Domaine Sigalas - Santorini 2012

Continua il viaggio nel mondo dei vini greci di qualità importati dal mio amico Costas Linardos di Ellenika.it che, conoscendo perfettamente i miei gusti in tema di bianchi, durante la bella degustazione che abbiamo tenuto presso Bancovino mi ha detto chiaramente che:"...questo è il tuo vino, lo so!"

All'inizio non capivo molto quelle parole ma poi, tirando fuori la bottiglia dalla cantinetta, ho capito che probabilmente aveva ragione. 

Un Santorini!

A molti questo nome farà tornare in mente l'estate, il sole, le vacanze e le bellissime casette bianche col tetto blu che troviamo in ogni cartolina del posto. 


Santorini - Foto:it.secondglobe.com 

A me, che sono malato di vino, Santorini fa rima con mineralità. Insomma, questa isola greca l'adoro da sempre per i suoi bianchi caratterizzati da spiccata durezza.

Costas mi apre una bottiglia di Santorini del Domaine Sigalas, importante realtà locale che è stata fondata nel 1991 grazie al coraggio di Paris Sigalas (attuale presidente), Christos arkozane e Yiannis Toundas i quali, dopo anni di puro artigianato, hanno realizzato nel 1998 la nuova cantina a Oia, nella parte settentrionale dell'isola di Santorini. 

Paris Sigalas
L'azienda, attualmente, coltiva ben 19 ettari di vigneto diviso in varietà autoctone ancora a piede franco come Athiri, AidaniMandilaria, Mavrotragano e Assyrtiko, quest'ultima coltivata in larga scala (rappresenta il 90% delle uve a bacca bianca prodotte) in quanto considerata di elevata qualità e storicità visto che ci sono ipotesi che la considerano l'uva della vecchia Calliste, l'isola che esisteva prima che la grande eruzione del 1627 a.C. creasse l'attuale isola.



Santorini, come mi conferma anche Costas, ha anche altre peculiarità nel campo vitivinicolo. La più importante, a mio giudizio, riguarda la forma di allevamento della vita che viene detta "a canestro" o, in greco, "giristi": come si può vedere dalla foto sottostante, i lunghi tralci della vigna vengono arrotolati per terra per proteggere i grappoli dal sole e dai venti carichi di sabbia e sale. Le rese, per questo motivo, sono estremamente basse e, di  media, non vanno mai oltre i 20-28 hl/ha.

Potatura a canestro
L'altra caratteristica di Santorini riguarda il suo terreno che, come facile pensare, è estremamente povero e caratterizzato quasi esclusivamente da sabbia con piccolissime percentuali di argilla. In particolare, il suolo è formato da magnesio e ferro che provengono dalla cenere vulcanica e dalla pomice che, per sue caratteristiche, ha anche la possibilità di trattenere l'umidità proveniente dal mare garantendo così alla pianta risorse idriche che, complice il clima arido e l'assenza di impianti di irrigazione, altrimenti non potrebbe avere.

Il suolo di Santorini

Tornando a bomba sul vino, il Santorini 2012 di Sigalas (100% Assyrtiko), le cui vigne a piede franco terrazzate risalgono la caldera fino ad un'altezza di 250 metri, si presenta come il figlio legittimo del terroir di provenienza e cioè un vino dalla sapidità travolgente e dalla durezza vulcanica con lievi ma suggestive note di agrumi del Mediterraneo. Non cercate morbidezze e "piacionerie" varie nell'Assyrtiko di Sigalas, la sferzante acidità lo fa scattare al palato come una agile centometrista mentre in chiusura la scia salata del vino, a tratti salmastra e solo in parte corroborata da cenni di pompelmo ed erbe aromatiche, rende il vino interminabile e talmente volubile che il ribere immediatamente diventa un'esigenza impellente. 
Vinificazione in bianco in tini d'acciaio inossidabile a temperatura controllata. Nessun passaggio in legno. Contenuto alcolico 14,5 gradi che, fatemi sottolineare, non viene percepito assolutamente.


Con Costas ed Emanuele Fiorettti di Bancovino abbiano abbinato il vino ad uno dei piatti più importanti della cucina romana: la classica Cacio e Pepe. Beh, mai abbinamento è riuscito così bene!!

