile ed economico espiantare viti, la famiglia Argiolas, capeggiata da Antonio, padre, patriarca e fondatore della cantina, decise di andare contro corrente  non solo decidendo di conservare ogni vitigno ma, inoltre, di produrre finalmente grandi vini di territorio.

Antonio Argiolas - Foto: http://www.unionesarda.it

Per raggiungere questo obiettivo Antonio, assieme ai figli Franco e Giuseppe, decide di investire pesantemente ammodernando l'azienda, compresi vigneti (gli impianti a tendone vengono rimpiazzati da quelli ad alberello) e processi di produzione, e puntando decisamente sulla riqualificazione dei vitigni autoctoni come il Cannonau, il Carignano, la Malvasia Nera e il Bovale.

Antonio e i suoi figli, in quel periodo, volevano anche di più: creare un vino in grado di confrontarsi con i grandi rossi italiani ma che nascesse dai vitigni tradizionali sardi. C'è una frase che Franco e Giuseppe usano per raccontare quei momenti:"Babbo voleva fare la Bottiglia!".

Quelli erano gli anni della nascita del mito del Sassicaia e chiamare Giacomo Tachis, enologo di Incisa della Rocchetta e grande amico degli Argiolas, fu una questione abbastanza scontata anche se, tutti gli attori, si presero tutto il tempo per avviare nel modo giusto il progetto che fin dall'inizio poteva contare su una terra unica e su persone di grande spessore e umanità come Mariano Murru che fin dall'inizio affiancò Tachis nel lavoro.

Franco e Giuseppe Argiolas - Foto:http://www.civiltadelbere.com
Mariano Murru - Foto: Unione Sarda

Il Turriga, fin dall'inizio, nasce come un efficace blend di Cannonau (85% circa), Carignano, Malvasia Nera e Bovale che nascono dai vigneti di Selegas che si trovano ad un'altezza di circa 200 metri s.l.m. su terreni di tipo calcareo costituiti da un'alternanza di marne, marne arenacee e arenarie fini. Le piante, oggi, hanno circa 40 anni. Le uve, una volta selezionate, vengono pigiate e fermentate a temperatura controllata 28-32° con una  macerazione che dura generalmente oltre due settimane. Affinamento in barrique nuove per 18-24 mesi e ulteriore invecchiamento in bottiglia per 12-14 mesi.

Durante la verticale storica, guidata da Paolo Lauciani e Daniela Scrobogna, abbiamo degustato le annate dal 1998 al 2008 con l'esclusione del millesimo '96 visto che nessun Turriga quell'anno è stato prodotto.

Turriga 1988: le prime annate, dicono, non andrebbero mai prese in considerazione perchè sono sempre frutto di esperimenti un pò empirici e, come ho letto da qualche parte, l'invecchiamento di questa annata è stato effettuato in una stanza refrigerata. Il vino, di un colore granato, si presenta all'olfatto bello come il sole che illumina la frutta mediterranea che ancora è ben avvertibile assieme a sbuffi mentolati e tabaccosi. Al sorso mi piace molto, è ancora integro, sapido, l'acidità è sferzante e ancora ben piantonata all'interno di una struttura affatto traballante. Progressione decisa, su ritorni di arancia amara ed erbe aromatiche. Se tutte le prime annate fossero così..

Turriga 1989: l'annata meno importante dà vita ad un vino meno solare e più introverso con sensazioni di carruba, legno e frutta matura a bacca nera. Al sorso è meno acido del precedente ma comunque salino. Pecca in persistenza scappando via troppo presto.

Turriga 1990: nella prima annata in cui Murro ha prestato collaborazione il vino si presenta più selvatico e irruento con nette espressioni di macchia mediterranea, iodio e terra. Sorso pieno dove sapidità e acidità sono il fulcro centrale attorno al quale girano le stesse sensazioni del naso. Rispetto al solito blend aumenta per questa annata la % di carignano.

Turriga 1991: rispetto al millesimo precedente ritrovo in questo vino maggiore eleganza con un impianto olfattivo che va dal cacao, alla scatola di sigari fino ad arrivare alla scorza di agrume rosso. Bocca vibrante, agrumata, e scia finale balsamica. 

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Turriga 1992: l'annata difficile mostra, come per la '89, un vino più chiuso, profondo, dotato di un frutto maturo deciso ma poco complesso. In  bocca è diretto, senza fronzoli e dotato di scia sapida. Troppo rigido. Un Turriga in tono minore?

Turriga 1993: olfattivamente è un vino che ha dei caratteri diversi rispetto ai precedenti per via delle note di oliva, salamoia, terra, china e ginepro e per un sorso più austero e dal tannino leggermente sgranato. Finale di liquirizia. Anomalo.

Turriga 1994: naso difficile da decifrare per via di una chiusura un pò troppo ostinata che stenta a far decollare i profumi che, solo dopo un'ora, cominciano a definirsi all'interno della famiglia della frutta nera matura. Anche in bocca il vino non è di grande complessità, è diretto, sapido, acido ma manca di mordente e di progressione. Altra annata non convincente.