Anche questo vino, se volete, lo trovate in vendita su Ellenika.it!



Vino? No, grazie, siamo italiani

Interessante articolo, uscito poco tempo fa su Newsweek, che dà evidenza di come in Italia sta cambiando radicalmente il mercato del vino nonostante il nostro Paese, così ben come si evidenzia, sia il maggior produttore con circa 45 milioni di ettolitri di vino prodotti con un consumo pro capite che non raggiunge i 40 litri di vino all'anno.

Nonostante questo, da molti anni, in Italia non si beve più come prima. Come spiegare tutto ciò?

Secondo Jancis Robinson, critica del Financial Times, la riduzione sta avvenendo in tutti i Paesi grandi produttori di vino come Spagna, Italia e  Francia. "Il vino - secondo la wine critic più importante del mondo - viene ormai visto come una persona anziana o come la bevanda del contadino mentre i suoi concorrenti, come birra, liquori e bevande gassate, grazie alla pubblicità hanno un'immagine più giovanile!".


Jancis Robinson - Foto:www.wineinvestment.com 

In Italia, secondo Newsweek, la contrazione dipende da vari problemi, in particolar modo di carattere sociale ed economico.
Nel primo caso bisogna considerare che ultimamente non esiste più il concetto di "classica famiglia italiana" che  si raduna attorno ad un tavolo bevendo mangiando e, al tempo stesso, bevendo la bottiglia di vino. Siamo tutti di corsa e anche i consumi ne risentono.

Ovviamente le maggiori colpe sono attribuite alla crisi economica e alla conseguente disoccupazione del Paese. Il vino, visto ormai come un bene di lusso, viene comprato di meno ed esce dal paniere dei consumi italiani. "Tu non morirai se non bevi vino", ha detto Sergio Esposito, CEO e fondatore di Italian Wine Merchants di New York.

I problemi del vino in Italia non sono solo legati alla nostra economia ma anche ad altri fattori come le normative anti alcol, che hanno portato ad una drastica riduzione del bere nei ristoranti, e la demografia attuale. L'Italia, sostiene la rivista americana, è una paese per vecchi e assieme alla Germania ha la percentuale più alta (20,6%) di cittadini sopra i 65 anni. Più si è vecchi e più ci si ammala e, di conseguenza, il medico allontana il consumatore dalla sua bevanda preferita: il vino.

Secondo Newsweek il consumo del vino in Italia è minato anche dall'esplosione del fenomeno della birra artigianale che fa concorrenza alla più famosa bevanda di Bacco. 
I microbirrifici stanno aprendo di continuo in Italia e, da poche unità di qualche anno fa, oggi si è arrivato a contare circa 450 produttori indipendenti che costituiscono l’1% per cento della produzione nazionale (il che vuol dire 300mila ettolitri) e il 2-3% del valore (secondo Assobirra, siamo sui 60milioni di euro).

Monica Larner, inviata italiana di The Wine Advocate sostiene che:"come residente del centro storico di Roma in questi anni ho visto nascere più pub che wine bar che spesso chiudono per poi riconvertirsi in Irish Pub...".


Monica Larner - Foto: revistaadega.uol.com.br 

Una economia in difficoltà, l'elevata disoccupazione, le normative stradali, i cambiamenti demografici e i nuovi trend in campo alcolico rappresentano tutti fattori che stanno minando la cultura del buon bicchiere di vino in Italia.

In uno scenario così lugubre quale sarà il futuro dei produttori italiani? Newsweek, ovviamente, prende a riferimento il mercato a stelle e strisce ed evidenzia che, per l'Italia, rappresenta uno sbocco fondamentale visto che lo scorso anno i nostri produttori hanno esportato circa 300 milioni di litri di vino negli Stati Uniti, cioè quasi un quarto delle importazioni totali. 
Su 230 milioni di adulti, il 44% beve vino e il 25% (ossia circa 57 milioni di persone) lo consuma regolarmente. Si tratta soprattutto dei cosiddetti “baby boeme” - di età compresa tra i 49 e 67 - e dei “millennial” - tra i 21 e i 36 anni - che rappresentano la fascia in prospettiva più interessante per la continuità di crescita futura.

Quindi, dopo "niente sesso siamo inglesi", si è creato davvero il nuovo stereotipo "niente vino siamo italiani"? Se qualche studioso o produttore volesse intervenire per dire la sua sull'argomento è ben accetto. Nel frattempo, per non sapere nè leggere nè scrivere, mi apro una bottiglia di vino italiano.....


Foto: http://www.lavocedelserchio.it

Istine, il Chianti Classico di Radda ha il viso di Angela Fronti

Angela mi aspetta all'interno del suo piccolo fuoristrada all'inizio di una delle tante strade sterrate che nell'areale del Chianti Classico rappresentano la porta di ingresso verso i tanti vigneti sparsi nella zona. Non siamo soli perchè, questa volta, ad accompagnarci c'è anche Alessandro Zingoni, blogger e sommelier toscano di grande competenza e passione.
L'idea comune, prima di andare a pranzare a Le Panzanelle, è quella di visitare i principali vigneti dell'azienda. 

Poche centinaia di metri di strada sterrata ci portano all'interno del vigneto Istine, probabilmente quello più importante perchè da queste uve la famiglia Fronti produce l'omonimo Cru aziendale.
La vigna, situata a circa 500 metri s.l.m. con esposizione nord-ovest, si estende per circa 5 ettari e mezzo ed è composta principalmente da sangiovese (95%) mentre il resto è piantato a canaiolo, colorino, malvasia nera e merlot. Il terreno, come facilmente identificabile dalla foto, è formato da galestro e alberese con piccole percentuali di quarzo.


Vigneto Istine
Il suolo

Durante la nostra passeggiata in vigna, dalle pendenze abbastanza proibitive per le nostre esigue forze mattutine, Angela ci parla un pò della sua storia:"La mia famiglia, che a Radda ha un piccola azienda di movimento terra e lavorazione di terreni agricoli, ha sempre prodotto vino dai vigneti di proprietà ma mio padre non si è mai occupato di fare qualità visto che fino a poco tempo fa vendeva tutto il vino in cisterna. Inizialmente non volevo fare la vignaiola, mi piaceva lavorare nel commerciale e così ho collaborato per anni con aziende come Tenimenti Luigi d'Alessandro a Cortona e Bindella a Montepulciano. Con loro mi sono divertita molto, ho girato il mondo e ho imparato molto sul mondo del vino, vendemmia compresa. Poi, vicissitudini famigliari, mi hanno portato a riconsiderare molte cose nella mia vita e ho deciso di tornare a Radda per occuparmi del "mio" vino. Così, mi sono rimboccata di nuovo le maniche e, mentre "bisticciavo" con mio padre per poter innalzare la qualità dei vigneti e del vino, ho iniziato a studiare enologia per poi laurearmi qualche anno dopo. Nel 2009 nasce il primo Chianti Classico firmato Istine, 2666 bottiglie. Grande soddisfazione ma è l'inizio, per me, di un duro lavoro....".


Pendenze
Angela è determinata e dalla sue parole capisco che in famiglia lo scontro generazionale, il conflitto tra vecchio e nuovo, non deve essere stato di poco impatto anche perchè Istine, oggi, è anche in conversione biologica. Angela, ridendo, aggiunge:"Non sapete quanto sia stato difficile far capire che la chimica in vigna non dovrà essere più usata...".

E' tempo di riprendere la macchina e andare a visitare gli altri vigneti, non ancora tutti in produzione, che attualmente si estendono tra Radda e Gaiole.

Pochi minuti di viaggio e ci fermiamo a due passi dal vigneto Casanova che, tra l'altro, è quello più vicino alla casa raddese di Angela. La vigna (3.89 ha totali), nella sua parte alta, è stata piantata nel 2000 (così come Istine) mentre la parte bassa ha una media di trenta anni di età. Rispetto al precedente, questo vigneto ha esposizione sud-est con terreno è più fertile e meno povero. Il sangiovese, anche in questo caso, la fa da padrone ma non è difficile capire dal colore delle foglie che in alcuni filari prevale il merlot piantato dal papà di Angela...


Vigneto Casanova
Vigneto Casanova

Per arrivare alla vigneto Cavarchione dobbiamo arrivare fino ai bordi di Gaiole in Chianti, a pochi passi da altre prestigiose aziende del posto. Il vigneto, bellissimo e giovanissimo (è stato piantato tra  il 2009 e il 2010), è tutto sangiovese e si estende per circa 3,5 ha su terreno prettamente galestroso con esposizione nord-est/sud-est. Angela ci dice che questo per lei è un posto magico, unico, ed è per questo motivo che sta pensando di farlo diventare un vero e proprio Cru. Come darle torto.....