Turriga 1995: dopo 2/3 annate non convincenti appena metti il naso in questo bicchiere ti rendi subito conto che la musica, finalmente, è cambiata. Profumi intensi, esuberanti di macchia mediterranea, brezza di mare, sabbia, roccia, iodio, pepe bianco e tanto, tanto altro ancora, una vera sintesi olfattiva del territorio. Anche bevendolo ti accorgi che ha una marcia in più per via della sua bocca tridimensionale che vibra e ti porta via con la sua scia salata e al tempo stesso agrumata. Grande annata per un grande bicchiere di vino!

Turriga 1997: altra grande espressione di Turriga che, rispetto alla '95, diventata ora pietra di paragone, è molto meno esplosiva e più giocata su un equilibrio su scala minore. Corredo aromatico che punta decisamente sulle bacche mediterranee per poi virare sulla torrefazione, sull'agrume rosso e sul balsamico. In bocca è decisamente ottimo anche se a mio parere è un vino da bere entro breve perchè ho paura che, come tutti i '97 degustati fino a data odierna, questo millesimo non abbia molto tempo davanti. 

Turriga 1998: altra versione "alternativa" di Turriga che si dota in vinificazione, così ci dice Murru, di uve quasi surmature. Risultato? Un Amarone di Sardegna un pò spiazzante che non so quando sia stato voluto.

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Turriga 1999: l'annata di passaggio, come la definisce Murru, va a definire un Turriga che ritorna austero, sanguigno, quasi autunnale. Scompaiono per questa volta le note mediterranee e balsamiche che spesso ritrovo nel vino. Al sorso è dotato di struttura quasi da Barolo col quale ha in comune un tannino graffiante e una sferzante vena acida. Finale grafitico, quasi fumè. Noir.

Turriga 2000: Difficili, tranne eccezioni, gli anni 2000 del Turriga. Questo discorso vale sicuramente per questa annata (calda) che va a qualificare un vino dove alcol e concentrazione sono due caratteri inequivocabili di questo Turriga che si completa aromaticamente con tratti di erbe essiccate e frutta matura. Bocca calda, avvolgente, si sente che è un vino un pò zoppo anche se il finale, grazie ad una buona acidità, è di discreto equilibrio.

Turriga 2001: ritorna l'eleganza e, per certi versi, la sfacciataggine del Turriga che è marino e territoriale nelle sue suggestioni di iodio ed acqua salmastra a cui aggiungerei cenni ben evidenti di arancia rossa, mirto e timo. Palato in trasognato equilibrio, un velluto animato da grande freschezza e pennellato da ad arte con evidenti richiamai di mare e luce. Bellissima prova per un vino senza eccessi.

Turriga 2002: vino di difficile inquadramento per via del suo carattere lento ad uscire. Scuro, dai tannini graffianti, sembra essere lì per esplodere ma, per ora, rimane contratto e sottile.

Turriga 2003: al naso ritrovo la frutta matura e polposa dell'annata 2000 senza però avere lo slancio. Al sorso è orizzontale, diretto, alcolico, più da mordere che da bere. Finale leggermente amaro.

Turriga 2004: con le ultime annate in degustazione il Turriga vira sostanzialmente verso sensazioni di frutta e spezie come in questo caso dove la loro sfacciataggine è davvero imperiosa grazie a ricchissime suggestioni di amarena, ciliegia Fabbri, mora, liquirizia, tabacco mentolato. Bocca caratterizzata da un martello tannico di grande vigore e con una persistenza, lunga, che ricorda il boero. Peccato per un amaro finale forse legato al legno non ancora digerito.

Turriga 2005: al naso offre intense note di mora matura, prugna, tabacco dolce, tanta balsamicità e un pò meno spezie del precedente. Al sorso conferma la struttura e la morbidezza data dal grande estratto e dall'alcol. Peccato per una nota leggermente "verde" nel finale che ne mina la persistenza.

Turriga 2006: rispetto al precedente è leggermente più contratto al naso ma al gusto è sicuramente migliore per via di un equilibrio migliore e per una maggiore bevibilità.

Turriga 2007: l'eleganza del Turriga sembra riemergere dopo anni in cui la potenza sembra essere stata la parola d'ordine. Meno estrattivo, si caratterizza per un sipario olfattivo doce e croccante di ribes e mora di gelso combinato con cenni di legno di cedro, spezie aromatiche e grafite. Bocca di grande classe, sapida, fresca, dal tannino vellutato e dalla persistenza fruttata. Meno invadente rispetto ai precedenti vini, è forse il Turriga anni 2000 per il quale prevedo un radioso futuro.

Turriga 2008: giovanissimo, sembra di mettere il naso in un cesto di ciliege mature con accanto mazzi di viole e radici di china. Sorso in cui la dolce e cremosa struttura viene interrotta da una vibrante carica tannica. E' il ventesimo Turriga prodotto, auguri!!

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