Vigneto Cavarchione
Vigneto Cavarchione

Non c'è molto tempo per finire il tour di tutti i vigneti per cui, giusto una mezzora prima di andare a mangiare, Angela ci conduce nella sua cantina che, con una punta di amarezza, ci dice essere ancora provvisoria visto che il progetto per costruirne una nuova, pur essendo pronto da tempo, è "bloccato" dalla solita burocrazia.

Questi spazi ben ordinati sono un pò il mondo di Angela che, da buona enologa, qua dentro passa gran parte del suo tempo aiutando anche altri produttori locali nella vinificazione. 
Visitiamo la sala fermentazione, che avviene tutta in vasche di acciaio, e la zona affinamento che da queste parti fa rima con uso di legno grande e tradizione. 





Proprio da botte, in anteprima, degustiamo il Chianti Classico 2012, fresco e vellutato, il Chianti Classico Istine 2012, dal frutto scuro e profondo, il Chianti Classico Casanova 2012, beverino fin da ora, e la futura Riserva, uscita prevista 2015, che rappresenta un mix delle migliori uve di Istine e Casanova che, se le premesse sono queste, rappresenterà un "best buy" imprescindibile per il Chianti Classico.


Angela Fronti
 

Durante il nostro pranzo a Le Panzanelle (ah, se siete a Radda in Chianti è un indirizzo imprescindibile), tra pici all'aglione, pappa al pomodoro e altre leccornie locali, abbiamo degustato i tre sottostanti vini....


Il Rosato d'Istine 2012, e lo scrivo senza temere smentite, è sicuramente uno dei migliori rosati di Italia per il suo essere poco scontato e per la sua freschezza e bevibilità quasi da birra ghiacciata. Angela ci dice che viene fatto raccogliendo le uve non ancora ben mature di sangiovese e lasciandolo a contatto con le bucce per 10 ore. Fermentazione alcolica lentissima, più di un mese a max 12°. Non fa malolattica e non ha zuccheri residui. Solo 1000 bottiglie andate già tutte esaurite!

Il Chianti Classico Istine 2011 (95% sangiovese e 5% tra colorino e merlot) è polposo e giocato tutto su toni di ciliegia e frutti di bosco con timidi ricordi di corteccia ed erbe aromatiche. Il gusto è in sintonia con l'olfatto, pieno, intenso e fruttato e attraversato da un vivo tannino. E' un vino figlio di un'annata calda che Angela ha interpretato per il meglio.

Il Chianti Classico Istine 2010 (95% sangiovese e 5% merlot), risentito dopo quasi un anno dall'ultimo Sangiovese Purosangue, ha riconfermato quanto di buono avevo scritto in  un precedente post su Percorsi di Vino. Anzi, il vino è decisamente migliorato e oltre alle gradevoli sensazioni di frutta si è arricchito ora di impressioni di terra bagnata, ruggine, pietra calda, liquirizia e tabacco. In bocca mostra la sua ancor giovane età anche se già l'equilibrio è più che mirabile e caratterizzato da tannini fitti e vellutati ben compensati da una possente trama di frutta e sferzante mineralità. Lunga la persistenza. Peccato che anche questo vino sia finito. Angela fanne di piùùùùùùùùùùù!!!!

Chiudiamo la giornata con tanti abbracci e con la consapevolezza che, come canta Luciano Ligabue, le donne lo sanno.....




Tselepos Winery - Moschofilero Mantinia 2012

"Andrea ti verso un pò di Moschofilero?"

L'educational tasting sul vino della Grecia sotto la guida di Costas Linardos, patron di Ellenika.it, continua con questo secondo post col quale cercherò di spiegare tutte le sensazioni che sono derivate dalla domanda precedente.

"Costas, che razza di vino è il Moschofilero, sono davvero curioso!!"

Versandolo nel bicchiere, anche se la foto non rende conto, osservo come cromaticamente il vino somigli molto a certi pinot grigio italiani.

"Hai ragione Andrea" - sorride Costas - "perchè questa varietà autoctona dell'altopiano di Mantinea nel Peloponneso centrale, sebbene sia a bacca rossa, dà vini bianchi e, se vinificato assieme alla bucce, non origina vini rosati ma vini aromatici di colore grigio. Non per niente ma viene definito un "Blanc de Gris".

Foto: www.winemakingtalk.com

Yiannis Tselepos, che ha prodotto il vino che sto bevendo, può essere considerato uno dei padri del Moschofilero in Grecia. Infatti, dopo aver preso la laurea in enologia ed aver lavorato in Borgogna per due anni, Tselepos è approdato in Grecia, nell'Arcadia, per studiare questo vitigno storico derivante dalla famiglia dei "Fileri" che da tempo immemore è l'uva tipica del Peloponneso. 

Yiannis Tselepos. Foto:http://graperover.com

Una volta scoperte le grandi potenzialità dell'uva, nel 1989 Tselepos decide di creare un'azienda tutta sua ed inizia ad impiantare Moschofilero alla pendici del Monte Parnon (vicino all'antica città di Tegea e  nella zona DOC di produzione Mantinea ) ad un'altitudine media di circa 750 metri s.l.m su terreni abbastanza poveri caratterizzati da argilla e roccia.

Foto: vosselections.com

Una volta nel bicchiere e, come detto in precedenza, constatato il colore "particolare", mi precipito a valutare l'aspetto olfattivo di questo Moschofilero 2012 e subito risulta evidente ciò che ipotizzato da qualche minuto e cioè che questo antico vitigno del Peloponneso sia in qualche modo imparentato col moscato e col traminer perchè, oltre ad ad essere intensamente aromatico, ha sfumature aromatiche che mi richiamano ampiamente questi due ultimi vitigni.
Avvolgente, svela un susseguirsi di sentori di rose e tuberose, litchi, pesca bianca, melone giallo, noce moscata, maggiorana e fresca mineralità. La trama gustativa è vellutata, sapida, fitta, e sfuma in un indelebile ricordo di fiori e agrumi. Seducente.
La vinificazione prevede una crio-macerazione per 8 ore alla temperatura di 10 gradi. Fermentazione in tini di acciaio a 14 gradi. Produzione: 120.000 bottiglie. Da notare che Tselepos produce anche un Blanc de Gris (100% moschofilero) che, dopo una prima fermentazione in acciaio, termina la vinificazione in barrique dove affina sulle sue fecce.


Con Costas cerchiamo di trovare i possibili abbinamenti di questo vino che, per caratteristiche gusto-olfattive, riteniamo sposarsi splendidamente con i crudi, soprattutto molluschi e crostacei,  la cucina asiatica e il pesce alla griglia. Come lo vedete abbinato ad un piatto succulento di gamberoni al curry?

Ah, Tseleposproduce anche un originale metodo classico sempre da uva moschofilero, si chiama Amalia Brut e, come il Mantinia, lo trovate in vendita sul sito di Ellenika.it!





La Top 100 2013 di Wine Spectator


Quest'anno ricorre il 25° anniversario della Top 100 di Wine Spectator, la "prestigiosa" ma direi anche "controversa" rivista americana che, come sempre, ha selezionato 100 vini, su un campione di 20.000 vini provenienti da 13 Paesi Stranieri, in base alla qualità (rappresentata dal punteggio ), valore (riflessa dal prezzo di acquisto), disponibilità (in base al numero di casi o fatti o importato negli Stati Uniti) e un "X-Factor" chiamato emozione..
Nel complesso il punteggio medio dei vini in questa edizione è stato pari 93 punti con un prezzo medio di acquisto pari a 51$.

I vini made in USA, come è lecito aspettarsi, dominano la TOP 10 con cinque bottiglie su 10, poi viene la Francia con 3 referenze e l'Italia che al numero 6 ha piazzato un grandissimo Barolo Monprivato 2008 che, secondo me, stacca per qualità tutti gli altri compreso il numero 1, lo spagnolo Rioja Imperial Gran Reserva 2004 di Cuna (Compañía Vinícola del Norte de España) che, come al solito, rappresenta il solito vincitore a sorpresa. Alzi la mano chi ha mai bevuto, ma che dico, visto in qualche scaffale di enoteca italiana questo vino.



La classifica, in dettaglio, è la seguente:

1 - Rioja Imperial Gran Reserva 2004 Cuna (Compañía Vinícola del Norte de España)
2 - St.-Emilion 2010 Château Canon-La Gaffelière
3 - Pinot Noir Willamette Valley Evenstad Reserve 2010 Domaine Serene (Oregon) 
4 - Cabernet Sauvignon Rutherford 2010 Hewitt (Napa Valley) 
5 - Chardonnay Napa Valley 2010 Kongsgaard
6 - Barolo Monprivato 2008 Giuseppe Mascarello e figlio
7 - Domaine du Pégaü Châteauneuf-du-Pape Cuvée Réservée 2010
8 - Château de Beaucastel Châteauneuf-du-Pape 2010
9 - Lewis Cabernet Sauvignon Napa Valley Reserve 2010 
10 - Quilceda Creek Cabernet Sauvignon Columbia Valley 2010 

So già che tra un pò arriverà l'indiano, il grande capo Estiqaatsi, a commentare tutto ciò.....





Ah, se volete consultare la TOP 100 basta cliccare QUA!!

Habemus di San Giovenale. Il Lazio ha il suo futuro?

"Blera fino ad ora è stata famosa per tre cose: il suo ottimo olio, gli allevamenti di animali, specialmente ovini, e i suoi tartufi. Il mio sogno è che un giorno diventi importante anche per il vino che produce. Io sto iniziando a perseguire l'obiettivo!!"

Queste sono le parole di Emanuele Pangrazi, giovane proprietario di San Giovenale, mentre con la sua Range Rover tutta ferro ci porta tra i vigneti della sua azienda. Prima di arrivare, tra una buca e l'altra, mi faccio spiegare perchè, lui che è un importante imprenditore del settore dei servizi aeroportuali, ha deciso di stravolgere quasi completamente la sua vita diventando un aspirante vignaiolo.

Aspetta a rispondermi finchè non arriviamo in cima alla collina da dove è possibile vedere gran parte dei suoi vigneti, panorama compreso.


"Vedi Andrea, quando tanti anni fa sono arrivato da queste parti ho capito subito che questo posto, come minimo, doveva accogliere la mia casa di campagna. Da qua lo sguardo spazia a 360° e, partendo dai Monti Cimini, Sabatini e della Tolfa, proseguendo per la Valle del Mignone, arriva fino al Mar Tirreno. La Natura da queste parti è ancora selvaggia e incontaminata, come facevo a non investire in questo posto? 
Dopo aver costruito la mia casa avevo deciso di produrre olio ma poi, visto che non c'erano le condizioni adatte a fare qualità e quantità, il mio agronomo mi ha confidato:"Secondo me su questo terreno ci verrebbe un gran vino". Quello è stato per me il momento del non ritorno. Da lì è partito tutto! Di vino non ne sapevo molto per cui ho cominciato a girare per capire come dovevo impostare il mio progetto, cercavo qualcuno che mi consigliasse la strada migliore senza però stravolgere ciò che avevo già in mente: puntare al massimo dando vita ad un grande vino. Ho contattato e parlato con molti consulenti, anche blasonati, ma nessuno mi ispirava fiducia finchè non ho incontrato Marco Casolanetti. Con lui è stato amore professionale a prima vista, l'unità di intenti era al massimo e così gli ho chiesto di passare a visitare questa collina".



Emanuele è un fiume in piena ma una domanda ancora non gli ho fatto: perchè la scelta di questi vigneti?

"Quando Marco è venuto a Blera ed ha camminato su queste colline meravigliose non ha avuto dubbi nel dirmi che ci rivedeva il Rodano visto che secondo lui le condizioni pedoclimatiche sono le stesse di quell'area. Siamo nel 2007, si parte, e decidiamo di impiantare grenache, syrah e carignan. Non pensare che siano uve totalmente alloctone da queste parti. Il carignan, ad esempio, è il nostro cannonau e questa è una zona dove ci sono molti pastori sardi che, già moltissimo tempo fa, avevo piantato e selezionato questa uva. Se fai un giro ne troverai molti di filari. Ovviamente, ma questo già lo sai perchè ne abbiamo parlato a Cerea, siamo certificati biologici e usiamo solo prodotti vegetali per le nostre viti, a volte anche propoli".




I terreni della zona, di impasto argilloso, hanno inizialmente visto la dimora di circa 4.5 ha di vigneti, disposti a circa 300/400 metri s.l.m., che poi col tempo sono arrivati agli attuali 10 ha (in produzione nel 2013 solo 7.5 ha) grazie anche all'introduzione di varietà come il cabernet franc (3 ha) e tempranillo (1.5 ha). Grenache, syrah e carignan, attualmente, si estendono rispettivamente per 2.5, 1.5 e 1.5 ha.

Con Emanuele entriamo a fare un giro nei vari vigneti aziendali, tutti  che sono stati concepiti ad altissima densità d'impianto, siamo a 11.000 piante per ettaro che producono rese "ridicole". E quando parlo di "ridicole" intendo uno o, al massimo, due grappolini di uva per pianta. Roba da estremisti del vino.





Emanuele, come facilmente si può pensare, vuole il massimo anche in cantina che è racchiusa in una bellissima struttura, di recente costruzione, che si avvale di tetti giardino, pareti e coperture ventilate e di un sistema di controllo della temperatura di tipo geotermico decisamente all'avanguardia ed a basse impatto ambientale. 

Entrando si nota un grande spazio con ai lati le vasche d'acciaio per la fermentazione del vino. Anche in questo caso Emanuele tende a precisare che:"....queste vasche rappresentano delle eccellenze tecnologiche. Qua il nostro Habemus, blend di grenache, syrah e carignan, fermenta per circa 15 giorni e poi, per caduta, viene messo in barrique. Scendiamo che ti faccio vedere....".




Poche scale in discesa ci portano in un altro locale della cantina, un altro grande spazio dove riposano le barrique che, attualmente, contengono quello che diventerà l'Habemus 2012. In tale ambito va sottolineato che San Giovenale vinifica tutti i vigneti separatamente per poi fare massa alla fine.

Se verrete a trovare Emanuele e girerete con lui per la barricaia non esitate, ad esempio, di chiedergli un assaggio della Grenache 2012, un vino mostruosamente buono che ai profumi mediterranei coniuga una freschezza di beva che definirei quasi alpina. Lo sa, gliel'ho detto, è un peccato avere un vino così e poi metterlo in blend. Se uscisse per conto suo ne vedremmo delle belle qua nel Lazio...



Continuiamo con gli assaggi e, dopo aver assaporato le speziature dei vari Syrah in affinamento e ascoltato la schiettezza delle varie anime del Carignan, è il momento di degustare l'Habemus 2011. Lo stile di Casolanetti, la sua mano, è inconfondibile anche in questo vino che si caratterizza per una struttura "monstre", quasi carnosa, cesellata da aromi di spezie scure mediterranee, frutta a bacca nera, cacao, liquirizia, pepe nero e moltissime altre cose. L'Habemus 2011, così come l'annata precedente, è un vino che punta tutto su razza, muscoli e spudorato estratto che, nonostante tutto, rimane mobile e fresco nell'esito. La chiusura è lunghissima, equilibrata, sensuale. Io, come Emanuele, siamo curiosi di capire come evolverà il vino nel tempo. 



Nel frattempo, nella sua testa e in quella di Casolanetti, stanno per partire altre idee. Che fare, ad esempio, del Cabernet Franc e del Tempranillo? Ai posteri l'ardua sentenza....


Tetramythos e la Grecia sbarca su Percorsi di Vino

E' bello avere come amico Costas Linardos, deus ex machina del sito Ellenika.it, perchè oltre a parlarti della sua Grecia, della quale conosce ogni angolo, è anche un grandissimo amante dell'enogastronomia locale e, non di rado, quando ci vediamo in qualche wine bar di Roma porta sempre qualche chicca da farmi scoprire.


L'ultima volta che ci siamo incontrati, come al solito, tra il serio ed il faceto mi ha ripetuto che:"Questi vini, che poi sono quelli che distribuisco, difficilmente vengono proposti ai turisti in vacanza e credo siano lontani, per qualità, da quello che, comunemente, si intende per vino greco. La Grecia del vino non è, per fortuna, solo vino sfuso o solo Retsina di basso livello...e spero, stasera, di dimostrartelo ancora una volta. Ma, per il buon nome (o cattivo!) della Retsina,la prossima volta che ci vediamo ti porterò una Retsina di qualità, BIO e, per buona parte, fermentata in anfora!"

Bere greco mi diverte sempre e per un appassionato come me è sempre una bella sorpresa scoprire l'esistenza di realtà vitivinicole di grande qualità che dietro hanno una storia fatta di intraprendenza e duro lavoro, credendoci sempre nonostante le difficoltà non solo economiche in cui il Paese versa.

Questo è il caso azienda vinicola Tetramythos che si trova in un luogo unico al mondo come il nord del Peloponneso, esattamente ad Ano Diakopto, sulle pendici del monte Chelmos (Aroania). Un luogo unico, come detto, non solo per la bellezza del paesaggio ma anche per il microclima presente che è influenzato enormemente dalla striscia di mare di 25 miglia per 80 costituita dal Golfo di Patrasso e dal Golfo di Corinto i quali creano condizioni di brezza costante con un effetto raffreddamento non indifferente rispetto alle zone del Peloponneso centrale. Mare ma anche e, soprattutto, montagna perchè la viticoltura dell'azienda possiamo definirla quasi estrema visto che gli attuali 14 ettari di vigneto, composto da varietà autoctone (Roditis, Mavro Kalavritino, Agiorgitiko, Malagouzia) ed internazionali (Sauvignon Blanc, Merlot, Cabernet Sauvignon), sono situati ad una altitudine tra i 600 e i 1050 metri s.l.m. Condizioni simili ad una Valle d'Aosta col mare a picco!

Parte dei vigneti. Fonte: www.snooth.com

Tetramythos è stata fondata formalmente nel 1999 dai fratelli Aristides e Stathis Spanos anche se già nel 1997, quando i loro vigneti erano già stati certificati BIO, vendevano le loro uve ad altri vignaioli della zona. La vera svolta della loro vita, enologicamente parlando, i fratelli Spanos ce l'hanno solo qualche anno più in là, nel 2004, quando incontrano l'eclettico enologo Panagiotis Papagiannopoulos, che dà nuova linfa a tutta la produzione portandola a livelli qualitativi eccelsi grazie anche alla costruzione della nuova cantina con tecnologie più moderne e all'avanguardia per il territorio.

Come detto in precedenza, la storia di Tetramythos è costellata anche grandi difficoltà come quando, nell'estate 2007, un vasto incendio di tutta l'area si è portato via nella notte tutta la nuova cantina e buona parte delle viti di proprietà. Un disastro, tremendo, che è stato parzialmente alleviato dagli aiuti dei tanti colleghi vignaioli locali e da quel pizzico di fortuna, chiamiamola così, che ha sottratto al fuoco la parte alta del vigneto le cui uve, fino a quando nel 2009 non si è costruita la nuova cantina con gli aiuti UE, sono state vinificate in altre cantine della zona.

Parte della nuova cantina

Costas mi ha portato a degustare uno dei loro bianchi, il Roditis Tetramythos (100% roditis) la cui uva, dal particolare colore rosa, è molto popolare nell'Attica, in Macedonia, in Tessaglia e, ovviamente, nel Peloponneso.

Grappolo di Roditis

Le uve, provenienti da quattro vigneti tra i 14 e i 34 anni situati ad un'altezza che varia tra i 600 e gli 800 metri di altitudine con esposizione nord, sono state vinificate (in bianco) in tini di acciaio usando lieviti autoctoni per l'80%. Dopo pochi mesi di affinamento in bottiglia il vino esce finalmente in commercio e si presenta con un caleidoscopio odoroso di pesca gialla, buccia di limone, muschio, sambuco che fanno da contorno ad un impianto aromatico di viva freschezza e sapidità. 

Al sorso è equilibrato, elegante, declinato su importanti note di sapidità che bel bilanciano una struttura dove è presente un lieve residuo zuccherino. Bella la scia finale, molto agrumata, che invita nuovamente alla beva. Vino molto diretto e piacevole che farà la sua "sporca figura" soprattutto a tavola. Costas mi dice che spesso accompagna il Roditis Tetramythos a piatti di pesce, fritti e all'immancabile feta greca.  



Nell'attesa di provare gli abbinamenti vi consiglio di fare un giro nel sito e di acquistarne una bottiglia di prova. Vi piacerà!